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di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL CORPO DELLA RESURREZIONE
Abbiamo visto che si trova scritto nel libro della Sapienza "...un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri." (Sapienza 9,15) onde è da prendere atto che non c'è rimedio.
Questo nostro corpo, la nostra tenda d'argilla, sarà distrutto.

Al riguardo San Paolo ci dice: "Sappiamo che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste..." (2Corinzi 5,1s)

- bèt, numerale 2, pare un padiglione di una tenda, è la pianta di una casa, ci parla della Sua casa, infatti, di casa che in ebraico è "bajit", è la lettera iniziale, della Sua famiglia, del Suo abitare nella terra, ma anche della casa nei cieli, dell'interno dell'uomo, della tenda del convegno.

ma senza base fissa.

Se guardiamo come è fatta è come la 20 lettera la resh che vuol dire corpo, testa, ma ha una base fissa, è dove si abita, infatti, si dice per il corpo che "è la nostra casa d'argilla".
Compiutosi il fatto "polvere tu sei e in polvere tornerai" ci sarà restituito un corpo glorioso, perché il corpo è l'abitazione necessaria per il nostro essere.
Se siamo destinati a esistere in eterno non possiamo farlo senza un corpo "glorioso", quello della risurrezione della carne, un corpo perciò simile a quella del Figlio Suo Unigenito per non perdere la nostra propria individualità amata e preziosa agli occhi di Dio, ma nella perfezione finale di come l'ha pensata, altrimenti nemmeno saremmo stati creati.

San Paolo parla chiaramente del nostro corpo come un vaso di creta nel quale grazie alla venuta del Cristo, guardando a Lui, si può accendere la conoscenza completa di Dio, tesoro che altrimenti sarebbe impossibile avere e dice nella 2 Corinzi: "Dio, che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi." (2Corinzi 4,6s)

Tutta la possibile conoscenza di Dio, quindi, promana dal volto di Cristo.
Pietro Giacomo e Giovanni lo videro trasfigurato "il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce" (Matteo17,2) mentre sul monte parlava con Mosè ed Elia.
Lo stesso Giovanni, il discepolo amato, dice al proposito "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è." (1Giovanni 1,2)

Sì, nostro Signore riverrà nella gloria come dice lo stesso San Paolo in 2Tessalonicesi 1,7-10 "...si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi. Questo accadrà, in quel giorno."

Quel giorno sarà quello dell'ira dell'Agnello, di cui si dirà più avanti, e che il profeta Isaia 66,15s descrive con tinte fosche per chiamare a conversione: "Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, i suoi carri sono come un turbine, per riversare con ardore l'ira, la sua minaccia con fiamme di fuoco. Con il fuoco, infatti, il Signore farà giustizia su tutta la terra e con la spada su ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore."

La parola sarà la spada che esce dalla sua bocca e il fuoco quello della risurrezione che brucerà in ciascuno ciò che appartiene al demonio.
Per vederlo dobbiamo quindi ricevere un corpo simile a quello di Gesù Cristo, il corpo glorioso della risurrezione.
Al momento del giudizio finale "quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Marco 8,38) è certo che lo vedremo tutti, anche quelli che avessero cercato d'evitarlo nel cammino della vita.

Il libro dell'Apocalisse al termine del 6° capitolo annuncia la venuta dell'ultimo giorno, quello del giudizio, in questo modo: "Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?" (Apocalisse 6,15-17)

È quello "il giorno grande e terribile del Signore" di cui parla il profeta Malachia nel libro omonimo in 3,23.
È da ricordare, infatti, che il libro dell'Apocalisse è una rivisitazione proiettata alla fine dei tempi degli avvenimenti profetici dell'Antico Testamento alla luce dei Vangeli e della rivelazione di Gesù Cristo, l'agnello del Padre, definito come tale dal Battista quando disse "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Giovanni 1,29)

Come istruisce il "midrash" del serpente e dell'albero della conoscenza del bene e del male di Genesi 3, il peccato, all'origine iniettato dal tentatore nei progenitori, ha agito come DNA nel sangue e ha condiziona tutta l'umanità, uomini potenti o no, ingannando sull'amore di Dio, velando il volto del Padre, impedendo di conoscerlo così come egli è.
Il racconto di Caino e Abele che si sviluppa in Genesi 4, immediata conseguenza del peccato di Genesi 3, è la dimostrazione che il peccato porta la morte e fa uccidere i fratelli.

"Salario del peccato è la morte" (Romani 6,23) scrive San Paolo.
Sì, il peccato porta alla morte e ricopre proprio tutti come pone in evidenza il profeta Isaia in 25,7-9, quando dice di quel giorno: "Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza."

Questo velo che copre la faccia è proprio il peccato, Isaia appunto lo definisce "condizione disonorevole".
Quel "esultiamo per la sua salvezza" equivale a dire "esultiamo per il Suo Gesù", visto che in ebraico salvezza equivale a scrivere "ieshua".

Il monte è quello del sacrificio di Isacco, ove questi fu restituito al padre Abramo come un risorto, ossia è il monte Moria che la tradizione fa coprire dal Tempio di Gerusalemme il cui c'era velo nel Santo dei Santi che precludeva l'accesso al luogo Santissimo da parte del popolo.
Solo il Sommo Sacerdote poteva accedervi e una sola volta l'anno.
Quel velo del Tempio, in effetti, come dicono i Vangeli, si squarciò alla morte in croce di Gesù (Matteo 27,51; Luca 23,45; Marco 15,38), infatti, proprio in quel momento ci fu anche un terremoto e una eclisse solare, come d'altronde aveva profetizzato il profeta Amos in 8,9.
Tale velo, la tenda che separava il Santo - "Qodesh" dal Santo dei Santi - "Qodesh haQodashim", era un drappo enorme alto venti metri e spesso un pollice, detto "paroket".
Dice lo storico Flavio Giuseppe che neanche la forza di due cavalli, uno di qua e uno di là, sarebbe riuscita a lacerarlo. Per tirarlo giù, arrotolarlo e portarlo a lavare ci volevano decine di uomini.
Giuseppe Flavio in De Bello Judaico 5.5.4 dice che il velo era adornato per raffigurare i cieli e Marco usa lo stesso verbo per descrivere l'apertura dei cieli durante il battesimo di Gesù e per segnare lo squarciarsi del velo del tempio - "scizome", "nouj" in Marco 1,10 e Marco 15,38.
Essendosi squarciato quel velo, come figli di Dio lo vedremo così come egli è.

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