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RICERCHE DI VERITÀ...

 
IL PERDONO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

VITA, TEMPO DI PROVA
La prima domanda che si fa ogni uomo di questa terra appena è in grado di valutare la propria condizione, è: il mio esistere in questo mondo, di cui vedo i limiti esistenziali, è tutto e solo ciò che mi spetta o c'è anche altro?
Un secondo passo mentale su tale argomento è: ogni realtà è sempre il risultato di una causa, ma io e il mondo per quale causa esistiamo?
Accade poi che gli eventi ineluttabili delle sofferenze, della malattia e della morte interrogano e restano misteriosi, ma nelle varie culture sono soppesati come "punizione" rispetto a uno stato beato.
Ecco, che trovare un modo per entrare in un percorso ordinato inteso a portare l'uomo a una pace totale con la causa prima del proprio essere è essenziale ed è comprensibile il perché molti s'inoltrino nella ricerca di una via certa e ordinata per verso l'origine.
Ci si imbatte così nel tema del perdono.

Ora, le Sacre Scritture giudeo cristiane, Bibbia e Tenak ebraica, sostengono che Dio, il Creatore dell'Universo, detentore del potere e della giustizia infiniti, Signore della storia, negli ultimi XXXIII secoli s'è presentato e rapportato con l'umanità tramite la religione ebraica che si è evoluta nel giudaismo da cui è spuntato il cristianesimo.
Il Signore Dio s'è, infatti, rivelato gradualmente da Creatore a Padre giusto e misericordioso, fino a proporsi, XXI secoli or sono, incarnandosi nell'uomo Gesù di Nazaret, quale il Messia, il Cristo.
Questi, divenuto nostro fratello, "autore e perfezionatore della fede" (Ebrei 12,2), morto in croce in sacrificio di espiazione per tutti, risorto e assunto in cielo, unito al Padre, ha inviato lo Spirito Santo per far partecipi gli uomini di tutti i popoli del mondo e di ogni tempo dell'amore totalizzante e aprire la piena comunione con Dio dando luogo, appunto, al cristianesimo. (La Tenak è la Bibbia ebraica e comprende tutti e solo i libri editi in ebraico/aramaico detti Antico Testamento)
Sussiste però una verità incontestabile per laici e religiosi, messa in tutta la propria evidenza dal libro dell'Ecclesiaste o Qoelet - inserito tra i libri poetici e sapienziali della Bibbia, il 19° della Tenak tra i "Ketubim" - e tale fatto incontrovertibile è che: "Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi." (Qoelet 7,20)

L'umanità intera del mondo, allora, se Dio fosse solo un giudice che si basasse solo sulla giustizia così come concepita dal pensiero umano, essendo i peccati trasgressione della legge divina ed eterna, non dovrebbe sussistere; eppure, così non è.
Lo stesso libro del Qoelet, poi, considera anche che: "Tutto ho visto nei giorni della mia vanità: perire il giusto nonostante la sua giustizia, vivere a lungo l'empio nonostante la sua iniquità." (Qoelet 7,50)

L'uomo, però, a fronte di tutte le qualità divine, dell'eternità, dell'onnipotenza, dell'onnipresenza e dell'onniscienza, è veramente un soffio, una vanità, perciò certamente non manca al Creatore la possibilità di fare piena giustizia quando e come vuole nei confronti dell'uomo, peccatore.
Al riguardo, il Salmo 90, "Preghiera. Di Mosè, uomo di Dio", pone in evidenza che Egli fa tornare l'uomo in polvere, infatti: "Li annienti: li sommergi nel sonno; sono come l'erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca." (Salmo 90,5s)

Per Lui così, dice lo stesso Salmo, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, gli uomini sono distrutti dalla Sua ira, davanti a sé pone le colpe degli uomini, i loro peccati occulti alla luce del Suo volto e tutti i loro giorni svaniscono per la Sua ira.
D'altronde se Dio vuole l'uomo libero e non l'ha creato per essere un robot deve pur lasciare la possibilità che scelga anche di sbagliare e deve pur offrirgli un modo per essere educato e riparare.
La morte, poi, secondo gli insegnamenti delle Sacre Scritture, è un rimedio che pone un fermo insuperabile al peccare, preso atto che questo è entrato come veleno ineluttabile nella vita dell'uomo per scelte sbagliate.

Scrive al riguardo sant'Ambrogio, vescovo, nel trattato "Sul bene della morte": "...il Signore permise che sottentrasse la morte perché cessasse il peccato. Ma perché a sua volta la morte non segnasse la fine della natura, fu data la risurrezione dei morti. Così per mezzo della morte veniva a cessare la colpa e per mezzo della risurrezione la natura restava per sempre. Questa morte dunque è il passaggio obbligato per tutti. Bisogna che la tua vita sia un passaggio continuo, che tu compia un passaggio dalla corruzione all'incorruzione, dalla mortalità all'immortalità, dai turbamenti alla quiete. Non ti disgusti perciò il nome della morte; ti allietino, invece, i benefici di un transito felice. In realtà che cosa è la morte se non la sepoltura dei vizi e la risurrezione delle virtù?"

È da prendere atto però che il peccato non porta sempre, salvo il caso di suicidio, alla morte fisica istantanea del peccatore.
Accade allora che se è giusta la decisione divina, onde è da considerare la morte come una via di scampo e non una punizione, grazie alla misericordia di Dio il ricevere la morte per il peccato di solito non si verifica subito e c'è un tempo, utile se ben usato, per annullare l'effetto del veleno in noi del nostro peccare.
Tutta la vita umana, allora, sotto tale aspetto è da vedere come un tempo di formazione e di esami, lasciato a nostra disposizione, ma senza alcuna certezza proprio perché, il prima possibile, l'uomo sia spinto a decidere di intonare la propria vita a mire importanti verso la dimensione dell'eternità e soprattutto fissi lo sguardo alla vita beata propria di Dio e di chi gli appartiene.
Siamo tutti, giovani e vecchi, come scolari a scuola di vita, ma il certificato di morte è condizione necessaria e sufficiente per entrare solo nell'eternità, ma non per entrare nella vita beata, in quanto, per questa, prima, vi sarà il giudizio sull'operare del singolo nel campo della carità, che non è di questo mondo, ma è riflesso dell'amore di Dio che viene donata a chi lo cerca con cuore puro.
L'uomo, però, per concessione di Dio ha una libertà che Dio non intende travalicare, quella di cui parla Sant'Agostino nel Sermo 169,11,13: "Chi ha creato te senza di te, non ti giustifica senza di te: ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole."

Dante, al proposito afferma con decisione in Paradiso V, 19-22:

"Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel ch'è più apprezza
fu de la volontà la libertate
."

Il Concilio di Trento, in decreto "De iustificatione" (13 gennaio 1547), sul dinamismo della libertà dell'uomo pur se mosso dalla grazia redentrice parla di un cooperare assentendo in questi termini: "Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell'uomo, mosso e stimolato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara a ottenere la grazia della giustificazione; e che egli, se lo vuole, non può rifiutare il suo consenso, ma come cosa inanimata resta assolutamente inerte e gioca un ruolo del tutto passivo: sia anatema."

Ecco che allora si dovrebbe mettere al massimo frutto il tempo di vita concesso, perché è proprio in questo tempo che si ha il potere di tentare di indirizzare al giusto bersaglio la propria esistenza.
Dio, infatti, "...giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio." (1Pietro 1,17)

Sì, questa vita è un pellegrinaggio, lontani dalla casa d'origine.
Due recenti Papi sulle qualità divine hanno commentato:
  • San Giovanni Paolo II "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono."
  • Papa Benedetto XVI "Il perdono non sostituisce la giustizia."
In Dio, quindi, giustizia e misericordia coesistono in intima e divina armonia fondendosi in un'unica perfetta essenza.
D'altronde "Il perdono è la qualità del coraggioso, non del codardo." (Mahatma Gandhi) e tale è il Signore:
  • "Il Signore è prode in guerra, si chiama Signore." (Esodo 15,3)
  • "Il Signore avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore; grida, lancia urla di guerra, si mostra forte contro i suoi nemici." (Isaia 42,13)
Nessun può produrre da solo meriti tali per guadagnarsi d'essere perdonato. Il perdono, infatti, è un atto d'amore, di misericordia e di grazia, atto liberale che può venire solo da Dio, essendo tutti i peccati in definitiva unicamente un intralcio che poniamo al Suo disegno di Santità nei nostri riguardi.

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