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CHI HA SCRITTO L'ESODO CONOSCEVA I GEROGLIFICI
di Alessandro Conti Puorger

Questo tema è un tassello che si inquadra nella ricerca conseguente a quanto detto in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche".

Il canone della Bibbia ebraica è prevalentemente in ebraico con alcune parti in aramaico, scritte però con gli stessi segni che sono dono del Dio Unico.
L’ebraico e l’aramaico sono lingue semitiche che vengono così chiamate in relazione al nome di Sem, figlio di Noe.
Tra le lingue semitiche dalla fine del XVIII sec. sono considerate:
  • le orientali, che comprendono l’accadico, ramificatosi in babilonese al sud e in assiro al nord,
  • le occidentali, col cananeo, l’ebraico, l’ugaritico, l’aramaico, il siriaco ed il fenicio,
  • le meridionali, con l’arabo del sud e del nord e l’etiopico.
La distinzione tra l’ebraico e l’aramaico biblico è datata al 1886 con Franz Delitzsch, e apparve indicata per la prima volta nel dizionario di Brown-Driver-Briggs; il lessico che vi si trova comprende 640 parole estratte da Esdra 4,8-6,18;7,12-26 e da Daniele 2,4b-7,27 e dai versetti Gen. 31,47 e Geremia 3,10 (il 22% de vocaboli sono comuni ai due libri, il 60% sussistono solo in Daniele ed il 18% solo in Esdra).
L’aramaico è l’insieme dei dialetti di tribù provenienti dalle steppe dell’est penetrate nella regione della Siria-Palestina.
Ciò è avvenuto tra il X e l’VIII sec. a. C., ma i documenti cominciano ad essere abbondanti dal VII sec. a. C. quando cominciò ad essere utilizzato dall’impero assiro e nel 500 a. C. gli Achemenedi ne fecero la lingua ufficiale dell’impero persiano; parenti prossimi derivati sono il nabateo, il palmireno, il samaritano.
È da distinguere tra lingua e scrittura, perché per molto tempo può anche sussistere una lingua senza una forma per registrarla; è chiaro però che in tal caso la lingua stessa ha una maggiore labilità e può più rapidamente variare nel tempo.
L’accadico, ad esempio, lingua semitica (da Accad vicino a Bagdad) veniva scritta con segni della lingua sumerica che è una lingua asiatica (però dal 3000 a. C. forse, certo dal 2600 a. C. fino al 1900 a. C. in cui il sumerico diviene lingua morta); invece, risulta che Cananei nel XIV sec. a. C. scrivevano nella lingua e con i segni della cultura mesopotamica, cioè non avevano ancora i segni ebraici.
Il fatto più eclatante che emerge dal confronto tra l’indoeuropeo - il greco in particolare - ed il semitico - in questo caso, l’ebraico e l’aramaico - è la diversa importanza della vocale.
Mentre in greco la vocale è parte costitutiva della radice, in ebraico e nell’aramaico questa è un elemento in sovrappiù soggetto a varianti e d’invenzione recente rispetto alla scrittura ebraica stessa.
Soltanto le consonanti costituiscono l’elemento antico, fisso, sacro, che non può essere cambiato.
Lo zoccolo duro d’ogni parola, cioè la radice, è in generale costituito da tre consonanti ed il lettore pensa queste tre consonanti senza vocali e sfuma i significati della radice facendo variare la sonorità; infatti, le consonanti che la compongono possono anche raddoppiarsi e una di queste cadere, possono aggiungersi altre consonanti avanti e/o alla fine ed il significato può virare, allargarsi, precisarsi, ma mai perdersi ed il lettore continuerà a pensare al radicale base.
Prendo ad esempio le tre consonanti ebraiche S-P-R che evocano scriba, il libro, la Scrittura, il messaggio, la lettera, lo scritto, il contare, il raccontare, oppure le tre consonanti L-B-N, che indicano tutto ciò che è bianco:
  • LeBaNa è il bianco, il plenilunio;
  • LeBoNa è l’incenso bianco;
  • LaBaN è tutto ciò che è bianco, denti, abiti, capelli;
  • LaBaN nome del fratello di Rebecca, (padre di Lia e Rachele, forse albino);
  • LeBaNon è la montagna bianca, il Libano;
  • LiBeNe è il pioppo bianco;
  • LeBeN (in arabo è il latte bianco).
Nelle lingue indoeuropee non è così in quanto se prendiamo ad esempio in italiano le tre lettere M-R-T ci accorgiamo che MaRiTo, MaRTe, MeRiTo, MiRaTo, MiRTo, MoRTaio, MoRTe, MuRaTo, eMeRiTo, EmiRaTo hanno pochi punti in comune, perché, diversamente dalle semitiche, la vocale fa parte della struttura significativa della parola.
La fragilità del materiale dei documenti biblici ci ha privato dei più antichi testi del canone, ma i ritrovamenti di Qumran hanno colmato parzialmente il vuoto, spostando l’età del più antico testo ritrovato biblico dal X sec. d. C al I sec. a. C..
Andando indietro, su com’era la scrittura di quei testi si può al massimo risalire ai tempi di David e di Geremia e questa può essere ricostruita solo con l’aiuto di documenti in materia dura: cilindri in pietra, timbri, sigilli, tavolette, frammenti di terraglia òstraka sui quali si scriveva con l’inchiostro e con calami e steli.
Ritrovamenti principali di scrittura in materiali non flessibili sono avvenuti a Gabaon, Gezer, Tell Qasìleh, Lakish, Dhiban.
Il più importante proviene da Dhiban a nord dell’Arnon (oggi in Giordania) ed è la "Stele di Mesa".
Mesa fu re di Moab nel IX sec. a. C. e la fece erigere a propria gloria ed in onore del dio Kemosh (citato in Nm. 21,29; Giu. 11,24; 1Re 11.7,33; Ger. 48,7.13) e contiene un testo di 34 righe che riferisce delle vittorie di Mesa contro Israele e contro Edom (chiarisce il racconto di 2Re 3,4-27. Scoperta nel 1868 e dal 1873 al Louvre di Parigi).

Gli ostrakon più antichi sono:
  • quello di che risale al tempo di Geroboamo II (786-746 a. C.);
  • quello di Lakish (597-587 a. C.) sulla fine del regno di Giuda, richiama la scrittura del rotolo dettato di Geremia al segretario Baruk.
Per cercare le forme di scritture precedenti a quelle della stele di Mesa è giocoforza guardare tra i segni delle scritture antiche: egiziana, sinaitica e d’altre vicine all'ebraica nell’area e nel tempo dell’evento "esodo"; ne riporto la sintesi.

I geroglifici apparvero nel 3000 a. C. già pienamente efficienti; ritrovamenti recenti li attribuirebbero ad un proto faraone, il primo con il prenome di Horo, il "re scorpione" del 3250 circa a. C. della I dinastia che li inventò per usi amministrativi.
I segni egiziani furono chiamati geroglifici dai greci.
Clemente Alessandrino li definì: "lettere sacre incise - grammata ieroglufica" grammata ieroglufica, pur s’erano usate per usi laici sui monumenti e non solo in templi e tombe.
(I testi dei papiri sono in scrittura ieratica e quelli più recenti in scrittura democrita.)
Tali segni sono circa 3000, ma 600 sono i più frequenti.
Il più antico documento della cultura egizia che si conosca è la tavolozza detta di Narmer che è stata datata 3000 -2850 a. C..
I geroglifici non sono simboli, ma figure reali stilizzate.
La scrittura con segni geroglifici è un sistema complesso in cui ogni parola è definita sotto più prospettive, con:

a) Segni di valore logografico, che indicano l’oggetto e l’azione semplice; al segno corrisponde l'idea tradotta in ideogramma com’è oggi per i segnali stradali e turistici, per i comandi delle auto, ecc. Il disegno della pianta di una casa indica una casa, quello di un uomo con una coppa indica bere, di una vela gonfia indica vento.

b) Segni fonetici-alfabetici. Non riuscendo i segni a rendere azioni, concetti e tempi dei verbi la problematica fu risolta con un alfabeto di 24 segni che indicano suoni elementari (alcuni muti) e che si può ritenere l’antenato degli alfabeti; si riferiscono a consonanti e non alle vocali, queste ultime sono pronunciate, ma non scritte.
Vi sono anche segni bi o tri-consonantici, vale a dire segni unici semplificativi per indicare due o tre particolari consonanti vicine.

c) Segni di valore determinativo, che servono per individuare quale tra le parole con le stesse consonanti sia da intendere; sono pittogrammi che indicano la categoria del concetto di cui si parla.
Ad esempio, se in italiano passo si scrivesse senza vocali, vale a dire pss, ci sarebbe il dubbio tra passo movimento, passo montano, pesos moneta spagnola ecc. Per indicare che s’intende il camminare gli egiziani avrebbero posto accanto a pss il segno di due gambe, se invece fosse un passo montano accanto alle lettere pss avrebbero indicato una montagna e per pesos il segno di moneta.

I geroglifici vennero in disuso nel III-IV sec. d. C. e sui monumenti furono usati sino a Teodosio I (394 d. C.).
Petrie, nel 1905 nella penisola del Sinai, nel tempio della dea Hator, presso le antiche miniere di turchese di Sarabit al-Xadim, scoprì una trentina di segni che furono datati del XIV-XV sec. a. C. (Mosè nacque alla fine del XIV) apparentemente pittografici detti protosinaitici e fu fatta la supposizione che la lingua che annotavano potesse essere di Cananei, se non addirittura d’ebrei schiavi in Egitto nelle miniere; quella scrittura era il più antico reperto conosciuto delle scritture alfabetiche (i Cananei, allora, non avevano una loro scrittura particolare).
Furono poi trovate iscrizioni databili XVI-XVII sec. a. C. in Palestina con segni simili ai protosinaitici.

Sul Corriere della Sera del 15-11-1999 è riportato un trafiletto che segnala la scoperta dell'egittologo americano John Coleman Darnell, della Yale University, che nella Bad el-Hol a nord-ovest dell'antica Tebe, a sud di Abido, ha trovato iscrizioni databili tra il XVIII-XIX sec. a. C. che sarebbero l'origine dell'alfabeto, non scritto da egizi, ma da gente Cananea (operai, mercanti o mercenari conviventi con i prigionieri) che, presi in prestito un certo numero di geroglifici egiziani, s’inventò un sistema "stenografico" derivato da quello egiziano.
Popolazioni di lingua semitica nel XVIII sec. a. C. (Abramo nel XIX sec. a. C secondo la Bibbia fu in Egitto), influenzate dalla conoscenza dei geroglifici, cercarono cioè di semplificare quella scrittura con segni stilizzati di valore acrofonico; così, il segno di casa , in semitico "bajit", indicava il suono iniziale della parola, dunque B.
Da questa forma di scrittura, si dividono vari rami tra cui l’ebraico-aramaico, il fenicio, il neopunico ed il cananeo.
In "Rotoli e Pergamene - Così nacque la Bibbia" di Frederick Fyvie Bruce (ed. Piemme 1994) riferisce circa la scrittura ebraica che:
  • i più antichi documenti attribuibili ad ebrei e/o cananei che dimostrano sono le tavolette di Tell el-Amarna, che contengono la corrispondenza diplomatica della corte egizia durante il regno del faraone Akenaton (1377-1360 a. C.) scritte per lo più in lingua accadica, ma che riportano qua e là espressioni ebraiche (conferma influenze ebraiche alla corte) in scrittura cuneiforme;
  • il calendario di Gezer, elenco d’operazioni agricole da fare mese per mese, è il più antico frammento di scrittura ebraica conosciuto risalente all’epoca del re Davide (1000 a. C.);
  • la citata stele moabita, che riporta la versione appunto moabita della rivolta ricordata in 2 Re 1,1 (850 a. C.)
All’inizio dell’età del ferro, nei paesi affaccianti sul Mediterraneo, con irraggiamento dalla città di Biblo e per influsso dell’attivissima Tiro, si diffuse la scrittura fenicia che presto fu usata, con poche variazioni, per la comodità e la facilità di traslitterazione della fonetica delle varie lingue e per scopi commerciali.
La gloria maggiore di Biblo va spostata a Qirjat-Sefer ove c’era una fiorente scuola di scribi dotti in tutti i generi di scrittura che crearono il miracolo dell’alfabeto con pochi segni chiari, facili a tracciarsi, ciascuno con preciso valore (La scrittura fenicia procede verso destra).
La datazione più antica di scrittura fenicia è del XIII-XI sec. a. C., data non certa del sarcofago di Ahiram.
La vera grande invenzione fu quella delle vocali, ottenute dalle (e/o corrispondenti alle) consonanti deboli dell’ebraico:
  • ‘Alef per A;
  • He per E;
  • Iod per I;
  • ’Avin per O;
  • Waw per U.
Rapidamente la scrittura fenicia si trasferì nel retroterra ed alle isole vicine e poi in nord Africa, Spagna e Italia e fu una realtà dal X secolo a. C. a Cipro, Creta, Cnosso, in Sardegna, a Malta, in Sicilia occidentale, nella Spagna meridionale; anche i segni etruschi trovano da quelli la loro origine.
In oriente s’è continuato a scrivere in fenicio fino al III sec. a. C. ed, in occidente, in punico, fino ai tempi di Sant’Agostino.
La scrittura palestinese del ramo ebraico-aramaico s’è invece consolidata nell’andamento da destra a sinistra; ed i 22 segni dell’alfabeto sono rimasti soltanto consonantici.
L’ebraico per la mancanza di vocali e per la generale presenza di radicali triconsonantici ha una forte affinità con l’egiziano e può essere facilmente traslitterabile con quell’alfabeto antico, eliminando alcune consonanti (mute o tra loro di suono evidentemente simili) egiziane.

Farò ora un paio di esempi della presenza del pensiero egiziano d’origine nei libri di Mosè.
Il nome di Mosè, che l’ebraico fa derivare dal radicale "trar fuori-salvare" in egiziano equivale, da solo, al nome che si dava ad un neonato di padre ignoto; infatti, in egiziano il radicale MS indica il nascere, da cui, ad esempio:

Ka      - mose(s) = (da)   ka  nato,
Thoth  - mose(s) = (da) Thot nato;

Perciò - mose(s) = (da)   ?   nato.

In effetti il geroglifico del mose(s) è:

(il determinativo è una donna che partorisce e il primo segno è MS)

La descrizione della nascita di Mosè in Esodo Capitolo 2 insiste molto sui particolari: la madre lo vede (bello) e lo nasconde finché può, tre mesi, poi prepara una cesta di papiro, come l’arca di Noè.

... lo depose tra i giunchi sulla riva del Nilo
... Essa
(figlia del Faraone) vide il cestello tra i giunchi ...
L’aprì e vide il bambino: ecco era un fanciullino che piangeva.


Essendovi due volte il dettaglio dei giunchi e del bambino lo considero un messaggio.
C’è il giunco , un bambino neonato MS (che piange come il determinativo Egizio), rotondetto come una pagnottella (tre mesi), l’acqua emanazione del dio Nilo e la cesta di papiro annodato che come forma dà l’idea d’un cartiglio in cui si scrivono i nomi dei Faraoni (il cartiglio è una corda disposta a forma ovale che chiude un rotolo con un nodo).
Ora, quei segni derivati dalla descrizione consentono di determinare il cartiglio sottoindicato che nel "Dizionario Middle Egyptian di Faulkner" (pag.116 Ed. 86) indica un figlio di re;
che si divide così:

La parte a sinistra (è un panegirico) si legge:

N(Y)SUT "Colui che appartiene al giunco" = Faraone
e a destra MS(S) con determinativo bambino (che piange) = nato
NeSUT-MOSE(S) = "Nato dal/del Faraone"

C’è anche un geroglifico che indica N SYT "nave del re" con il determinativo di tanti rotoli di papiro il cui segno è un rotolo con cordicella e nodo e con tre lineette per indicare tanti rotoli.


Il dettaglio del racconto della preparazione della piccola arca fa trasparire, infatti, la volontà d’indicare una nave: "...prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume di pece..." (Es. 2,3).
La figlia del Faraone, letta la profezia che le stava davanti, sentì l’impulso d’attuarla, perché Dio le stava parlando con un geroglifico vivente e le aveva mosso il cuore anche se suo padre, il Faraone, aveva deciso di punire gli ebrei nei loro neonati, infatti: "Ne ebbe compassione e disse: è un bambino degli Ebrei" (Es. 2,6b).
Cioè pur riconoscendo che era ebreo, vinse in lei la profezia letta rispetto all’ordine del padre e Mosè fu adottato dalla figlia del Faraone è fu educato come un principe.
La madre vera lo poté poi allattare, ma svezzato: "... lo condusse alla figlia del Faraone. Egli divenne un figlio per lei ..." (Es. 2,10b).
Vari libri riportano tradizioni ebraiche su Mosè (Shemoth Rabbà, Sefer ha jasha, Divrè ha jamim le Moshè Rabbènu) ove si trova anche questo racconto:

"Il Faraone sta pranzando con la moglie e la figlia ha in braccio Mosè che ha l’età di tre anni e questi stende la mano, prende la corona dalla testa del re e se la mette. Per un sapiente presente Mosè merita la morte perché l'atto profetizza un attentato al trono, ma altri sostengono che il bimbo non sapeva quel che faceva. Per dirimere la questione si decide di verificare se Mosè ha la capacità di intendere e gli vengono posati davanti due bracieri, uno con carboni ardenti ed uno con pietre preziose. Un angelo devia la mano di Mosè che prende un tizzone, lo porta alla bocca, si brucia la lingua e diviene balbuziente. Ecco perché parlava il fratello Aronne."

Il racconto tenta di chiarire perché Mosè dice a Dio: "...sono impacciato di bocca e di lingua." (Es. 4,10-16).

Ora, in egiziano la biconsonante NS si può anche indicare con un segno unico ed indica anche lingua (vista di profilo all’interno della bocca), infatti il suo l’ideogramma è ; inoltre, in ebraico T è un segno di croce, perciò da NS U T è facile passare all’idea di "lingua segnata".

Il geroglifico (I°) indica "fiamma" ed ha vicino alla biconsonante NS (1) i segni fonetici 2 e 3 della N e della S ripetuti per memoria per facilitare la lettura di NS ed il determinativo (4) d’un fiore che appassisce che vuole evidentemente il caldo avvampate.

     

Da NeSUT si passa anche alla parola "cattedra e/o trono", che è il geroglifico sopra riportato come II° in cui il segno 1* è il determinativo di seggio.

Avvicinando perciò i geroglifici al racconto della nascita di Mosè fatta dal libro dell’Esodo si ripercorre parte della via per dov’è passata la tradizione orale di quel racconto riguardante Mosè, il Faraone, il trono, il carbone ardente, la lingua bruciata.
Abbiamo così visto che il midrash riportato, proveniente da antiche tradizioni orali, conserva viva la conoscenza del mondo dei geroglifici anche se oggi se n’è persa traccia.

Ho così, con questi semplici esempi, delineato il processo di dilatazione che ha la parola disegnata, capace di creare lei di per sé racconti e si ricava che:
  • chi ha scritto l’Esodo conosceva l’egiziano, attingeva in quella cultura immagini ed era portato a dare importanza ai disegni;
  • lo scritto è più denso di significato di ciò che si è in grado di cogliere.
Si rafforza il pensiero che i segni ebraici non sono necessari solo per la traslitterazione dei suoni della lingua parlata, ma che evocano anche immagini.
Torneremo su tema dei geroglifici nella Bibbia in altre occasioni.

a.contipuorger@gmail.com

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