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ATTESA DEL MESSIA...

 
IL CANDELABRO A SETTE BRACCIA
E L'ATTESA DEL MESSIA

di Alessandro Conti Puorger
 

    parti precedenti:

PREMESSE STORICHE ED ECHI ATTUALI »
LA GIOIA E LA LUCE, SEGNI DEL MESSIA »
LA LUCE CENTRALE DELLA MENORAH »
LA PROFEZIA DI ZACCARIA - LA VENUTA DEL GERMOGLIO »
LA MENORAH, ALBERO SEFIROTICO »
SIMBOLISMO DEL NUMERO 7 »

SE TI DIMENTICO GERUSALEMME, SI PARALIZZI LA MIA DESTRA
Gli esiliati che stavano a Babilonia sedevano piangendo al ricordo di Sion.
Il salmo 137 riporta struggente la malinconia ed il desiderio del ritorno.
"Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra ...se non metto Gerusalemme al disopra di ogni mia gioia." (137,5.6)
"Come la cerva anela ai corsi d'acqua così l'anima mia anela a te o Dio", così inizia il lamento del Levita esiliato nel Salmo 42-43, "Spera in Dio: ancora potrai lodarlo... Verrò all'alare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo. A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio." (Salmo 43,4)

Chi ha visto la Gerusalemme terrena, pur senza lo splendore del Tempio, le vecchie mura, le sue porte, la via Crucis, le Sante vestigia, la spianata del tempio, le Sante Chiese e l'ha vista splendere a qualsiasi ora del giorno dal monte degli Ulivi, in un cielo azzurro terso con quella cupola d'oro, ha sentito un fremito nell'aria ed una vibrazione indicibile nel cuore, che non può dimenticare, perché ha ormai sigillato con certezza che quello è un posto prediletto. Lì Dio c'è stato, si trova e si farà ritrovare.
È questa città-sorgente da cui sono nate le religioni monoteistiche: "Il Signore ama le porte di Sion... L'uno e l'altro è nato in essa e l'Altissimo la tiene salda. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: Là costui è nato. Sono in te tutte le mie sorgenti." (Sal. 87)
In quella città verrà il Messia per la risurrezione finale che da lì s'irraggerà nel mondo, e per la tradizione ebraica i morti risorgeranno e convergeranno dai quattro angoli della terra verso Gerusalemme; infatti, sulle pendici dall'altura da cui si vede la spianata del Tempio, si stende un cimitero antico con tombe di generazioni d'uomini che hanno avuto fede e amore per Dio e per Sion orientate verso il Tempio.
L'esiliato a Babilonia non poteva cantare: "Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre... Come cantare i canti del Signore in terra straniera? (137,2.4)
Gli stessi esiliati tornati riuscirono a ricantare, avendo così ricevuto un segno di risurrezione, avendo vissuto una nuova Pasqua: "Quest'anno qui il prossimo anno a Gerusalemme" è detto nel seder pasquale.
Anche i cristiani che, come ben esprime la lettera a Diogneto sono in esilio perché sentono che la loro vera patria è il cielo, pure possono cantare, perché hanno ricevuto la buona notizia che l'esilio è finito in virtù della morte e risurrezione del Cristo.
Il Salmo 150, l'ultimo del salterio, cioè del libro dei Salmi esprime a pieno la gioia di un ritorno certo, tanto da considerarlo nella pienezza come cantato davanti a Dio nella Gerusalemme celeste.
Nella ricerca sulla Menorah e sul Messia mi sono imbattuto con riferimento alla gioia in ciò che disse il Santo Padre Giovanni Paolo II nell'udienza generale di mercoledì 9.1.2002, a commento proprio del Salmo 150, "Ogni vivente dia lode al Signore", il terzo dei salmi delle lodi mattutine della Domenica della 2ª e 4° settimana del Libro delle ore.
Tale breve commento è profondamente ispirato e rivela tutto l'amore per i testi sacri e per l'ebraismo, considerato intensamente come ceppo d'origine.

Riporto prima la traduzione della CEI di quel Salmo, e poi quelle parole.

1 Alleluia.
Lodate il Signore nel suo santuario,
lodatelo nel firmamento della sua potenza.

2 Lodatelo per i suoi prodigi,
lodatelo per la sua immensa grandezza.

3 Lodatelo con squilli di tromba,
lodatelo con arpa e cetra;

4 lodatelo con timpani e danze,
lodatelo sulle corde e sui flauti.

5 Lodatelo con cembali sonori,
lodatelo con cembali squillanti;

6 ogni vivente dia lode al Signore.
Alleluia."
(Salmo 150)

"L'inno che ora ha sostenuto la nostra preghiera è l'ultimo canto del Salterio, il Salmo 150. La parola finale che risuona nel libro della preghiera d'Israele è l'alleluia, cioè la pura lode di Dio e per questo il Salmo viene proposto due volte nella Liturgia delle Lodi, la seconda e la quarta domenica. Il breve testo è scandito da un rincorrersi di dieci imperativi che ripetono la stessa parola "hallelû", "lodate!". Quasi musica e canto perenne, essi sembrano non spegnersi mai, così come accadrà anche nel celebre alleluia del Messia di Haendel. La lode a Dio diventa una sorta di respiro dell'anima, che non conosce sosta. Come è stato scritto, questa è una delle ricompense dell'essere uomini: la quieta esaltazione, la capacità di celebrare. È bene espressa in una frase che rabbí Akiba ha offerto ai suoi discepoli: Un canto ogni giorno, un canto per ogni giorno" (A. J. Heschel, Chi è l'uomo?, Milano 1971, p. 198).
Il Salmo 150 sembra svolgersi in un triplice momento. In apertura, nei primi due versetti, lo sguardo si fissa sul "Signore nel "suo santuario", sulla "sua potenza", i "suoi prodigi", la "sua grandezza". In un secondo momento - simile ad un vero e proprio movimento musicale - nella lode è coinvolta l'orchestra del tempio di Sion, che accompagna il canto e la danza sacra. Infine nell'ultimo versetto del Salmo è di scena l'universo, rappresentato da "ogni vivente" o, se si vuole ricalcare maggiormente l'originale ebraico, da "tutto ciò che respira". La vita stessa si fa lode, una lode che sale dalle creature al Creatore. Noi ora, in questo nostro primo incontro col Salmo 150, ci accontenteremo di soffermarci sul primo e sull'ultimo momento dell'inno. Essi fanno quasi da cornice al secondo momento, che occupa il cuore della composizione e che esamineremo in futuro, quando il Salmo verrà riproposto dalla Liturgia delle Lodi. (Vedere in appresso)
La prima sede in cui si dipana il filo musicale e orante è quella del "santuario". L'originale ebraico parla dell'area "sacra", pura e trascendente in cui Dio dimora. Vi è, quindi, un riferimento all'orizzonte celeste e paradisiaco, ove, come preciserà il Libro dell'Apocalisse, si celebra l'eterna e perfetta liturgia dell'Agnello (Ap. 5,6-14). Il mistero di Dio, nel quale i santi vengono accolti per una piena comunione, è un ambito di luce e di gioia, di rivelazione e di amore. Non per nulla, sia pure con qualche libertà, l'antica traduzione greca dei Settanta e la stessa traduzione latina della Vulgata hanno proposto, invece di "santuario", la parola "santi": "Lodate il Signore tra i suoi santi".
Dal cielo il pensiero passa implicitamente alla terra con l'accento ai "prodigi" operati da Dio, i quali manifestano "la sua immensa grandezza". Questi prodigi vengono descritti nel Salmo 104, il quale invita gli Israeliti a "meditare tutti i prodigi" di Dio, a ricordare "le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca"; il salmista allora ricorda "l'alleanza stretta con Abramo", la storia straordinaria di Giuseppe, i prodigi della liberazione dall'Egitto e della traversata del deserto, e infine il dono della terra. Un altro Salmo parla di situazioni angosciose dalle quali il Signore libera coloro che "gridano" a lui; le persone liberate vengono invitate ripetutamente al rendimento di grazie per i prodigi compiuti da Dio: "Ringrazino il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini" (Sal. 106, 8.15.21.31).
Si può capire così, nel nostro Salmo, il riferimento alle "opere forti", come dice l'originale ebraico, cioè ai "prodigi" potenti, che Dio dissemina nella storia della salvezza. La lode diviene professione di fede in Dio Creatore e Redentore, celebrazione festosa dell'amore divino, che si dispiega creando e salvando, donando la vita e la liberazione.
Giungiamo, così, all'ultimo verso del Salmo 150. Il vocabolo ebraico usato per indicare i "viventi" che lodano Dio rimanda al respiro, come si diceva, ma anche a qualcosa di intimo e profondo, insito nell'uomo.
Se si può pensare che tutta la vita del creato sia un inno di lode al Creatore, è però più preciso ritenere che una posizione di primato in questo coro venga riservata alla creatura umana. Attraverso l'essere umano, portavoce dell'intera creazione, tutti i viventi lodano il Signore. Il nostro respiro di vita, che dice anche autocoscienza, consapevolezza e libertà (Pr. 20,27), diventa canto e preghiera di tutta la vita che pulsa nell'universo.
Perciò noi tutti intratteniamoci a vicenda "con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore" con tutto il nostro cuore (Ef. 5, 19).
Trascrivendo i versi del Salmo 150, i manoscritti ebraici riproducono spesso la Menorah, il famoso candelabro a sette braccia, posto nel Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme. Suggeriscono così una bella interpretazione di questo Salmo, vero e proprio Amen nella preghiera di sempre dei nostri "fratelli maggiori": tutto l'uomo, con tutti gli strumenti e le forme musicali che il suo stesso genio ha inventato - "tromba, arpa, cetra, timpani, danze, corde, flauti, cembali sonori, cembali squillanti", come dice il Salmo - ma anche "ogni vivente", è invitato ad ardere come la Menorah di fronte al Santo dei Santi, in costante preghiera di lode e di ringraziamento.
Uniti col Figlio, voce perfetta di tutto il mondo da Lui creato, diventiamo anche noi preghiera incessante davanti al trono di Dio."

Di quel secondo momento del salmo Giovanni Paolo II in Salmi e Cantici - Preghiera del mattino con la Chiesa - Domenica 4° settimana dice: "Tra terra e cielo si stabilisce, dunque, quasi un canale di comunicazione in cui si incontrano l'azione del Signore e il canto di lode dei fedeli. La Liturgia unisce i due santuari, il tempio terreno e il cielo infinito, Dio e l'uomo, il tempo e l'eternità. Durante la preghiera noi compiamo una sorta di ascesa verso la luce divina ed assieme sperimentiamo una discesa di Dio che si adatta al nostro limite per ascoltarci e parlarci, per incontrarci e salvarci. Il Salmista ci spinge subito verso un sussidio da adottare durante questo incontro orante: il ricorso agli strumenti musicali dell'orchestra del tempio di Gerusalemme, come la tromba, l'arpa, la cetra, i timpani, i flauti, i cembali. Anche il movimento in corteo faceva parte del rituale gerosolimitano (Sal. 117,27). Il medesimo appello echeggia nel Salmo 46,8 "Cantate inni con arte!"

Quest'idea del movimento di Dio, rappresentato da un triangolo verso l'uomo che innalza piramidi per raggiungerlo, accoppiato e compenetrato nel movimento l'ho rappresentato in questo disegno schematico.


Ne esce così lo Scudo di David il Moghen David la stella a sei punte tipico simbolo ebraico, formato da due triangoli opposti e intrecciati di cui uno rappresenta il desiderio di Dio da parte dell'uomo e l'altro ricerca di Dio verso l'uomo.
La dalet se si disegna ruotata è un angolo che con la linea di terra forma così un triangolo, come peraltro è la lettera delta nell'alfabeto greco.
Se le lettere dalet di David si scrivono com'era anticamente, con D David diviene D D, ma il bastone indica portare ed allora se si porta il primo triangolo sul secondo ecco la stella o scudo di David.
Ricordo che la lettera ha intrinseco il numero 3, infatti, la lettera ha tre punte e in gimatria a è attribuito il n° 300; perciò passare dal triangolo alla il passo è breve e si arriva a e quindi al candelabro.
Pur se la stella ha sei punte è da considerare il movimento dell'uomo verso Dio e di Dio verso l'uomo. Questo intreccio tra Dio e l'uomo comporta la presenza di Dio ed il pensiero così nasconde la pienezza del n° 8 la cui idea è pure nel Nodo di Salomone.

   

Particolarmente ispirato è stato il rapporto di Giovanni Paolo II con l'ebraismo i cui significati sono stati colti in questo intervento del Cardinale Roger Etchegaray in un Simposio della Commissione teologico-storica del Grande Giubileo dell'anno 2000 "Perché le fede cristiana ha bisogno del giudaismo".
Lo riporto perché, per quanto può valere, calza pienamente su come la penso al riguardo:

«Fin dall'inizio del suo pontificato (12 marzo 1979) a Magonza (17 novembre 1980), Papa Giovanni Paolo II osò dichiarare: "Le nostre due comunità religiose sono legate al livello stesso della loro identità". Ricordo ancora (ero presente) le sue parole folgoranti nella grande sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986: "La religione ebraica non ci è 'estrinseca' ma, in un certo senso, è 'intrinseca' alla nostra religione. Noi abbiamo dunque verso di lei dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione. Voi siete i nostri fratelli preferiti e, in un certo senso, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori".»
Queste parole, in fondo, non hanno nulla di nuovo o di audace; si ispirano all'immagine paolina della "Lettera ai Romani" (11,16-24) dell'ulivo buono che è Israele sul quale sono stati innestati i rami d'ulivo selvatico che sono i pagani. E san Paolo, l'antico fariseo divenuto "l'apostolo delle nazioni" dirà al pagano-cristiano: "Non menar tanto vanto; non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te" (Rom. 11, 18) ... è l'ebreo che ti porta. E non è forse nel Vangelo di Giovanni, che si vorrebbe intriso di antigiudaismo, che Gesù proclama solennemente alla Samaritana: "La salvezza viene dai giudei" (Gv. 4,22). Se le cose stanno veramente così, come spiegare il fatto che nel corso dei secoli tanti cristiani abbiano vissuto come se avessero dimenticato le loro radici, o peggio disprezzando il loro fratello maggiore? Comprendo bene la reazione del Rabbi Askenazi che diceva: "Non siamo neppure fratelli separati, perché non ci siamo mai incontrati". Di fatto, avvertiamo tutti la dolorosa ferita di quella che Fadiey Lovosky chiamava significativamente "la lacerazione dell'assenza".

Per parte mia, non cesso di pregare in vista del giorno in cui Dio sarà "tutto in tutti" (1 Cor. 15,28), ebrei e non ebrei. Tale è la Gerusalemme celeste di cui la nostra preghiera deve affrettare la venuta, la preghiera di noi che siamo in esilio ovunque nel mondo... anche io a Roma! Oh! Gerusalemme, preferita da Dio, di te ognuno può dire: "Ecco mia madre, in te ogni uomo è nato" (Sal. 97), e le nazioni salgono verso la luce. Oh, Gerusalemme, io cammino verso di te. Oh Gerusalemme, "Città salda e compatta" dove si riuniscono tutti i figli di Abramo e in cui si concentra la preghiera per la pace (Sal. 122). Oh Gerusalemme, io cammino verso di te. Oh! Gerusalemme, le cui colline piangono di desolazione e danzano di speranza, monte Moriah e Golgota, muro del Tempio e memoriale Yad Vashem, sepolcro vuoto dove l'angelo invita a non cercare fra i morti Colui che è Vivente (Lc. 24,5). Oh! Gerusalemme, io cammino verso di te. Oh! Nuova Gerusalemme, tu che discendi dal cielo vestita come una sposa nel giorno delle nozze, tu che non hai più tempio, perché il tuo tempio "è il Signore, il Dio onnipotente e l'Agnello" (Ap. 21). Oh Gerusalemme del cielo, noi camminiamo verso di te.

C'è una preghiera di Edmond Fleg Ascolta Israele con cui si rivolge ai credenti delle due religioni provenienti dallo stesso ceppo che sottolinea la comunione di spirito che le lega:

"Ed ora entrambi siete in attesa
Tu che Egli venga e tu che Egli ritorni;
Ma a Lui domandate la stessa pace
E le vostre mani, che Egli venga o che Egli ritorni,
a Lui tendete nello stesso amore! E dunque cosa importa?
Dall'una e dall'altra riva
Fate che Egli arrivi
Fate che Egli arrivi!"

Il Salmo 150 a chiusura del libro dei Salmi è l'Apocalisse del Salterio.
"Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia" così conclude il Salmo.
Guardando le lettere ebraiche che lo formano, considerate equi - separate com'era all'origine, si può fare anche una lettura diversa per decriptazione:



"La sposa dell'anima il Crocifisso dal mondo al Potente accompagnerà (). Sarà ad uscire la lode portata a Iah (Iahwèh)."

Quest'accenno porta allo scenario ampliamente sviluppato nell'Apocalisse, l'ultimo libro del N.T., che così accenna alla sposa del Crocifisso, l'Agnello senza macchia:
  • "Sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta." (Ap. 19,7b)
  • "Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo." (Ap. 21,2)
  • "Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello." (Ap. 21,9b)
  • "Lo Spirito e la sposa dicono: vieni! E chi ascolta ripete vieni! Chi a sete venga: chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita." (Ap. 22 17)
Ricordo al proposito che per anima nell'ebraico biblico si hanno due termini:
  • noepoesh , dal radicale di respirare, alito, respiro, anima di uomini e animali, animo come sede dei sentimenti, desideri affetti;
  • nishamah - nishamat , dal radicale ansare, alito soffio, spirito, anima, essere vivente.
Scrutando tutti i libri che costituiscono il canone ebraico della Bibbia, esce in modo inconfutabile il fatto singolare, senz'altro voluto, e perciò d'eccezionale interesse, che l'unico versetto in cui entrambi tali due termini si trovano impiegati assieme è nel Capitolo 2 della Genesi, proprio al versetto 7 in cui è descritto il modo particolare con cui Dio creò l'uomo e lo pose nel paradiso terrestre: "plasmò il Signore Dio l'uomo con la polvere della terra (rossa) e divenne l'uomo un essere vivente." (Gen. 2,7)

Le precedenti volte che si trova è per a caratterizzare l'aspetto della vita primitiva del regno animale soggetto all'uomo in:
  • Gen. 1,20 al momento della creazione dei primi animali, pesci e uccelli (5° giorno);
  • Gen. 1,21 alla creazione dei mostri marini;
  • Gen. 1,24 alla creazione del bestiame (6° giorno);
  • Gen. 1,30 quando Dio parla di tutti gli esseri viventi eccetto l'uomo.
Il termine - trova nel Genesi nel versetto Gen. 2,7 quando è formato l'uomo, e la volta successiva è in Gen. 7,22 al momento del diluvio, quando è raccontato che morirono tutti gli esseri viventi, animali e uomini compresi, salvo i salvati nell'arca.
Ho già approfondito quest'aspetto in "Se l'uomo viene dal cielo là torna" nel paragrafo: "Alle radici delle parole bibliche dell'anima".
Il Genesi sottolinea che ci fu un atto particolare, Dio soffiò.
È così sottolineata un peculiarità dell'uomo rispetto agli animali, per la presenza d'una esplicito atto di Dio che l'ha dotato di parte del proprio respiro espressione antropomorfica per riferire il disegno d'includere l'uomo nella sua Santità e nella sua Luce.
L'uomo è perciò un essere particolare, in cui pur se esiste "un'anima - un respiro" come negli animali, cioè plasmato dalla terra, da Dio è stato evoluto fino a dotarlo di un'anima specifica, "un alito divino" unico, proprio solo dell'uomo, in quanto solo questi ha questa prerogativa.
"Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò." (Gen. 1,27)

Con queste idea ho proceduto così alla decriptazione del Salmo 150 che qui riporto.

Salmo 150,1 - "Entreremo dal Potente.
Ad accompagnarci sarà per uscire dal mondo.
Dal Potente potenti ci porterà l'Unigenito.
Nel cuore la santità avrà riportato con l'uscita del serpente che la potenza recò della perversità dentro i corpi.
Rovesciatolo, spazzatolo, si vedranno questi riportati."

Salmo 150,2 - "Dal mondo nel potente ci porterà ad entrare.
Ed a casa in alto ci porterà.
Col corpo nel Crocifisso saremo portati.
Entrativi, al Potente ci accompagnerà.
Ad entrarvi ci porterà.
Nella gloria ci condurrà."

Salmo 150,3 - "Nello splendore li porterà dal mondo, ed a casa dal Crocifisso i riversati si vedranno simili.
Avrà fatto frutto per il Potente.
Al Potente lo condurrà.
A entrarvi li porterà da figli.
A casa del Potente li riporterà retti.
Angeli porterà con i corpi."

Salmo 150,4 - "A lodare porterà gli entrati e a casa tutti al volto questi vivranno.
Nell'assemblea li porterà del Potente.
A lodare li porterà.
Dal mondo i condotti a casa la vita degli angeli saranno a vivere e li vedranno camminare dentro."

Salmo 150,5 - "Nel mondo il serpente che la potenza portò della perversità dentro arrostirà, arrostito dalla risurrezione che per i viventi avrà agito.
Tra i potenti dal Potente portati dal mondo condotti a casa su del Potente all'ombra staranno.
Tutti a saziarsi alla vista entreranno."

Salmo 150,6 - "La sposa dell'anima del Crocifisso loderà Iah (Iahwèh). Alleluia!"

Questa decriptazione consolida l'idea di "Tempo-eternità: Un midrash Haggadah per Pesah - Il Disegno di Dio" alla cui lettura rimando.

È l'ora sesta dell'ottavo giorno, l'ora in cui il tempo è stato redento, la Domenica eterna, illuminata dalla Luce del Cristo, Agnello senza macchia.

"La città non ha bisogno della luce
del sole, né della luce della luna
perché la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l'Agnello"
IAHVEH vide che era molto molto, molto buona,
la nuova Gerusalemme."

L'uomo ha creato strumenti per suonare che sono soltanto fiochi riflessi dei suoni meravigliosi che producono gli angeli.
Una sinfonia eterna si eleva da loro.
Un rumore di fondo ascoltano i fisici venire dagli estremi confini dell'universo, forse eco lontano di quanto oltre il settimo cielo è prodotto.
Il coro, però, che lo Spirito di Dio ascolta in terra circolando tra gli altari e tra le luci della Menorah nel Tempio, o che si eleva dagli uomini di buona volontà ovunque si trovino, è più prezioso di quanto avviene in cielo e si strugge di pazza passione per ascoltarlo tanto che non può trattenersi dallo scendere e desiderare di portarlo in cielo.
Questa è un'evidente allegoria, ma non lontana dalla realtà!
Dice il profeta Isaia (38,20) "Il Signore si è degnato di aiutarmi; per questo canteremo con le cetre tutti i giorni della nostra vita, canteremo nel tempio del Signore."
La voce dell'uomo che canta con amore e in libertà le Sue lodi è lo strumento più prezioso che nella Gerusalemme celeste di fatto mancava.
Il modello realizzato in terra di quanto Mosè aveva visto, sarà compiuto e Dio manderà il Messia per portarne il frutto in cielo.
In questo paragrafo molte volte è uscito nei riferimenti che ho richiamato lo strumento della cetra il kinnor .
Sì andremo su con la nostra cetra!
Ogni uomo ha una cetra, da suonare con arte per acclamare il Signore.
Questa è la visione, e come al solito è legata strettamente ai significati intrinseci delle lettere, perché lo strumento sarà perfetto se "la rettitudine degli angeli porteremo nei corpi " e se "da retti abiteremo () nel corpo ".

a.contipuorger@gmail.com

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