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VEDERE IL SANTO VOLTO
di Alessandro Conti Puorger

IL DIO MISTERIOSO
Il profeta Isaia cosi definisce Dio d'Israele:

"Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d'Israele, salvatore." (Isaia 45,15)

Quel nascosto "misettatter" in ebraico viene dal radicale del verbo "nascondere".

Le lettere di quel radicale, lette con i loro significati grafici, spiegano che è "avvolto completamente il corpo ", ossia è del tutto velato.


Mosaico del volto di Cristo
della cappella Palatina di Palermo

È nascosto e misterioso come d'altronde era il suo Nome.

Così, infatti, disse l'angelo del Signore al padre di Sansone che gli chiedeva il nome:

"Perché mi chiedi il nome? Esso è misterioso." (Giudici 13,18)
Questo misterioso in quel testo è "poel'i" dal radicale o che significa anche "essere singolare", "essere meraviglioso", "essere distinto" ed anche "essere separato", quindi Santo e che compie meraviglie, come dice il Salmo 86:

"Fra gli dei nessuno è come te, Signore,
e non c'è nulla che uguagli le tue opere.
Tutti i popoli che hai creato verranno
e si prostreranno davanti a te, o Signore,
per dare gloria al tuo nome;
grande tu sei e compi meraviglie ("nipel'aot" ):
tu solo sei Dio." (Salmo 86,8-10)

I racconti biblici effettivamente mettono in evidenza che il Dio d'Israele è meraviglioso e compie meraviglie.
Al riguardo basta ricordare il famoso cantico di Mosè "Precipitò nel mare cavallo e cavaliere" al capitolo 15 del libro dell'Esodo - cantato anche da Maria e dalle donne dopo il miracolo dell'apertura del mare - ove al versetto Esodo 15,11 parla di prodigi "poeloe'" : "Chi è come te fra gli dei, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, tremendo nelle imprese, operatore di prodigi?"

Quando l'uomo, di solito disattento e incredulo, si rende conto in modo incontrovertibile che Dio opera meraviglie, è quando è spettatore di un miracolo, ed ecco che allora comprende che Dio esiste ed è presente.
È come se Dio facesse vedere il suo volto!
Questo pensiero è insito anche nelle lettere ebraiche di quel radicale ove:
  • la prima lettera, la "peh", che in ebraico significa bocca, in forma normale e a fine parola, inequivocabilmente rappresenta un volto, un viso, una faccia.
  • la seconda lettera, la "lamed" è la lettera che si erge sopra tutte le altre dell'alfabeto ebraico e visivamente è il profilo di una testa con sopra un diadema... è un Potente.
  • la terza, poi è la lettera "he" , come un recinto aperto ed equivale ad aperto, entrare, uscire.
In definitiva, così, leggendo quel come una striscia di figure, suggerisce appunto "il volto del Potente esce/si apre ", quindi si disvela. (""Scrutatio" cristiana del Testo Masoretico della Bibbia")

Ciò premesso, questo Dio misterioso e nascosto si è rivelato in modo graduale, prima svelando il Nome segreto a Mosè, poi si è formato un popolo, cui si è manifestato in modo arcano, come insegna la Sacra Scrittura, continuando poi ad ispirare personaggi scelti di quel popolo, i profeti d'Israele che sentirono la sua voce, ebbero visioni e interpretarono e previdero eventi.
Pur rimanendo invisibile si è fatto conoscere con fatti e parole, insomma, attraverso la storia. Questi profeti hanno tradotto in parole, prima pronunciate e poi scritte, cioè hanno compreso quanto Lui intendeva trasmettere, le sue leggi, i suoi decreti, le disposizioni per le feste e il modo per conservare la Sua grazia.
Questi scritti che lo rivelano con gradualità nell'arco di più di un millennio, man mano, dal XIII secolo a.C. fino ai profeti Malachia e Daniele il cui libro secondo gli studiosi avrebbe avuto la definitiva redazione in Giudea attorno al 164 a.C., sono stati riportati, rivisti più volte, nella Bibbia, nella parte definita Antico Testamento, detta Tenak in ebraico che esclude i testi deuterocanonici i cui originali furono scritti in lingua greca.
Ecco che accadde che, tramite le Sacre Scritture, Dio che non si può vedere, in qualche modo però, con miracoli e profeti, si rapportò con quel popolo per cominciare a farsi ascoltare.
Ora, nei verbi di rivelare e di disvelare è insito in modo evidente il richiamo al concetto di togliere un velo.
Questo velo ovviamente è sui nostri occhi, incapaci di vederlo e di capirlo nella sua dimensione divina, non essendo in grado da soli di svincolarci dai legacci della nostra umanità appesantita da comportamenti atavici animaleschi.
Quando non comprendiamo una persona o una realtà diciamo che essa è avvolta da un mistero; quindi, ecco che Dio è relegato in tale ambito.
La Bibbia esprime però la propria convinzione che Dio alla persona umana - non sempre capace con la sola forza della ragione di conoscerlo - svela il suo mistero, cioè, se stesso e la sua volontà verso di lui.
Questo "svelamento" riguarda le sue opere meravigliose, i suoi modi di agire a nostro favore che restano nascosti a molti, purtroppo, sovente, anche ai potenti chiamati a guidare i popoli del mondo, ma su cui agisce la Provvidenza divina.

Ogni potere, infatti, viene da Lui; Lui è "signore di ogni autorità" (Ester 4,17t) come conferma anche il libro della Sapienza: "Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, governanti di tutta la terra. Porgete l'orecchio, voi che dominate le moltitudini e siete orgogliosi per il gran numero dei vostri popoli. La vostra sovranità proviene dal Signore; la vostra potenza dall'Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi... sui potenti sovrasta un'indagine rigorosa... sovrani dei popoli... onorate la sapienza, perché possiate regnare sempre... L'abbondanza dei saggi è la salvezza del mondo; un re saggio è la salvezza di un popolo." (Sapienza 6,1-3-8-21-24)

Tanti sono gli episodi narrati dalla Bibbia in cui, infatti, nonostante tutti gli errori degli uomini, s'intravede l'opera di Dio.
Nel libro del profeta Daniele, dopo l'episodio in cui questi rivelò un sogno al re, si trova "Allora il re Nabucodonosor piegò la faccia a terra, si prostrò davanti a Daniele e ordinò che gli si offrissero sacrifici e incensi. Quindi, rivolto a Daniele gli disse: Certo, il vostro Dio è il Dio degli dei, il Signore dei re e il rivelatore dei misteri, poiché tu hai potuto svelare questo mistero." (Daniele 2,46s)

Le parole "rivelatore" "galeh" e "svelare" "migele'" che si trovano in questo brano nel testo originario in aramaico discendono entrambe dal radicale GLH le cui lettere, viste come icone, implicano di fare un cammino con Lui; "nel cammino il Potente si apre ".
"Misteri" in aramaico è "razin" e al singolare anche in ebraico "razah" .
Mistero nel linguaggio biblico, sappiamo bene, che non sta a significare che è impossibile poterlo rivelare, ma che verrà rivelato se si prende la "giusta" via, usando la chiave giusta della lettura della storia, allora il mistero "razah" è tale che "nella testa questo entrerà ".
E tutto il mistero è che il Potente stesso "Con il corpo questi uscirà ", verrà in terra il Figlio e ci rivelerà la vita eterna: "Questa è la vita eterna: conoscere te, o Padre, e colui che hai inviato, Gesù Cristo." (Giovanni 17,3)

Questo Dio misterioso e ignoto fu rivelato ai greci da un ebreo, San Paolo, affascinato dal Cristo risorto, quando ad Atene alzatosi in mezzo all'Areopago, disse: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo." (Atti 17,22-28)

Questo Dio che effettivamente era ignoto, grazie al Cristo e ai suoi apostoli che l'hanno annunciato anche ai pagani è, finalmente, pure arrivato fino a noi.

CERCARE DI VEDERE GESÙ
Il volto, viso o faccia, è la sede d'importanti organi sensitivi dell'uomo.
Gli occhi, il naso, la bocca e le orecchie sono, infatti, i terminali degli organi visivi, olfattivi, gustativi, uditivi ed anche tattili, grazie alle labbra.
Da tale sede sono promanati sguardi, parola, respiro, lacrime ed espressioni efficaci che esprimono gioia, dolore, indignazione, piacere e altro.
L'insieme è così uno specchio che fa trapelare il vissuto dell'anima.
È questa del viso l'unica parte del corpo dell'uomo che in qualsiasi località e cultura, almeno nel maschio, generalmente è scoperta.
È, infatti, il viso espressione della propria identità e consente il riconoscimento.
Nell'iniziare un rapporto con l'altro, prima di ascoltarlo guardiamo in particolare il suo volto e questo attira il nostro sguardo e accende il desiderio di conoscerlo o lo respinge, poi eventualmente lo custodiamo nella memoria per ricordare la sua presenza.
È il volto dell'altro che accende in noi il sentimento.
Per come siamo stati previsti dal Creatore non riusciamo a pensare a un altro, quando non è presente, se non ripescando i particolari del suo volto nella nostra memoria facendo un rapido interiore identikit.
Spesso la porzione di viso che colpisce di più sono proprio i suoi occhi che, appunto, nell'immaginario comune sono definiti "specchio dell'anima".
Soltanto l'immagine ricevuta direttamente dal suo viso però può attestare il vero, mentre l'immagine fabbricata o ritoccata dal fotografo e dei rotocalchi può dire il falso e solamente un colloquio diretto guardando i suoi occhi e le espressioni del suo viso possono aver valore.
Sappiamo bene anche che dobbiamo pure stare attenti all'immagine che riceviamo dal vivo, perché oggi i ritocchi con la chirurgia plastica possono venir ad aver alterato la forma del naso, delle orecchie delle labbra, delle guance, aver tirato la pelle agli zigomi e sul collo, aver tolto rughe, aver reimpiantato capelli ciglia e sopracciglia e così portare a ingannare chi la riceve, giacché, ciò avendo fatto, la bellezza che appare è in gran parte artificiale.

"Bello" nell'ebraico della Bibbia è "japoeh", dal radicale di "essere bello".
Così si trova ad esempio nel versetto seguente: "Come sei bello , mio diletto, quanto grazioso! Anche il nostro letto è verdeggiante." (Cantico dei Cantici 1,16)

Le lettere di quell'alfabeto, lette come icone, ci dicono che essere bello è "essere con volto aperto " tanto che chi lo guarda "(re)sta a bocca aperta ".

Appena nati, abbiamo aperto gli occhi e abbiamo cercato un volto, quello della madre.
Il bambino cerca il volto dei genitori, l'amante cerca il volto dell'amato, il genitore quello del figlio, il morente cerca il volto di qualcuno che non lo faccia sentire solo nella morte.
Nella ricerca di Dio ecco che allora l'uomo non può non pensare che a cercare di vedere un volto; d'altronde l'uomo è "fatto a immagine e somiglianza di Dio", quindi, (Genesi 1,26) non può pensare a Dio, se non ritenendo che egli abbia come ogni altro un volto.
Di conseguenza l'uomo non può esprimersi, per narrare il suo rapporto con Dio, se non parlando di un Dio che ha un volto luminoso e di benedizione (Numeri 6,24-26), che esprime la sua parola "l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore" (Deuteronomio 8,3) e che s'indigna per il male.
Dio lo sa, e desiderando mettersi in relazione con l'uomo si piega alla nostra umanità che d'altronde è fatta secondo la Sua volontà.

Cercare Dio, di conseguenza, è:
  • vivere "...dice il Signore alla casa d'Israele: Cercate me e vivrete!" (Amos 5,4);
  • cercare il suo volto "Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto." (Salmo 105,4);
  • attendere con fede come grida il salmista: "Quando verrò a contemplare il volto di Dio?" (Salmo 42,3);
  • pregare Dio affinché illumini il proprio volto "Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto."(Salmo 67,2);
  • pregare che non lo nasconda "Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo" (Salmo 27,9) e "Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?"(Salmo 44,25).
Il desiderio di cercare di vedere il Signore e di conoscere dove abita fu già a muovere i primi discepoli le cui salienti esperienze sono sinteticamente riportate nei Vangeli.

Il Vangelo di Giovanni, in particolare, propone al lettore le prime parole di Gesù solo dopo il suo battesimo al Giordano con questo racconto: "Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l'agnello di Dio! E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: Che cosa cercate? Gli risposero: Rabbì - che, tradotto, significa Maestro - dove dimori? Disse loro: Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro." (Giovanni 1,35-40)

Quei discepoli, avevano iniziato un cammino di conversione ed erano andati appositamente al Giordano a farsi battezzare dal Battista come atto intenzionale per invocare la remissione dei peccati in previsione del giorno di giudizio annuale ebraico, del giorno dell'espiazione per ottenere il perdono, lo Jom Kippur.
Sentite le parole del profeta, avevano cominciato a seguire Gesù.
Gesù allora prese l'iniziativa con la domanda "Che cosa cercate?"
Certamente lo avranno guardato in faccia, giacché nell'iniziare un rapporto con l'altro, prima di ascoltarlo, guardiamo il suo volto.
Se ne deduce che quello di Gesù ebbe il potere su quei discepoli di attirare il loro sguardo, di affascinarli e di accendere il desiderio di conoscerlo.
Ne avranno vista la bellezza a trecento sessanta gradi che emanava e avranno intravisto la mitezza dell'Agnello di Dio che confermava le parole sentite dal Battista.
C'è stato un giorno e un'ora precisa, quella del primo incontro.
Il Vangelo informa addirittura anche dell'ora esatta - "le quattro del pomeriggio" - momento basilare, fondante e preciso cui ciascuno deve riandare per attingere al complesso delle emozioni e dei motivi che ebbero il potere incuriosirlo e di porlo in cammino.

Penso proprio, infatti, che nessuno possa dimenticare il giorno e l'ora del primo incontro con l'amore della propria vita, se mai ci sia stato.
"Cosa cercate? ...Venite e vedrete" sono parole profetiche di Gesù che richiamano passi di Sacre Scritture come:
  • "Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai." (Isaia 51,1s)
  • "Venite e vedete le opere di Dio, mirabile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terra ferma, passarono a piedi il fiume; per questo in lui esultiamo di gioia. Con la sua forza domina in eterno." (Salmo 66,5-7)
Per la conoscenza del Signore, sappiamo bene, non basta un movimento intellettuale, ma sono coinvolte tutte le componenti dell'essere della persona, corpo, forza, anima e mente.
Occorre, infatti, mettersi in cammino e poi Lui si fa incontrare come accadde proprio con Abramo.
Prova di ciò è che chi inizia un cammino sincero verso di Lui in genere continua a seguirlo giacché è a verificarsi qualcosa di simile a quanto s'intuisce dal Cantico dei Cantici, quando il "diletto" fugge e si nasconde per provocare il desiderio nell'amata.
La decisione di seguirlo non viene in modo razionale da parte del soggetto, ma è piuttosto un impulso dell'anima; è il non rifiutare una chiamata, è l'attuarsi di una possibilità che è data in un momento favorevole in cui, per grazia, il soggetto non la rifiuta.
Dalla paralisi iniziale il potersi alzare e mettersi in movimento è un quid colto come l'effetto dell'incontro con una persona affascinante sotto tutti gli aspetti, capace di sedurre ed attrarre a sé intravista come attraverso uno specchio, da quello che riflette chi lo annuncia, come nel caso del Battista con i primi discepoli.

A questo seguono i miracoli, i segni, i memoriali che ciascuno riceve, che confermano l'attesa, come evidenza Gesù stesso con: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella." (Luca 7,22)

Le prime tappe per cercare il Signore comportano di fare come Abramo e d'entrare in conversione e abbandonare le vie storte prima seguite: "Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino . L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona." (Isaia 55,6s)

Il "venite e vedrete" che ha detto Gesù ai suoi primi discepoli chiede di farne esperienza con tutto se stessi, con tutti i propri sensi, con gli occhi e le orecchie non solo del corpo, ma soprattutto dello spirito.
I sensi sono contingenti e solo temporali, perché vengono solo dalla terra, ma lo spirito viene dal "cielo".
Inizia una nuova creazione nell'uomo che dagli occhi e dalle orecchie fisiche assume come nuovi poteri, occhi veri dell'anima e orecchie del cuore di cui come poi vedremo nell'opera "Apologia ad Autolico" dice Teofilo nel II secolo, il VI vescovo di Antiochia dopo l'apostolo Pietro.
Il Vangelo di Giovanni, infatti, dopo aver iniziato ricordando la pagina della creazione come nel libro della Genesi - primo giorno... secondo giorno... - (Giovanni 1,29; 1,35; 1,43; 2,1), continua nelle prime pagine a scandire il tempo, perché appunto con la venuta di Gesù, il Messia, il Cristo, si entra nella nuova creazione che è un ricominciare per preparare l'uomo nuovo.
Il Vangelo di Matteo al proposito di questo tema riporta queste parole di Gesù: "In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele." (Matteo 19,28)

Questa nuova creazione (rigenerazione in latino e palingenesi in greco) comporta di accogliere un invito:
  • Proverbi 9,1-6 - "La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: Chi è inesperto accorra qui! A chi è privo di senno essa dice: Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza".
  • Salmo 34,9 - "Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia."
La nuova creazione passa attraverso il mistero del cammino pasquale, in cui è nutrimento l'Eucaristia, il cibo dell'uomo nuovo.
Solo man mano crescono i nuovi sensi per vedere, udire, gustare... Dio.
Cristo, infatti, con la sua venuta, non solo si è fatto ascoltare e vedere, ma ci nutre col pane e col vino del sacramento per farci divenire suo corpo e suo sangue e far assumere così il passaggio alla dimensione divina.

Eppure, non tutti i discepoli, pur avendo visto e vissuto con Lui, poi credettero subito al racconto della risurrezione, infatti, "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" (Giovanni 20,24-29)

Questo del credere è un mistero.
La sua vicinanza, il suo insegnamento e soprattutto la grazia della fede che Lui "autore e perfezionatore della fede" (Ebrei 12,2) dona consentono, però, di far intuire che la Sua realtà è più totalizzante del solo vedere.
Tutto ciò premesso entriamo nel tema del vedere per gradi.

IL TERZO OCCHIO, L'OCCHIO DELLA FEDE
L'uomo di carne non può vedere Dio che è Spirito!
C'è un versetto particolare del "Discorso della Montagna" nel Vangelo di Matteo 6,22-23 che parla dell'occhio del "uomo nuovo", versetto che riporto secondo le due traduzioni in italiano della C.E.I. del 1975 e del 2008:
  • C.E.I. 1975 - "La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!"
  • C.E.I. 2008 - "La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!"
Questo occhio che nella traduzione del 1975 era chiaro, nel 2008 è divenuto semplice... perché?
Se si va al testo in latino, in effetti, l'occhio è "simplex" ossia semplice, termine latino che significa anche "solo, uno, naturale".
Nel testo in greco quel occhio è , vale a dire "è naturale".
Ciò si presta a due pensieri, quello di avere un solo occhio del corpo e dello spirito e a un paragone, vale a dire, se la parte naturale è nelle tenebre, se l'unico occhio di questo campo che hai è cattivo, accadrà così anche al tuo spirito.
Si apre così il pensiero al "terzo occhio" o "occhio interiore".

San Paolo dice agli Efesini "...avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l'efficacia della sua forza e del suo vigore." (Efesini 1,15-19 nella traduzione C.E.I. del 1975 gli occhi del vostro cuore erano gli occhio della vostra mente)

Questo del "terzo occhio" è un'idea mistica ed esoterica che si ritrova in varie tradizioni spirituali.
Sarebbe proprio tale occhio che avrebbe il potere di penetrare nei mondi interiori e negli spazi di coscienza superiore e sarebbe capace di dotare di un portentoso intuito.
Nelle religioni induiste, infatti, secondo i "bramini" vi sarebbero nell'uomo sette punti o centri "cakra" di un corpo sottile parallelo di quello fisico dell'uomo ove è ritenuto possa accedere l'energia divina (Kundalini) che ritengono risiedere in forma quiescente in ogni individuo.
Il "tilaka" o "pundra", è un segno caratteristico che i religiosi indù si pongono sulla fronte (ove le donne pongono un piccolo gioiello, il bindi), fra le sopracciglia, nel posto del VI "cakra", sede della "saggezza nascosta", punto di uscita di tale ipotetica energia.
Questi per l'induismo sarebbero i sette "cakra":
  • I - , alla base della colonna vertebrale;
  • II - , alla base dell'organo genitale;
  • III - , all'altezza dell'ombelico;
  • IV - , nella regione del plesso cardiaco;
  • V - , situato al livello del plesso laringeo;
  • VI - , collocato fra le due sopracciglia;
  • VII - , posto sopra la testa.
Quel VI punto, l', "fronte" e "cakra" "centro", è immaginato come naturale sviluppo della ghiandola pituitaria o ipofisi, considerata come un occhio latente atrofizzato.
Nella spiritualità New Age, il terzo occhio, per cui sono proposte tecniche "particolari" per riuscire a farlo aprire, può simboleggiare sia uno stato d'illuminazione, sia l'evocazione d'immagini mentali che hanno un profondo significato personale, spirituale o psicologico.
Il terzo occhio è poi associato a visioni, alla chiaroveggenza e anche a esperienze extracorporee.
In tale ambito chi ha presumibilmente sviluppato la capacità di utilizzare il proprio terzo occhio sono definiti veggenti e si entra così pure nel campo della superstizione e della magia bianca e nera.
Paramahansa Yogananda, filosofo e mistico indiano vissuto nel XX secolo, in "Autobiografia di uno Yogi" (Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore, 1971) sostiene che durante la meditazione profonda, l'occhio unico o spirituale diventa visibile nella parte centrale della fronte e le scritture delle varie religioni si riferirebbero in vari modi a questo occhio onnisciente: quale terzo occhio, stella d'Oriente, l'occhio interiore, la colomba che scende dal cielo, l'occhio di Shiva, l'occhio dell'intuizione, ecc....

Per quanto riguarda il cristianesimo, segnalo al riguardo che Teofilo, vescovo nel II secolo di Antiochia, nella sua opera "Apologia ad Autolico", molto più con i piedi per terra, scrive in modo figurato sugli "occhi dell'anima" e sugli "orecchi del cuore" nel seguente modo: "Se poi tu mi chiederai: Mostrami il tuo Dio. Io ti risponderò: Mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il mio Dio. Mostrami dunque che vedono chiaro, gli occhi della tua anima, e che bene intendono gli orecchi del tuo cuore... Poiché come coloro che guardano con gli occhi del corpo percepiscono le cose della vita materiale, e osservano i contrasti, la luce o le tenebre, il bianco o il nero, il brutto o il bello, l'ordinato e il commensurabile, o il disordinato e l'incommensurabile, il proporzionato e lo sproporzionato, ciò ch'è mutilo o abbondante nelle sue parti; e altrettanto si può dire di ciò ch'è percepito dall'udito, dei suoni gravi e acuti o gradevoli, così le orecchie del cuore e gli occhi dell'anima hanno la possibilità d'intendere Dio... Iddio è visto da coloro che possono comprenderlo, perché hanno aperti gli occhi dell'animo..."

Ricordo, e di seguito riporto succintamente, due episodi narrati nel Nuovo Testamento in cui si aprono gli occhi dell'anima grazie ai poteri di Gesù di Nazaret, il Cristo risorto:
  • Luca 24,30s - nel racconto dei discepoli di Emmaus, Gesù risorto "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista."
  • Atti 9,17s - al momento del battesimo di San Paolo "Allora Ananìa andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: "Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo. E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato."
È, quindi, il Battesimo, col dono dello Spirito Santo, che dà il potere di aprire gli occhi al neofita, come del resto a tutti gli altri sensi spirituali, perché scopo del Battesimo è far assumere al catecumeno la natura di figli adottivi di Dio! (Si pensi, infatti, ad esempio all'apertura della bocca con l'Effata')

Altrimenti non potremmo avere nessun rapporto con Lui.
Precisa, infatti, il libro della Sapienza: "Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri. A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo? Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?" (Sapienza 9,13-17)

CHI SIAMO?
Andiamo all'origine così come ce la propone nella Torah il "midrash" della creazione.
La Bibbia, al riguardo, in Genesi 2,7 informa che: "Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente."

Il nostro corpo è come un vaso formato da un vasaio, quello che il libro della Sapienza ha definito la nostra tenda d'argilla; questo fu plasmato ad hoc "con polvere del suolo" da Dio, quindi con materia che aveva precedentemente creata.
Dio stesso soffiò un alito di vita, in ebraico "nishmat" "chaiim" e l'uomo fu così che divenne un essere vivente "noefoesh" "chaiiah" .
Questo di Genesi 2,7 relativo alla creazione dell'uomo è l'unico versetto dell'intera Bibbia in cui si trovano uniti i due modi per indicare "anima" in ebraico, ossia "nishmat" e "noefoesh" come a dire l'uomo non solo ha il "noefoesh", il respiro, come gli animali, ma è dotato anche di un sigillo di divinità, il "nishmat".

In definitiva quel testo ispirato, sin dall'inizio, propone che l'uomo possiede un alito della vita divina!
"Vita" in ebraico è "chai" , ma quella che Dio là soffiò è "chaiim" che in ebraico è plurale, anzi, precisamente appare come un plurale duale, quindi, l'uomo ricevette l'alito delle due vite, implicante il superamento della morte, per un insito germe d'immortalità, quindi di risurrezione.
Il "noefoesh" è il respiro, l'alito, ma è anche parola che serve a definire anelito e desiderio; ogni uomo, quindi, è un desiderio vivente che cerca di soddisfare continuamente nel corso del proprio vivere.
Nel versetto questo "noefoesh" è alito di vita, ma questa è solo al singolare .
Se l'uomo non si aliena, si rende conto che nulla lo soddisfa a pieno e, se ha la grazia di non chiudersi nell'ateismo, si rende conto che ha in se stesso come un ago magnetico orientato verso l'origine, un imprinting per trovare la via di casa, una strada per avvicinarsi a Lui.
Appena si esce dal caos delle emozioni e dalla routine della vita e si medita sulla propria condizione di creatura si può verificare nel proprio intimo la verità della sintesi de "Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me", del filosofo Immanuel Kant.
Il desiderio naturale dell'uomo in tutta la propria vita, quindi, è di vedere Dio e di ricongiungersi con Lui.
Il filosofo cattolico Antonio Rosmini (1797-1855) ebbe a dire: "Nulla si può dire che è, se non si possiede preventivamente l'idea dell'essere o dell'esistenza in generale. E poiché l'idea dell'essere precede non solo le sensazioni, ma tutte le altre idee, l'idea dell'essere non può essere frutto di un'operazione dello spirito umano... ma se non può essere un'operazione dello spirito umano, bisogna che l'idea dell'essere sia innata e posta nell'uomo direttamente da Dio... In generale parlando, l'origine delle idee viene da Dio, il quale le fa risplendere alla mente umana; ne possono venire dall'uomo o dalle cose esteriori, perché gli esseri finiti non hanno quei caratteri sublimi, e nessuno da quel che non ha." (da Breve schizzo dei sistemi di filosofia moderna e del proprio sistema)

Per il Rosmini l'idea dell'eternità in noi non viene da un'estrapolazione visto che ritiene che in noi vi sia una scintilla divina che ci da l'dea del nostro essere, "il nishmat".
Un "midrash" ebraico propone che ogni uomo trascorre nove mesi nel seno materno come con una candela accesa in testa; è l'arcangelo Gabriele che insegna tutta la Torah, orale e scritta, e quando si è pronti si esce alla luce del mondo.
Un istante prima della nascita l'angelo spegne con un soffio la fiammella e il bambino dimentica tutto; tutta la sua vita dovrà essere dedicata allo studio della Torah, a cercare di ricordarsi quello che aveva già imparato.
Il neonato alla nascita piange perché... perché non sa più, ha dimenticato tutto, e per tutta la vita cercherà di ricollegarsi al sapere perduto.
Questa idea è simile a quella della reminiscenza dell'anima di Platone.
Per gli ebrei, come per gli antichi greci, la vera sapienza è "recuperata" e sapienza, filosofia ed esperienza esistenziale sono un unicum"... infatti: "Bene e male, vita e morte, povertà e ricchezza, tutto proviene dal Signore. Sapienza, senno e conoscenza della legge vengono dal Signore; carità e rettitudine sono dono del Signore." (Siracide 11,14s)

Quel "midrash" di Rabbi Shimmai è il seguente: "A cosa somiglia un embrione nel ventre della madre? A un documento arrotolato. Ha le mani sulle tempie, i gomiti tra le gambe e i talloni sulle natiche. La testa riposa tra le ginocchia, la bocca è chiusa e l'ombelico è aperto. Mangia ciò che mangia la madre, beve ciò che ella beve. Non produce escrementi, altrimenti l'ucciderebbe. Appena nasce gli organi che erano chiusi si aprono e ciò che era aperto si chiude. Se questo non avviene, il bambino non vivrebbe nemmeno per un istante. Un lume arde sopra la testa ed egli contempla il mondo da una estremità all'altra, poiché è detto: 'Potessi tornare com'ero ai mesi andati, ai giorni in cui Dio vegliava su di me, quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre' (Giobbe 29,2.3)... Qual è in effetti il periodo che si conta in mesi e non in anni? La gravidanza, appunto! L'intera Torah viene insegnata all'embrione perché è detto: 'Egli mi istruiva e mi diceva: Il tuo cuore ritenga le mie parole; custodisci i miei precetti e vivrai.' (Proverbi 4,4) e anche: '...nei giorni del mio rigoglio, quando Dio proteggeva la mia tenda' (Giobbe 29,4) Qual è l'utilità di queste citazioni? Potresti pensare che si tratta unicamente del profeta? Allora ascolta: 'Quando Dio proteggeva' significa appena il bambino viene al mondo, un angelo si avvicina e gli dà una pacca sulla bocca che gli fa dimenticare tutta la Torah..."

L'angelo custode però se la ricorda, perché interamente istruito direttamente dal Signore e siede accanto a ciascuno per suggerire l'interpretazione volta per volta al momento che occorre!

Al riguardo dice San Tommaso d'Aquino "Se l'anima dunque solo vedesse Dio, che è la fonte e il principio di tutto l'essere e della verità, si compirebbe talmente il suo naturale desiderio di conoscere, che nient'altro cercherebbe e sarebbe beata".

L'anima, vedendo Dio, sarebbe beata in eterno!
Tutto ciò è espresso sinteticamente nel Salmo 42,2-6: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?... Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio."

Sant'Agostino ha meditato a lungo sul cercare di vedere Dio, infatti, nei suoi vari scritti ha messo in evidenza:
  • "Se vuoi vedere Dio, hai a disposizione l'idea giusta: Dio è amore." (In Io. Ep. tr. 7, 10)
  • "Lei vede lui, lui vede lei, l'amore non lo vede nessuno. Eppure si ama proprio chi non si vede." (Serm. 34,4)
  • "Tu non vedi Dio. Ama e lo possiedi." (Serm. 34,5)
  • "Chi non sa vedere l'insieme del tutto viene turbato dall'apparente incongruenza della singola parte perché non sa a cosa sia adatta e a cosa si riferisca." (De civ. Dei 16, 8.2)
  • "La fede ha i suoi occhi, con cui vede in certo modo che è vero ciò che ancora non vede chiaro e coi quali vede con assoluta certezza che ancora non vede chiaro ciò che crede." (Ep. 120, 2, 8 e 9)
REALTÀ INVISIBILI
Gli occhi del corpo non possono captare tutte le dimensioni della realtà che osservano che è ben più complessa e cadono in errori come nel caso d'illusioni ottiche, miraggi e altro.
La materia è molto rarefatta e i corpi sono un insieme di atomi distanti tra loro onde l'occhio dell'uomo media certe sensazioni e fa vedere un mondo particolare.
Colgono, infatti, soltanto colori e dimensioni spaziali e avvicinando le immagini riescono anche a cogliere la dimensioni temporali.
È poi da tener conto che la durata della vita fisica è come inesistente rispetto all'eternità di Dio.
Dio è molto di più e va oltre i nostri sensi.
È onnisciente, onnipresente, onnipotente ed eterno e "Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo." (2Pietro 3,8)

San Paolo in 2Corinzi 4,18b al proposito osserva: "Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne."

Si può vedere un volto, una persona, ma accade anche che si possa prendere degli abbagli e non riconoscere neppure quelli che già abbiamo visto o addirittura chi conosciamo bene.
È questo il caso dei discepoli di Emmaus, che camminavano per via col Signore e lo riconobbero solo durante la cena allo spezzare del pane o di Maria Maddalena che al sepolcro prese il Signore per il guardiano del giardino e degli apostoli che credevano di vedere un fantasma tanto che alcuni dubitavano.
Il vedere è atto molto settoriale e coinvolge uno solo dei cinque sensi dell'uomo.
Dio comunque s'è piegato ai desideri dell'uomo e si è fatto carne, ma non solo, e ora per noi si fa anche pane e vino.
Offrendosi in queste forme oltre che vederlo, si fa toccare, si sente il rumore quando si frange in bocca, se ne sente il gusto e si gode del profumo che viene dal vino; ecco che allora il cuore e la mente con la fede personale possono completare il miracolo che si perpetua attraverso le mani consacrate di un ministro della sua sposa, la Sua Santa Chiesa.
Le stesse visioni dei Santi e dei mistici sono state di questo tipo, memoriali istantanei di beatitudine.
I nostri sensi sono ingannatori, siamo come in un contenitore avariato ormai incapace di contenere la fine essenza del Creatore, dote che invece è da ritenere avessero i nostri progenitori al momento della creazione, tant'è che Adamo e Dio parlavano faccia a faccia nel paradiso terrestre.
In ebraico il verbo vedere ha due radicali:
  • da cui "ra'oe/ro'oe" veggente, profeta, "ra'i" visione e "re'i" specchio;
  • da cui "chazon/chazot" visione, rivelazione, oracolo.
Il primo modo è usato per cose mai viste o viste per la prima volta e il secondo per cose nascoste .
Il primo radicale è molto nobile, è il verbo usato nel primo capitolo della Genesi nei riguardi nei giorni della creazione quando è ripetuta per sette volte la frase di rito "Dio vide che... era buono ("tob" )!" (4, 10, 12, 18, 21, 25, 31)
È quel vedere da parte di Dio un atto che non implica solo il senso della vista, ma è una valutazione complessiva sensoriale ed extrasensoriale che comporta intelligenza, sapienza e soprattutto amore.
Per contro, accade che la prima volta che si parla di vedere da parte della prima coppia (Genesi 3,6) ecco che si verificò un grosso errore nella valutazione del frutto del famoso albero della conoscenza del bene e del male, infatti, videro "che l'albero era buono ("tob" ) da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza", lo valutarono bello e buono!

In ebraico "tob" , infatti, ha il duplice significato di "buono e di bello", quindi quel famoso albero della conoscenza del bene e del male è anche l'albero della conoscenza del bello e del male, ma non se ne può mangiare, perché chi lo mangia può restare ingannato, infatti, non tutto quello che ai nostri occhi è bello è anche sempre buono.
Le lettere stesse di vedere dicono che vedremo il nostro Signore Dio quando avremo il corpo glorioso delle origini , mentre ora il nostro corpo di luce "'or" è stato coperto, a causa del nostro "peccare" (radicale ) per misericordia di Dio, da un corpo di "o'r" pelle "Il Signore Dio fece all'uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì." (Genesi 3,21) che abbiamo perché abbiamo peccato () col corpo .
Per vedere Dio in pienezza occorre, quindi, passare a un altro stadio, superando questo nostro corpo mortale di carne con un corpo di gloria.

IL CORPO DELLA RESURREZIONE
Abbiamo visto che si trova scritto nel libro della Sapienza "...un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri." (Sapienza 9,15) onde è da prendere atto che non c'è rimedio.
Questo nostro corpo, la nostra tenda d'argilla, sarà distrutto.

Al riguardo San Paolo ci dice: "Sappiamo che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste..." (2Corinzi 5,1s)

- bèt, numerale 2, pare un padiglione di una tenda, è la pianta di una casa, ci parla della Sua casa, infatti, di casa che in ebraico è "bajit", è la lettera iniziale, della Sua famiglia, del Suo abitare nella terra, ma anche della casa nei cieli, dell'interno dell'uomo, della tenda del convegno.

ma senza base fissa.

Se guardiamo come è fatta è come la 20 lettera la resh che vuol dire corpo, testa, ma ha una base fissa, è dove si abita, infatti, si dice per il corpo che "è la nostra casa d'argilla".
Compiutosi il fatto "polvere tu sei e in polvere tornerai" ci sarà restituito un corpo glorioso, perché il corpo è l'abitazione necessaria per il nostro essere.
Se siamo destinati a esistere in eterno non possiamo farlo senza un corpo "glorioso", quello della risurrezione della carne, un corpo perciò simile a quella del Figlio Suo Unigenito per non perdere la nostra propria individualità amata e preziosa agli occhi di Dio, ma nella perfezione finale di come l'ha pensata, altrimenti nemmeno saremmo stati creati.

San Paolo parla chiaramente del nostro corpo come un vaso di creta nel quale grazie alla venuta del Cristo, guardando a Lui, si può accendere la conoscenza completa di Dio, tesoro che altrimenti sarebbe impossibile avere e dice nella 2 Corinzi: "Dio, che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi." (2Corinzi 4,6s)

Tutta la possibile conoscenza di Dio, quindi, promana dal volto di Cristo.
Pietro Giacomo e Giovanni lo videro trasfigurato "il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce" (Matteo17,2) mentre sul monte parlava con Mosè ed Elia.
Lo stesso Giovanni, il discepolo amato, dice al proposito "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è." (1Giovanni 1,2)

Sì, nostro Signore riverrà nella gloria come dice lo stesso San Paolo in 2Tessalonicesi 1,7-10 "...si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi. Questo accadrà, in quel giorno."

Quel giorno sarà quello dell'ira dell'Agnello, di cui si dirà più avanti, e che il profeta Isaia 66,15s descrive con tinte fosche per chiamare a conversione: "Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, i suoi carri sono come un turbine, per riversare con ardore l'ira, la sua minaccia con fiamme di fuoco. Con il fuoco, infatti, il Signore farà giustizia su tutta la terra e con la spada su ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore."

La parola sarà la spada che esce dalla sua bocca e il fuoco quello della risurrezione che brucerà in ciascuno ciò che appartiene al demonio.
Per vederlo dobbiamo quindi ricevere un corpo simile a quello di Gesù Cristo, il corpo glorioso della risurrezione.
Al momento del giudizio finale "quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Marco 8,38) è certo che lo vedremo tutti, anche quelli che avessero cercato d'evitarlo nel cammino della vita.

Il libro dell'Apocalisse al termine del 6° capitolo annuncia la venuta dell'ultimo giorno, quello del giudizio, in questo modo: "Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?" (Apocalisse 6,15-17)

È quello "il giorno grande e terribile del Signore" di cui parla il profeta Malachia nel libro omonimo in 3,23.
È da ricordare, infatti, che il libro dell'Apocalisse è una rivisitazione proiettata alla fine dei tempi degli avvenimenti profetici dell'Antico Testamento alla luce dei Vangeli e della rivelazione di Gesù Cristo, l'agnello del Padre, definito come tale dal Battista quando disse "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Giovanni 1,29)

Come istruisce il "midrash" del serpente e dell'albero della conoscenza del bene e del male di Genesi 3, il peccato, all'origine iniettato dal tentatore nei progenitori, ha agito come DNA nel sangue e ha condiziona tutta l'umanità, uomini potenti o no, ingannando sull'amore di Dio, velando il volto del Padre, impedendo di conoscerlo così come egli è.
Il racconto di Caino e Abele che si sviluppa in Genesi 4, immediata conseguenza del peccato di Genesi 3, è la dimostrazione che il peccato porta la morte e fa uccidere i fratelli.

"Salario del peccato è la morte" (Romani 6,23) scrive San Paolo.
Sì, il peccato porta alla morte e ricopre proprio tutti come pone in evidenza il profeta Isaia in 25,7-9, quando dice di quel giorno: "Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza."

Questo velo che copre la faccia è proprio il peccato, Isaia appunto lo definisce "condizione disonorevole".
Quel "esultiamo per la sua salvezza" equivale a dire "esultiamo per il Suo Gesù", visto che in ebraico salvezza equivale a scrivere "ieshua".

Il monte è quello del sacrificio di Isacco, ove questi fu restituito al padre Abramo come un risorto, ossia è il monte Moria che la tradizione fa coprire dal Tempio di Gerusalemme il cui c'era velo nel Santo dei Santi che precludeva l'accesso al luogo Santissimo da parte del popolo.
Solo il Sommo Sacerdote poteva accedervi e una sola volta l'anno.
Quel velo del Tempio, in effetti, come dicono i Vangeli, si squarciò alla morte in croce di Gesù (Matteo 27,51; Luca 23,45; Marco 15,38), infatti, proprio in quel momento ci fu anche un terremoto e una eclisse solare, come d'altronde aveva profetizzato il profeta Amos in 8,9.
Tale velo, la tenda che separava il Santo - "Qodesh" dal Santo dei Santi - "Qodesh haQodashim", era un drappo enorme alto venti metri e spesso un pollice, detto "paroket".
Dice lo storico Flavio Giuseppe che neanche la forza di due cavalli, uno di qua e uno di là, sarebbe riuscita a lacerarlo. Per tirarlo giù, arrotolarlo e portarlo a lavare ci volevano decine di uomini.
Giuseppe Flavio in De Bello Judaico 5.5.4 dice che il velo era adornato per raffigurare i cieli e Marco usa lo stesso verbo per descrivere l'apertura dei cieli durante il battesimo di Gesù e per segnare lo squarciarsi del velo del tempio - "scizome", "nouj" in Marco 1,10 e Marco 15,38.
Essendosi squarciato quel velo, come figli di Dio lo vedremo così come egli è.

IL PECCATO VELA LA VISIONE DI DIO
Lo ricorda bene il Salmo 24,3-6: "Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo. Otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe."

È, infatti, da ricordare che Mosè all'Oreb si coprì la faccia davanti a Dio che gli parlava dal roveto ardente, perché aveva paura del giudizio divino.
Il Santo e la santità sono è capaci di fa insorgere un sacro timore, giacché ne consegue che la grande luce che promana mette in risalto le miserie umane.
Mosè tra l'altro era nel peccato perché, come si ricorda, aveva ucciso un egiziano che maltrattava un fratello ebreo (Esodo 2,12).

La voce in Esodo 3,6 gli disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio."

Tornando a quel giorno, grande e terribile, l'Apocalisse parla di rupi di monti e caverne per nasconderci la faccia di Colui che siede sul Trono e dall'ira dell'Agnello; perché?
Quei particolari intendono ricordare e portare al brano dell'Esodo, su cui torneremo, in cui ancora sullo stesso Oreb il Signore passò davanti a Mosè proclamando "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà" (Esodo 34,6), ma nascose Mosè nella cavità di una rupe e questi non vide così il volto di Dio, ma solo le Sue spalle.
Dio nascose a Mosè il suo volto, ma alla fine si presenterà a tutti i vivi e i morti con l'ira dell'Agnello, questo sarà il volto che tutti gli uomini vedranno alla fine dei tempi.
Grande, appunto, è il terrore, perché tutti, liberi o schiavi, insomma ogni uomo in un modo o nell'altro è condizionato dal peccato.
Grande, però è anche il mistero della misericordia di Dio che nel combattimento finale contro il male si presenta nelle vesti di un Agnello e combatte con la parola, la verità e la giustizia, ma soprattutto vince con l'amore!
L'ira di Dio, in definitiva, è il volto di Cristo, il volto dell'Agnello, inviato per la salvezza e non per la condanna; infatti, dice il Vangelo di Giovanni: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui." (Giovanni 3,17)

In ebraico, faccia "panì" e ira "'af" hanno in comune la lettera di bocca "Peh", icona di un volto (infatti = a fine parola).

Leggendo le singole lettere di "ira" "'af" come icone si ottiene che è vedere "dell'Unico il volto ", "dell'Unico la bocca " quindi "dell'Unico la Parola ", ossia essere al cospetto del Verbo di Dio.

Le antiche profezie e gli stessi Salmi di Davide attendevano "Il più bello dei figli di Adamo" (Salmo 45,3)
Questi in modo chiaro parlano di Lui, del Messia, il Consacrato, il Cristo, l'Unto.
"'Adam" in ebraico è anche l'uomo in generale.
Il figlio di Adamo è l'uomo nuovo atteso quello che non poté nascere dalla prima coppia che ormai aveva peccato.

Nei Vangeli la definizione "Figlio dell'Uomo" si trova circa 80 volte.
Quel Salmo, infatti, così prosegue: "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perciò Dio ti ha benedetto per sempre. O prode, cingiti al fianco la spada, tua gloria e tuo vanto, e avanza trionfante. Cavalca per la causa della verità, della mitezza e della giustizia. La tua destra ti mostri prodigi. Le tue frecce sono acute sotto di te cadono i popoli colpiscono al cuore i nemici del re. Il tuo trono, o Dio, dura per sempre; scettro di rettitudine è il tuo scettro regale. Ami la giustizia e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni." (Salmo 45,3-8)

In questo Salmo "Tu sei il più bello" in ebraico è scritto "iapeiapita" , mentre bello soltanto e "iapoeh" , appunto per questo è un superlativo.
Spezzandolo + tenuto conto che da solo è "bellezza", "magnificenza", "splendore" si può pensare a "bellezza/splendore/magnificenza del volto Completa "; e ancora, considerato che è un pezzo di pane per oblazione (Levitico 2,6), ci sta anche "bellissimo pezzo di pane per oblazione ".

Il peccato dilaga nel mondo perché nel cuore dell'uomo da tempi atavici non c'è posto per Dio o comunque Dio non è messo al primo posto.
Tutto ciò che lo sostituisce o lo soppianta è definibile come "idolo".
Una persona o cose, anche se possono sembrare banali, che prendono nel nostro cuore il posto di Dio, sono, infatti, da considerare idoli.
L'amore del denaro, la concupiscenza, l'avarizia, la ghiottoneria sono tutte forme d'idolatria, come pure lo sport, il potere, il sesso, l'io dell'uomo, l'opera delle nostre mani, l'operare continuamente per apparire e per farsi riconoscere ed, infine, lo stesso "amore" geloso per una persona possono diventare idoli.

In definitiva, se si mette la creatura al posto del Creatore si incappa nell'idolatria.
"Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni." (Salmo 115,4-7; Salmo 135,15-17)

Siamo noi stessi che diventiamo come pupazzi, marionette mosse da un'altra volontà, infatti, la nostra mente e la nostra bocca non ci dicono più che sbagliamo, i nostri occhi non vedono più gli errori che facciamo e, purtroppo le nostre gambe, quelle spirituali c'impediscono di proseguire nel cammino di conversione.

Guardiamo e vediamo bene i difetti degli altri, ma non vediamo i nostri.
Si realizza così pienamente il monito di Gesù quando ci pone in attenzione col dire: "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello." (Luca 6,41s)

Com'è noto, c'è nella Torah, sia in Esodo 20,4, sia in Deuteronomio 5,8 il comandamento: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra."

Dalla parte di Bibbia comune con la Tenak ebraica, cioè di quei libri dell'Antico Testamento scritti sin dall'origine in ebraico o aramaico, potrebbe allora apparire paradossale che nonostante l'impedimento di farsi immagini di Dio vi siano in più parti Sue descrizioni che lo presentano in forma e con sentimenti umani.
Manifestazioni o presentazioni antropomorfiche del Dio d'Israele sono fatte proprie dall'Antico Testamento e accettate dai "midrash" ebraici, ma è poi trovata repulsione da parte dell'ebraismo, almeno come c'è pervenuto dopo gli eventi del 70 d.C., ad accettare la natura divina in un uomo.
Per l'ebraismo attuale, infatti, il Messia, da loro ancora atteso, sarà comunque soltanto un uomo, mentre questo eletto, l'Unigenito di Dio, nella fede cristiana è Gesù di Nazaret, il Cristo, in cui oltre l'umana c'è la pienezza della natura e sostanza divina.
L'opinione ebraica è che trattandosi di un Dio che si rivela, cioè che si mette in relazione, è evidente che le Sacre Scritture devono colpire l'attenzione dei fedeli con aspetti a loro adatti, quindi, per loro è del tutto plausibile che nella narrazione quanto captato di Lui da parte di un uomo debba avere connotazioni comprensibili agli altri in modo che la descrizione possa essere raccolta, ma punto e basta!

Mentre ciò è comprensibile dal punto di vista razionale e umano tale posizione non pare però tener conto della volontà divina, proposta nei testi ispirati delle Sacre Scritture, in particolare nel Salmo 82,5-7 che a chiare note così si esprime: "Non capiscono, non vogliono intendere, avanzano nelle tenebre; vacillano tutte le fondamenta della terra. Io ho detto: Voi siete dei, siete tutti figli dell'Altissimo. Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti."

Gesù stesso pone in evidenza proprio quel passo ai Giudei: "Disse loro Gesù: Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio - e la Scrittura non può essere annullata, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?" (Giovanni 10,34-36)

Ecco che quel comandamento che proibisce le immagini di Dio allora non è infranto dai cristiano quando da questi Dio viene venerato nell'immagine del suo Figlio.
San Giovanni nella sua prima lettera: "Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita, infatti, si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi - quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo." (1Giovanni 1,1-4)

Parlando di Dio, allora, accade che ai cristiani i termini come "demut" immagine, "tselem" somiglianza, "tsurah" forma, "panim" volto, danno un pathos particolare, perché portano subito alla mente il volto raggiante d'amore per noi di nostro Signore.

I sacri testi della Tenak o Antico Testamento ebraico non potevano, infatti, che tratteggiare un Dio nascosto in un forno fumante e una fiaccola ardente, in un roveto, dietro un velo, sulla nube, con una colonna di nubi e con una colonna di fuoco, nel terremoto, nel fuoco e in un vento leggero.
Gli stessi però hanno anche accennato a un Dio - persona, vivo e comunicante, simile per più aspetti ad Adam, all'uomo e alla donna, maschio e femmina, con faccia, spalle, petto, gambe, piedi, narici, braccia, con mani e dita che parla, siede, odora, che s'addolora, si rallegra... e può cambiare opinione, essere geloso e preso da emozioni anche se è lento all'ira, un re che giudica sul trono divino o nel Tempio.

DIO S'È FATTO UOMO PER FARSI CONOSCERE
Dio non è accessibile alla mente dell'uomo proprio perché l'uomo non intende a pieno la dimensione dell'amore.
Ecco che nel "midrash" della creazione d'Adamo di Rabbi Hoshaya in Genesi Rabbah 8, si legge: "Quando il Santo, benedetto sia, ebbe creato il primo uomo, gli angeli s'ingannarono su di lui (prendendolo per Dio essendo a sua immagine e somiglianza) e vollero acclamarlo con Santo, Santo, Santo ... Che cosa fece allora il Santo? Fece scendere il sonno su di lui, così che tutti compresero che era un uomo."

Gli angeli, infatti, sanno che "Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele." (Salmo 121,4)
L'uomo pensato nella sua pienezza da Dio, suo Figlio, Gesù Cristo come è nel "Credo" cristiano, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò da morte, e dormì nella tomba ingoiato dalla morte, scese agli inferi e liberò le anime dei giusti, ma si svegliò perché la morte non poteva tenerlo in proprio potere, del resto "forte come la morte è l'amore". (Cantico dei Cantici 8,6)

Dio però nei tempi antichi comunque ha trovato il modo per rendersi captabile all'uomo attraverso la manifestazione della propria Gloria, "Kavod", in modo fisico e spirituale con una propria specifica "presenza", detta "Shekinah" quella che si presentò al profeta Ezechiele come carro di fuoco sulle rive del canale Chebàr con le ruote che andavano in tutte le direzioni, per annunciare il tempo propizio per il ritorno degli esuli da Babilonia.

La descrizione del profeta Ezechiele si sofferma sul fatto che c'era "...in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava." (Ezechiele 1,26-28)

L'esegesi rabbinica antica non aveva timore, infatti, di discutere e d'interpretare i testi biblici prendendo con semplicità e come elemento credibile in modo oggettivo il versetto della Genesi 1,26: "E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza", riflettendo così il credo della religione dell'antico Israele che riteneva esservi uno stretto nesso tra l'apparenza fisica dell'uomo è il suo artefice, un Dio individuo, e l'uomo "imago Dei".

Non sono mancati, soprattutto dal medioevo ebraico con la Qabbalah in poi, tentativi di enfatizzare elementi di non visibilità e di non fisicità, con un approccio allegorico o mistico che porta a una fumosa visione filosofica intellettualistica di Dio ove è esasperato lo spirito sulla materia il che però mal si collega alla visione originaria d'Israele che non fa proprio il dualismo anima corpo, ma considera l'essere umano unità inscindibile di corpo, anima, spirito, il che poi è accolto dalla teologia cristiana tanto che l'individuo sarà risorto integralmente col proprio corpo, sia pure trasformato.

D'altronde la visione d'Ezechiele in 1,26 non può essere stravolta più di tanto, essendo questa inequivocabile nel dire: "Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane."

Questa constatazione comporta una realtà, essere simile e somigliante a Dio implica la fede nella risurrezione, perché l'uomo se simile e somigliante a Dio non sarà soggetto a morte eterna.
Nei tempi di Dio, che non sono i tempi che conosciamo, secondo il pensiero delle Sacre Scritture, chi muore, quindi, sarà soggetto al processo della risurrezione.

Non credo che sia casuale combinazione che quei versetti della Bibbia che parlano della somiglianza dell'uomo con Dio in Genesi "Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Genesi 1,26) e in Ezechiele abbiano lo stesso numero di capitolo 1 che indica Lui, l'Uno, e lo stesso numero di versetto il 26, numero associabile alle lettere del Tetragramma Sacro IHWH :

= ( = 5) + ( = 6) + ( = 5) + ( = 10) = 26.

Tale fatto pare proprio voluto e sta ponendo l'accento su un'attesa sperata, quella dell'incarnazione.

Nel momento culminante dell'apertura del mare Mosè cantò: "Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome." (Esodo 15,3)

Per esprimer il concetto di "guerriero" nel testo ebraico Mosè dichiara è "uomo" "'aish" "di guerra" "milhemah" il che proprio nella Torah apre a pensarlo veramente come uomo!
Nel Talmud, nella Pesista, raccolta di pensieri midrashici dei maestri "amoraim" del III-IV secolo, Rav Kahana relativamente al versetto di Esodo 20,2 "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù" è detto:

"Dio appariva loro come un eroe che dà battaglia e apparve loro al Sinai come uno scriba che insegna la tradizione e apparve loro nei giorni di Daniele come un vecchio che insegna la Torah e apparve loro nei giorni di Salomone come un giovane disse loro il Santo, benedetto sia: Io sono colui che era al mare, Io colui che era al Sinai, Io sono il Signore tuo Dio."

Quando Dio apparve loro, ognuno lo riconobbe come proprio Dio.
Egli parlò come se la parola fosse diretta a ogni singolo individuo e ciascuno recepì di Lui quanto era in grado.
Del resto, come fu per la manna, osserva la Pesista di Rabbi Yosi bar Hanina, neonati, giovani o vecchi gustarono secondo le proprie capacità.

Mosè è il più grande dei profeti, l'uomo della visione, infatti:
  • Numeri 12,6-8 - "Il Signore disse: Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi, ma ed egli contempla l'immagine del Signore."
  • Esodo 33,11 - "Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico."
Nella Bibbia "bocca a bocca" e "faccia a faccia" sono dei modi di dire.
Il secondo modo, "faccia a faccia", è presente 12 volte; nell'Antico Testamento per 11 volte, di cui 5 nella Torah - Genesi 32,31; Esodo 33,11; Numeri 14,14; Deuteronomio 5,4 e 34,10; 1 sola volta nel Nuovo Testamento, precisamente in 1Corinzi 13,12 nel famoso "Inno alla carità" di San Paolo quando dice "...allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto."

In ebraico "faccia a faccia" è "panim 'oel panim" .
Questo pensiero è fondamentale: il conoscere Dio è connesso a un fatto molto concreto, a un rapporto d'amore di tutto se stesso alla stregua del "conoscere" ebraico di una donna, che sottintende in definitiva l'avere un rapporto d'amore anche fisico.

È questa una metafora che indica una comunione molto stretta, ma non ancora evidentemente la visione completa.
Lui, quindi, è lo sposo che si propone a noi con un patto di matrimonio eterno.

VEDERLO NEL PROSSIMO
Sull'Oreb, infatti, Dio ebbe a dire a Mosè: "...nessun uomo può vedermi e restare vivo." (Esodo 33,20)
Questo passo in Esodo 33 crea alcune perplessità rispetto a questa visione faccia a faccia, perché, se pure Mosè parla con Dio "faccia a faccia", fisicamente con gli occhi, sull'Oreb di fatto vede solo la sua schiena.

Mosè al versetto 13 chiede al Signore "indicami la tua via" e il Signore al 14 "Rispose: Io camminerò con voi e ti darò riposo", ma in effetti in ebraico dice "Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo", poi al 20-23 "Soggiunse: Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo. Aggiunse il Signore: Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere."

Quel volto non poteva essere visto, ma da questo era atteso il provenire della grazia e della pace, come appare evidente dalla nota benedizione di Numeri 6,23-27 che recita: "Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò."

Pensiero analogo è nei Salmi:
  • 4,7 - "Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto."
  • 31,17 - "sul tuo servo fa splendere il tuo volto, salvami per la tua misericordia."
Egli comunque guarda di nascosto l'amata: "Somiglia il mio diletto a un capriolo o a un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate." (Cantico dei Cantici 2,9)

Lui, il Signore, è l'innamorato che spia, spesso purtroppo, inosservato, ma è presente nelle vicende che riguardano l'amata.
I rabbini commentano che le mura sarebbero le spalle dei sacerdoti che benedicono e le grate le due mani benedicenti con le dita leggermente allargate.
Dio camminava continuamente con Mosè e col popolo, non vedevano il suo volto, ma una nube di giorno e una colonna di fuoco di notte e il suo volto però rimase sempre invisibile:
  • Salmo 77,20s - "Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili . Guidasti come gregge il tuo popolo per mano di Mosè..."
  • 1Corinzi 10,1-3 - "...i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo."
Quella rupe sull'Oreb aveva una caverna, la stessa ove Elia sentì "il sussurro di una brezza leggera", il Signore che passava in 1Re 19,9-18.

Perché e cosa sono le spalle di cui parla?
In ebraico in Esodo 33,23 quelle spalle sono "il mio dietro" gli "'achorai" , che può anche venir tradotto con "altro" e "ultimo".
Lui, infatti, lo possiamo vedere negli altri e negli ultimi!
Spezzando la parola "'achorai" , disinteressandosi della vocalizzazione, infatti, si ha che in ebraico sono i fratelli "'ach", che nel corpo sono .
Gesù, infatti, nel giorno del giudizio finale, quando lo vedremo nella sua gloria ricorderà ai giusti gli atti di misericordia, perché: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." (Matteo 25,40)

Sul fatto che Dio fece vedere a Mosè solamente le proprie spalle è da segnalare il pensiero di Rabbi Huna bar Bizna che con riferimento al testo Esodo 33,20-23 ha scritto: "Da qui si ricava che il Santo, benedetto sia, gli fece vedere il nodo dei 'tefillin'." (TB Berakot 7a)

I "tefillin" sono i filatteri, le fasce di cuoio con cui gli ebrei osservanti in preghiera si legano su braccia e sul capo, secondo prescrizioni dedotte dalla Torah, rotoletti con alcuni versetti della Torah stessa.
In definitiva, secondo questo pensiero, Dio avrebbe un corpo, e pur se Mosè non gli ha visto il volto, ebbe a vederne la schiena.
Da questo è da concludere che assume la sembianze umana e che quando lo fa ha le caratteristiche di un ebreo osservante.
Ecco che nella letteratura talmudica Dio è descritto come un uomo pio che compie tutti gli atti di misericordia.

Disse Rabbi Simlay: "Troviamo che il Santo, benedetto sia, pronuncia la benedizione sugli sposi (Genesi 1,28), adorna le spose (Genesi 2,22), visita i malati (Genesi 18,1), seppellisce i morti..." (Genesi Rabbah 8,13)

C'è poi questa interpretazione nel Talmud: "C'è un giusto che è buono e un giusto che non è buono! Chi è buono verso Dio e verso il prossimo è il giusto che è buono; ma chi è buono verso Dio e cattivo verso il prossimo è il giusto che non è buono. C'è poi un malvagio cattivo e uno che non lo è. Chi è il malvagio verso Dio e malvagio verso il prossimo è il malvagio che è cattivo, ma chi è malvagio verso Dio, ma non verso il prossimo è il malvagio che non è cattivo." (Kiddushin 40 a)

L'ebraismo ha sempre attribuito un aspetto di forma umana al suo Dio; si pensi in particolare alle descrizioni dello sposo nel Cantico dei Cantici.
Questi, infatti, è bello d'aspetto, ha occhi, braccia, gambe, collo, petto, dita, mani, parla, bacia...

La prima volta di un "faccia a faccia" con l'uomo raccontato nella Bibbia fu nel famoso episodio di Giacobbe al torrente Iabbok.

Lui stesso dichiara questo faccia a faccia nel racconto: "Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora. Giacobbe rispose: Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto! Gli domandò: Come ti chiami? Rispose: Giacobbe. Riprese: Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto! Giacobbe allora gli chiese: Svelami il tuo nome. Gli rispose: Perché mi chiedi il nome? E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: Davvero - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva." (Genesi 32,22-31)

Giacobbe non è più quello di prima com'è sottolineato dal fatto che ha un nome nuovo, in quanto Dio stesso gli cambia il nome e viene scritto evidentemente nel libro della vita.
Chi è scritto nel libro della vita può vedere Dio già in questo mondo e goderlo in pienezza nell'altro.

VEDERE IL PADRE
Dio, però, in tutta la sua gloria può essere visto solo dagli angeli.
Solo loro nel cielo contemplano perennemente la sua gloria.
Sta il fatto che:
  • "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato." (Giovanni 1,18)
  • "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli . Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare." (Matteo 11,25-27)
  • Gesù a Filippo che nel Vangelo di Giovanni disse: "Signore, mostraci il Padre e ci basta" rispose: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me" (Giovanni 14,9-11)
Per i cristiani, allora, ormai la ricerca di Dio converge nei riguardi dell'incontrare Gesù, ma senza veli.
C'è un episodio, narrato nel Vangelo di Giovanni, dopo la risurrezione di Lazzaro, quando alcuni Greci chiesero di vedere Gesù: "...si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: Signore, vogliamo vedere Gesù. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà." (Giovanni 12,21-26)

La risposta di Gesù pare sibillina.
Come si vede cercarono di vedere Gesù anche degli stranieri, come siamo noi, non circoncisi rispetto agli Israeliti, e la risposta fu... il discorso del chicco di grano.
È da tenere presente che in ebraico peccato è "cheta'" molto vicino come lettere ebraiche proprio alla parola grano "chittah" .
Vederlo senza seguirlo completamente non baste ed è del tutto inutile; occorre, invece, entrare con Lui nella morte... in una "morte simile alla sua" (Romani 6,5).
La morte in modo certo uccide in noi il peccato e con Lui si entra in una vita nuova e si da frutto, in questo modo si segue Lui e Lui sarà con noi e, nel percorso di questo cammino con Lui, in qualche modo lo "vedremo" come veramente è e vedendo Lui in pratica vedremo il Regno di Dio.
Disse Gesù a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni:

"In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio." (Giovanni 3,3)

Occorre quindi far parte intima di Lui divenire carne della sua carne e divenire come questa gloriosa grazie alla Sua risurrezione.
A questo punto è essenziale ricordare quanto dice al riguardo San Paolo nella lettera agli Efesini: "...il marito è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!" (Efesini 5,23-32)

Far parte del corpo di Cristo è promessa di godere con Lui della gloria della risurrezione, così, infatti, come ci dicono i Vangeli, fecero gli apostoli nei quaranta giorni tra la risurrezione e l'ascensione quando lo videro col suo corpo splendente e quando parlava, li istruiva, e mangiava con loro.

In ebraico "carne" (Genesi 2,21; Giobbe 10,11; Esdra 37,6-8) e si usa anche per "corpo" nel suo insieme (Numeri 8,7, Esodo 30,32, 2Re 6,30), quindi l'individuo completo, l'essere vivente (Genesi 6,13-17, Salmi 136,25) è "bashar" .
Il termine "carne" rappresenta l'essere umano, ma non in senso pieno, come fa l'altra parola ebraica "'ish" che fu usata per Adamo in Genesi 2,23, ma esprime piuttosto l'infermità, la caducità, il suo modo di esistere davanti a Dio, la sua debolezza naturale di creatura.
Nella parola carne "bashar" si nasconde la parola "vergogna" ("bush" = ).

Gesù prendendo la natura umana ha nobilitato la stessa carne regalando il dono a tutti che possono farne parte; infatti, la sua carne divenne "gloriosa" con la risurrezione e così lo videro gli apostoli e i discepoli che addirittura la potettero toccare... non era un fantasma.
Lui abitando in noi accenderà, illuminerà, risorgerà , i nostri corpi , ossia la nostra carne "bashar" .
Dobbiamo far parte del suo corpo glorioso, star dentro al risorto Corpo , in definitiva far parte della Chiesa.
Questo è il mistero grande cui attingiamo attraverso il battesimo - nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo - sacramento, cioè il segno efficace della volontà della S.S. Trinità.
È questa, infatti, che dà alla luce i membri della Chiesa, sposa di Cristo, con l'immersione nel proprio seno... una rinascita a vita nuova.
Come Adamo, che non aveva altro padre e madre che Dio solo, il neo battezzato esce dal seno della vera madre e può iniziare, libero dal peccato antico, la storia con il Creatore come rifosse alle origini, ma con l'aiuto del perdono per nuove mancanze essendo ancora nel corpo.
Questa è la seconda nascita, oggetto di quel famoso colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo che si legge in Giovanni 3.

Ora tutto è pronto!
Lo sposo del Cantico dei Cantici in definitiva è il creatore di tutta la terra!
La sposa del Cantico dei Cantici ha però ancora un velo come è ricordato per tre volte in quel testo!
  • 4,1 - "Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo."
  • 4,3 - "Come nastro di porpora le tue labbra, la tua bocca è piena di fascino; come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo."
  • 6,7 - "Come spicchio di melagrana è la tua tempia, dietro il tuo velo."
Questo velo ovviamente sarà tolto nella camera nuziale, la cella del vino:
  • 2,4 - "Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore."
  • 2,6 - "La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia."
Dal contesto si comprende che la sposa è appunto l'Israele di Dio, vale a dire è la comunità che ha accettato la sua alleanza.
Del pari il Signore è lo sposo di ogni individuo di questa comunità.

Dice chiaramente il profeta Isaia: "Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra." (Isaia 54,5)

Scrive il profeta Osea: "Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell'amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore." (Osea 2,21s)

I cristiani entrano a pieno titolo in questo piano di santità, fanno parte del popolo santo di Dio, per essere sua sposa "...voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio..."(1Pietro 2,9s)

Grazie a Gesù facciamo parte dell'Israele di Dio ed è accaduto che:
  • il Signore ha sposato i cristiani con l'atto scritto della nuova Torah, il discorso della montagna, che altro non è che la "ketubah" del patto matrimoniale;
  • hanno accolto il pane del suo corpo e il calice del vino della "...nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi". (Luca 22,20)
  • hanno avuto il mandato "...di fare questo in memoria di me" (Luca 22,19)
Là, nella sala del "cenacolo", la cella del vino, dove Gesù aveva celebrato le nozze, cioè la festa dell'alleanza con l'embrione della comunità cristiana, ossia con gli apostoli della prima ora, ecco che secondo il Vangelo di Giovanni, dopo la risurrezione, con il corpo glorioso, incontrò i dieci - infatti, mancavano Tommaso e l'Iscariota che si era impiccato.
In tale occasione Gesù soffiò su quei dieci come IHWH aveva fatto su Adam con l'anima "nismat", lo Spirito Santo, ossia scese su di loro la presenza completa della "Shekinah".

Questo è il racconto: " La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi." (Giovanni 20,19-23)

Era certamente con loro anche Maria, che sarà con loro nello stesso posto nella Pentecoste, la madre di tutti i discepoli di Gesù da Lui, infatti, consegnata a Giovanni sotto la croce.
Proprio dieci è il numero minimo necessario e sufficiente, il quorum, detto il "Minian", di ebrei maschi adulti (che hanno cioè già superato l'età dei tredici anni della "Bar Mizvah" e hanno pieno titolo di far parte della comunità) perché sia valido il rito sinagogale e la preghiera pubblica ebraica.

Perché dieci?
Era accaduto che il numero di otto giusti, costituito da Noè i tre figli e le mogli, non bastò per evitare il diluvio.
Dieci fu il numero minimo di giusti che Abramo spuntò nella trattativa (Genesi 18,23-33) che ebbe con Dio per cercare di salvare le città di Sodoma e Gomorra, ma non furono trovati e si salvò solo Lot con la sua famiglia?
Con il che si conclude che quei dieci sono i nuovi giusti attesi, la nuova comunità attesa, quella grazie a cui il mondo potrà sussistere fino al momento del giudizio finale.

In ebraico "dieci" "oe'shoer" dal radicale del verbo "dare, togliere la decima" e del termine "decima", è parola che si può pensare come + , ove è il radicale di "fare" e la lettera graficamente è una testa che indica sinteticamente il corpo di un uomo. Ebraico.
Allora, il dieci ebraico letto in questo modo suggerisce l'idea molto colorita e collegata al tema di "fare corpo".
Quindi quei 10 sono il corpo del Risorto che lascerà in terra dopo la Sua ascensione che avverrà 40 giorni dopo.
Cinquanta giorni dopo in quel cenacolo sui 120 ivi riuniti, corrispondente al numero dei partecipanti del Sinedrio, scende lo Spirito Santo.
È nata la Chiesa corpo di Cristo, casa del risorto, nuova assemblea, svincolata dall'ebraismo, necessaria per portare la luce del Cristo al mondo intero coinvolgendo i pagani nel piano salvifico di Dio.
La carne della sposa è la carne dello sposo, perché "i due saranno una carne sola" (Genesi 2,24; Efesini 5,23-32).

VEDERLO NELL'INTIMITÀ E NELL'EVANGELIZZAZIONE
C'è ovviamente il periodo del fidanzamento in cui è provata la fedeltà, con l'ascolto delle Sue parole, mettendo in pratica in ogni occasione i Suoi comandamenti e tramandando questa eredità spirituale di padre in figlio, differenziandosi così in modo totale dai pagani.
I fidanzati si parlano ed ecco la preghiera personale con l'ascolto di Lui in una propria intimità, come pare cogliersi la proposta da parte di Gesù nel discorso della Montagna, al versetto Matteo 6,6 in cui parla di una camera segreta.
Nell'amore e nell'amicizia, importante è il comunicare e la preghiera è il linguaggio dell'amore con il Creatore.
È là in quella camera segreta che accadrà che lo sposo verrà dalla sposa, nella camera nuziale e lo sposo abbraccerà la sposa e si vedranno senza veli.
Quello del "segreto" è proprio del rapporto intimo tra i due sposi della sfera totale corpo, anima spirito, solo di loro due, ove altri non entrano.
Seguendo questo pensiero del segreto e della camera nel Vangelo di Matteo ho raccolto questi versetti:
  • Matteo 1,19 - "Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto."
  • Matteo 6,3 - "...mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
  • Matteo 6,6 - "...quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
  • Matteo 16,17-18 - "...quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
  • Matteo 6,21 - "Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore."
Il tesoro, infatti, si tiene in un luogo segreto.
Dice, infatti, il Vangelo di Luca al capitolo 2 che nell'infanzia del Salvatore:
  • - Luca 2,19 - "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore."
  • - Luca 2,51 - "Partì dunque con loro e tornò a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore."
Queste note portano a considerare il matrimonio della Santa Famiglia di Nazaret, poi il Discorso della Montagna, come sintesi del segreto dell'uomo con Dio suo sposo perfetto, quando l'uomo consente che abiti nel proprio cuore.
Il desiderio del Signore è di poter entrare in confidenza intima con ciascuno e l'allegoria più prossima per far comprendere l'intensità del rapporto desiderato è proprio quello dello Sposo nei riguardi della Sposa.
Chi sa d'essere debole, in Lui può trovare forza, perché essendo Lui lo sposo sa bene che spetta anche a Lui quel: "trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita." (1Pietro 3,7)
La preghiera di Gesù nel Vangelo di Giovanni ci assicura l'unione:
  • Giovanni 17,9 - E ora Padre "...non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi."
  • Giovanni 17,11 - "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi."
  • Giovanni 17,22-23 - "E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me."
Occorre che il nostro uomo vecchio muoia definitivamente!
Nel frattempo non resta che seguirlo in questo corpo... lavorando con frutto (Filippesi 1,22), ma "Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne." (2Corinzi 4,16-18)

Al momento della risurrezione al sepolcro, sia l'angelo, sia poi Gesù stesso disse alle donne che lo avrebbero visto in Galilea.
Per ben due volte risuonò l'invito; infatti: "...l'angelo disse alle donne: Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto. Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: Salute a voi. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno". (Matteo 28,5-10)

Dobbiamo riandare al momento del primo incontro, indimenticabile, come il primo bacio tra fidanzati!
E siamo testimoni che abbiamo visto come là ci precede e opera in noi e nei fratelli quando viene annunciato!
Ciascun cristiano, perciò, ottiene una particolare grazia.
È, infatti, raggiunto da una rivelazione che se vuole diviene totalizzante, capace di rivelare il Regno dei Cieli in quanto Gesù ha detto: "Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare".(Luca 10,22)

Se entriamo nella tentazione di voler avere altri segni, e Lui ancora non li concedesse, dovrebbe risuonarci nelle orecchie il "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono". (Luca 10,23s)

Trascorrendo una vita con Lui si forma il bagaglio dei memoriali personali che sono più del vedere!
Possiamo concludere con un l'invito che ci fa il Salmo 34,6: Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti.
Saremo raggianti della luce che promana da Lui!

CRISTO LO SPECCHIO DEI CRISTIANI
Lo specchio, con la propria insita capacità di riflettere le immagini, è un oggetto che, rimandando all'occhio ed alla vista, gli importanti strumenti di conoscenza a disposizione dell'uomo sul mondo esteriore, consente un potenziamento dei poteri umani.
Lo specchio, infatti, permette di scorgere anche ciò che non possiamo vedere, perché dietro di noi, ma soprattutto di vedere come siamo in quanto i nostri occhi non possono uscire fuori di noi stessi e guardarci direttamente.
Abbiamo già considerato che in ebraico specchio si dice "re'i", e si scrive e questo dal punto di vista grammaticale riferito al verbo vedere corrisponde a "vedermi", ossia "vedere () il (proprio) essere .
Lo specchio così ha eccitato anche la fantasia, entrando nel folklore e nella mitologia di vari popoli ed ha portato ad immaginare specchi capaci di vedere il mondo interiore, fino a divenire oggetto superstizioso tanto che nel passato è stato pure strumento di divinazione da parte di stregoni e di maghi.

Al riguardo basta ricordare la favola di Cenerentola in cui la regina cattiva che era anche una strega consulta il proprio specchio magico e gli chiede "specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?"
Oggi, va tanto di moda il "selfie" (termine derivato dalla lingua inglese), che è un autoritratto fotografico realizzato con uno telefonino multimediale, un tablet o una fotocamera digitale, puntando verso se stessi o verso uno specchio l'apparecchio e scattando, similmente a quanto avviene con la tecnica dell'autoscatto che utilizza un dispositivo che permette lo scatto ritardato di una fotografia.
I pittori, per farsi un autoritratto non potevano che rimirarsi attraverso uno specchio.
Ibn Arabi (1165-1240) filosofo, mistico e poeta arabo noto, come Doctor Maximus, ha sostenuto che "Il soggetto che riceve la rivelazione essenziale vedrà unicamente la propria forma nello specchio di Dio; non vedrà Dio, è impossibile che Lo veda, pur sapendo di non vedere la propria forma se non in virtù di quello specchio divino. Ciò è del tutto analogo a quanto avviene in uno specchio materiale: contemplandovi delle forme, non vedi lo specchio pur sapendo che vedi quelle forme o la tua propria forma solo in virtù dello specchio. Dio è dunque lo specchio nel quale vedi te stesso, come tu sei il Suo specchio nel quale Egli contempla i Suoi Nomi. Ebbene, questi non sono nient'altro che Lui stesso."

L'idea che lega lo specchio a Dio si trova già nel libro deuterocanonico della Sapienza quando in 7,24-27 dice: "La sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra. È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti."

Certo è che se si avvicina l'idea dello specchio a quella di Dio e in particolare a IHWH la cui prima lettera è la iod , ecco che si può pensare che l'archetipo di tutti gli specchi è quello che permette di "vedere () l'Essere " assoluto cioè Lui, il Signore, IHWH.

Abbiamo visto che il Salmo 42,6 dice tra l'altro: "Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza (= Gesù) è del mio volto e mio Dio."
Salvezza è Gesù, quindi il mio volto è Gesù, idea questa che è entrata nel pensiero di San Paolo.
La Sapienza di Dio è frutto del Suo Spirito e San Paolo traspone questa sapienza come immagine riflessa nei cristiani.
Man mano che crescono nel cammino della fede divengono specchi, sempre più tersi, dell'immagine di Dio; infatti: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto." (1Corinzi 13,12)

Questi, ricevendo il suo spirito col battesimo continuamente sono invasi dallo stesso Spirito che scende dalla madre Chiesa sin dalla prima Pentecoste e così divengono specchi della Sapienza divina per il mondo: "Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore." (2Corinzi 3,17s)

La legge perfetta di Dio è l'immagine del Figlio che il Creatore ricerca in quelli che alla fine intende adottare tra i figli dell'uomo.
Non basta specchiarsi in essa, ma occorre consentire che tale immagine plasmi chi la guarda, infatti, dice la lettera di Giacomo: "Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla." (Giacomo 1,22-25)

Il pericolo del cristiano è, infatti, di trasmettere un'immagine alterata del Signore.

Teofilo, vescovo nel II secolo di Antiochia, nella sua opera, di cui già ho detto, "Apologia ad Autolico" scrive ancora sugli "occhi dell'anima e sugli orecchi del cuore": "Iddio è visto da coloro che possono comprenderlo, perché hanno aperti gli occhi dell'animo. Tutti hanno gli occhi, ma alcuni cosparsi di caligine e non scorgono la luce del sole; e non perché ciechi non possono percepire la luce splendente del sole, essa non esiste, ma essi devono farne risalire la causa a loro stessi e ai loro occhi. Così anche tu hai gli occhi del tuo animo offuscati da caligine, per le nefandezze e i peccati tuoi. L'uomo deve mantenere l'anima pura come terso specchio. Quando la ruggine si posa su uno specchio, in esso non si può rispecchiare l'immagine dell'uomo; così quando il peccato si radica nell'animo dell'uomo; egli non può avere la visione di Dio... Dio si mostra a coloro che possono vederlo, quando hanno aperti gli occhi dell'anima. Tutti hanno i loro bravi occhi, ma qualcuno li ha velati, incapaci di vedere la luce del sole. Il fatto però che i ciechi non vedono, non dimostra affatto come la luce del sole non appaia. I ciechi se la prendano con loro stessi, e con i loro occhi... Allo stesso modo, ragazzo mio, se tu hai gli occhi dell'anima velati dalle tue colpe e dalle tue cattive abitudini, non potrai vedere la luce. Come uno specchio limpido: ecco come l'uomo deve tenere la propria anima pura."

"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio." (Matteo 5,8)
È questa situazione ben sintetizzata nel canto:

Ecco: lo specchio nostro è il Signore!
Aprite gli occhi e guardatevi in lui e imparate com'è il vostro viso.
E togliete la sporcizia dalle vostre facce.
Amate la sua santità e rivestitevene; e sarete immacolati sempre davanti a lui.
Alleluja; date gloria al Suo Spirito!


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