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RICERCHE DI VERITÀ...

 
DAL TORCHIO DEL GETSEMANI A QUELLO DELLA CROCE

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL GIARDINO E LA SIEPE
Guardo ora con rinnovata attenzione la frase con cui il Vangelo di Giovanni inizia il racconto dell'episodio al Getsemani.
Questa è densa di significati, di sottintesi stati d'animo e di pathos del momento che subito non vengono colti.

Quella frase, "Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli", va inquadrata, infatti, nel contesto della narrazione delle vicende che riguardano i giorni terreni finali della vita di Gesù di Nazaret.

In primis, le parole d'inizio, "Dette queste cose", suggeriscono di tener presente quanto accaduto prima, ossia l'ambiente, la tensione spirituale e il lungo discorso di Gesù agli undici apostoli rimasti dopo l'uscita di Giuda alla fine dell'ultima cena, in quanto, lo spirito che circolava in quei momenti aiuta certamente a vivere più vicini alla verità quell'episodio.

Quel discorso, peraltro, terminò con le seguenti parole di Gesù: "Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Giovanni 17,25s)

In definitiva il Figlio Unigenito (Giovanni 1,18) chiede al Padre di associarli tramite lo stesso Spirito Santo che li lega.
Da quel momento in avanti, tutto quanto riportato da quel Vangelo il Signore compie va, quindi, traguardato attraverso questo rapporto istauratosi tra Gesù e i discepoli.
Di fatto sta istruendo all'amore e "lo farò conoscere" a quanti ha chiamato perché amino Lui e il Padre.

L'amore di Gesù, come vedranno poi gli apostoli, va oltre la vita che il Signore donerà sulla croce, per cui con l'esempio insegnerà il significato di: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina!" (Cantico dei Cantici 8,6)

Come abbiamo visto, poi l'evangelista nel seguire le vicende del Signore in quella notte, dice che era un giardino... "nel quale entrò", insomma era una proprietà privata certamente recintata con una siepe in cui c'era un accesso preciso.
Gesù stava portando con sé in quel giardino il suo tesoro, la fidanzata, che stava curando per trovarla poi pronta al suo ritorno, il nucleo da cui sarebbe nata la sua Chiesa, la sposa dell'Agnello (Apocalisse 21,9).
Così era Gesù stesso per i suoi apostoli, una siepe.

Del resto l'aveva detto: "In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce... disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro... Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore." (Giovanni 10,1-11)

Nei riguardi di Giobbe, giustificato, considerato dal Signore "uomo integro e retto, timorato di Dio" disse satana al Signore "Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo?" (Giobbe 1,10)

La siepe lì è detta "saket" dal radicale "cintare, recingere, porre una siepe" come se Dio attorno a Giobbe avesse posto una barriera, un cerchio di fuoco portata a coppa = ossia a guisa di protezione.
Uno stesso accorgimento prese Gesù per gli apostoli "accese come un confine " un "roveto ardente" attorno a loro, un luogo spirituale in cui poteva stare con gli apostoli, accese un amore non terreno, un amore che non si consuma.
In definitiva, da quegli apostoli sarebbero nati i discepoli che avrebbero formato la Chiesa che Gesù avrebbe amato, quindi, li proteggeva dall'attacco del maligno.
Gesù in fondo aveva lasciato la casa del Padre proprio per cercare sulla terra quel "aiuto che gli corrisponda" (Genesi 2,18) quello che Dio intendeva offrire di aiuto ad Adamo, la sposa.

Sotto questo aspetto San Paolo coglie la situazione in Efesini 5,31-33 ponendo in evidenza il matrimonio Cristo-Chiesa.

Ricorda, in primo luogo Genesi 2,24: "Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne" poi conclude "Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!".

Il Vangelo di Giovanni presenta l'amore del Rabbì per i suoi discepoli e presenta Gesù che con autorità si pone davanti a coloro da cui poi si lascerà maltrattare per salvare... la fidanzata, presentando l'insormontabile siepe di protezione di "Io sono" e quando questi si presentò a Mosè per la prima volta fu proprio al roveto ardente.
Dico questo per far comprendere che veramente un recinto di fuoco innalzò Gesù a difesa dei suoi discepoli.

Tornando a Giobbe in 38,10s riguardo al mare, che in forma allegorica in quel momento sta a rappresentare il male, si legge: "Poi gli ho fissato un limite e gli ho messo chiavistello e porte e ho detto: Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde" e conformemente in Matteo 16,18 Gesù promise: "E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa".

Nel libro ebraico del Talmud - dal verbo imparare LMD - scritto per i "tolemid" i discepoli della Torah, si legge nel trattato della Mishnah "Pirkeh Avot", 1,1: "Mosè ricevette la Legge dal monte Sinai e la trasmise a Giosuè; e Giosuè agli anziani; e gli Anziani ai Profeti; e i Profeti la trasmisero agli Uomini dell'assemblea di Israele. Essi solevano dire tre cose: Siate cauti nel giudizio, allevate molti discepoli; e fate una siepe attorno alla Torah" e Gesù si era comportato con i discepoli proprio come un Rabbi e in tal modo era chiamato da loro.
A questo punto nasce la domanda: che significava per il Signore quel giardino in cui andava spesso con i suoi discepoli?

Il Signore Dio aveva posto Adamo in un giardino per insegnargli la Torah, ossia istruirlo sull'amore, volendo essere Lui stesso a dargli la piena e giusta conoscenza senza intermediari falsi e bugiardi, così a Gesù piaceva ritirarsi in luoghi appartati come il Getsemani con i suoi discepoli.
Gesù il Rabbi' il "maestro dei maestri" della Torah che conosceva alla perfezione tutte le Scritture aveva certamente ben presente il Cantico dei Cantici.
Ecco che quel "giardino" del Getsemani, nella storia terrena del ministero del Signore, con lo sguardo sulla "fidanzata", rende concreto, in tutti i suoi aspetti, il giardino di quel Cantico quando il testo in 4,12 scrive: "Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata."

"Gan na'ul 'achoti kalla gal na'ul ma'ian chatum"



Quel giardino chiuso "na'ul" per il Signore rappresenta la "sposa" "kalla", la sorella "'achoti" che lascerà agli uomini, la sorgente "gal" chiusa "na'ul" , il seno , la fontana sigillata "chatum" che farà zampillare vita eterna.
Queste lettere nascondono il perché della tensione verso il giardino e la sposa.
Quelle lettere ebraiche, peraltro, consentono una lettura "profetica" di quel versetto, adatta alle attese del Cristo sulla sposa: "Scapperà per l'energia l'angelo (ribelle) del peccare (). Il rifiuto a strapparlo via () sarà dalla sposa . Scorrerà la potenza . Sull'angelo (ribelle) agirà . Recherà al serpente dal seno () l'opprimere (), lo strapperà via (), riporterà la vita ."

È questa l'attesa della vittoria della "Donna" sul serpente di cui in Genesi 3,15: "Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno."
Tutti gli altri riferimenti al "giardino" del Cantico li ho qui raccolti:

  • Cantico dei Cantici 4,16 - "Alzati, vento del settentrione, vieni, vieni vento del meridione, soffia nel mio giardino, si effondano i suoi aromi. Venga l'amato mio nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti."
  • Cantico dei Cantici 5,1 - "Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d'amore."
  • Cantico dei Cantici 6,2 - "L'amato mio è sceso nel suo giardino fra le aiuole di balsamo, a pascolare nei giardini e a cogliere gigli."
  • Cantico dei Cantici 6,11 - "Nel giardino dei noci io sono sceso, per vedere i germogli della valle e osservare se la vite metteva gemme e i melograni erano in fiore."
In Cantico dei Cantici 5,2 l'amata dice "Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore" come, in effetti, è accaduto con gli amati discepoli al Getsemani.
Gesù con i discepoli addormentati vede compiersi sotto i suoi occhi quanto nel Cantico dei Cantici, perché questo canto d'amore subito dopo il versetto sopracitato 5,1 prosegue in 5,2 e 5,3 con: " Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore. Un rumore! La voce del mio amato che bussa: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, mio tutto; perché il mio capo è madido di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne. Mi sono tolta la veste; come indossarla di nuovo? Mi sono lavata i piedi; come sporcarli di nuovo?"

Il Vangelo di Luca, abbiamo visto, ha evidenziato che il sudore di Gesù era come gocce di sangue e lì è scritto "il mio capo è madido di rugiada" ove "rugiada" nel testo ebraico è "tal" come qualcosa che "guizza dal cuore ", quindi, simile al sangue.
Poi il Vangelo di Giovanni evidenzia l'episodio detto della "lavanda dei piedi".
A questo punto tante sono... le combinazioni!
Certamente quella profezia d'amore del Cantico dei Cantici fu concretizzata dalle vicende accadute al Getsemani.
È evidente la tensione di Gesù che vive quei momenti veramente una storia d'amore e gli evangelisti evidentemente avevano compreso e goduto di tutto questo e proposero quei riferimenti allusivi alle antiche profezie allora molto più evidenti che ora a noi.

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