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LETTERE EBRAICHE E CODICE BIBBIA...

 
LA GIOVENCA ROSSA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

IL PURO E L'IMPURO NELL'EBRAISMO
Un decreto, particolarmente criptico, pur se molto studiato, commentato e discusso nell'ebraismo, è quello del rituale di purificazione in caso di contatto con cadavere, detto della "giovenca rossa", precetto che si trova al capitolo 19 del libro dei Numeri, la IV sezione cioè del rotolo della Torah della Tenak o Sacra Srittura ebraica o del Pentateuco della Bibbia cristiana.
Una giovenca rossa, con al massimo un solo pelo di un altro colore, veniva, infatti, bruciata e le ceneri, mescolate con acqua ed altri ingredienti, erano usate per la purificazione rituale.
Tale prescrizione, restata nell'ebraismo tuttora chiusa in un alone di non esauriente comprensibilità, ha destato il mio interesse in quanto nella tradizione ebraica c'è il pensiero che il vero significato sarà rivelato solo nell'era messianica.
La prima giovenca rossa fu bruciata al tempo di Mosè e per la tradizione le sue ceneri furono conservate e poi mescolate con le altre otto bruciate fino al momento della distruzione del secondo Tempio.
Dicono che il Messia sovraintenderà al rogo della 10° giovenca rossa o comunque sarà Lui stesso a purificare il popolo.
Quel brano della "giovenca rossa" che descrive quel rituale di purificazione è letto a "Shabbat parah", perché sotto Pesah, dovendo l'ebreo essere "puro" per sacrificare le offerte della festa, è il momento di passare per il rito della giovenca rossa in quanto è presumibile che qualche membro della comunità si sia trovato in vicende di ritenuta contaminazione per la presenza di qualche morto in famiglia o di conoscente, o per morti per caue accidentali.
Il 2 di Nissan, ritengono i commentatori ebraici, un giorno dopo l'inaugurazione del Tabernacolo, Mosè avrebbe preparato la prima "giovenca rossa", al fine di purificare ritualmente la nazione ebraica in preparazione del rito dell'agnello pasquale nel Santuario di recente costruzione.
In tali giorni era uso che a Gerusalemme gli abitanti e i pellegrini della Pasqua andassero nel Tempio per sacrificare l'agnello prescritto.
Certamente quel rituale, come vedremo nel dettaglio più avanti, sottende un quid non comprensibile al ragionamento umano.
Dopo aver dedicato un tempo per esaminarne il contenuto ed i brani che gli si possono connettere, ho pensato di scrutare ed approfondire quel testo dall'ebraico con la chiave di cui mi sono dotato, onde ottenere un distillato in grado d'aprire il mistero che nasconde il testo stesso.
Per tale chiave, che consiste in una lettura particolare, anche per singole lettere ebraiche, come icone che fa pervenire ad una pagina di secondo livello dei testo stesso, rimando alle idee, ai criteri ed alle regole esposte con:
Approfonditi alcuni aspetti collaterali a quella legge della "giovenca rossa", ne ho provveduto alla decriptazione e sono arrivato a un mio convincimento che presento in questo articolo.
Prima d'esporre i punti e i risultati di questa ricerca intendo fare una premessa su quanto ho compreso, passando attraverso l'esame delle lettere ebraiche, del concetto di puro e di impuro in base a come espresso dalle stesse Sacre Scritture ebraiche, peraltro integralmente entrate nel canone della Bibbia cristiana, ma senza che quei concetti siano stati assorbiti nella forma praticata dall'ebraismo.
Mentre nell'accezione occidentale è invalsa l'idea che puro e impuro ha implicazioni con la sporcizia e col peccato, nell'antico Israele il pensiero è più indirizzato verso l'aver assolto o meno a certi precetti.
Ciò è dovuto al fatto che l'ebraismo, strettamente correlato con le proprie Sacre Scritture ed in particolare con la Torah, presenta Dio che si rivela al popolo.
Come può, allora, ciò conciliarsi con l'impossibilità per l'uomo di restare vivo in Sua presenza?
Tutto quanto riguarda IHWH è santo e un avvicinamento a Lui, visto in senso fisico, ha le stesse difficoltà del provocare un incontro tra materia e antimateria.
Nell'ebraismo, quella della purità, è condizione necessaria per avvicinarsi a ciò che è il santo e la Torah, propone che esiste almeno un luogo certamente santo, il Santo dei Santi della Tenda del Convegno o del Tempio, e là qualcuno deve pur avvicinarsi per compiere il servizio divino prescritto; ecco, così, che la Torah prevede un ambito, quello della purità cultuale, che consente di avere una zona franca convenzionale in cui può avvenire quel rapporto.
Dio si piega verso l'uomo e si presenta in modo percettibile in qualche modo almeno a qualcuno che gli si avvicina secondo certe modalità convenute e la modalità accettata da Dio stesso, asseverata nel patto costituzionale del rapporto istauratosi tra Dio e il suo popolo, è appunto nella Torah principalmente nel libro centrale, quello del Levitico.
D'altro canto è ed era ben chiaro per tutti che anche il migliore degli uomini è peccatore, e pur buono che sia è comunque sporco a fronte del fulgore della santità di Dio, indegno perciò di avvicinarsi a ciò che è santo a meno che Dio stesso non gli fornisce una veste di purità.
Tale veste di purità è, appunto, descritta nella Torah, patto "berit" di Dio col popolo d'Israele; questa, infatti, è l'alleanza scritta a modo di "ketubah" per il matrimonio tra Dio e Israele, veste di fatto donata da Dio stesso, ottenibile secondo il pensiero ebraico, solo col rispetto di certe precise prescrizioni che sono state interpretate in quel modo da Israele.
Per l'uomo nella contingenza di questo mondo che ne condiziona duramente la vita, la santità assoluta, infatti, non è acquisibile con propri sforzi o meriti, ma è dono di Dio che santifica chi vuole e come vuole.
Il corpo scritto e orale della Torah prospetta però un modus onde consentire all'uomo di potersi avvicinare senza subire negative conseguenze al Santo, conseguenze che altrimenti sono da considerare catastrofiche.
Si pensi, infatti, all'episodio narrato in 2Samuele 6,6-10 di quel tale Uzza che, vista barcollare l'arca di Dio caricata sopra un carro mentre Davide e tutta Israele faceva festa davanti al Signore, stese la mano verso l'arca di Dio e vi s'appoggiò perché i buoi la facevano piegare, ma l'ira del Signore s'accese, lo percosse per la sua colpa ed egli morì sul posto, tanto che Davide stesso s'impaurì e desistette dal trasferire l'arca in Gerusalemme.
Al riguardo, è un poco come chi, per avvicinarsi ad una zona ad alta radioattività, deve dotarsi d'efficaci difese personali per consentire brevi ispezioni con alto rischio, conscio che tali prescrizioni risolvono solo brevi varchi temporali, ma che alla lunga non avrebbero comunque efficacia davanti ad una fonte d'energia nucleare potente.
Pur dando atto che per l'ebraismo sono da rispettare certe norme, ho cercato di vedere quale possa essere il filo conduttore motore del pensiero ebraico che sovrintende ai concetti di puro e impuro, concetti peraltro, come vedremo, rimasti solo nell'ebraismo e non passati al cristianesimo.
Ora, il Santo dei Santi e tutta l'area del Tempio era il luogo dove per i figli d'Israele Dio si manifestava, Lui il detentore della vita in pienezza, onde vicino a Lui nulla vi poteva sussistere di "morto".
L'uomo è creatura peritura, nel senso che da appena nato comincia inesauribilmente il tempo della decadenza terrena della vita fisica, come una pila elettrica più o meno caricata, e quindi ha in sé un processo di morte attiva.
Questi, quindi, non poteva vedere Dio e restare vivo, infatti, Lui è la Vita assoluta, "'El Hai", il "Dio Vivente" e non è da dimenticare che la Torah è chiamata "Torat Hajm", "la Legge di vita".
Questo è il pensiero che sovrintende al rapporto col Dio d'Israele.
Lo stesso Mosè parlava con Dio, ma velandosi il volto come si faceva ai cadaveri che avevano il sudario, cioè un telo, in faccia.
Ad esempio al roveto "Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio" (Esodo 3,6b).
L'ultima lettera ebraica, la "taw" di fine, in effetti, suggerisce proprio tale idea.
Il risultato che, infatti, s'ottiene se si spezza questa lettera è una + e se si pensa la come l'icona di una testa di cui si può immaginare il volto e come succinto segno di velo, s'ottiene l'idea di un volto coperto.


A sinistra lettera a destra lettera
formano la lettera .

"Morire" in ebraico, peraltro, è definito con le tre lettere da cui morte "movet", onde: "vita (sottinteso terrena) portata a termine ."
Ecco che tutto ciò che porta alla morte, a sue manifestazioni, al sangue, a cadaveri, ossa, feti e ovuli umani, mestruazioni, sperma, secrezioni corporali, salvo il latte, "sporcano" nel senso che fanno uscire dalle condizioni di purità.
Nella donna c'è poi un continuo passare da una condizione di vita a condizione potenziale di morte, vita poiché in grado di procreare e nutrire con il latte, elemento ritenuto puro in molte culture, morte poiché perde il suo sangue, sinonimo di vita, nelle varie ovulazioni.
Il bambino neonato è quanto di più vivo si può trovare nel mondo.
Il sangue, perso nel parto, di fatto poi è come il mestruo che sta a segnalare la morte di un ovulo, come s'arguisce da: "Il Signore aggiunse a Mosè: Riferisci agli Israeliti: Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L'ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma, se partorisce una femmina sarà immonda due settimane come al tempo delle sue regole; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue." (Levitico 12,1-5)
Quindi mestruo e segno di morte in atto "e sarà impura per sette giorni: ed allo stesso modo i sette giorni di lutto, nel modo in cui è venuto così se ne vada." (Baal HaTurim) indi per l'ebraismo, come è da praticare l'astensione sessuale durante il flusso mestruale e la donna è impura, così lo è dopo il parto finché non in grado di produrre altri ovuli.
Per meglio chiarirmi quel concetto sono ricorso, com'è mio solito, alle lettere relative ai radicali dei verbi ebraici per vedere se vi trovavo una qualche spiegazione:
  • per "essere puro, purificarsi, purificare, purgare, mondare, mondarsi" e purità è la "tohorah";
  • per "essere impuro, diventare impuro, essere o diventare immondo, contaminarsi" e l'impurità è la "tum'a".
Questi due stadi, l'uno il contrario dell'altro, come ben si vede, hanno in comune la lettera iniziale, la tèt che dal punto di vista del messaggio grafico è quello di un utero, oltre che di un cuore.
Nel caso di "essere puro" questo utero-cuore ha vicino il radicale di partorire (), quindi, rimanendo nell'idea di un utero, quando questo è pieno di vita perché deve partorire è certamente puro.
Nel caso di "essere impuro" , questo utero-cuore ha vicino la lettera di vita e di origine onde ciò da cui è originata vita nel momento che ciò accade diviene di fatto impura; è questo il caso della donna che ha partorito o che ha le mestruazioni, in cui l'ovulo e morto.
La donna incinta che partorisce, ha contenuto una vita, che però lei ha perduto, infatti, questa non c'è più nel suo seno, lei è impura, come se fosse stata il contenitore di un cadavere, una tomba vuota in un vivente, perché dà l'idea di morte, ha perduto vita, del resto ha perduto sangue senza del quale si muore.
Si ricade nel caso d'eiezione di liquidi dalla donna e dall'uomo che possono portare la vita come il sangue e lo sperma, indi come le mestruazioni, cause tutte d'impurità.
Quando torna la possibilità di poter contenere una nuova vita, dopo certi riti di purificazione, la donna o l'uomo tornano puri.
Il rito della "giovenca rossa" per l'ebraismo è soltanto una modalità per riacquistare la purità.
Nella Torah in definitiva si trovano queste cause d'impurità per contatto:
  • col corpo morto di uomini (Numeri 19,11-22) o di animali (Levitico 11,24-44);
  • con perdite corporee, tra cui emissione seminale, flusso mestruale (Levitico 15) e il sangue delle partorienti (Levitico 12);
  • con lebbra (Levitico 13-14);
  • con cose santificate come chi ha preparato le ceneri della giovenca rossa sono diventati impuri (Numeri 19,1-10) e per adempiere alle funzioni e ai riti il sommo sacerdote doveva lavarsi (Levitico 16,4; 16,23-24).
La Torah al capitolo 11 del libro del Levitico prevede che anche il modo di cibarsi può dar luogo ad impurità.
L'ebreo osservante si può nutrire solo di carne di animali terrestri puri e precisamente di ruminanti con zoccolo spaccato come bovini, ovini e cervidi, mentre sono impuri gli equidi, i suini, le scimmie e i rettili, anche se con zampe.
Sono poi impuri gli animali che strisciano, lombrichi, molluschi, ecc..
Gli animali acquatici devono avere pinne e squame.
Tra gli uccelli sono considerati impuri lo struzzo e i rapaci.
La purità e l'impurità non sono perciò pensati come un contrasto tra il bene e il buono nei riguardi del male e del malvagio, nel senso che si può divenire impuri senza aver commesso alcun peccato.
Si pensi a quante occasioni nei Vangeli Gesù incorre in condizioni d'impurità per contatti con lebbrosi, morti, e donne malate di perdite di sangue.
Prende su di sé questa impurità e l'annulla e si coglie anche un insegnamento sul puro e sull'impuro diverso da quello dei contemporanei osservanti, quando dice "Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo." (Marco 7,14-23)
Questo insegnamento, peraltro, è pure in linea col concetto che nasce dalla lettura delle lettere ebraiche dei verbi essere puro ed essere impuro, in quanto ciò che interessa, è per traslato, come nell'utero della donna, che vi sia vita e non morte, non dimenticando che la è anche lettera del cuore!
Onde il cuore dell'uomo è come un utero che può contenere vita o morte.
È evidente che per Gesù quelle pagine della Torah relative a purità e impurità sui cibi avevano una interpretazione più ampia della sola lettura palese della purità cultuale, infatti, come ebbe modo di dire, Lui è venuto per dare compimento alla Torah tutta intera.
Forse, perciò, anche un'altra interpretazione è da dare alla purificazione tramite la cenere della giovenca rossa.
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