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LETTERE EBRAICHE E CODICE BIBBIA...

 
IL CRISTIANESIMO DI FRONTE AD UNA BIBBIA SEGRETA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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LA CHIESA DI GERUSALEMME E LA GRANDE CHIESA
Il seguente rapido escursus degli sviluppi della Chiesa alle origini fa capire come e perché ci fu il graduale abbandono dell’esegesi biblica ebraica e dell’uso dei libri dell’A.T. in ebraico nella Grande Chiesa rispetto a quanto usava la Chiesa di Gerusalemme.
Una questione, infatti, dibattuta nel Concilio Vaticano II fu la definizione dei giudeo-cristiani e del loro numero.
Nella sessione del 28.10.1965 fu accettato il concetto che si trova al n.4, lin. 10 ss "Recordatur etiam ex populo iudaico natos esse … plurimus illos primos discepulos, qui Evangelium Cristi mundo nuntiaverunt"; e veniva ammessa l’esistenza d’una Chiesa ex circumcisione, numerosa e forte, parallela a quella ex gentibus, detta Grande Chiesa, prendendo così atto delle scoperte archeologiche dello Studium Biblicum Francescanum di Gerusalemme in città ed in Galilea con gli scavi del Dominus Flevit, di Nazaret, di Khirbet Kilkish e degli studi di J.Daniélou sulla teologia giudeo-cristiana, che mutavano i pensieri sulla Chiesa primitiva.
Giudeo-cristiane sono le comunità della Chiesa antica, reclutate tra i giudei, di Palestina o della diaspora, che intendevano coniugare la fede in Gesù-Messia con le prescrizioni della Torah, la maggior parte cioè, degli evangelizzati dalla prima comunità di Gerusalemme.
La predicazione di Gesù di Nazaret attuata essenzialmente in Palestina, a Tiro e Sidone e nella Traconide, terra dei Gadareni, raccolse i 12 apostoli, ma anche numerosi discepoli e simpatizzanti.
Nell’inviare i dodici in missione li istruì: "Non andate tra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani: rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele." (Mt. 10 5b); tra i Samaritani andrà lui Gv. 4, poi vi predicò il diacono Filippo, Pietro e Giovanni.
Anche alla Cananea, alla quale guarì la figlia, disse: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa d’Israele." (Mt. 15,24)

Questi cenni dei Vangeli riflettono un atteggiamento proprio del giudaismo nato dopo la distruzione del 1° Tempio (586 d.C.), definita "Ombroso particolarismo ed entusiastico universalismo sono i due aspetti fondamentali del monoteismo israelitico: il giudaismo sarà continuativamente attratto, nel corso dei secoli seguenti, verso queste due opposte direzioni. Questa tensione è in effetti la caratteristica dominante della sua storia." da Simon e Benoit in "Giudaismo e Cristianesimo" (Biblioteca universale Laterza 1985).

La predicazione, morte e risurrezione di Gesù furono capaci di raccogliere a Gerusalemme per la prima Pentecoste un nucleo di fedelissimi "il numero delle persone radunate era circa 120."(At. 1,14.15 ) da cui nacque la Comunità di Gerusalemme, essenzialmente di Ebrei.
Gli Atti degli Apostoli indicano il gran numero (3.000) di convertiti nella Pentecoste del 30 d.C. (At. 2,41e 2,48), arrivato a 5.000 (dei soli uomini - At. 4,4), cresciuto (At. 5,14 e 19,20) fino a raggiungere molte migliaia (At. 21,20) nell’epoca relativa a tali Atti (30-60 d.C.); infatti, la Chiesa di Gerusalemme "cresceva moltiplicandosi in modo sorprendente grazie a Giacomo, che il Signore aveva ordinato vescovo e che la governava amministrandola in modo più che retto." (Recogniziones di Pseudo Clemente I 44)
La Chiesa di Gerusalemme dei convertiti raggruppatisi attorno alle "colonne" Giacomo, Cefa e Giovanni (Gal 2,9), era costituita di:

- ebrei poveri e bisognosi (At. 6,1);
- uomini "gelosamente attaccati alla legge" mosaica (At. 21,20);
- alcuni farisei (At. 15,5);
- vari ellenisti (At. 6,1) e numerosi erano gli ebrei della diaspora;
- vari sacerdoti (At. 6,7).

Una disposizione ufficiale, risalente a Cesare, assicurava ai giudei della diaspora ed a quelli di Palestina di poter praticare il proprio culto, che lo Stato romano rispettava ("religio licita" - le monete erano senza immagini umane, gli stranieri non potevano entrare nel Tempio) per l’antichità dei riti, e li dispensava dai doveri civici incompatibili con quella fede e dai riti del culto imperiale e la maggior parte dei giudei della diaspora che s’era abituata a vivere tra i pagani, non poteva sottrarsi del tutto alla loro influenza, ignorava in genere l’ebraico, parlava latino o greco.
Questi non s’associarono alle rivolte del 67-70 e del 132-135 d.C. anche se riconoscevano Gerusalemme come la città santa e vi facevano un pellegrinaggio almeno una volta nella vita, riconoscevano l’autorità del Sinedrio e del Patriarca e pagavano l’imposta annuale del Tempio.
Molti ebrei, non solo in Egitto e nelle altre nazioni, ma anche nella stessa Palestina avevano imparato il greco alla perfezione in quanto apriva a posizioni influenti, l’élite frequentava i ginnasi e manteneva la fede d’Israele.

La traduzione in greco della Bibbia detta dei Settanta fu invero effettuata per soddisfare il desiderio della colonia giudaica di lingua greca d’Alessandria d’avere un testo d’uso corrente. (Nella lettera d’Aristea 150-100 a.C. c’è il racconto, di come Tolomeo II -285-247 a.C. fece tradurre la Torah in greco da 72 scribi fatti appositamente venire da Gerusalemme, processo che poi si estese anche agli altri libri e si concluse sulla fine del II sec. a.C.)
La Bibbia dei Settanta, fu poi respinta dal giudaismo rabbinico che dichiarò vincolante il testo ebraico, mentre i cristiani proseguirono con tale testo in greco che fu sempre più interpretato sotto quel punto di vista. (Ad esempio, il Tetragramma fu sostituito con il Signore, come si pronunciava per rispetto. L’influenza greca si sentì pesantemente in quella traduzione, come nel caso di "Io sono colui che sono" con "Io sono l’esistente" o "Io sono colui che è." Graf Reventlow Henning, in "Storia dell’interpretazione biblica" - Piemme 99, al riguardo dice: "Soprattutto l’idea della risurrezione dei morti e della vita eterna, che affiora soltanto ai margini dell’Antico Testamento in scritti tardivi come Dn. 12,1-3 e Is. 26,19, viene inserita nei Settanta in diversi passi come Sal. 1,5, Is. 38,16 e Gb. 19,26. Nella composizione poetica ebraica di Gb, il Giobbe sofferente esprimeva la convinzione che, prima ancora della sua dipartita, avrebbe visto la propria giustificazione davanti a Dio, da lui tanto attesa.")

La traduzione dei Settanta pur se spesso si discosta dalla lettera del testo ebraico masoretico fu adottata anche nella liturgia di sinagoghe della diaspora e venne a portata di mano anche dei pagani e fu così un’efficace propaganda religiosa, ma "Essa testimonia però anche l’influsso di categorie del pensiero greco sul giudaismo della diaspora; tende ad eliminare o attenuare ciò che poteva urtare un pagano colto, riduce gli antroporfismi del testo ebraico, spiritualizza l’immagine divina, traduce espressioni e nozioni tipicamente semitiche in termini e concetti derivanti dalle scuole filosofiche greche." ("Giudaismo e Cristianesimo" di Simon e Benoit-Bib, Universale Laterza 1985)
I rabbini palestinesi, infatti, dichiararono che il giorno della traduzione della Bibbia dei Settanta fu nefasto come quello del vitello d’oro, sì che le tenebre offuscarono il mondo per trenta giorni.
Quei testi però aprirono la via portata avanti Filone con l’interpretazione allegorica dei testi sacri (ripresa poi sotto alcuni aspetti da San Paolo) per una sintesi dei fondamenti della rivelazione biblica e dei principi più avanzata della filosofia di quei tempi.

Filone, che nacque da facoltosa famiglia ebrea d’Alessandria nel 20 a.C. (risulta che fece parte di una legazione di giudei d’Alessandria a Roma presso Caligola nel 39-40 d.C.) godette d’ampia formazione greca e di filosofia ellenistica, nel cui ambito fu fondamentalmente un Platonico, conobbe bene la Sacra Scrittura nella traduzione dei Settanta (che nel giudaismo ellenistico era considerato testo ispirato come l’originale ebraico) e sosteneva che nella Bibbia c’è la verità, ma nascosta in allegorie valide anche per il mondo greco, estrapolabili in quanto i Greci certamente hanno mutuata la loro filosofia da Mosè (De mutatione nominum).
Questo metodo d’interpretazione, che alcuni pagani avevano applicato alle opere d’Omero, aldilà dei miti e dei racconti, tende a trovare la quintessenza spirituale che vuole essere trasmessa.
Di questa, s’era già servita la già accennata "Lettera d’Aristea o pseudo-Aristea" per giustificare i divieti alimentari della Torah.
Ciò nonostante la sinagoga della diaspora, pur se aperta ai pagani simpatizzanti (Vedi Mt. 23,15; At. 2,11; 6,5; 13,43), non riusciva col proprio legalismo ad attrarre i pagani, sensibili al problema della salvezza e dei culti misterici, come invece fece il Cristianesimo col fresco annuncio cristiano della Chiesa nascente del Salvatore incarnato, morto e risorto.
Il metodo allegorico ebbe grande influenza nella Chiesa che nasceva tra le nazioni, dopo la prima persecuzione di Erode Agrippa (42-44 d.C.), epoca in cui molti convertiti portarono il Vangelo a Roma e sulle costa fenicia. In Svetonio-Claudius 25 si trova: "I Giudei che tumultuavano continuamente per istigazione di Cresto, egli (Claudio) li scacciò da Roma"; notizia ripresa da Dione Cassio che sembra rettificare: …egli (Claudio) non li scacciò ma ordinò di non tenere riunioni, pur continuando nel loro tradizionale stile di vita. (Hist. 60,6,6 - siamo al 41 d.C., morto l’imperatore Caligola).
Da Giuseppe Flavio Bell. 2.80 s’apprende che a Roma ai tempi di Gesù c’era già una consistente comunità ebraica: "Nel frattempo Archelao dovette affrontare a Roma un altro giudizio contro alcuni giudei, che erano stati inviati prima della rivolta col permesso di Varo (governatore della Siria) per trattare del problema dell’indipendenza nazionale. Erano arrivati in 50, ma li appoggiavano più di 8000 giudei che vivevano a Roma."
Gli ebrei della diaspora avevano i privilegi d’"isopoliteia" (Ant. 12,119-124) concessi da Giulio Cesare (vedi Giuseppe Flavio Ant. 14,185-216), con piena libertà di culto, esentati dal venerare la statua dell’imperatore e dal servire nell’esercito (l’isopoliteia fu però di fatto negata ai cristiani, prova sono le "persecuzioni" e i Romani che in genere non s’interessavano di beghe religiose quella volta presero atto e sancirono di fatto che i Cristiani non erano più una setta ebraica.)
I primi cristiani di Gerusalemme, non avevano intenzione di separarsi dal giudaismo, di cui osservano le prescrizioni e molti si limitano ad assegnare un nome al Messia atteso dalla fede giudaica; cioè, allora, la Chiesa nascente era solo una delle sue sette e l’annuncio cristiano s’innestava su preesistenti idee religiose producendo varie sfumature nelle sette dell’ebraismo d’allora, le cui principali erano:

- scribi e farisei rispettosi con rigore della Legge e della tradizione;
- sadducei, (il loro nome sembra modellato su quello di Sadoq, grande sacerdote all’epoca di Salomone. Essi escono di scena nel 70 d.C. dopo la distruzione del Tempio) provenivano essenzialmente dall’aristocrazia sacerdotale, conservatori, in quanto s’attenevano all’interpretazione letterale delle Scritture canoniche e non accettavano la Torah orale e la fede nella risurrezione, la vita futura e l’angelogia che con le dottrine dell’aldilà sembravano un’innovazione rispetto alla fede prima dell’esilio;
- esseni, disgustati dal rigorismo legale e che si opponevano alle gerarchie e ai sacrifici del Tempio e, come i farisei, professavano la fede nell’aldilà ed erano rigorosi nelle pratiche rituali e nello zelo;
- seguaci di Giovanni Battista;
- samaritani, che avevano costruito un tempio (che fu distrutto da Giovanni Ircano nel 129 a.C.) rivale di quello di Gerusalemme;
- zeloti, estremisti, pronti alla guerra santa contro l’occupazione dei romani, considerati questi espressione del regno di satana;
- ebrei della diaspora più o meno ellenizzati;
- stranieri proseliti.

Tra i Romani occupanti ed i loro simpatizzanti, tra i mercanti greci, fenici e arabi e la congerie di stranieri (At. 2,9-11) circolavano anche le idee del paganesimo razionalizzate con spiegazioni filosofiche che intendevano offrire un senso cosmologico alle sue favole religiose.
Con l’acquisizione alla Chiesa di giudei ed ellenizzanti si convertivano, infatti, un gran numero di pagani in quanto al seguito dei commercianti e delle loro carovane viaggiava la fede cristiana.
A tutto ciò s’univano fantasiose speculazioni, fatalismi di oroscopi astrologici ed mitologie connesse all’influenza dello Zoroastrismo della Media e della Persia (religione salvifica e dualistica. Dio con i suoi Santi immortali s’oppone allo Spirito cattivo e ai corrispondenti Antisanti Demoni ed ha un suo proprio libro sacro l’Avesta. L’uomo ha il libero arbitrio ed è aiutato dalla religione a vivere nel campo buono. Alla morte tre giudici pesano le azioni e si va in un paradiso o inferno provvisorio, poi ci sarà una fine dei tempi, i corpi risusciteranno, tutto sarà purificato dal fuoco e le anime dei puri saranno immuni e i cattivi saranno purificati nel fuoco. Questa religione, che si espanse anche in India - Parsi - fu predicata nel VI-VII sec. a.C. da Zarathustra e fu fonte di tante eresie - nestoriane - non fu distrutta dall’Islam, fiorì nella letteratura e se ne trova traccia tra gli sciti.)
In questa sfaccettata realtà con attiva evangelizzazione nascevano le prime comunità, mentre circolavano anche religioni misteriche che offrivano agli uomini la conoscenza delle realtà prime ed ultime ed un sistema etico per liberare l’anima dalla prigionia del corpo e del mondo assicurando la felicità futura, idee che influivano nello gnosticismo giudaizzante che iniziò a serpeggiare, causa poi d’eresie.
È anche da considerare che taluni tra quelli che procedevano all’annuncio non sempre erano in piena sintonia nella predicazione con quella che poi fu definita l’ortodossia, ad esempio:

- un Apollo, che non conosce che il battesimo di Giovanni (At. 18,25s);
- falsi o superapostoli (2 Cor. 11,5 e 13 Ap. 2,2);
- esorcisti ambulanti (At. 19,13);
- già farisei, che volevano la circoncisione dei convertiti (At. 15 1 e5);
- discepoli di Giovanni che lo ritengono il Messia (Lc. 7,26-29);
- culto degli angeli di tipo essenico (Col. 2,18);
- Cerinto, che insegna che Gesù è solo un uomo.

Con la predicazione sempre più numerosi furono gli ascoltatori ed i convertiti e si distinguevano due principali rami:

- ebrei, anche della diaspora, alcuni pagani semitizzati e proseliti ellenisti che conservarono le categorie ebraiche midrashiche e simboliche nell’esegesi biblica, (Girolamo) e la teologia (vari Padri della scuola antiochiena Origene, Epifanio).
- ebrei della diaspora e simpatizzanti, proseliti ellenisti ad Antiochia, in Galazia, a Corinto e pagani (Gal. 2,1ss; 1Cor. 1,13) che preferirono l’universalismo di Paolo;

Col nascere delle comunità cominciava a svilupparsi un pensiero teologico che solo gradualmente poté dare una risposta organizzata ed "ortodossa" ai vari aspetti delle filosofie, religioni, miti e credenze incontrate negli ascoltatori della predicazione, avvisaglia delle prime storture, radice di quelle che poi furono catalogate in eresia.

Tra i convertiti del secondo gruppo si riconoscevano:

- nazirei cattolici, ebrei nei riti (sabato, circoncisione, ecc.);
- ebioniti, solo alcuni non eretici (Cristo profeta, Messia dal battesimo);
- gnostici e samaritani, questi ultimi seguaci di Simon Mago (At. 8);
- correnti encratiche che vivevano in povertà, verginità e in austerità, paralleli cristiani ai monaci esseni di Qumran.

La prima problematica fu l’osservanza o meno dell’intera legge di Mosè per i convertiti provenienti dal paganesimo, che si risolse con il primo Concilio di Gerusalemme, ma che portò un cambiamento reale di mentalità solo dopo alcuni secoli .
La maggior parte dei giudei cristiani propendevano per Giacomo, ed i gentili-cristiani per Pietro pur se in Palestina, soprattutto in Galilea esisteva, una prevalenza petrina come dimostrano gli scavi a Cafarnao, ed a Gerusalemme tenevano il luogo Dormitio Mariae; l’autore anonimo delle "Costituzioni Apostoliche" (PG 1,1085-6) registra una parità di primato tra Gerusalemme e Roma e cita anche Antiochia tra le sedi principali della Chiesa d’allora pur se in secondo piano.
È stato stimato che nel 70 d.C. i cristiani ed i catecumeni erano sui 35-40.000 e che nel 100 d.C crebbero di 8 volte superando il numero di 300.000 (Il grande atlante della Bibbia, edizione Reader’s Digest 86 curata da Gianfranco Ravasi) su tutto il territorio dell’impero romano e di questi circa 80.000 erano in Asia Minore.
Ireneo, vescovo di Lione in Gallia nel 185 d.C. accenna quale era l’espansione nell’Asia Minore, a Roma ad Alessandria, a Cartagine, in Spagna ed anche a nord fino a Colonia, nella valle del Reno.
Tertulliano alla fine del II secolo scrive: "Siamo appena nati ieri eppure abbiamo già oltrepassato i limiti del vostro impero: le vostre città, isole, fortezze, assemblee, accampamenti, palazzi, senato, foro, tutti sono gremiti di Cristiani."
Da questa rapida espansione risultò l’impossibilità pratica per la Grande Chiesa di procedere col catecumenato all’insegnamento della Torah in ebraico, della cultura Biblica e della completa tradizione e fu data sempre maggiore importanza alla teologia della grazia di cui era stato assertore Paolo rispetto al rigorismo della Legge farisaica ("A Mosè sono state rivelate 613 prescrizioni, 365 proibizioni, corrispondenti all’anno solare e 248 comandamenti, corrispondenti alle ossa dell’uomo." - Makkot 23b)
Paolo, anche se fece molti viaggi, in quei decenni di grande evangelizzazione ebbe giocoforza influenza limitata al settore geografico d’alcuni centri dell’Asia Minore e della Grecia; a Roma v’arrivò che la predicazione c’era già stata (non da parte di Pietro, su ciò non concorda Eusebio - l’espulsione da parte di Claudio nel 49 d.C. rivela che c’era già una comunità cristiana, anche la lettera ai Romani del 58d.C. non parla di Pietro).
Al riguardo nella "Nouvelle histoire de l’Eglise" di J.Daniélou e H.I.Marrou - Paris 1963 si legge questa sintesi: "Per Paolo che pensa ai pagano-cristiani, è essenziale liberare il cristianesimo dalle aderenze giudaiche. Pietro, invece, teme defezioni da parte dei giudei-cristiani che, sotto la pressione del nazionalismo giudaico, rischiano di tornare al giudaismo; e perciò vuole mantenerli nella nuova fede mostrando loro che è possibile essere fedeli, nello stesso tempo, alla fede cristiana e alla legge Giudaica."

Il crescere d’importanza della teologia di Paolo, confermata dall’orientamento della Chiesa che inserì le lettere di Paolo nel canone del Nuovo Testamento, portò ad emarginare e ridurre d’importanza chi si collegava alla teologia dei meriti, rispetto a quella della grazia; sta di fatto però che i giudeo-cristiani continuarono per almeno tre secoli ad osservare le prescrizioni della Legge fin quando il Canone del NT fu completamente definito (Decreto Damasi 382 d.C.).
Bellarmino Bagatti in "Alle origini della Chiesa" scrive: "La più intensa occupazione romana della Palestina in seguito alla seconda guerra del 135, aveva reso più facile il contatto tra i cristiani dei due ceppi, giudeo e gentile, sia per la residenza che gli etnico-cristiani potevano prendere sul suolo già ebraico, sia per i pellegrinaggi che potevano intraprendere senza difficoltà. Così si conobbero meglio, ma se ciò per alcuni, fu un allargamento d’idee, per altri fu un motivo di iniziare una lotta religiosa. Infatti qualche gentilo-cristiano non poteva sopportare che i suoi correligionari perpetuassero, dopo più di un secolo dalla morte del Salvatore, quei riti ebrei che egli, avvezzo alla lettura di S. Paolo, credeva giuridicamente aboliti. I cristiani di ceppo giudaico, invece pensavano che era un male lasciare quei riti, perché né N. Signore, né gli Apostoli, ad eccezione di Paolo, li avevano aboliti."

Tra le posizioni estreme c’è la posizione moderata di Giustino in Dialogo con Trifone che sostiene il concetto che ognuno, sulla questione del rispetto dei principali precetti della Torah, faccia come vuole senza pretendere che l’altro si adegui o non si adegui perché la salvezza viene dal Cristo e non da quei precetti e ciò non sia motivo di litigi, ma vivano in comunione.
Di tale opinione è pure l’autore delle "Costituzioni Apostoliche" (PGI, 979-82) che critica chi pensa che dalla donna nei giorni del proprio ciclo s’allontanerebbe lo Spirito Santo e se morisse in quello stato non sarebbe salva e dice: "Non il lutto degli uomini, né le ossa dei morti, né i sepolcri, né i cibi, né le polluzioni notturne, possono macchiare l’anima dell’uomo."

Autori antichi, tra cui lo stesso S. Ignazio di Antiochia, che si nutriva di cultura ebraica, l’anonimo della Lettera di Barnaba (IX) e quello della lettera a Diogneto (IV,1) dissuadono i fedeli dal praticare costumanze che erano in contrasto con la grande Chiesa.
Già attorno alla fine del II sec., poi, le idee sugli scritti canonici, comunque erano già abbastanza chiare come risulta dal Frammento del Muratori (testo latino mutile della parte iniziale, ove evidentemente parlava dei Vangeli di Matteo e Marco e della fine, databile al più tardi al 200 d.C. - in quanto parla anche del Pastore d’Erma fratello di lui il Vescovo Pio che era allora sulla cattedra di Roma - testo scoperto da Ludovico Antonio Muratori nel 1740 nella Biblioteca Ambrosiana) che tra i testi sicuri cita:

- ..., Luca, Giovanni;
- Atti degli apostoli;
- Lettere di Paolo ai (I e II) Corinzi, Efesini, Filippesi, Colossesi, Galati, (I e II) Tessalonicesi, Romani, a Filemone, Tito, (due) Timoteo, (non indica la Lettera agli Ebrei);
- Lettera di Giuda, (due e non tre) di Giovanni, (non indica le due di Pietro e quella di Giacomo);
- (La sapienza di Salomone scritta da Filone !?)
- L’Apocalisse di Giovanni, l’apocalisse di Pietro (ma avverte che alcuni non l’accettano; poi esclusa dal canone definitivo)

Con Ireneo e con Origene la grande Chiesa iniziò a trattare alcuni giudeo-cristiani come una setta eretica (In Jon. 1,1 di questi Origene dice che si considerano gli eletti d’Israele, ma non ne raggiungono nemmeno il numero di 144.000 dell’Apocalisse); in particolare gli ebioniti (poveri) e/o nazareni che praticano le prescrizioni della Legge compresa la circoncisione, si volgono verso Gerusalemme nelle preghiere, sono ostili a Paolo considerato apostata, accettano solo il Vangelo apocrifo detto degli Ebrei (che considerano di Matteo).
Tra questi, in effetti c’erano alcuni per cui Gesù non era che un gran profeta su cui lo spirito di Dio scese al momento del battesimo e quest’eresia ha poi avuto gran peso sulla formazione del credo dell’Islam (Sull’influenza del giudeo-cristianesimo sull’Islam vedi W Rudolph, "Die Abhàngigkeit des Korans von Judentum und Christentum", Stuttgart 1922), altri consideravano che Gesù fosse stato innalzato allo stato divino al appunto al momento del battesimo, unendosi all’eone Cristo, identificato da alcun con lo Spirito Santo e da altri con l’angelo che s’incarnò in Adamo (echeggia l’idea dell’Adam Kadmon che circolò nella Cabbalà).

"Recogniziones di Pseudo Clemente III" e Ireneo Apol. 1,26,56 riferiscono dell’eresia di Simon Mago:
"Dio è la Potenza suprema che ha come corrispondente femminile il proprio pensiero - l’Ennoia che uscita dal padre come Minerva da Giove crea gli angeli ed il mondo, ma gli angeli l’imprigionarono in un corpo femminile che s’incarna di donna in donna, mentre la Potenza suprema si manifestò ai Giudei con il Figlio Gesù, ai samaritani come Padre, in lui Simon Mago, e in altri luoghi come Spirito Santo."

Quest’eresia circolava tra i samaritani che, riferisce Giustino, ai tempi d’Antonino Pio (138-161 d.C.) erano tutti seguaci di Simone, ma che un secolo dopo Origene - "Contra Celsum" 1,57- dice che non superavano ormai il numero di trenta.
Fu nel II sec. che le avvisaglie di crisi per disparità di sintesi teologica, causate dalla gnosi e dalle sue sette, con elucubrazioni ed inserimento di miti traendone miti e credenze arrivarono a situazioni da controbattere, e tra queste alcune procedevano pure con criteri pseudo giudaici sulle scritture; la scelta del giorno della ricorrenza della Pasqua fu poi elemento d’ulteriore divisione.
Ai Valentiniani, Perati, Cainiti, Ofiti … s’opposero Giustino, Ireneo, Ippolito, Epifanio; è di quel periodo una pletora di scritti inseriti poi tra gli apocrifi che nel III e IV sec. vieppiù si moltiplicarono (Nel 1945 a Nag-Hammadi si trovò una giara del V sec. con una biblioteca gnostica con 51 trattati).

Non può però farsi astrazione storicamente da tali testi che tramandano le credenze di primi cristiani trattandosi di materiale che apre spaccati antichi utili per comprendere la maieutica teologica.
Alcuni articoli di fede, infatti, trovano in quegli scritti conferme, come la Verginità di Maria, la discesa di Cristo agli inferi, l’assunzione al cielo di Maria (Vedi apocrifi sulla dormizio), come pure varie convinzioni consolidate, ad esempio i nomi dei genitori di Maria (Gioacchino e Anna), la presentazione di Maria al Tempio, la nascita di Gesù in una grotta e la presenza del bue e dell’asino, che i re Magi erano tre, con i loro nomi, il nome del centurione Longino, la storia della Veronica. (Vedi Apocrifi del N. T. a cura di Luigi Moraldi, TEA 91).

La gnosi sfociò nel dualismo e quindi nel manicheismo e s’arrivò con il marcionismo perfino al rifiuto dell’A. T. a cui però fu opposto un netto rifiuto; l’influenza di questa Chiesa giudeo-cristiana si fece così sentire per lungo tempo, e la Grande Chiesa, anche grazie a quella, non ha mai rinunciato a considerare a base del credo le Scritture; "L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata." (Catechismo della Chiesa Cattolica n° 121)

I primi scritti a base del Vangelo di Matteo, sarebbero stati redatti proprio in ebraico, secondo Eusebio di Cesarea nel sua "Historia Ecclesiastica", (III, 39.16) che riporta di Papia di Gerapoli (II sec d.C.), la "Esposizione degli oracoli del Signore", la quale sostiene: "Di Matteo invece riferisce questo: Matteo raccolse i detti (di Gesù) nella lingua degli ebrei, riducendoli ognuno come poteva.", confermato anche da Ireneo di Lione (135-200d.C), pure citato da Eusebio: "Matteo pubblicò tra gli Ebrei, nella loro lingua, anche un Vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo predicavano a Roma e vi fondavano la Chiesa" ("Adversus Haereses", III, I,1 in Eusebio, "Historia Ecclesiastica" V,8.2).
Lo stesso Eusebio in "Historia Ecclesiastica" III, 25 sostiene che: "Alcuni pongono in questa categoria (tra i libri apocrifi) anche il Vangelo degli Ebrei, il Vangelo, cioè caro soprattutto ai giudei cristiani.", perché (Historia Ecclesiastica III, 27,1-6) era usato specie dagli Ebioniti (tra cui c’erano molti eretici).

Un’eco della teologia giudeo-cristiana è nella lettera di Giacomo.
I primi scritti della Chiesa di Roma ascrivibili più alla tradizione giudeo-cristiana che alla tradizione Filone-Paolina sono, anche se non fanno parte del canone, "La lettera di Clemente - vescovo Roma - ai Corinzi" ed "Il Pastore d’Erma" (scritto a Roma nel II sec.)
È nell’Apocalisse che lo schema giudaico apocalittico è evidente, mentre il Vangelo di Giovanni, pur presentando alcune affinità con scritti del Mar Morto, con il Prologo, riguardante la concezione del Cristo-Logos, palesa una corrente che riflette la linea Filone-Paolina che così fu tappa fondamentale nello sviluppo della cristologia.

Fu la Chiesa "ex circumcisione" molto progredita nella teologia basata sulla cristologia e sull’ecclesiologia in quanto usava forme letterarie e midrashiche avendo nelle sue fila tanti sacerdoti, farisei e rabbini e come diceva Egesippo, "i più nobili della nazione" (Eusebio 2,23).
Vari Padri - i Santi Gerolamo, Ignazio d’Antiochia, Giustino, Cirillo di Gerusalemme, Epifanio - guardarono con simpatia a questa Chiesa ebreo-giudaica basata sul rispetto delle tradizioni locali e bibliche.
In particolare S. Epifanio e S. Efrem osteggiavano l’invasione nella chiesa della filosofia greca e S. Eusebio e S. Girolamo, secondo Bellarmino Bagatti, in "Alle origini della Chiesa": "...non si peritarono di togliere dal deposito giudeo-cristiano delle spiegazioni bibliche e soprattutto le varianti delle versioni per comprendere meglio il testo biblico. Ciò li condusse ad avere una mentalità sui giudei-cristiani più equanime di altri cristiani."
Pur tuttavia, nel IV secolo, dopo la vittoria sul paganesimo, si ebbe un riordinamento della chiesa e a Nicea per il Concilio nel 325 d.C. si riunirono 318 vescovi, di cui 18 della Palestina, tutti di ceppo gentile e di città costiere, e questo divario senza dialogo con la chiesa giudeo-cristiana si allargò sempre di più.
In tale occasione fu rinnovata la decisione di celebrare la Pasqua di Domenica, ma le usanze Giudeo cristiane furono definitivamente proibite nel concilio di Antiochia (341 d.C.) decretando che il sabato non si riposa e non si partecipa ai digiuni dei giudei né ai riti in sinagoga pena la scomunica per i disobbedienti.
S. Giovanni Nisseno nel 379 e S. Giovanni Crisostomo con alcune omelie nel 386 palesano che i giudei-cristiani non s’erano adeguati.
Questa chiesa resistette fino all’VIII sec. d.C. poi fu assorbita dalla Grande Chiesa e gli eretici confluirono nell’impero mussulmano passando alla nuova religione come convertiti (i mawali) e diventarono la casta dei Kutab, o scrivani, che introdussero nel Corano elementi cristologici e mariologici connessi all’A.T.


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ESEGESI DEI GIUDEO-CRISTIANI »

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