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di Alessandro Conti Puorger
 
 

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DIO S'È FATTO UOMO PER FARSI CONOSCERE
Dio non è accessibile alla mente dell'uomo proprio perché l'uomo non intende a pieno la dimensione dell'amore.
Ecco che nel "midrash" della creazione d'Adamo di Rabbi Hoshaya in Genesi Rabbah 8, si legge: "Quando il Santo, benedetto sia, ebbe creato il primo uomo, gli angeli s'ingannarono su di lui (prendendolo per Dio essendo a sua immagine e somiglianza) e vollero acclamarlo con Santo, Santo, Santo ... Che cosa fece allora il Santo? Fece scendere il sonno su di lui, così che tutti compresero che era un uomo."

Gli angeli, infatti, sanno che "Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele." (Salmo 121,4)
L'uomo pensato nella sua pienezza da Dio, suo Figlio, Gesù Cristo come è nel "Credo" cristiano, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò da morte, e dormì nella tomba ingoiato dalla morte, scese agli inferi e liberò le anime dei giusti, ma si svegliò perché la morte non poteva tenerlo in proprio potere, del resto "forte come la morte è l'amore". (Cantico dei Cantici 8,6)

Dio però nei tempi antichi comunque ha trovato il modo per rendersi captabile all'uomo attraverso la manifestazione della propria Gloria, "Kavod", in modo fisico e spirituale con una propria specifica "presenza", detta "Shekinah" quella che si presentò al profeta Ezechiele come carro di fuoco sulle rive del canale Chebàr con le ruote che andavano in tutte le direzioni, per annunciare il tempo propizio per il ritorno degli esuli da Babilonia.

La descrizione del profeta Ezechiele si sofferma sul fatto che c'era "...in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava." (Ezechiele 1,26-28)

L'esegesi rabbinica antica non aveva timore, infatti, di discutere e d'interpretare i testi biblici prendendo con semplicità e come elemento credibile in modo oggettivo il versetto della Genesi 1,26: "E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza", riflettendo così il credo della religione dell'antico Israele che riteneva esservi uno stretto nesso tra l'apparenza fisica dell'uomo è il suo artefice, un Dio individuo, e l'uomo "imago Dei".

Non sono mancati, soprattutto dal medioevo ebraico con la Qabbalah in poi, tentativi di enfatizzare elementi di non visibilità e di non fisicità, con un approccio allegorico o mistico che porta a una fumosa visione filosofica intellettualistica di Dio ove è esasperato lo spirito sulla materia il che però mal si collega alla visione originaria d'Israele che non fa proprio il dualismo anima corpo, ma considera l'essere umano unità inscindibile di corpo, anima, spirito, il che poi è accolto dalla teologia cristiana tanto che l'individuo sarà risorto integralmente col proprio corpo, sia pure trasformato.

D'altronde la visione d'Ezechiele in 1,26 non può essere stravolta più di tanto, essendo questa inequivocabile nel dire: "Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane."

Questa constatazione comporta una realtà, essere simile e somigliante a Dio implica la fede nella risurrezione, perché l'uomo se simile e somigliante a Dio non sarà soggetto a morte eterna.
Nei tempi di Dio, che non sono i tempi che conosciamo, secondo il pensiero delle Sacre Scritture, chi muore, quindi, sarà soggetto al processo della risurrezione.

Non credo che sia casuale combinazione che quei versetti della Bibbia che parlano della somiglianza dell'uomo con Dio in Genesi "Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Genesi 1,26) e in Ezechiele abbiano lo stesso numero di capitolo 1 che indica Lui, l'Uno, e lo stesso numero di versetto il 26, numero associabile alle lettere del Tetragramma Sacro IHWH :

= ( = 5) + ( = 6) + ( = 5) + ( = 10) = 26.

Tale fatto pare proprio voluto e sta ponendo l'accento su un'attesa sperata, quella dell'incarnazione.

Nel momento culminante dell'apertura del mare Mosè cantò: "Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome." (Esodo 15,3)

Per esprimer il concetto di "guerriero" nel testo ebraico Mosè dichiara è "uomo" "'aish" "di guerra" "milhemah" il che proprio nella Torah apre a pensarlo veramente come uomo!
Nel Talmud, nella Pesista, raccolta di pensieri midrashici dei maestri "amoraim" del III-IV secolo, Rav Kahana relativamente al versetto di Esodo 20,2 "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù" è detto:

"Dio appariva loro come un eroe che dà battaglia e apparve loro al Sinai come uno scriba che insegna la tradizione e apparve loro nei giorni di Daniele come un vecchio che insegna la Torah e apparve loro nei giorni di Salomone come un giovane disse loro il Santo, benedetto sia: Io sono colui che era al mare, Io colui che era al Sinai, Io sono il Signore tuo Dio."

Quando Dio apparve loro, ognuno lo riconobbe come proprio Dio.
Egli parlò come se la parola fosse diretta a ogni singolo individuo e ciascuno recepì di Lui quanto era in grado.
Del resto, come fu per la manna, osserva la Pesista di Rabbi Yosi bar Hanina, neonati, giovani o vecchi gustarono secondo le proprie capacità.

Mosè è il più grande dei profeti, l'uomo della visione, infatti:
  • Numeri 12,6-8 - "Il Signore disse: Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi, ma ed egli contempla l'immagine del Signore."
  • Esodo 33,11 - "Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico."
Nella Bibbia "bocca a bocca" e "faccia a faccia" sono dei modi di dire.
Il secondo modo, "faccia a faccia", è presente 12 volte; nell'Antico Testamento per 11 volte, di cui 5 nella Torah - Genesi 32,31; Esodo 33,11; Numeri 14,14; Deuteronomio 5,4 e 34,10; 1 sola volta nel Nuovo Testamento, precisamente in 1Corinzi 13,12 nel famoso "Inno alla carità" di San Paolo quando dice "...allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto."

In ebraico "faccia a faccia" è "panim 'oel panim" .
Questo pensiero è fondamentale: il conoscere Dio è connesso a un fatto molto concreto, a un rapporto d'amore di tutto se stesso alla stregua del "conoscere" ebraico di una donna, che sottintende in definitiva l'avere un rapporto d'amore anche fisico.

È questa una metafora che indica una comunione molto stretta, ma non ancora evidentemente la visione completa.
Lui, quindi, è lo sposo che si propone a noi con un patto di matrimonio eterno.

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