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SAN GIUSEPPE...

 
GESÙ IL VIRGULTO, IL GERMOGLIO DI DAVIDE

di Alessandro Conti Puorger
 
 

"TITULUS CRUCIS"
Viste le molte questioni che si agitano tra gli studiosi attorno al titolo di "Nazareno" dato a Gesù, queste pagine costituiscono il tentativo di approfondire la questione e trarre personali conclusioni sul vero motivo di tale termine che è stato adottato dalla tradizione siccome varie volte è ripetuto nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli.
Per tre volte nei Vangeli è detto Gesù "di o da Nazaret", in greco " - - ", "apò", ex "Nazarèt" - in Matteo 21,11; Marco 1,9 e Giovanni 1,45 - nonché una volta in Atti 10,38, mentre per altre 6 volte nei Vangeli è detto "Nazareno" "", "nazarenòs", nella Vulgata "", "nazarenòs", precisamente in Marco 1,24; 10,47; 14,67; 16,6 e in Luca 4,34 e 24,19.

Gli Atti degli Apostoli ricordano Gesù come "Nazareno" per 5 volte 3,6; 3,10; 6,14; 22,8 e 26,9.
Secondo la tradizione cristiana, in ossequio a quanto a prima vista pare dedursi dai Vangelo di Matteo, l'espressione e l'aggettivo sarebbero riferiti alla città di "Nazaret" d'origine di Gesù.
Ciò che però complica la questione è anche il pensiero assai comune che quella parola porta anche a ritenere che Gesù avesse fatto il voto di nazireato, istituto di consacrazione fissato dalla Torah nel libro dei Numeri al capitolo 6.
Gli studiosi, poi, presentano altri argomenti al riguardo che allargano la prospettiva e la rosa delle possibilità.

Con quel nome di "Nazareno" Gesù era conosciuto perfino dai demoni, come pone in evidenza Marco 1,24 e Luca 4,34, e con tale attributo era annunciato quando passava; come ad esempio a Gerico ove sanò un cieco in Marco 10,47 e Luca 18,37.
I Vangeli canonici, peraltro, tutti e quattro presentano la "passione" del Signore e in tale occasione emerge più volte il titolo di Nazareno:
  • Matteo 27,71;
  • Marco 14,67 e 16,6;
  • Luca 24,19;
  • Giovanni 18,5 e 7 e poi in 19,19.
Ora, dai Vangeli, soprattutto da quello di Giovanni, in occasione della narrazione della "passione" di Gesù e in particolare nell'interrogatorio cui fu sottoposto da parte di Ponzio Pilato si coglie una grande tensione sul titolo di RE che gli viene attribuito.

Il tentativo di Gesù di sobillare contro Cesare e di tentare di scalare il potere, in effetti, risulta che fu la formale falsa accusa suggerita dai maggiorenti dei giudei al tribunale romano per conseguire il risultato, sia di eliminare uno scomodo personaggio, sia per dimostrare in modo palese al ceto benpensante della popolazione l'ingiusto comportamento degli invasori.
Cinque giorni prima della Pasqua, peraltro, una "folla", mossa dai discepoli, come ci dicono tutti i Vangeli canonici - Matteo 21,1-9; Marco 11,1-10; Luca 19,28-38; Giovanni 12,12-19 - aveva preso dei rami di palme, aveva steso a terra dei mantelli e in festa, gridando, uscì verso Gesù che entrava a Gerusalemme su un asinello e il loro grido di acclamazione era "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele!" (Giovanni 12,13)

Ciò, per certo, non era sfuggito ai romani e su questo evidentemente i maggiorenti Ebrei potettero fare leva.
In occasione del processo, invero, Gesù precisò: "Il mio regno non è di questo mondo" (Giovanni 18,36), eppure fu insultato e fustigato e il verdetto fece terminare la vicenda nel peggiore dei modi, con la crocifissione alle porte di Gerusalemme tra due "latrones" nome che i romani davano ai sicari zeloti come del resto era Barabba che il popolo fece liberare al posto di Gesù.

Per la terra di Giudea e di Samaria, su cui gli occupanti avevano messo sul trono Erode Archelao, un loro protetto, un figlio di Erode il Grande, quindi, non completamente indipendente, di fatto tributario di Roma, era veramente un tempo pieno di tensioni tra il mondo ebraico e quello romano.
Cause principali di tale tensione da una parte erano l'inflessibilità e la superbia dei Giudei legati alla tradizione e alle leggi della Torah e dall'altra il rude pragmatismo dei romani, di accettare, se indolori, le usanze dei popoli conquistati, ma inflessibili in caso di rivolte.

Questa attitudine dei romani, infatti, era ben definita dal detto di Virgilio: "Romane, memento: hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos" ossia "o Romano, ricorda: queste saranno le tue arti, e alla pace d'imporre una regola, risparmiare gli arresi e sgominare i superbi."

Veramente una profezia questa di quanto poi nel 70 d.C. accadrà con le atrocità dell'assedio di Gerusalemme da parte delle legioni romane sotto il comando dell'imperatore Tito, assedio che ebbe come conclusione tra l'altro la distruzione del Tempio.
I sacerdoti del Tempio, peraltro, ai tempi di Gesù cercavano di barcamenarsi tra le aspettative del popolo - dal cuore antiromano, tra cui operavano fazioni ribelli come gli zeloti e perfino terroristi come i sicari, separati e critici come gli esseni con i farisei pronti ad avere due facce - e le autorità romane, sempre meno tolleranti e sempre più consci che gli animi venivano sempre più a riscaldarsi e si delineavano e crescevano pericoli di rivolta stante le subdole azioni di guerriglia pur se ancora sporadiche.
I sacerdoti e l'élite del potere ebraico di Gerusalemme erano tutti impegnati a cercare d'evitare occasioni di sommosse, timorosi delle azioni di repressione e di perdere il proprio potere, ormai tentennante, per cui vedevano come fumo negli occhi i nazionalismi messianici che tendevano in quei tempi a fiorire, come ricorda Gamaliele negli Atti degli Apostoli 5,34-39, e che, vista la forza organizzativa e militare degli invasori, avrebbero comportato la fine del mondo giudaico.

Questa situazione palesa come riflesso una mancanza di fede in Dio e nelle Sacre Scritture, infatti, in particolare, proprio loro che dovevano essere i custodi del rispetto di quelle, non tenevano conto che proprio quello era il momento che si stava compiendo l'oracolo del compimento delle promesse nel famoso tempo dei 70 anni della profezia di Daniele.

È poi da ricordare questo episodio riportato nel Vangelo di Giovanni circa la decisione premeditata di far morire Gesù: "Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera! Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo." (Giovanni 11,47-53)

"È conveniente per voi" in tale occasione Caifa dice agli altri, i capi dei sacerdoti e i farisei riuniti nel sinedrio; gli interessi personali, perciò erano anteposti alla giustizia!

Tale fatto, ovviamente, è da pensare e ritenere che trapelò da parte di... "Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù." (Marco 15,43)

Con l'aiuto di un traditore tra gli apostoli quei personaggi erano riusciti a farlo catturare di notte e portarono Gesù davanti a Pilato con l'accusa di sobillare il popolo contro Cesare e fu crocifisso.

Sulla croce fu infisso il "titulus", la tavoletta con l'iscrizione della causa della condanna, fatta incidere da Pilato, su cui era scritto che Lui, Gesù, era Re.
Questa, in effetti, era la pura verità!
Tutta la Sacra Scrittura indica la venuta del Regno di Dio.
Si pensi che il centro dell'alfabeto ebraico, con cui è stata scritta la Torah, profetizza proprio: "il mio RE" "melki".



(Vedi: "Alfabeto ebraico, trono di zaffiro del Messia")

Quel "titulus crucis" è menzionato dai quattro Vangeli canonici con scritte diverse, ma tali libri sono unanimi nell'attribuire al condannato il titolo di Re.
I quattro Evangelisti, infatti, riportano l'indicazione di quella iscrizione in questi termini:
  • Marco 15,26 - "Il re dei Giudei";
  • Luca 23,38 - "Questi è il re dei Giudei";
  • Matteo 27,37 - "Questi è Gesù, il re dei Giudei";
  • Giovanni 19,19 - "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei".
Dell'ultima dizione citata da Giovanni, la più completa, come espressamente detto nello stesso Vangelo era in tre lingue: ebraico, latino e greco.
Solo in quest'ultima nel "titulus" appare il termine che è tradotto in italiano come "Nazareno".
Dal testo di quel Vangelo, infatti, si ricava che quella iscrizione era:
  • in latino "Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum", ricordata con le sue iniziali con l'acronimo INRI;
  • in greco " " e traslitterato con l'alfabeto italiano "Iesoûs ho Nazoraîos ho basileùs tôn Ioudaíon".
Per l'iscrizione in ebraico, invece, non si hanno elementi dai Vangeli e si possono solo fare congetture.
Al riguardo, l'erudito ebreo Schalom Ben-Chorin ha avanzato l'ipotesi che la scritta ebraica fosse proprio quella riportata da Giovanni, "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei".
Considerato che in ebraico la virgola non esiste e che la lettera "Waw" = sostituisce la virgola e la congiunzione "e", ragionevolmente propone:



quindi, traslitterato "Ieshua Hanozri W(u)melech Hajehudim".

Come si può ben vedere le iniziali delle quattro parole sono proprio corrispondenti al Tetragramma Sacro biblico, IHWH, il nome impronunciabile di Dio nell'ebraismo.
Tale fatto del "Titulus":
  • rafforzerebbe la motivazione della protesta esplicitata dai sacerdoti a Pilato per tentare di fargli modificare il testo della tavoletta (Giovanni 19,21), motivazione che ovviamente espressero in altro modo. (Vedi: "Il giusto cammino della verità")
  • apporterebbe un ulteriore elemento per chiarire il fatto che viene riferito che "Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: Davvero costui era Figlio di Dio!" (Matteo 27,54)
Con i criteri di "Parlano le lettere" le lettere di quelle 4 parole danno questo spunto: "da Gesù uscirà l'energia che a risollevare i corpi sarà e il Regno aprirà ; risarà nello splendore chi fu vivente ."

In questo modo quella dizione il re dei "giudei" , che pare limitativa e settoriale, con quel "risarà nello splendore chi fu Vivente " viene ad esprimere una regalità universale, su tutti i viventi vivi e morti.

Per la tradizione quella tavoletta col cartiglio originale sarebbe stato staccato dalla croce e deposto nel sepolcro col corpo di Gesù, quindi, gelosamente conservato assieme ai lini dalla Chiesa di Gerusalemme.
Per il titolo in ebraico, comunque, possiamo provare a vedere cosa riporta la reliquia della tavoletta del "Titulus" conservato a Roma nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Questa, secondo la tradizione, assieme alla croce e ad alcuni chiodi sarebbe stata rinvenuta e portata a Roma nel IV secolo da Sant'Elena madre dell'imperatore Costantino.
Vari studiosi considerano che la tavoletta, ritrovata nel 1492 in una nicchia su un arco a Roma in quella basilica, pur se la prova al radiocarbonio C14 ha attestato essere del X-XI secolo d.C., sia almeno copia fedele dell'originale - che i padri della Chiesa attestano di aver visto a Gerusalemme - per la presenza di certi particolari che nessun falsario avrebbe attuato rispetto ai Vangeli.
Quella tavoletta deteriorata ai bordi superiore e inferiore riporta queste lettere:
  • in ebraico (corrotto) () .
  • traslitterate dal greco IS NAZARENUS B [ASILEUS TVN IOUDAIVN]
  • In latino I. NAZARINUS RE [X IVDAEORVM]
In definitiva, mentre per il titolo di Re tutto è pacifico, ciò che lascia perplessi è il termine "Nazareno" che, in effetti, troviamo come:
  • "Nazarenus" in latino nel Vangelo di Giovanni;
  • "Nazoraîos" in greco nel Vangelo di Giovanni;
  • "Nazarenus" in latino nel titulus di Santa Croce di Gerusalemme a Roma;
  • "Nazarinus" in greco nel titulus di Santa Croce di Gerusalemme a Roma;
  • in ebraico nel titulus di Santa Croce di Gerusalemme a Roma;
  • "Notzri" suggerisce Schalom Ben-Chorin.
Al riguardo sono da tenere presenti i seguenti fatti:
  • il termine in esame è ebraico;
  • le lettere sono solo consonanti;
  • nel I secolo d.C. negli scritti le vocali non erano indicate con segni particolari,
  • lo scriba del "titulus" con probabilità era romano,
  • la vocalizzazione è insicura,
  • certo è che nel termine ci sono le consonanti N = e R = e un'intermedia che sembra al suono come una "Zeta" latina e potrebbe essere sia come la 7a lettera ebraica, la "zajin" , o come la 18a, la "tsade" o "tzade" = che hanno suoni confondibili;
  • in greco come in italiano non c'è una lettera specifica che renda la traslitterazione della = , la lettera di "giusto" e si può trovare traslitterata in italiano come "tsadiq", ma anche come "zadiq";
  • l'unico elemento che testimonia la consonante intermedia ebraica pare indicarla come ;
  • altre lettere ebraiche che hanno suoni confondibili con quelle sono anche la 15a "samech" e la 21a la "shin" .
A questo punto l'attenzione si concentra sui termini NZR e NTsR che ovviamente danno luogo a significati ben diversi tra loro.

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