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LETTERE EBRAICHE E CODICE BIBBIA...

 
RITORNO AL SINAI

di Alessandro Conti Puorger
 
 

LA FUGA DAL SINAI
Tante e diverse sono state nel tempo le idee sul perché Dio, l'essere perfetto, avrebbe creato il mondo... per la propria gloria... per avere un luogo in basso ove abitare... per dilettarsi...
Ecco che per chi si rifà alle Sacre Scritture ebraico - cristiane è importante scrutare in esse per vedere se vi si trova traccia di una motivazione.
Proprio a tal fine la famosa prima parola della Torah nel libro del Genesi, "bereshit" , tradotta usualmente con "In principio", dai saggi d'Israele è stata letta in più modi.
Quelle sei prime lettere furono anche divise in "Barà" "creò" e "shit" "un fondamento", ossia la Pietra della Fondazione, "Even ha-Shetiyà", la prima pietra centro del creato a Sion nel Santo dei Santi su cui fu posta l'Arca.
L'interpretazione che va per la maggiore considerare quel "Principio" fosse la Sua Sapienza, infatti, cosa di più alto poteva conoscere l'uomo ispirato che scrisse la Genesi, cioè il Mosè della tradizione, della Sapienza di Dio?
Rispondono i maestri ebrei "con la Torah creò il mondo", ella era là come il progetto per l'architetto.
Dio "disse" e creò, quindi, creò con la Sapienza e con la Parola.
Il creato fu così opera della divinità unica e trinitaria.
Secondo il pensiero cristiano fu opera, infatti, della SS. Trinità, del Padre che genera l'Essere, del Figlio, il Verbo, la Parola che è la Torah che s'è fatta carne e tutto fu operato per amore, che è la Sapienza della vita, lo Spirito Santo.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza poi che il mistero della creazione è proprio illuminato dal mistero di Cristo:

280 La creazione è il "fondamento" di "tutti i progetti salvifici di Dio", "l'inizio della storia della salvezza", che culmina in Cristo. Inversamente, il mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il fine in vista del quale, "in principio, Dio creò il cielo e la terra": dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo.

Parte rappresentativa, ma sostanziale della Torah sono le Dieci Parole scritte sulle due Tavole della Legge, donate al popolo d'Israele, la cui fonte è l'Eterno, che si trovano in Esodo 20,2-17 e in un'altra forma in Deuteronomio 5,6-22.
Quelle due Tavole sono come le colonne per l'ingresso al Tempio con i suoi due comandamenti fondamentali.
Pur se quel patto d'alleanza fra Dio e l'umanità, accolto dagli antichi ebrei, pare rivestito anche di sapienza umana, perché vari analoghi comandi si possono rinvenire in legislazioni antiche dell'area geografica limitrofa, in quelle Tavole c'è vera sapienza.
Chi crede in Dio creatore, amico dell'uomo ed ordinatore, sa che

"Ogni sapienza viene dal Signore ed è sempre con lui." (Siracide 1,1)

Qual è quindi il problema se barlumi di sapienza sono stati dispensati in più tempi ed in diversi modi anche prima della rivelazione completa del Sinai con cui avvenne il "matàn Torah" o dono della Torah tutta intera?
Un "midrash" al riguardo sostiene che la parola di Dio fu proclamata nel deserto, in zona neutra, perché fosse retaggio di tutti gli uomini, onde nessuna nazione, popolo o gente possa mai sostenere d'averla lei sola creata o comunque d'averne l'esclusivo possesso.
Tutte le parole che là IHWH nel libro dell'Esodo pronuncia, tuttavia, non si limitano al Decalogo, ma proseguono per undici capitoli, da Esodo 20,18 fino a Esodo 31,17.
Poi Dio terminò di parlare e consegnò a Mosè le Tavole della Testimonianza, "luhòt ha-edùt", "tavole di pietra scritte con il dito di Dio". (Esodo 31,18)
Il testo prosegue con l'episodio del vitello d'oro e con Mosè che spezza le tavole, quindi con la preghiera al Signore, che parla con Dio come si parla con un amico, ma tenendogli testa, chiese di perdonare il peccato del popolo, indi nascosto nella cavità di una rupe vide passare la gloria di Dio (Esodo 33,22) che consentì di tagliare due nuove tavole come le prime, fa Mosè risalire sul monte (Esodo 34,4) e dopo quaranta giorni ridiscende con le nuove tavole in mano ed il volto raggiante (Esodo 34,29).

In passato di tali Tavole, dette "le Dieci Parole" o "i Dieci Comandamenti", mi sono interessato in modo specifico nei seguenti articoli, ma nonostante l'impegno lo fu pur sempre in modo marginale, per la vastità infinita della fonte:
Il mio approccio a tale tema, peraltro, come si può constatare è particolare, perché s'avvale anche di uno strumento di lettura inusuale del testo ebraico che è quello della decriptazione atto ad indagare in profondità il testo fino ad estrarre pagine di un messaggio di secondo livello.
Al riguardo, questi altri miei articoli parlano e propongono il perché e il come del metodo da me "ritrovato" per procedere a tale operazione:
Una tradizione antica degli ebrei sostiene che la Torah fu scritta senza alcuna parola compiuta e senza segni per le vocali, inseriti tardivamente e comunque nell'evo moderno.
Il testo primitivo, chiamato "Torah haShem" o Torah di Dio, era una serie ininterrotta di 304.805 lettere consonanti, appartenenti alle 22 dell'alfabeto ebraico, tutte egualmente distanziate.
Da questa fonte s'ottenne la Torah detta di Mosè ove fu compiuta una circoncisione di più lettere adiacenti atta a formare gruppi identificati come parole, il che si ottenne aumentando certi spazi e cambiando la forma di alcune lettere a fine parola, conseguendo, così, una suddivisione del primitivo testo in parole di senso compiuto in ebraico.
Un modo, peraltro, di dire "parola" in ebraico è "milah" che deriva, appunto, dal radicale "mul" di "tagliare o circoncidere" e significa "tagliata o circoncisa".
Ne consegue che si potrebbe:
  • circoncidere il testo in altro modo;
  • per l'originaria assenza di vocali si può dare anche più significati alle parole già circoncise;
  • ogni lettera potrebbe essere trattata come un'icona ed avere anche da sola un significato intrinseco a priori.
Ecco che queste sono tutte regole da me adottate nel mio metodo ritrovato e ne costituiscono il nocciolo duro per una "lettura come esplosione", metodo che la letteratura talmudica ha cercato in passato d'attuare.
Secondo il Talmud, in particolare da parte di Rabbi Yosef Rozin, fu osservato l'esistenza nella prassi dell'esegesi dei testi della Tenak o Bibbia ebraica di una limitazione che chiama una "fuga dal Sinai", proprio perché "non hanno voluto apprendere le lettere della Torah come entità separate, ma hanno preferito leggere e studiare parole intere" e consiglia di distinguere la lettura delle parole dalla lettura delle lettere per sondare in modo più esteso ed approfondito il testo il cui messaggio ha sfaccettature inattese.
Ciò è quanto di fatto ottengo, ma con la regola fondamentale che i significati nuovi che si conseguono non sono arbitrari soltanto se riguardano il soggetto nascosto dell'intera Tenak, ossia il Messia e le sue vicende, quindi, la storia di salvezza che per i cristiani è poi convalidata nei Vangeli.
Rabbi Nachaman di Breslav, pronipote di Baal Shem Tov fondatore del Chassidismo, ha scritto: "Anche un uomo semplice... se osserva le lettere della Torah potrà vedere nuove cose e nuovi significati; ossia osservando intensamente le lettere queste cominceranno a far luce, a mischiarsi e combinarsi e potrà vedere nuove combinazioni di lettere, nuove parole..."
Quella situazione tratteggiata Rabbi Nachaman per me fu una verità, perché mi trovai sbalzato in questa enorme ed affascinante ricerca, che non sarà mai del tutto esaustiva, attratto all'improvviso e impulsivamente dalla forma affascinante di quelle 22 lettere dell'alfabeto ebraico, viste e notate in un Seder di Pesach, segni che mi parvero veramente espressivi.
Fu per me destare un "déjà vu".
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