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RICERCHE DI VERITÀ - L'UOMO, STRUMENTO SENSIBILE NELL'UNIVERSO - "IO" E IL TEMPO
di Alessandro Conti Puorger

Il tempo: cosa è per me?
Leggendo negli scritti di Agostino di Ippona (354-430 d.C.) mi sono imbattuto in un pensiero che mi ha portato a meditare su quale sia per me la "verità" tempo.

Agostino, alla domanda su: "Che cosa è dunque il tempo?" Si risponde:

"Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so: così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Ma in quanto ai due tempi passato e futuro, in qual modo essi sono, quando il passato, da una parte, più non è, e il futuro, dall'altra, ancora non è? In quanto poi al presente, se sempre fosse presente, e non trascorresse nel passato, non più sarebbe tempo, ma sarebbe, anzi, eternità. Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, in tanto vi riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà, una sola vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere?" (Confessioni XI,14-18)

Lo stesso Agostino passa poi all'idea di tempo soggettivo:

"Gli è in te, anima mia, che io misuro il tempo... L'impressione che fanno in te nel passare, e in te rimane quando sono passate, è questa che io misuro nel presente..." (Confessioni XXVII, 56)

In effetti, per ciascuno è importante come vive la propria realtà e questa oggettivamente è soggettiva; nessuno conosce le vere sensazioni dell'altro, come veramente vede ascolti gusti, ma le filtra e le confronta con quelle che probabilmente sarebbero state le proprie.
Ciascuno, infatti, è un mondo chiuso e isolato.
L'uomo vive nel tempo e nello spazio, realtà date per scontate, concetti misteriosi, ma anche soggettivi; ne consegue che ciò che percepisce può non essere verità, e così è costretto a procedere con piedi di piombo.
Siamo strumenti viventi delicatissimi per captare l'universo ed i segnali d'altri mondi, d'altri esseri in cerca d'assoluto, su un pianeta vicino ad una stella di una galassia della via lattea, formata da milioni di anni.
Non c'è niente da fare, di fatto ciascuno strumento vivo è isolato in quanto l'essere che vive il proprio strumento è l'unico che si considera abilitato a misurare e definire la realtà ed a dargli risposte sulla stessa e su tutte le connesse complesse problematiche.
Le risposte d'altri rilevatori devono perciò passare per i suoi schermi, filtri, reattivi, processi e microcircuiti onde i pareri e le opinioni, anche dei livelli massimi, sono considerati veri se superano le prove e le verifiche alle quali sono automaticamente sottoposti, e se coincidono o s'avvicinano alla propria esperienza o riescono ad aprire un varco in essa con nuove prospettive che si aggancino a quel minimo che fornisce il profumo di verità o a qualche evento già acquisito come prova iniziale corretta.
Non è per orgoglio o per ostinazione, ma sono così tutti gli strumenti vivi di questo mondo, quelli cioè più perfezionati dell'ultima generazione successiva all'homo sapiens.
Questo è il processo naturale d'acquisizione dati sulla realtà, ed in questo senso tutto è relativo al singolo ed a come è o s'è conformato per recepirla.
Alla domanda "che cosa è il tempo?" a cui rispondono scienziati, i filosofi e mistici... in definitiva risponde uno strumento vivente con l'attrezzatura di cui è dotato, col programma di rilevamento che ha inserito, con la sensibilità che ha, con lo stato delle conoscenze acquisite, e tutto ciò nel tempo della durata d'autonomia della propria fonte d'energia e con il back-ground di dati passati nei propri geni dalle precedenti generazioni, che però continuamente riverifica per personalizzarli.

COSA È IL TEMPO?
Il quesito implica d'aver preso nota di quando s'è avuta la prima sensazione del tempo; l'accorgersi del tempo che passa comporta, infatti, che sia avvenuta e soprattutto recepita la nascita psico-fisica dal soggetto.
C'è un momento che l'individuo prende coscienza che esiste, separato e diverso da ogni altro, e ciò avviene dopo che abbia conseguito un caricamento d'esperienze nel bagaglio mnemonico, pronto a ricevere ed a filtrare i fatti con le proprie predisposizioni irripetibili che fanno sì che uno stesso evento, pur se vissuto da tanti, sia inequivocabilmente il proprio e diventi parte di se stesso.
La mamma, il papà, la casa, ecc. sono acquisizioni fondanti e primi ricordi risalgono di solito tra i 2-3 anni appena che i circuiti di memoria sono impressi con prime realtà e che s'attivi un confronto.
La monotonia però di fatti ripetitivi della normale esistenza, passati i primi tempi che sono tutti una sorpresa, incide poi poco sulla memoria; accade cosi che siamo sensibili più alle variazioni degli eventi che al numero d'eventi eguali.
In termini matematici la memoria registra soprattutto la derivata; si è sensibili a ciò che inizia e finisce e, all'interno dell'evento, ad eventuali picchi positivi o negativi; cioè, di solito si ricorda l'inizio e la fine d'una storia, ma del suo svilupparsi si registrano solo i fatti salienti.
Se poi gli eventi sono eguali o simili, automaticamente li si agglomera in un unico ricordo, come se la mente avesse implicito un ordine e dicesse idem, come sopra, ecc.
La mente poi ha la proprietà di produrre una continua misura del tempo per confronto col già trascorso, del quale ciascuno ha però propria specifica esperienza.
Certo è che se si sono avute poche variazioni si ricorda poco, se si sono avuti tanti mutamenti, ma diversi tra loro, il tempo sembra più lungo e ciò indipendentemente dalle misure di strumenti oggettivi.
C'è poi la comune esperienza che da fanciulli un anno è lungo, ma col crescere dell'età la durata percepita per un anno è sempre più corta; cioè, del tempo, poiché si fa automaticamente e continuamente una misura per confronto, un anno oggettivo quando si ha tra i quattro e i cinque anni è pari a tutto il periodo dei ricordi personali, che vanno allora dai tre ai quattro anni, mentre ad esempio a cinquanta anni l'ultimo anno è confrontato con i quarantasette anni (meno i tre che non s'aveva coscienza) vissuti precedentemente e ovviamente sembra molto corto, ma non come 1/47, bensì in modo correlato alla sensazione del numero di fatti importanti registrati nella memoria ed il numero di fatti importanti verificatisi nell'ultimo anno.
Nasce l'assurdo che se non si fa nulla il tempo attimo per attimo passa lentamente, ma poi l'anno è brevissimo, perché non si hanno fatti da confrontare con i precedenti.
Più che al tempo come assoluto si è sensibili al tasso di piacere o di dolore nel tempo; infatti, questi è scandito da sensazioni di piacere, gioia, fastidio, dolore, ecc. che sono registrati nei circuiti della materia grigia.
Ciò che interessa è avere, per quanto è dato dalle situazioni gestibili personalmente, che i fatti si sviluppino con più tempo con sensazione positiva e meno con sensazione negativa.
È vero però che il positivo per uno può essere negativo per un altro.
Non tutti hanno piacere nel dedicare la vita agli altri, però è nell'esperienza generale l'esistenza di persone la cui vita è costellata di fatti ed azioni non comuni, che richiederebbero doti particolari di sopportazione, ma che sono vissuti da quelli con somma gioia.
Certo è che ognuno cerca di fare ciò che pare positivo per sé in base alla propria filosofia, etica, morale e religione ed in ciò influisce lo stato de rapporto tra individualismo e socialità del soggetto; cioè se è introverso o estroverso, se vive più il tempo da solo o con altri.
Per chi ha un buon rapporto con sé, il tempo d'invecchiamento cerebrale è rallentato perché ha affinato tecniche d'auto-compagnia che aiutano a rendere piacevole il rapporto, ma il tempo passa con più velocità, perché stando bene il tempo risulta più rapido.
Abbiamo poi tutti sperimentato che vi sono attività piacevoli e meno, ma per affrontarle, l'approccio migliore è dividerle in:
  • quelle che si posso fare con piacere;
  • quelle che è un piacere farle, se s'aggiunge un pizzico di gioco.
È il caso di quando ci si convince che seguendo un certo processo e monitorandolo s'ha diritto ad un premio, da concedersi al raggiungimento di prefissati risultati, così s'alza il tasso dei positivi, ma si riduce la sensazione di lunghezza del tempo intimo, questi diviene breve, non ci si annoia e si vive più felicemente, facendo del bene non solo a se stessi.
Per alzare il tasso che ciascuno ha definito nella sfera del "piacere ", e cercare d'aumentare la sensazione di lunghezza del tempo, chi ha acquisito l'esperienza che la variazione delle cose incide di più delle cose stesse, può provocare artificialmente il ripetersi d'alcuni eventi o estrarre parti favorevoli anche in eventi ritenuti negativi.
Così s'arriva alla conclusione che è bene vivere la vita da ottimisti, pensando che è bello ciò che si fa, e pur se questa conclusione pare lapalissiana, per uno strumento che s'è auto istruito, è già enorme risultato.
Tutti i fenomeni che hanno mutamenti, cioè tutti i fenomeni di carattere transitorio, hanno necessità della variabile tempo, ma al raggiungere asintoticamente della saturazione o al moto laminare la variabile tempo si riduce d'importanza fino a non avere più senso.
Ciò si può estrapolare: che c'è di più transitorio dello sviluppo della mente d'un bambino?
È il momento delle massime variazioni d'intensità delle percezioni, ed è la fase in cui il tempo è percepito nella massima intensità, poi man mano avviene la crescita, le funzioni cerebrali assumono coscienza dei propri poteri, si stabilizzano e quando è stato assunto il formato consolidato il tempo comincia ad apparire sempre più breve.
Il segreto è di creare condizioni per imporre modifiche atte a provocare nuove fasi di crescita onde le capacità di captazione dell'esistenza s'estendano al massimo in quanto se s'è in crescita si riverifica il "miracolo" del tempo lungo e, in campo religioso, dovendo l'uomo accrescere per arrivare alla comprensione di Dio, ha senso un "tempo " eterno.
È perciò tassativamente da evitare di dare alla propria mente l'avviso di "basta", ma è da continuare ad essere curiosi ed accogliere nuove discipline ed impulsi di ricerca.
Questo criterio va adottato coscientemente quale strategia e considerarlo la molla dell'esistenza; così il padrone di casa, cioè la nostra "anima", il nostro io più assoluto, resta giovane e sensibile a mutazioni che si possono provocare prima della fase della parabola discendente, del corpo e dell'intelletto, che altrimenti inesorabilmente si verificherebbe.
Con ciò si hanno sensazioni giovani, cioè di crescita e s'acquisiscono positive esperienze che torneranno utili a provocare ulteriori mutamenti. Se quel che s'ha da fare si fa presto e bene si ha tempo per sé, ma ci s'accorge che questo porta alla non efficienza; perciò è sì da godere del tempo, ma dopo essersi premiati, prima che arrivi la noia è da scegliere di fare del nuovo, ma solo se entra nei propri schemi filosofici, morali e religiosi.
Mutamenti e ricerca di rapporti sempre innovativi hanno anche un potere fondamentale per attivare circuiti virtuosi nei contatti con gli altri con reciproci vantaggi.

QUALE IMPORTANZA ANNETTO AL TEMPO?
Un giorno l'individuo inizia la propria storia e prende coscienza: sono io!
È veramente grande mistero l'esistenza individuale, il fatto cioè che uno si riconosca come un essere distinto da un altro.
S'inizia a prendere conoscenza di sé e ad addentrarci nella propria esistenza e ad affezionarsi a se stesso senza ancora accorgersi delle scelte, ma in genere con l'attenta protezione di genitori ed educatori, strumenti di controllo e taratura eccezionali, che trasmettono pacchetti d'esperienza con verità che vengono da lunghe verifiche di generazioni e generazioni di esseri intelligenti e le scelte appunto non sono solo personali, ma anche di altri precedenti e sono condivise da loro e dall'individuo stesso; cioè un compromesso, bene o mal riuscito, un essere unico irripetibile.
Tali scelte sono però determinanti per l'esistenza di ciascuno e, con scelte successive, si diviene l'individuo che si è.
Ci s'inoltra così nella propria vita, eliminano tutte le altre possibili.
La vita è una meravigliosa avventura con infiniti modi per esistere, infiniti modi per essere infelici e per essere felici, ma vi si entra senza poter scegliere la propria condizione, e dovunque e comunque ci si trovi, davanti a sé c'è il problema esistenziale.
Grande tentazione è non accettare una qualche parte della propria storia o della propria realtà, ma insegnamento di vita, consolidato da esperienze di anime elette, è rimanere saldi usando al meglio di quanto si deduce dalla realtà in cui ci si trova.
In definitiva è come se ci fosse un distributore d'esistenza, così curioso d'esistere, che è felice di fare qualsiasi esperienza, perché ama la vita, n'è pieno e non ha timore di perderla e che ne consente lo sviluppo.
Usciti da tale contenitore si ha parte di questo flusso vitale che fa prendere coscienza di essere meritevoli di vita e in genere porta a considerare grande il dono di vivere.
Il tempo perciò è fondamentale essendo tale dimensione che permette d'essere quello che si è, ed avere un io particolare, diverso da qualsiasi altro.
Il tempo è l'unica dimensione in cui si può vivere, ma nell'intimo si ha anche l'idea d'una dimensione di vita in cui il tempo potrebbe essere eliminato, quella che viene definita dimensione eternità, nella quale a ciascuno piacerebbe vivere con la massima dignità personale possibile che si consegue sviluppando il proprio se stessi nel tempo, da usare, se è possibile senza nevrosi, per assolvere i compiti essenziali, ma tesi a conseguire la crescita personale per ampliare il personale contenitore d'esistenza.
Questa idea nasce come estrapolazione, desiderio, speranza, ma dopo verifiche molti assodano l'idea come realtà, cioè che, morto l'individuo, esisterà una dimensione asintotica ove il tempo non ha più rilevanza con unico timore: nell'eternità ci s'annoierà?
Esiste, cioè, un ricettore delle esistenze che registra l'essere vissuto e lo conserva e gli consente poi di continuare ad esplicitarsi in altra dimensione, oppure c'è uno spreco generale, un'entropia totale, ed alla morte si cade come un "file" inutile nel cestino e siamo cancellati, o invece siamo sistemi operativi da utilizzare?
Ritengo che il contenitore padre è curioso e pieno d'immaginazione e ci sarà sempre una nuova occasione: può morire la vita?
La risposta condiziona il come si esplica il proprio rapporto con gli altri.
Ha senso con il prossimo, aldilà del rapporto civile e sociale per la crescita ordinata, avere una dimensione di dono del tempo; che in fondo sarebbe tutta e sola la propria vita se non s'avesse l'idea di un deposito infinito di tale dimensione?
Molti rispondono che lo richiede il senso del dovere e del sacrificio, però, se s'accetta l'idea che in definitiva ciascuno cerca la soddisfazione del proprio essere, il tornaconto ci deve essere comunque, e certe cose non si possono fare a lungo se non è consolidato il ritorno più o meno futuro in termini di resa spirituale.
Cioè l'egoismo sembra nascere dall'idea che il tempo finisce, l'altruismo da quella che il tempo può dilatarsi e che usare il tempo per gli altri non è spreco, ma modo di moltiplicare il proprio vivendo anche la vita di altri, leggendo un libro vivente avvincente perché si può partecipare alla sua storia.
Un fatto certo è che se altri non avessero regalato il tempo che è stato l'essenza della loro vita, non esisteremmo e non saremmo come di fatto siamo; non parlo solo d'antenati e genitori, ma d'insegnanti, amici, colleghi e avversari, insomma in varia misura tutti i contatti contribuiscono all'esistenza ed alla continua formazione dell'individuo.
Le esistenze in definitiva sono frutto d'altre vite e da ciò si ricava che tanti hanno creduto positivo dare quanto di sé per gli altri e ciò è entrato nei geni, è passato alle generazioni e hanno incrinato l'egoismo, retaggio di vita bestiale, che perciò è sempre più contro natura.

CHE SENSO HA IL TEMPO?
L'aver preso atto della realtà in cui si vive prima o poi comporta la domanda: che senso do al fatto che esista il tempo?
Di fatto, nel come uno vive è insito il senso che il soggetto da al tempo.
Ciascuno nei riguardi del tempo si può trovare, con diversa gradualità, nei seguenti schemi: lo spreca, l'ammazza, lo subisce, lo usa, lo teme, ne ho una dimensione sacra che s'affaccia quando per l'individuo si prospetta il momento di acquisire se è un vivente per caso o un processo voluto.
Certo è che siamo miracoli viventi, affermatisi tra forze immani in un angolino dell'immenso creato, d'un pianeta delle infinite galassie.
La conclusione - opinione di questo strumento vivente è che per vivere in tali condizioni vuol dire che si è stati amati e che negli uomini c'è un germe che non che lo può portare a svilupparsi anche non solo con regole di sopravvivenza e ciascuno ciò lo può verificare in certi rapporti individuali.
Viene però spontaneo constatare che l'amore vero è merce rara, perché l'uomo non può amare se non prende atto che è amato e, spesso, è come un cieco che muore di sete vicino ad una sorgente.
Se ti rivolgi alla sorgente potrai poi dare altrimenti da te non può venire.
Se concludi però che la sorgente non c'è, alla fine della tua scorta che fare? "Dobbiamo dare l'amore agli altri, ma acquisendolo prima da Dio." (Benedetto XVI "Deus caritas est")

a.contipuorger@gmail.com

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