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RICERCHE DI VERITÀ...

 
MANGIARE DELL'ALBERO DELLA VITA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

PREMESSA
La Bibbia, nei primi tre Capitoli del libro del Genesi, tanto esaminati e discussi, presenta la creazione dell'uomo, la sua situazione di privilegio nel giardino dell'Eden, l'errore volontario in cui viene a cadere per essersi cibato dell'albero del bene e del male trasgredendo al comando del Signore Dio e la conseguente perdita dello stato di privilegio che godeva prima della cacciata dal Paradiso.
Di fatto, con un racconto di genere favolistico che rientra nella categoria dei midrash ebraici, con linguaggio figurativo ed in modo allegorico, è sintetizzata la meditata causa della infelicità dell'uomo.
In questa parabola della Genesi il fatto che l'uomo è soggetto a fatiche, malattie, vecchiaia e morte, in definitiva, alla precarietà dell'esistenza umana sulla terra, è messo in contrapposizione al non potersi cibare dell'albero della Vita che, appunto, stava nel mezzo del giardino.
C'è, quindi, una tensione dell'uomo a poter rientrare nello stato primigenio che in verità non gli è stato tolto in modo definitivo.
Il succo del messaggio biblico è la tensione in Dio a far ricuperare all'uomo la dignità a cui era ed è destinato, nonostante che un essere contrario a Dio susciti nell'uomo la tentazioni di voler essere assoluto padrone della propria esistenza e gli inciti concupiscenza ed istinti animaleschi.
Un essere contrario a Dio, o ipotesi di non esistenza di un Dio, o comunque di un Dio buono che ama gli uomini, sono alternative che debbono essere stato ammesse da Dio stesso quali possibilità aprioristiche, perché l'uomo fosse libero di una scelta, altrimenti impossibile.
Poter mangiare dei frutti di quell'albero è così veramente questione di vita o di morte e su tale tema cercherò di avere altre informazioni investigando nella Bibbia stessa.
Inizio con l'osservare che mangiare dell'albero della Vita in mezzo del giardino del versetto Gen 2,9 in ebraico è scritto così:



Ora il sostantivo "vita" in ebraico è "hai" ed è un nome di genere femminile.
Il femminile plurale sarebbe dovuto essere "haiot", usato in altri casi come al termine del versetto 2 Samuele 20.
In quel versetto Genesi 2,9 però è usato "haiim" che non potendo essere un plurale maschile è da considerare un plurale duale, perciò l'albero della vita in effetti è albero delle vite e più precisamente si può pensare come "l'albero delle due vite".
La cacciata dal paradiso ha il senso di evitare nella vita a venire che Adamo dopo il peccato rimangi di quell'albero della vita e così rimarrebbe per sempre in disgrazia anche nella seconda vita.
Il testo del racconto, infatti, così recita: "Il Signore Dio disse allora: Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!". (Genesi 3,22)
È lecito perciò concludere che Dio mentre li caccia pensa già alla redenzione.
Altro pensiero è che le parole "albero" e "legno" in ebraico sono individuate dallo stesso termine , molto vicino a consiglio () onde si può tradurre "albero delle due vite", "legno delle due vite" e pensare anche "consiglio per le due vite"; aleggia così l'idea di uno cibo consolatore che suggerisce una seconda vita.
Nel concetto "due", in ebraico "shenajjm", dal radicale di "ripetere, rinnovare", c'è la lettera che evoca nella mente a chi aduso a vedere le lettere ebraiche anche come ideogrammi la traccia grafica dello splendore del fuoco e della risurrezione.
Con riferimento a questo discorso fa leggere quel radicale come "della risurrezione l'energia entra ".
Visto in assoluto si può pensare che il concetto di due, cioè della pluralità di eventi e quindi di successivo, sia legato al risorgere del sole che "accende energia nel mondo " e che scandisce appunto il tempo sulla terra.
Per vivere in eterno l'uomo deve così mangiare dal "legno delle due vite" e quindi del frutto che pende dal legno.
Il numero due abbiamo visto implica la possibilità di rinnovarsi ed ha implicito ha in sé il concetto di tempo tra due eventi in successione, che seguendo quel racconto scatta automaticamente al mangiare dei frutti dell'albero del bene e del male, il che poi richiede o il morire o il mangiare dell'albero della vita.
Per il cristianesimo il legno da cui scende la risurrezione è la croce di Cristo, ed il frutto è Cristo stesso morto e risorto; infatti, "Gesù disse: In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risuscuterò nell'ultimo giorno." (Giovanni 6,53-54).
Il mangiare dell'albero della vita è perciò gustare un frutto, farmaco di immortalità, che reca la risurrezione e la vita eterna.
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