BibbiaWeb.net - di Alessandro Conti Puorger

Decriptare la Bibbia - di Alessandro Conti Puorger Autore   Contatti    Cerca      Home     
BibbiaWeb 2017  
Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraicheLettere ebraiche e codice Bibbia - Clicca qui per consultareParlano le lettere

Tutti gli articoli di BibbiaWeb VANGELI E PROTOVANGELI...

IL SENO MATERNO DI DIO IN CIELO E IN TERRA
di Alessandro Conti Puorger

LA COMPASSIONE
Per gli ebrei, quanto possono dire su Dio, discende dalle Sacre Scritture, in particolare dalla Torah che assicura loro alleanza eterna, quella detta del Sinai.
Per i cristiani quelle Scritture in ebraico e aramaico, entrate nel canone della Bibbia cristiana assieme ai libri deuterocanonici scritti in greco e ai libri del Nuovo Testamento, col consiglio dallo Spirito Santo, assicurano la rivelazione del mistero pasquale del Cristo; infatti, tutto quanto Dio voleva far sapere di sé è stato rivelato e non resta che entrare nella sua Chiesa per far parte della nuova alleanza assicurata dalla sua morte e risurrezione e partecipare alla sua salvezza.
Quei testi sacri usati in sinagoga, ritenuti ispirati da Dio stesso, hanno avuto importanza fondamentale nella formazione di ambiente, cultura e spirito che circolava nel 1° secolo in Palestina su cui s'innestò il cristianesimo prima della diaspora ebraica seguente le guerre giudaiche e la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera delle legioni dell'imperatore romano Tito.
Quanto andrò avanti ad esporre e considerare si poggerà quindi a quei testi risalendo fino ai primi scritti in ebraico che rispetto alle traduzioni presentano aspetti che si perdono con le altre lingue come una fotografia non dice tutto del soggetto.
Richiamo i tanti articoli di questo mio Sito su tale pensiero, il tutto nato con "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" e col metodo di "Parlano le lettere" con cui ottengo per decriptazione pagine di secondo livello sul Messia grazie alle proprietà di icone delle 22 lettere ebraiche.
Il Messia, infatti, è lo scopo unico e nascosto della Tenak, con i significati delle lettere ebraiche di cui alle schede a destra della Home.
Per avere maggiori elementi e idee al riguardo rimando a:
Dopo questa premessa comincio a entrare nel merito della mia meditazione sull'aspetto materno di Dio nel mondo.
Percepito con i sensi un qualche aspetto della realtà, col termine "sentimento", derivato dal verbo latino "sentire", si viene a definire l'eventuale elaborazione personale suscitata dall'aspetto in esame se provoca una forma di affetto, di biasimo o di reazione per sé e per altri o di rivolta o adeguamento comunque al mondo esterno.
Il sentimento, insomma, è un generico stato d'animo umano suscitato da una percezione che dura più a lungo di una emozione, ma che è meno incisiva di una passione.
In teoria soggetti di sentimento, sia pure con graduazioni di modo e d'intensità diversa, in qualche modo sono tutti gli esseri viventi dotati di almeno un organo sensuale pur se molto rudimentale, onde a tutti loro sarebbero da rivolgere la compassione e il desiderio di bene, in quanto, è giusto avere rispetto massimo delle creature e del pianeta in cui viviamo essendo questa la nostra casa.
(Vedi: enciclica "Laudato si'" del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune)

Il verbo latino "sentire" ha una larga gamma di significati quali sentire, percepire con i sensi, provare, sperimentare, essere soggetto a, risentire di, comprendere, discernere, accorgersi, rendersi conto, essere conscio di, pensare, ritenere, credere, stimare, supporre, opinare, votare, esprimere un parere, dire la propria opinione, avere un'opinione di.
Sotto questi vari aspetti l'uomo potrebbe ben dire "sentio ergo sum".
Pensiero comune, infatti, è che il "sentire" è ritenuto essere al massimo livello nella specie umana, perché attraverso i rapporti e le interazioni abbiamo la prova diretta e continua nel prossimo dei nostri stessi "sentimenti".
Nella società, con il diritto e gli usi nelle varie civiltà, sono cresciute nel comune sentire le esigenze nei confronti del prossimo per cui le leggi ne hanno tenuto e ne tengono conto in modo sempre più articolato, fino a coinvolgere tra i tenutari di diritti anche gli animali, soprattutto quelli domestici, considerati soggetti non solo passivi degli stessi sentimenti.
Ora, un particolare sentimento che pare essere prerogativa essenziale del più alto sentire umano è la compassione, movimento intimo per il quale un individuo coglie la sofferenza altrui, ne prova pena e desidera di alleviarla.
Il termine compassione, che si rivela parola composta, com - passione, deriva dal latino "cum patior" - "soffro con" - e dal greco , "sym patheia" ossia "sim-patia", provare emozioni con...
Altro termine affine è "empatia", dal greco "en", che sta per "dentro" e "pathos", per "sofferenza o sentimento", quindi, è la capacità di capire ciò che una persona sta provando e d'immedesimarsi nella realtà dell'altro.
Pur se si possono capire i sentimenti di qualcuno - empatia - può non esserci il desiderio di alleviare le sue sofferenze - simpatia - e, viceversa, non sempre, quando si sa che qualcuno sta male e si ha voglia di aiutarlo, si riesce a capire e a provare in modo diretto e intimo il dolore che egli sta vivendo.
Pare proprio che empatia - simpatia - compassione siano una predisposizione naturale degli uomini che si sviluppa in tenera età attraverso il rapporto con gli altri esseri umani, principalmente con i genitori.
Non può sussistere, peraltro, una relazione umana senza empatia, perché è la base su cui poggiano le relazioni tra gli umani.
L'accettazione o il rifiuto dell'altro è il primo passo verso l'empatia e questa può portare alla simpatia, alla compassione e all'amicizia e all'amore o all'antipatia e all'odio provocando comportamenti e scenari conseguenti.
Mentre è certo che sentimenti del genere fanno parte del corredo umano non è certo in assoluto se alcune specie animali provano qualcosa di analogo.
I pareri al riguardo, infatti, sono contrastanti.
Forme di empatie non si possono però escludere del tutto tra gli animali più evoluti a spiccato comportamento sociale.
All'empatia parrebbero, infatti, sensibili anche animali, secondo esperimenti su cani, gatti e macachi, per l'insorgere di neuroni-specchio che in loro danno luogo a particolari sinapsi mentali nel vedere i comportamenti umani di dolore, gioia o altro.
Questi neuroni sono stati scoperti nel 1992 all'Università di Parma dal neurologo Giacomo Rizzolatti che in una conferenza il 7-07-2014 ebbe a dire "l'amore per il prossimo è dentro di noi... Nel dolore e nelle emozioni degli altri riconosciamo il nostro dolore e le nostre emozioni..."
Questi neuroni-specchio altri non sono che cellule nervose motorie del cervello che si attivano quando un individuo anche animale compie un'azione e quando osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto vale a dire i medesimi neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione, sono attivati anche nell'osservatore della medesima azione.


Attività celebrale simile: uno agisce, l'altro guarda

Già Darwin aveva notato che durante le gare, quando un atleta spicca un salto vari spettatori muovono i piedi, ossia lo stimolo visivo viene codificato e trasformato in attivazione motoria, insomma un immedesimarsi con l'altro.
Questa classe di neuroni che hanno importanza potenziale nello studio dell'imitazione e del linguaggio è stata individuata nei primati in alcuni uccelli e nell'uomo.
La rapidità particolare dell'apprendimento per imitazione distingue però gli esseri umani dagli altri primati non umani.
Lo stesso scienziato Giacomo Rizzolatti sostiene che: "Mentre nei bambini l'apprendimento per imitazione è velocissimo, le scimmie mostrano grandissime difficoltà... È stato osservato qualche caso isolato di apprendimento per imitazione, ma il più delle volte la loro è emulazione..."

Certo è che se il mondo è stato creato il motore è sicuramente l'amore e questo deve trapelare in qualche modo anche nelle manifestazioni naturali e quindi tra le sue creature.
Schopenhauer comunque diceva: "La pietà per gli animali è talmente legata alla bontà del carattere che si può a colpo sicuro sostenere che un uomo crudele verso gli animali non può essere un uomo buono."

L'etica di Schopenhauer (1788-1860), infatti, si basa sul sentimento della compassione, l'unica forma nobile e non illusoria di amore, per cui l'individuo riconosce nel dolore altrui il proprio dolore, superando l'egoismo e grazie all'ascesi otterrebbe la liberazione che secondo lui ha per fine la negazione totale della volontà, conseguibile con la castità, la rassegnazione, la povertà e il sacrificio.
Del tutto opposta è la teoria del "superuomo" di Nietzsche (1840-1900) che nega l'ascesi e accetta sofferenze, dolori e le contraddizioni del vivere con dionisiaco amore per l'esistenza ove non c'è spazio per la compassione, relegata a inutile residuato di una etica sorpassata.
Per contro, il filosofo israeliano Khen Lampert, prendendo spunto dalla morale della compassione di Schopenhauer, ha elaborato la "Teoria della Compassione Radicale" che, visto il soffrire dell'umanità, giudica imperativo morale il cambiare la realtà al fine di alleviare il dolore degli altri.
Tale stato d'animo sarebbe universale, radicato nella nostra natura umana, non mediato dalla cultura, causa dei mutamenti storici nel campo del sociale.
Scrive, infatti, il Lampert al riguardo: "Ho notato che la compassione, soprattutto nella sua forma radicale, si manifesta come un impulso. Questa manifestazione è in netto contrasto con le teorie di Darwin, che riguardano l'istinto di sopravvivenza, come determinanti il comportamento umano, e con la teoria freudiana del principio di piacere, che respinge qualsiasi apparentemente naturale tendenza da parte degli esseri umani ad agire contro i propri interessi."
(Khen Lampert - "Traditions of Compassion: From Religious Duty to Social Activism")

Con le teorie evoluzionistiche di Darwin la compassione è parsa in contrasto con l'istinto di sopravvivenza e col principio per cui si rifugge dal dolore e si cerca il piacere, ma studi più recenti suggeriscono che la compassione in realtà è un vantaggio per la sopravvivenza e l'evoluzione della specie e dell'individuo, nello stesso modo dell'altruismo.
Charles Darwin peraltro diceva: "La compassione e l'empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo possa ricevere in dono."
La compassione dipende dal giudizio dell'osservatore come porta a concludere Aristotele, visto che nasce se per l'osservatore vi sono i seguenti requisiti:
  • non banale sofferenza altrui;
  • la considerazione che chi soffre non lo merita;
  • la coscienza che lui o chi ama potrebbe soffrire pene analoghe per simili cause.
La prima compassione ciascuno, certamente l'ha avuta dalla propria madre.
Nel cristianesimo, infine, la compassione assurge al sentimento di amore perché discende dal prendere atto sia dell'amore di Dio, sia dalla constatazione che siamo tutti fratelli e poi dalla coscienza che Cristo ha patito per noi che non avevamo alcun merito.
Anche lui come uomo, ha imparato certamente la compassione dai propri genitori terreni, dalla propria madre Maria e dal di lei sposo Giuseppe.
Su ciò ovviamente torneremo ampiamente dopo aver visto alcuni aspetti nei testi detti dell'Antico Testamento che preparano il tema.

L'IMPRINTING DELL'UOMO SECONDO LA BIBBIA
La Bibbia, e in particolare il libro della Genesi al capitolo 1°, nel "midrash" degli inizi del tutto, nel sesto, ultimo giorno operativo della creazione compiuta in sette giorni, ci presenta l'uomo formato da Dio dopo tutti gli animali.
Penso che lo stesso Darwin s'è trovato d'accordo almeno sulle varie fasi di sviluppo dell'intera operazione descritta dalla Genesi, se non è stata addirittura per lui motivo d'ispirazione.
In tale "midrash", mentre da parte del Creatore per gli animali si trova un generico "creò" e "fece", per l'uomo il testo si dilunga sulla cura che Dio vi pose e supporta gli eventi con commenti:
  • Genesi 1,26 - "Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza:"
  • Genesi 1,27 - "E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò."
  • Genesi 1,28 - "Dio li benedisse e Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi..."
Quei testi vogliono così proprio evidenziare un apporto creativo speciale per la prima coppia umana chiamata Adamo.
Questa coppia unita, infatti, proprio come maschio e femmina, anzi come marito e moglie, secondo la Torah, è stata voluta a propria immagine e somiglianza dal Creatore stesso.

Nel testo ebraico questa "nostra immagine" è definita "betsalmenu" e "secondo la nostra somiglianza" è definita "kidemutenu" ove immagine è "tsalem" e somiglianza è "demut" .

Tenuto conto che "tsel" è ombra e "dem" è sangue si può considerare che l'uomo ha un'ombra della vita divina come avesse il suo sangue, la sua parentela.
Quelle parole poi nascondono un messaggio tramite le lettere che possono far intravedere:
  • "dentro vi scese del Potente la vita , l'energia recò ", ma anche profezia di un evento "dentro scenderà il Potente in un vivente ad abitarvi ()";
  • "la rettitudine impedirà la morte per l'energia recata ", profezia di "della rettitudine il sangue Portato da un crocefisso l'energia recherà ".
Poi, quel "midrash" del capitolo 1 della Genesi è integrato con un altro, quello del capitolo 2°, ove al versetto 7 ci dice come l'uomo divenne un "essere vivente": "Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente."
Dio in persona gli ha insufflato la vita nelle narici.

Com'è noto, sempre secondo questo "midrash", Adamo, la prima coppia umana di maschio e femmina, fu posto in un luogo speciale, il giardino dell'Eden, in contatto con Dio che si curava di loro e, in definitiva, fungeva da pedagogo, anzi per loro era sia padre, sia madre.
Il racconto poi suggerisce che la creazione degli animali, in effetti, ci fu con lo scopo che l'umanità non fosse da sola a vivere in quel paradiso, ma ricevesse aiuto e qui in Genesi 2,18-20 si racconta che Adamo impose il nome a ciascun animale da intendere come affermazione da parte del testo sacro della supremazia voluta da Dio stesso sugli animali da parte dell'uomo.
Poi il testo pone in evidenza che quella prima coppia comunque "non trovò un aiuto che gli corrispondesse", evidentemente in quanto la natura tra uomini e animali è troppo diversa.
Il Signore allora li addormentò e le due parti di Adamo maschio e femmina si risvegliarono non più solo maschio e femmina, ma come una nuova creatura unica "osso delle mie ossa" ossia come marito e moglie, in un patto di alleanza che supera le differenze e le valorizza in una collaborazione perfetta cementata dal reciproco amore e comprensione.
Come in genere si pensa, in effetti, non si addormentò uno e si svegliarono in due, ma si addormentarono in due, il maschio e la femmina, e si svegliò uno, il matrimonio, che dà luogo ad una nuova unità, "i due saranno una sola carne" (Genesi 2,24), sposi, uniti da quel patto d'amore.
In questo modo la coppia trovò il giusto intimo aiuto e nacque l'istituto della "famiglia". (Vedi: "Lo sposo della coppia nel matrimonio, roveto ardente" e "Il primo matrimonio con il Signore")

Il rapporto marito e moglie è paritario e non debbono presentarsi derive maschiliste o femministe.
Al riguardo è da ricordale questa massima del Talmud "La donna è uscita dalla costola dell'uomo, non dai suoi piedi perché debba essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale... un po' più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere amata."
Come ho osservato nel precedente paragrafo gli appartenenti alla specie umana, sia maschi sia femmine, sono particolarmente predisposti a manifestare i sentimenti - empatia - simpatia - compassione, ecc..
È questa una dote naturale e particolare che pare proprio si sviluppi grazie ad una predisposizione che è attivata in tenera età attraverso il rapporto con gli altri esseri umani, principalmente per "imprinting" dai propri genitori.
Da questi in genere viene loro l'imitazione, l'attitudine allo stare assieme, l'apprendimento del linguaggio per comunicare, abilità varie per i lavori per sopravvivere, nonché l'atteggiamento di comunione per i familiari e con il proprio clan, il modo di convivere e utilizzare i beni naturali vegetali e animali.
Cosa ci dice, allora, al riguardo questo secondo "midrash" della creazione?
Tende a far comprendere che l'uomo non è soltanto un "nofoesh chaiiah", ossia un essere vivente con un'anima "nofoesh" che gli da il respiro come a un animale, ma in lui c'è anche un alito di vita particolare, uno speciale dono di Dio dato con atto esclusivo all'uomo che lo rende speciale con una anima diversa, praticamente come di altra natura e questa dice il testo in ebraico è il "nishemat chaiim".
L'uomo perciò ha anche un'anima celeste, "nishemat", cioè quella vita che ha soffiato il Signore, ed è questa una vita speciale, "chaiim" , una doppia vita, visto che il termine chaiim si propone proprio come un plurale duale.
Tale ulteriore vita s'innesta su quella animale.
Se si pensa a Darwin che propone l'uomo originato da primati, questi, allora, in tale teoria altro non sono che "polvere del suolo", plasmata come un vaso d'argilla dal Signore.
Proviamo ora a vedere come s'inquadrerebbe la scoperta dei neuroni-specchio in questo quadro aperto sui primordi della creazione dell'uomo da parte della Torah.
In definitiva, l'autore di quel testo sacro, in cui per cristiani ed ebrei circola lo Spirito di Dio, pare proprio intendere informarci che i "neuroni-specchio" dei nostri progenitori sono stati attivati non da altri primati, ma direttamente dal Signore, lo stesso che nella generazione degli animali ha ispirato una vita nuova in cui i sentimenti tendono all'amore vero, motore di tutta la creazione.
La prima coppia l'apprese per imitazione grazie a un "insegnamento" diretto di chi l'ha voluta a propria immagine e a propria somiglianza e non dagli altri primati non umani, almeno finché non s'inserì come narra col "midrash" di Genesi 3, un altro ingannevole pedagogo che suggerì la ribellione, e non a caso prese forma di un animale, il serpente.

Gesù ci ricorda la paternità celeste e risveglia nell'uomo anche sentimenti impressi a suo tempo, che gli animali non hanno, ma che sono possibili all'uomo, infatti: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste." (Matteo 5,43-48)

SENTIMENTI E COMPASSIONE NELL'ANTICO TESTAMENTO
Pilastro dell'insegnamento della Bibbia è l'amore al prossimo il che implica il dare sfogo al sentimento della commozione del proprio spirito nei riguardi del prossimo stesso.
L'Antico Testamento insegnava chiaramente: "Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore." (Levitico 19,18)

Per i più di quel tempo, nella migliore delle ipotesi, il comandamento era interpretato in modo restrittivo in genere limitandone la valenza ai membri del proprio popolo contrariamente a quanto accade nell'episodio del buon samaritano nel Vangelo di Luca 10,25-37.
Tra l'altro tale "obbligo" era ben in mente ai contemporanei di Gesù visti i colloqui e le loro risposte nei Vangeli sinottici in Matteo 22,37-40; Marco 12,29-31 e Luca 10,25-28.
Comandamenti di misericordia erano evidentemente sentiti per il prossimo tenuto presente che si trova nel libro:
  • di Tobia 4,15 - "Non fare a nessuno ciò che non piace a te."
  • dei Proverbi 3,27-29 - "Non negare un bene a chi ne ha il diritto, se hai la possibilità di farlo. Non dire al tuo prossimo: Va, ripassa, te lo darò domani, se tu possiedi ciò che ti chiede. Non tramare il male contro il tuo prossimo, mentre egli dimora fiducioso presso di te."
Si trovano anche solleciti a comportamenti almeno "umani" nei riguardi del nemico personale come:
  • Esodo 23,4s - "Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo";
  • Proverbi 25,21 - "Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere".
L'insegnamento di Gesù porta a completare tali insegnamenti inglobando tra il prossimo non solo gli stranieri, ma anche i malfattori e i nemici.
Per il sentimento di compassione poi i libri della Tenak usa vari termini come:

Il radicale per "provare commozione, commuoversi, impietosirsi, perdonare, provare compassione" forse nel "nascosto acqua guizza ", o ancora "per le strette (dell'altro) acqua Guizza " ciò che è arido s'inumidisce e s'intenerisce e "choemelah" e "chumelah" è la compassione.
Ad esempio in Esodo 2,6 la principessa che trovò nel Nilo Mosè nella cesta n'ebbe compassione e li il testo usa "takmol" .
Ancora si trova in 1Samuele 15,3: "Va dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione ( ) per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini".

Il radicale usato spesso al negativo per non perdonare come in Deuteronomio 19,21: "Il tuo occhio non avrà compassione ( ): vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede" forse "ciò che chiuso prtare a riempire (ossia ad allargare)".

e pentirsi e avere compassione, ad esempio in Deuteronomio 28,50 "una nazione dall'aspetto feroce, che non avrà riguardo al vecchio né avrà compassione del fanciullo..." ossia "ci sarà grazia "chen" " e Deuteronomio 32,35: "Perché il Signore farà giustizia al suo popolo e dei suoi servi avrà compassione" ove usa "itenoekam" ; come "darà calore " si scalderà.

C'è poi un termine molto importante che merita una disgressione.
Gli uomini nascono, in generale, almeno finora, per l'incontro concluso con un rapporto sessuale di un maschio e di una femmina in età feconda, unione che si eleva spesso a un rapporto di dichiarato amore permanente da parte di un marito e di una moglie.
Il bambino si attende di avere un padre e una madre e, comunque, nascerà nel seno di una donna.
Secondo la legge naturale, in un modo o nell'altro, meglio se per amore e non sotto violenza o impeti puramente sessuali, la donna ha donato se stessa e il conseguente frutto è la nascita di una nuova vita.
Tutto ciò che siamo lo ereditiamo da lei e dal padre: nome, geni, gran parte della salute, famiglia, ceto sociale, ecc..
La prima casa per ogni uomo è l'utero della madre che ci fa un posto nella sua vita, rattrappisce il suo ego, allarga il suo amore e per 280 giorni ci da un posto dove stare e dove inizia la nostra esistenza da lei continuamente fisicamente nutrita attraverso il suo sangue che apporta quanto necessario attraverso al filtro della placenta.
Proviamo a cercare le parole sentimento e compassione nel testo della Tanak o Bibbia ebraica.
La prima e più usata espressione che si trova è "rachamim" che indica pietà, misericordia e compassione.
Questo termine è strettamente legato a "roechoem" , che in ebraico definisce le viscere, il grembo, l'utero, quindi proprio specificatamente inerente alla madre.
Le lettere ebraiche che definiscono quella parola la descrivono anche con le proprietà grafiche intrinseche alle lettere stesse in quanto "roechoem" , utero, infatti, è "un corpo che racchiude la vita " o "corpo che racchiude le acque ".

Il radicale è così relativo al verbo ebraico che indica il commuoversi.
Si trova "...lo spirito di Dio aleggiava sulle acque " in Genesi 1,2 ove spirito è femminile, "ruach" e acque "maim" onde le due parole portano a ricordare il termine "rachamim" il che fa intuire il vero motore della creazione un atto di amore, di misericordia, quindi da madre.

Quanto tradotto "aleggiava" è "merachoepoet a'l penei" , ossia il vento "ruach" di Dio si agitava sulla superficie delle acque, che con quelle lettere potrebbe implicitamente suggerire anche l'idea dell'incarnazione in un utero, infatti "la vita chiusa nella mente il Verbo scelse che dall'alto in una persona () Fosse "; sarebbe quindi occorso un utero da cui nascere.

La prima volta che si trova questa parola "rachamim" è in bocca di Giacobbe nei riguardi di Dio in Genesi 43,14: "Dio onnipotente vi faccia trovare misericordia (rachamim ) presso quell'uomo, così che vi rilasci l'altro fratello e Beniamino" e quell'uomo di cui si parla è Giuseppe restato in incognito per i fratelli che lo avevano venduto, ma nel frattempo divenuto viceré d'Egitto.

Si ritrova poi in Genesi 43,30 con Giuseppe che si commosse: "Giuseppe uscì in fretta, perché si era commosso ("rachamaiu" ) nell'intimo alla presenza di suo fratello e sentiva il bisogno di piangere; entrò nella sua camera e pianse."

La commozione, appunto, spesso comporta come effetto il pianto e Dio tante volte è definito misericordioso "'el rachum" come in Esodo 34,6; Deuteronomio 4,31 e Giona 4,2, oltre che nei deuterocanonici Tobia 3,11; 2Maccabei 11,9, quindi, come vedremo, viene attribuito a Dio stesso anche la dote umana del piangere.
È, quindi, come se in Dio vi fosse un utero, infatti, in lui vi è la radice di ogni paternità e di ogni maternità ed al riguardo è rimasta celebre la frase pronunciata da Papa Luciani, Giovanni Paolo I, che durante l'Angelus del 10 settembre 1978, disse: "Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile: è papà, più ancora è madre".

La parola "rachamim" nel testo ebraico si trova circa 40 volte e si possono gustare tutte le sfumature del suo uso guardando singolarmente i versetti: Deuteronomio 13,18, 2Samuele 24,14, 1Re 3,26 e 8,50, 1Cronache 21,13, 2Cronache 30,9, Neemia 1,11; 9,19.27.28.31, Salmi 25,6; 40,12; 51,3; 69,17; 77,10; 79,8; 103,4; 106,46; 119,77.156; 145,9, Proverbi 12,10, Isaia 47,6; 54,7; 63,7.15, Geremia 16,5 2 42,12, Lamentazioni 3,22, Daniele 1,9; 9,9; 9,18, Osea 2,21, Amos 1,11 e Zaccaria 1,16; 7,9.

Particolarmente da segnalare sono:
  • Isaia 54,6.7 - "Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? - dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore", ove quell'"immenso amore " invero è con grandi viscere di misericordia "rachamim gadolim" .
  • Geremia 42,12 - ove il Signore dice: "Non temete il re di Babilonia, che vi incute timore; non temetelo - dice il Signore - perché io sarò con voi per salvarvi e per liberarvi dalla sua mano. Io gli ispirerò sentimenti di pietà per voi, così egli avrà compassione di voi e vi lascerà dimorare nel vostro paese" ove in effetti quei "sentimenti di pietà" sono "rachamim ve richam".
  • Lamentazioni 3,22 - "Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione - 'rachamaiu' ".
La compassione è un moto di commozione cui Dio secondo la Bibbia è molto sensibile.
È al riguardo da ricordare l'episodio narrato in Genesi 21 di Agar e il figlio Ismaele cacciati da Abramo su istigazione di Sara, quando Agar sperduta nel deserto "depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d'arco, perché diceva: Non voglio veder morire il fanciullo! Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione. Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d'acqua. Allora andò a riempire l'otre e diede da bere al fanciullo." (Genesi 21,15-19)

Il pianto di una madre per suo figlio diviene voce del figlio stesso e Dio li ascolta.
Si legge poi in Genesi 35,8 "Allora morì Debora, la nutrice di Rebecca, e fu sepolta al di sotto di Betel, ai piedi della quercia. Così essa prese il nome di Quercia del Pianto", nome dato a quel luogo per il grande sconforto che scese su Giacobbe e il suo seguito.

Evidentemente la causa di quel nome associato al "pianto" porta ad associarvi anche l'evento successivo in Genesi 35,16-20, della morte a Giacobbe della moglie Rachele avvenuta alla nascita di Beniamino.
Proprio tra tali due eventi Dio confortò Giacobbe e addirittura gli cambiò nome.

Il testo, infatti, dice: "Dio apparve un'altra volta a Giacobbe durante il ritorno da Paddan-Aram e lo benedisse. Dio gli disse: Il tuo nome è Giacobbe. Ma non ti chiamerai più Giacobbe: Israele sarà il tuo nome." (Genesi 35,9s)

Il targum Jonathan di Genesi 35,9 inserisce la seguente dossologia posta in bocca a Giacobbe: "O Dio Eterno! Che il tuo nome sia benedetto per sempre e per tutti i secoli dei secoli! La tua bontà, la tua fedeltà, la tua giustizia, la tua potenza e la tua gloria non cesseranno per i secoli dei secoli. Tu ci hai insegnato a benedire lo sposo e la sposa a partire da Adamo e dalla sua compagna. Tu ci hai insegnato ancora a visitare i malati a partire dal nostro padre Abramo, il giusto, quando tu gli sei apparso nella piana della visione, mentre egli soffriva a causa della sua circoncisione. Tu ci hai insegnato anche a consolare coloro che piangono, dopo il nostro padre Giacobbe, il giusto. La morte sorprese Debora, la nutrice di Rebecca, sua madre, e Rachele morì presso di lui durante il suo viaggio. Si sedette allora emettendo lamenti e pianti e grandi grida di dolore, ma tu, nella tua bontà misericordiosa, gli sei apparso e l'hai benedetto, tu l'hai benedetto con le benedizione di coloro che piangono, e l'hai consolato." (S.P. Carbone - G. Rizzi Le Scritture ai tempi di Gesù).

Altri modi esistono per definire in ebraico il sentimento è proprio la stessa parola che definisce respiro e anima "noefoesh" cioè animo, come in 2Re 9,15 ove la C.E.I 2008 traduce "convinzione".
Si trova poi un'istruttiva citazione in una preghiera di Davide al momento in cui offre tutti i preparativi fatti da lui e dal popolo per costruire a Gerusalemme il Tempio al Santo Nome, ove indirettamente è spiegato che quello è il sentimento profondo del popolo e suo.

Questa si trova in 1Cronache 29,18 e dice: "Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d'Israele, nostri padri, custodisci per sempre questa disposizione come intimo intento del cuore del tuo popolo. Dirigi i loro cuori verso di te."

Per "intimo intento del cuore" è scritto "macheshebot lebab", e quel "macheshebot" viene dal radicale (nel chiuso si accende dentro ) usato per un'attività del pensiero, si accende un'idea nel chiuso del cervello umano, infatti "leb" e "lebab" sono la mente e il cuore come sede della vita cosciente, indi memoria, immaginazione, attenzione, coscienza, quindi quel radicale è relativo al pensare, progettare ritenere quindi ideare un piano, un disegno intimo da portare a compimento - segno che nel cuore "leb" abita , quasi un qualcosa che nelle midolla "mocha" si accende dentro da portare a termine .

Il Signore ha costruito una casa a Davide e con la profezia di Natan (1Cronache 17) del Regno eterno del Messia gli ha promesso una casa che durerà in eterno; in Davide si sono accesi i neuroni-specchio, ha imparato e vuole imitarlo ringraziandolo a proprio modo.
Tutta la Bibbia e la cultura ebraica è basata sulla trasmissione padre - figlio e poi allievo - insegnante sia della Tenak, sia del Talmud, del loro continuo scrutare e commentare.
Sono questi i pilastri dell'ebraismo.
Con ciò si ricordano e s'insegnano gli esempi della fedeltà a Dio passati da Abramo a Isacco, da questi a Giacobbe-Israele, indi ai 12 figli e ai figli dei figli fino ai tempi di Mosè, quindi col sacerdote Eli e dal suo discepolo Samuele, finché la nazione trovò il suo fondamento e dopo tante e tante traversie non è restata distrutta e fonda la sua esistenza sulla memoria.
Nell'Antico Testamento e poi nel Talmud Dio è rappresentato come genitore e maestro di tutti i suoi figli che li educa con amore lungo i secoli con la storia interpretata dai profeti, letta però attraverso lo studio e alla luce delle Sacre Scritture.
Tale studio forma le persone, le famiglie e la nazione.
La risposta di Rabbi Yochanan ben Zacchai (I secolo d.C.) alla domanda: perché studiare? fu: "Per arricchire coloro che mi amano e riempire i loro scrigni".

IL PIANTO DI UNA MADRE E IL PIANTO DI DIO
Nei testi ebraici delle Sacre Scritture un radicale per dire del "piangere, gemere, venire le lacrime agli occhi, fare lutto" è da cui vengono i termini "pianto, cordoglio e lutto", "baki" e "bakut" .
Per capirne di più, guardando ai segni che compongono tale radicale, è da notare che la lettera "kaf" , l'undicesima dell'alfabeto ebraico, pare proprio stare a indicare una coppa, come il palmo concavo di una mano.
Un primo modo di vedere quelle tre lettere è il pensare che di solito chi piange si porta le mani a coprire il viso con le mani a coppa "dentro le mani a coppa uscire ", ma vi sono altre considerazioni.
Evidente diversità del palmo della mano rispetto alle altri parti del corpo è che si presenta liscia, senza peli e fa, quindi, presente l'essere in stato di condizione facile e liscia, onde l'uscire da tale condizione manifesta un peggioramento che può dar luogo afflizione e difficoltà e può ingenerare dolore e pianto; ecco che le lettere ci spiegano quel in questo modo: "da dentro del liscio uscire ".
Si pensi poi che c'è un radicale il che riguarda "l'indebolire, lo spegnere, il deprimersi", che si spiega similmente al precedente, ossia "dal liscio uscire ".
Poi il B = di quel ci parla di cosa accade dentro di chi piange.
Il piangere quindi con comporta che c'è stato un qualcosa che ha comportato "dentro il deprimere " e, infine, in sintonia con tali letture si ha come una ferita "makkah" intima, vale a dire "la vitalità - vita spegne ".
Congruenti a questi pensieri sono:
  • il radicale di "affliggere, abbattersi, scoraggiare, deprimere" da cui "ka'oe" plurale "ka'im" in Salmo 10,10, dallo stato "liscio uno uscito ";
  • "dolore, sofferenza, piaga" "k'eb" "afflitto () dentro ".
Altro radicale usato nell'ebraismo per il piangere è da cui deriva il termine "lacrime" "dima'h" .
Questo modo di dire per piangere implica in qualche modo il concetto di "dam" "sangue" ( = ), di un "essere simile" e di "seno" "ma'h" , tutti termini facilmente riconoscibili all'interno di "dima'h" quindi:
  • lacrime a causa di un fatto di sangue vedo - sento Uscire ;
  • per un impedimento dal seno () esce ;
  • per assimilarsi () (sottinteso con un altro) al sentire .
Al proposito è da ricordare il primo fatto di sangue in Genesi 4.
Caino uccide Abele, ma pare restare come indifferente, nasconde il fatto, non fa scorgere rimpianto e pentimento, nemmeno una lacrima.
Il Signore allora gli disse: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!" (Genesi 4,10)

Come se Dio, sorpreso, dicesse a Caino: non piangi?
Io sento le lacrime di Abele, tuo fratello, di sua e tua madre e di suo e tuo padre.
Una lettura di lacrima "dima'h" , infatti, è "il sangue sento uscito ", da un mio "somigliante () sento uscire " che grida, infatti, "sbarrata una vita vedo nel mondo ".
Come non piangere per un simile che muore?
Anche Dio avrà pianto per "un essere simile () Visto uscire " dalla vita.
Una lacrima è come sangue, un chicco d'uva bianca che si vede venire dagli occhi, il frutto di uno stato d'animo interiore, una benedizione per una gioia o per una sofferenza.

Si pensi a Gesù che essuda gocce di sangue al Getzemani, infatti, "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì..." (Ebrei 5,7s)

Nella letteratura rabbinica spesso si trova l'idea che Dio si commuove, soffre e piange proprio come un padre o una madre afflitta per la sorte dei figli.
Si trova, infatti, che Dio dice al profeta Geremia di riferire al popolo questo messaggio: "I miei occhi grondano lacrime ("dima'h" ) notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale." (Geremia 14,17)

Nel Talmud, si trova che Rab Shemu'el, figlio di Iniya, dice che: "Il Santo, sia Egli benedetto, ha un luogo che gli è riservato chiamato luoghi segreti. È lì che si ritira per piangere senza testimoni sulle sventure del suo popolo."

Pare proprio che ci sia come un'impotenza di Dio di fronte all'uomo: per la libertà che gli ha lasciato non può, infatti, costringerlo ad ascoltarlo e sopporta le conseguenze immediate che non può impedire se non con un piano di salvezza che tesse nel tempo e nella storia individuale e globale.

Grande, infatti, è il suo amore per loro: "Poiché il Signore non respinge per sempre. Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo il suo grande amore. Poiché contro il suo desiderio egli umilia e affligge i figli dell'uomo." (Lamentazioni 3,31-33)

Dice al riguardo il profeta Isaia: "Sion ha detto: Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi (merachem) per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me." (Isaia 49,14-16)

La misericordia divina "rachamim" ci fa pensare alla maternità di Dio che per amore ha reso possibile uno spazio in cui possiamo esistere.
Disse di Lui San Paolo nell'aeropago di Atene a "In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo..." (Atti 17,18)
Siamo nel suo seno e Dio è proprio come una madre, ha creato uno spazio per noi dentro di sé ed ha per noi la stessa emotività di una madre.
Le lacrime delle madri ricordano le acque del loro utero in cui è avvenuta la gestazione del figlio e il travaglio del parto.
Hanno vinto l'egoismo, hanno lasciato uno spazio in loro per accogliere il figlio con amore e questo spazio idealmente resta a disposizione come proprio un utero mentale per lui per tutta la vita della madre e le lacrime che versa per il figlio nella vita sono in questa similitudine in parallelo con le acque che lo gestirono nell'utero vero.

Nella stessa parola utero, "rachem" e misericordia "rachamim" , c'è proprio l'idea, riferita alla madre che "nella testa chiude l'acqua " e "nella testa chiude con l'acqua la forza Materna ".
Loro, le madri , sono proprio immagine, "tsalem" di Dio, in quanto costituiscono per il figlio l'ombra "tsal" di Lui.
Queste continuano a seguire il figlio in tutta la loro vita con la stessa intensità, quasi come se lo stesso figlio fosse generato più e più volte.
Così accade per Dio nei riguardi di ciascun uomo.
Lo fa rinascere con le acque del battesimo e gli ha fatto il dono del pianto per rigenerarsi e per chiedere perdono che provoca continue rinascite e risurrezioni.

Nel Salmo 56,9 si legge "I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?"

Le mie lacrime "dima'ti" nel tuo otre "beno'doek" in cui otre è "no'd" e quel versetto porta ad immaginare che, appunto, in Dio vi sia un luogo, come un utero, dove si raccolgono le lacrime di tutti i viventi che sono da lui contate e a cui darà risposta con la propria misericordia, infatti, "invierà l'Unigenito in aiuto ".

Dice, infatti, l'Apocalisse "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro e tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate". (Apocalisse 21,3s)

L'uomo nuovo, come l'Unigenito, partorito da Maria, che accompagnerà ogni uomo, viene partorito dalla madre Chiesa la donna di cui dice l'Apocalisse stessa in 12,4s: "Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro..."

Al riguardo alla gestazione nei chiamati dalla Chiesa, dice San Paolo, apostolo di Cristo alla comunità dei Galati: "...figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!" (Galati 4,19)

La dakriologia, ossia studio delle lacrime, ha accertato:
  • vi sono lacrime emotive e per inumidire gli occhi, ma hanno chimica diversa;
  • le emotive aiutano a ridurre lo stress eliminando produzioni chimiche dannose del sistema endocrino, rilasciando rifiuti e tossine in eccesso;
  • quelle per inumidire, ad es. per una cipolla tagliata, non hanno ormoni e enzimi;
  • le emotive contengono neurotrasmettitori e ormoni, l'adrenocorticotropo l'ACTH con funzione di oppioide e che provoca secrezione di cortisolo detto "ormone dello stress", l'encefalina, sostanza simile alla morfina per alleviare il dolore, il lisozyma con proprietà antibatteriche, la prolattina che stimola la crescita della ghiandola mammaria nelle donne, ma è presente in notevole minore quantità anche nei maschi;
  • statisticamente risulta che le donne piangono più di frequente degli uomini (pare 4 a 1) per il più alto livello di prolattina smaltendo meglio gli stress onde sono meno soggette a infarti;
  • per la maggior parte dei ricercatori altri esseri viventi oltre l'uomo non produrrebbero lacrime per emozioni, ma solo per inumidire gli occhi.
In testi egizi si trova che dalle lacrime del dio Ra è creata l'intera umanità e tale mito pare legato al gioco di parole egizie tra il verbo "piangere" "rmi", il sostantivo "lacrime" "rmwt" e "uomo" "rmT".

Accade spesso che l'uomo quando sente arrivare il pianto cerca di reprimerlo temendo di perdere la propria dignità ed essere scambiato per una donna.
È sintomo dell'orgoglio che pur se insito nell'uomo e nella donna è mitigato in questa per le diverse doti fisiche connesse alla potenzialità della maternità.

Dio è proprio una madre e il fedele, proclama il Salmo 132, che con Lui è "...quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l'anima mia", infatti, come un bimbo in braccio alla madre è senza alcun timore.

Le difficoltà e quindi le lacrime però sono di tutti i giorni "Le lacrime sono mio pane, giorno e notte." (Salmo 42,4) e allora come un bambino Lo cerca per:
  • essere custodito "Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi all'ombra delle tue ali..." (Salmo 17,8)
  • per avere la Sua grazia "Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio! Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali..." (Salmo 36,8)
  • trovare in Lui rifugio nel pericolo "Pietà di me, pietà di me, o Dio, in te mi rifugio; mi rifugio all'ombra delle tue ali finché sia passato il pericolo." (Salmo 57,2)
  • trovare riparo "Dimorerò nella tua tenda per sempre, all'ombra delle tue ali troverò riparo; "(Salmo 61,5)
  • trovare gioia "...a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all'ombra delle tue ali." (Salmo 63,8)
  • per stare sotto le sue penne, "Chi abita al riparo dell'Altissimo passerà la notte all'ombra dell'Onnipotente... Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio; la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza." (Salmo 91,1.4)
Ho così raccolto i salmi che parlano de "l'ombra delle sue ali" che richiamano evidentemente la figura di Dio - madre, quindi all'ombra della madre che appunto è immagine di Dio.

Questa ombra ripara nella notte del mondo finché venga "la vera luce", quella di annunciata al versetto 1,9 del prologo dal Vangelo di Giovanni.

Nel Vangelo di Matteo è ricordato di Gesù che, proprio riferendosi a un tale immaginario, disse: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!" (Matteo 23,37)

Le lacrime vanno interpretate come un impeto a tornare bambini e a invocare l'aiuto ricevuto da chi ha portato alla vita scaturendo dalla sorgente della vita che ci rende immagine di Dio grazie in noi al suo soffio, ricordo dello Spirito, l'Amore divino che ci abitò.
Il dolore allora, grazie a tale Spirito che spinge chi piange a uscire da se stessi, diventa come meno duro e lo stesso Spirito ci fa commuovere e apre alla comunione con Dio e con gli altri, comincia a ridare un cuore malleabile, di carne e non di pietra.

L'OMBRA DI DIO
Secondo i Vangeli, il Messia, l'Unigenito figlio di Dio, la seconda persona della SS. Trinità, si è fatto carne ed è nato nella Santa Famiglia di Nazaret dal seno della vergine Maria, sposa di Giuseppe il carpentiere.
Tale famiglia allora è proprio lo specchio in terra di quella trinitaria di Padre, Figlio e Spirito Santo.
L'annunciazione nel Vangelo di Luca 1,26-38 ci informa sui seguenti fatti:
  • Dio mandò l'angelo Gabriele in una città della Galilea, chiamata Nazaret;
  • Maria era una vergine, promessa sposa di Giuseppe della casa di Davide;
  • l'angelo iniziò col dire "Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te... Non temere, Maria perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine." quindi è il Messia, l'unto, il Cristo, l'atteso dalla casa di Davide che "regnerà per sempre".
  • Maria chiese: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?"
  • Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco..."
Poniamo attenzione a queste ultime parole, "lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra".
Proviamo a ragionare con i simbolismi intrinsechi nelle lettere ebraiche.

Da quelle sappiamo che la 18a e la 12a di tale alfabeto rispettivamente:
  • la 18a, la "tsade" rappresenta proprio lo scendere e salire, il su e il giù;
  • la 12a, la "lamed" rappresenta la potenza, il Potente.
Ora, in ebraico la parola "ombra" è "tsal" , proprio descritta da quelle due lettere che abbiamo visto essere anche nella parola "immagine", "tsalem" , con la quale, assieme a "somiglianza", Dio definì l'uomo al momento della creazione.

Con tale definizione di "immagine" abbiamo accennato si può intravedere il potere concesso alle madri degli uomini di dare la vita e che possiamo interpretare come: "scende dal Potente la maternità ".

Le madri, in assenza del peccato di ribellione originaria a Dio, per amore, avrebbero dato alla luce figli di Dio, processo però interrotto, anzi sospeso alla radice a causa di quella ribellione della prima coppia di cui al "midrash" raccontato in Genesi 3.

Ora accade che la tradizione popolare, prendendo spunto dalle Sacre Scritture, attribuisce a Dio aspetti e attributi antropologici.
È al riguardo da ricordare ad esempio il seguente passo del libro di Giobbe quando il Signore tra l'altro a sua risposta in quel dramma prese a dirgli in mezzo ad un uragano: "Chi ha chiuso tra due porte il mare ("iam" ), quando usciva impetuoso dal seno materno ( "roechoem"), quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde?" (Giobbe 38,8-11)

Dio, così, allora, come avevo accennato, ha proprio un seno materno "roechoem" da cui sgorgò il mare "iam" , sede, quindi, della sua misericordia "rachamim" , termine che in forma poetica quel versetto Giobbe 38,8 vuole evocare come risposta agli interrogativi di Giobbe sulla giustizia divina mentre in pratica porta alla mente ed è concorde, come detto, al pensiero del secondo versetto del libro della Genesi "...lo spirito di Dio aleggiava sulle acque."

Quei versetti di Giobbe per due volte parlano di "due porte" "delataiim" e di un chiavistello "birich" .
Quel mare "iam" pare proprio essere "l'esistenza dei viventi ", tutti, buoni e cattivi, in cui abita l'orgoglio di cui parlano quei versetti, e che si opposero al proprio Creatore.
Questi hanno davanti a sei due limiti, la morte fisica e la seconda morte, quella in cui finirà il male "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte." (Apocalisse 2,11)

Quelle due porte ci parlano dell'uscita di due volte in vita, quella della creazione e quella della rinascita di cui parla Gesù a Nicodemo in Giovanni 3.

Quell'utero nel cielo, poiché "come in cielo così in terra", profila profeticamente un corrispondente utero in terra.
Ecco che proprio Gesù, appunto il Figlio di Dio, a opera dello Spirito Santo si incarna nel seno, quindi, nell'utero "roechoem" della vergine Maria, icona della Chiesa.
Questo, di Maria, adombrata dallo Spirito Santo, allora, diviene il seno-specchio di Dio in terra.
Lui, poi, è proprio il chiavistello, il "birich" , che "dentro un corpo si è chiuso " per il combattimento finale.
Tale combattimento, iniziato dal momento della sua nascita in terra, dopo la sua morte in croce e risurrezione e l'ascensione in cielo, proseguito con l'aiuto della Chiesa ha cui continuamente rinnova il soffio del suo Spirito, sbarra e al suo ritorno glorioso sbaraglierà definitivamente il male.
Perché sua madre non restasse vedova sulla terra, senza figli, sotto la croce prima di morire la consegnò al discepolo che amava in figura di tutti i discepoli e della sua stessa Chiesa di cui lei Maria sarebbe stata madre, come precisa il Vangelo di Giovanni "Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé." (Giovanni 19,26s)

Nel frattempo sulla terra da allora c'è proprio un utero di misericordia cui il Cristo ha dato il potere di perdonare i peccati.
Ai suoi apostoli, il nucleo della sua Chiesa, infatti, nello stesso giorno della sua risurrezione "...soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati." (Giovanni 20,22s)

ACCADDE A NAIN
Il Vangelo di Luca, dopo l'episodio della guarigione nella città di Cafarnao del servo di un centurione (Luca 7,1-10), ma prima della risposta di Gesù agli inviati di Giovanni (Luca 7,18-30), riporta un miracolo, quello della risurrezione del figlio della vedova di Nain.

Alcuni hanno ipotizzato che l'inserimento di tale miracolo in quel punto del Vangelo serve per asseverare la risposta di Gesù ai discepoli di Giovanni: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!" (Luca 7,22s)

Tra i quattro Vangeli canonici quello di Luca è l'unico che presenta tale miracolo.
L'episodio è, quindi, da ritenere che faccia parte di quanto raccolto nelle "ricerche accurate" che lo stesso evangelista nel suo prologo (Luca 1,3) dice di aver fatto presso i testimoni oculari degli eventi di cui fu protagonista Gesù di Nazaret.
Il fatto di riportarlo sta evidentemente a significare che grande importanza vi annetteva sia chi glielo aveva narrato, sia lui stesso che l'ha riferirlo.
Questo racconto inizia così: "In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla." (Luca 7,11)

Il miracolo è compiuto davanti a molti testimoni: siamo circa nel 28-29 a.C..
Vari testimoni oculari tra l'altro potevano ancora esserci, infatti, vari studiosi indicano come probabile datazione del Vangelo di Luca e degli "Atti degli apostoli", che erano due libri successivi dello stesso autore come si legge nel prologo degli Atti stessi, gli anni tra il 65 e il 75 d.C. comunque dopo il 63 d.C., anno della prigionia di Paolo a Roma con cui in pratica si chiude il secondo libro.
Il brano si sviluppa in otto versetti dall'11° al 17° riportato in quel Vangelo al capitolo 7.


G. Rossi - Resurrezione del figlio della vedova di Nain


Mappa della Galilea

In Galilea Gesù da Cafarnao si sposta con i suoi discepoli e, con la gran folla che lo segue, giunge alla città di nome Nain.
Quella città, in effetti, era nota come "Naim", con la "m" finale, per una trascrizione della "Vulgata" che chiama il villaggio in tal modo: "In civitatem quae vocatur Naim", mentre il testo greco riporta .

Eusebio di Cesarea, vescovo e scrittore del IV secolo, padre della Chiesa, consigliere e biografo dell'imperatore Costantino, ricorda tale località con queste parole: "La città di Naim, dove il Signore risuscitò il figlio della vedova, si mostra al quinto miglio dal monte Tabor, presso Endor".

In effetti, il vero nome è Nain, con la "n" finale, villaggio che ha tale nome ancora oggi e si trova a 14 km a sud di Nazaret, sulle pendici settentrionali del Piccolo Hermon, 4 o 5 km a sud del Tabor, come indica la mappa sopra riportata.
Trattasi di un villaggio arabo-mussulmano, ora ricostruito, che fu distrutto durante la guerra arabo - siriana del 1948.
Come sito biblico la sua identità fu riconosciuta dai Crociati che vi edificarono una chiesa per commemorare il luogo del miracolo.

Una testimonianza anonima attribuibile al V-VI secolo, raccolta dal monaco benedettino Pietro Diacono (XII secolo), ricorda che: "Nella casa della vedova, il cui figlio fu risuscitato, ora c'è una chiesa e la sepoltura nella quale lo volevano porre esiste ancora oggi."

Quella chiesa poi fu ricostruita dai Francescani di Terra Santa con molte difficoltà, acquistando le precedenti rovine.
Una "bella" chiesa vi esisteva ancora nel XIV secolo, secondo fra Nicolò da Poggibonsi, ma dal XVI secolo non si parla più che di rovine.
La modesta e semplice chiesa attuale fu costruita nel 1881 sopra i resti dell'antica e conserva due pregevoli dipinti della fine del XIX secolo.
Il villaggio oggi è totalmente mussulmano.
Ciò che è da porre in evidenza è che il nome di quella città, scritto in ebraico, è proprio Nain con la "n" finale ed è scritto con le seguenti lettere ebraiche , onde si legge "Naiin".
"Naiin" significa "grazioso", ma il fatto che pare proprio importante ai fini catechetici, senz'altro colto dai primi cristiani, è che all'interno di quel nome spiccano le lettere e tali lettere sono quelle che indicano in ebraico la parola "vino" "iain".
È quella parola "iain" per vino usata 25 volte nella Torah e 100 volte complessivamente nella Tenak o Bibbia ebraica, integralmente entrata nella Bibbia cristiana.
Il primo atto che compie Noè dopo il diluvio è piantare una vigna e Melkisedeq, re di Salem, offre all'Altissimo pane e vino.

Il profeta Isaia 24,9-11 scrive: "Non si beve più il vino tra i canti, la bevanda inebriante è amara per chi la beve... Per le strade si lamentano, perché non c'è vino; ogni gioia è scomparsa, se ne è andata la letizia dal paese."

Nel Cantico dei Cantici 2,4 l'amato introduce l'amata "...nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore."

Il vino in definitiva fa presente la gioia e il banchetto escatologico.
Per contro la parola vino si trova 37 volte nei libri del Nuovo Testamento.
Nelle nozze di Cana, l'acqua diventa vino buonissimo, segno della gioia dell'avvento del regno messianico.
Nella celebrazione dell'Eucaristia il vino assieme al pane fa presente il mistero pasquale di Cristo che nell'ultima cena diede inizio al suo regno offrendo il vino che è il suo sangue versato per noi, e che ci unisce a Lui in un'Alleanza eterna; quindi, è segno di risurrezione e di vita nuova.

Nel libro di Giobbe 33,19 si trova "Ecco, dentro di me c'è come vino senza sfogo, come vino che squarcia gli otri nuovi" e Luca 5,38 dice "Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi."

Il vino indica così la forza irrefrenabile dell'annuncio di Cristo risorto come ricorda il libro degli Atti degli Apostoli che in occasione del Kerigma di San Pietro nel giorno della prima Pentecoste della Chiesa riporta il commento di alcuni ascoltatori che si dicevano "Si sono ubriacati di mosto." (Atti 2,13)

La situazione prima del miracolo della risurrezione del figlio della vedova, in effetti, e completamente opposta a una situazione di gioia.
Quel nome "Naiin" invece di ricordare "l'energia del vino " in principio del racconto ci parla piuttosto assieme di "lamento " e di "opprimere ()"; tale perlomeno era la situazione di quella vedova.
A questo punto non resta che leggere e commentare quel racconto.

LA RISURREZIONE DEL FIGLIO DELLA VEDOVA
Riporto di seguito il testo della traduzione C.E.I. del 2008: "In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: Non piangere! Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: Ragazzo, dico a te, alzati! Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: Un grande profeta è sorto tra noi, e: Dio ha visitato il suo popolo. Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante." (Luca 7,11-17)

Il racconto pone l'attenzione sul fatto che la madre del morto era una vedova e che quello era il suo unico figlio.
Nel suo Vangelo Luca usa nove volte la parola "vedova", per:
  • Luca 2,36 - Anna di Fanuele che incontrò la Sacra Famiglia al Tempio;
  • Luca 4,24-26 - ricordare la vedova di Sarepta di Sidone a cui Elia risuscitò il figlio;
  • Luca 7,12 - la vedova di cui parliamo;
  • Luca 18,3-4 - la vedova importuna che riceve giustizia;
  • Luca 20,47 - gli scribi che divorano le case delle vedove;
  • Luca 21,2-3 - la vedova che dona tutti i suoi averi, due monetine, al Tempio.
Nei testi ebraici della Tenak vedova "'almanah" è parola usata ben 50 volte di cu 17 nella Torah; la prima volta è in Genesi 38,11 per Tamar, antenata di Gesù secondo la genealogia in Matteo 1.
("Tamar si traveste per essere antenata di Giuseppe")

Vedovo è "'alman" e vedovanza è "'almon" e "'almanut".
È da tenere presente che è il radicale di "ammutolire, diventare muto, stare in silenzio" e forse anche di "legare" visto che "'alummah" è il "covone".
La vedova è sinonimo di necessità e indica solitudine e abbandono.
Al riguardo è da tenere presente che in "'almanah" le lettere portano a pensare al radicale di quelle tre lettere che corrisponde anche a "contare" tenuto conto che la bi-consonante può significare sia "Dio" sia la negazione "no, non", allora si ha la duplice lettura per vedova + , come: "non conta" di solito per gli uomini, ma per "Dio conta" e per lei proprio e solo in Dio poteva contare e Dio gli risponde.
Senza figlio, priva di figlio è "shekol" dal radicale che riguarda sia "il privare di figli, sia abortire, sia essere sterile" come se tutto "kol" ormai fosse arso, bruciato .
Certo una madre vedova cui muore l'unico figlio, com'è nel caso del racconto evangelico in esame, ormai non poteva proprio che contare solo su Dio.
Ecco che il pianto della madre è un grido rivolto direttamente a Lui.
Le lettere ebraiche di vedova si possono, infatti, interpretare come "a Dio dalla madre un lamento ".
La condizione della vedova era molto penosa e non aveva chi la difendesse in un mondo maschilista.
Da qui le disposizioni che chiamano ad avere misericordia per loro nelle "mitsvot" della Torah come in Esodo 22,21 "Non maltratterai la vedova o l'orfano", ma soprattutto nel Deuteronomio, dove si trovano le seguenti norme:
  • Deuteronomio 10,18 - Dio "rende giustizia all'orfano e alla vedova";
  • Deuteronomio 24,17 - "...non prenderai in pegno la veste della vedova";
  • Deuteronomio 24,19-21 - "Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova, perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova."
  • Deuteronomio 26,12 - "Quando avrai finito di prelevare tutte le decime delle tue entrate, il terzo anno, l'anno delle decime, e le avrai date al levita, al forestiero, all'orfano e alla vedova perché ne mangino nelle tue città e ne siano sazi..."
  • Deuteronomio 27,19 - "Maledetto chi lede il diritto del forestiero, dell'orfano e della vedova!"
"Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei", quindi la causa della commozione di Gesù non è suscitata dal morto, ma dalla madre desolata, onde fu mosso a pietà per lei e ne ebbe compassione.
Gesù ha un'intensa commozione per quella vedova; infatti, il testo in latino dice "Quam cum vidisset Dominus, misericordia motus super eam dixit illi: Noli flere".

Il testo in greco è concorde esprimendosi con il verbo "esplanchnizein" derivato "splànchon" il cui plurale "splànchna" "viscere" fa riferimento all'amore materno e al suo grembo, in definitiva "si commossero le viscere", oggi noi diremmo che gli si commosse il cuore, ma a quei tempi e non solo per gli ebrei il cuore "leb" era la sede dei pensieri.
Nell'immaginario di quel tempo le viscere invece erano la sede delle passioni più violente, come l'odio e l'amore, quindi, anche origine delle affezioni più tenere, come gentilezza, benevolenza e compassione, quello che ora, appunto, diremmo il "cuore".

La morte di un figlio primogenito, e addirittura unico, è straziante.
Al riguardo di un evento del genere il profeta Zaccaria evidenzia: "Faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito" (Zaccaria 12,10).

Figurarsi poi se la madre era anche vedova, quale immenso dolore poteva provare e il racconto di Luca pone in evidenza tale dolore sottolineando che quella madre che accompagnava al sepolcro il figlio era rimasta anche vedova, privata, quindi, di ogni appoggio e vedeva finita la propria famiglia con la morte anche dell'unico figlio.
Chi ha incontrato una madre vedova lo sa bene che nessuna parola o gesto potrà mai consolarla dall'indicibile dolore della perdita dell'unico o unica figlio o figlia e solo Dio gli resta per appoggiarsi.
Quella donna del Vangelo di Luca, che già aveva perso il marito e ora ha perso l'unico figlio si sente come "maledetta"; lo stato naturale delle cose, infatti, per lei è stato invertito perché, invece, proprio quel figlio avrebbe dovuto chiudere gli occhi alla propria madre.
Non ci sono quindi parole o i gesti di solidarietà capaci di togliere o lenire quel dolore.
L'unica soluzione sarebbe farlo tornare a vivere.
Solo Dio può raccogliere quel grido.
In quel caso l'ha raccolto.

Il morto era portato a spalle al sepolcro su una barella ancora senza sudario che si poneva sul viso del defunto prima della sepoltura che avveniva in genere nella stessa sera del giorno della morte.
Si tratta di un miracolo compiuto da Gesù solo per compassione, senza che gli fosse richiesto nulla come invece di solito accadeva.
La vedova con le lettere ebraiche che la distinguono non poteva proprio che contare solo su Dio ed era come dicesse "a Dio dalla madre un lamento ".
E Gesù era Dio li presente in carne ed ossa!
La commozione, come si è visto, in effetti, fu nei confronti di lei, per quella madre vedova rimasta sola.
Non c'era bisogno di parole anche per altri e vari motivi:
  • Gesù si stava allontanando da Nazaret e lui sapeva bene che andava a morire in croce a Gerusalemme.
  • Gesù aveva predicato nella sinagoga di Nazaret da cui era stato cacciato dicendo tra l'altro: "Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone." (Luca 4,24-26)
  • Era il tempo del Messia che, secondo le attese, sarebbe stato preannunciato dal ritorno di Elia, che come sappiamo da Gesù stesso viene indicato come già venuto, quando nel Vangelo di Matteo 16,12 dopo la decapitazione del Battista disse: "Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro. Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista."
  • Elia aveva risorto il figlio unico della vedova di Sarepta di Sidone (1Re 17) e tale fatto era il momento di ricordarlo per mettere in tutta evidenza che il tempo del Messia era venuto.
  • C'è poi, a mio parere, un fatto personale; Gesù aveva lasciato a Nazaret la madre, vedova del suo sposo, infatti Gesù in croce nel Vangelo di Giovanni la consegnerà perché ormai sola al suo discepolo, e lui, Gesù, era il figlio unico e ben sapeva che sarebbe morto presto lasciandola senza un diretto sostegno e il pensare alla propria madre certamente a Nain lo rese pienamente partecipe al dolore di quella donna.
Maria, la Madre di Gesù, icona della Chiesa, ha proprio sperimentato la perdita dell'unico figlio, ucciso dagli uomini che era venuto a salvare e, in virtù della morte e risurrezione del Figlio, ha trovato una nuova maternità, divenendo la nuova Eva, madre di tutti i redenti, l'utero di Dio in terra.

Ecco che, allora a quella madre Gesù disse "Non piangere", parole semplici, "l'o tibekoeh" , che evocano lo stato d'animo del profeta Ezechiele 24,16 portandosi in parallelo a quel brano col pensiero alle prove personali che avrebbe dovuto subire e alle vicende che ne seguiranno.
Nella versione greca il "Non piangere" è "Me klàie" , un imperativo presente che significa: "Non continuare a piangere", o meglio "Smetti di piangere".

A questo punto, con autorità si avvicinò alla bara, i portantini si fermarono e, senza anteporre alcuna invocazione a Dio, disse: "Ragazzo, dico a te, alzati!" e con queste parole lo risuscita; la parola di Gesù è parola di salvezza!
Solo Dio può consolare le persone con ferite incurabili e ce ne ha dato prova con la risurrezione di Gesù Cristo.
D'altronde la profezia di Isaia 25,8a si esprime chiaramente: "Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime da ogni volto". (Isaia 25,8a)

Tale promessa s'è realizzata in Gesù Cristo, nella sua morte e risurrezione, come ci ricorda il libro dell'Apocalisse:
  • Apocalisse 7,17 - "...l'Agnello che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guidera' alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi".
  • Apocalisse 21,3s - "Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli, ed Egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né affanno perché le cose di prima sono passate".

LA COMMOZIONE NEI VANGELI
Gesù pur se Figlio di Dio, nato dall'utero di una donna, visse come un comune essere umano e subì tutti i bisogni e le problematiche di ogni uomo, la fame, il freddo, il sonno, le tentazioni del demonio, il dolore fisico e la morte e questi per una ingiusta persecuzione.
Ecco che non fu esclusa la commozione, la compassione e il pianto.
Vedendo Gesù piangere l'umanità ha visto piangere Dio Padre, perché "chi ha visto me ha visto il Padre". (Giovanni 14,9b).

È venuto in terra per patire con gli uomini, per compatirli, per animarli, perché vi fosse una sorgente di tenerezza.
Il volto di Gesù è diventato una sorgente di lacrime, e sulla croce dal suo costato ci ha donato una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna, infatti, ha consegnato al discepolo che amava, segno di tutti i credenti in lui, la propria madre, con le viscere di misericordia, l'utero da cui, grazie alla Spirito Santo, si generano figli di Dio e grazie a cui resta con noi tutti i giorni fino al suo ritorno glorioso, la Chiesa.

C'è ora la misericordia di Dio in terra.
Maria ha compiuto in terra per e con suo figlio un cammino unico di prova.
Il cammino di prova vissuto da Maria, costellato di pianti, forti commozioni e dolori è proprio Via Matris ricordata in questi sette momenti da meditare come una sua Via Crucis in sette stazioni:
  • Luca 2,34s - la rivelazione di Simeone circa la spada che le trafiggerà il cuore;
  • Matteo 2,13-14 - la fuga in Egitto;
  • Luca 2,43-45 - lo smarrimento di Gesù e il ritrovamento nel Tempio;
  • l'incontro con Gesù sulla via del Calvario;
  • Giovanni 19,25-27 - la croce del Figlio;
  • Matteo 27,57-61 - con Gesù deposto dalla croce;
  • Giovanni 19,40-42 - la sepoltura di Cristo.
Nei Vangeli Gesù o altri personaggi delle parabole o della cronaca del ministero si commuovono più volte. Sono andato a cercare in quali occasioni.
In Luca la parola "compassione" si trova tradotta quattro volte:
  • una volta nel caso della vedova di Nain;
  • due volte nell'episodio del buon samaritano in 10,33 "Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione.";
  • una volta da parte del padre del figliol prodigo in 15,20 "Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro".
In Marco:
  • 1,40-45 - Gesù guarisce un lebbroso che gli chiese di guarirlo e "Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò..."
  • 6,34 - Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore,
  • 8,1.2 - Gesù "In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro: Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare."
  • In Matteo:
  • 9,36 - Vedendo le folle, Gesù ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore.
  • 14,14 - "Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati."
  • 15,32 - "Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino."
  • 18,26 - nella parabola dei due servi: "Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito."
  • 20,34 - per i due ciechi di Gerico: "Gesù ebbe compassione, toccò loro gli occhi ed essi all'istante ricuperarono la vista e lo seguirono."
  • In Giovanni al capitolo 11 nell'episodio della risurrezione di Lazzaro:
    • Gesù quando vide piangere Maria la sorella del morto, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei al versetto 33: "si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: Dove lo avete posto?"
    • al versetto 38: "Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra."
    In tale Vangelo poi è da sottolineare la commozione implicita della madre di Gesù alle nozze di Cana per gli sposi che erano incappati nel fatto che non avevano più vino nel banchetto della celebrazione del loro matrimonio.
    Nei Vangeli poi ci sono due episodi in cui Gesù piange:
    • il pianto su Lazzaro dopo la commozione che abbiamo prima segnalato al sepolcro dell'amico, infatti, dopo la domanda "Dove l'avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in pianto." (Giovanni 11,33-35)
    • nel Vangelo di Luca 19,41-44 sulla sorte di Gerusalemme: "Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata."
    La lettera gli Ebrei 5,7 poi, informa, che "nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà."

    Ora, i motivi del pianto di una persona in genere sono:
    • d'impotenza, d'impossibilità a reagire di fronte a una frustrazione, quando non c'è più speranza di farcela o, quando la difficoltà è superata, implica rabbia, umiliazione, colpa o ansietà, per un fallimento, un conflitto, una delusione o uno scoraggiamento per una separazione o una perdita.
    • "empatico", d'identificazione e condivisione con chi piange per la sua situazione onde può anche accadere che il soggetto che subisce l'evento spiacevole soffra senza piangere, mentre chi assiste piange.
    • di gioia per ricostruzione retrospettiva di una vicissitudine passata.
    • "estetico", per un senso di appagamento di pienezza per la coscienza di stare a vivere un' esperienza unica, bella e sublime.
    In definitiva il pianto di Gesù non può che catalogarsi nel pianto empatico, lui soffrì e patì per noi e con lui sua madre.

    CONSOLAZIONE - ISAIA 66 - DECRIPTAZIONE
    Gesù ai suoi discepoli ha fatto una grande promessa: "Non vi lascerò orfani" (Giovanni 14,18) e ha lasciato una vera consolazione, sua madre, la madre del Dio di consolazione.
    Vengono da lei la grazia che solleva dalla pena della condanna a morte cui tutti sono condannati, il sollievo morale, il conforto, tutto ciò che è ragione di gioia e di speranza, il consolare e l'attenuazione del dolore.
    Questa consolazione discende dall'aver preso coscienza della possibilità di una solidarietà unica tra gli uomini, perché tutti fratelli, figli della stessa madre, tutti con i medesimi sentimenti, perché tutti nati nel battesimo dall'acqua della stessa madre di Cristo che dona la consolazione.

    Il grido del profeta Isaia 40,1s, "Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata ", ha avuto risposta.

    Quel due volte "consolate" è "nachemu" , dal radicale del verbo e nel caso specifico quelle lettere ispirano anche altri pensieri e si possono spezzare in + a "guidarci () la madre ci ha portato ", e ancora "apostoli nelle assemblee la madre ci ha recato ".

    San Paolo ci ricorda questa consolazione col dire:
    • "Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo." (Romani 15,4-6)
    • "Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità, se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù." (Filippesi 2,1-5)
    A questo punto la migliore conclusione a questa mia meditazione è la decriptazione col mio metodo di "Parlano le lettere" dell'ultimo capitolo del profeta Isaia, il 66 di 24 versetti, in cui tra l'altro ci dice "Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò " (versetto 13) e lo dice in modo autorevole, con una pagina densa di "oracolo del Signore", "dice il Signore", "parola del Signore", tracce tutte d'invito a cercare la sottostante pagina messianica.

    Riporto il testo dell'ultima traduzione C.E.I.:

    Isaia 66,1 - Così dice il Signore: Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la dimora?

    Isaia 66,2 - Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie - oracolo del Signore. Su chi volgerò lo sguardo? Sull'umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola.

    Isaia 66,3 - Uno sacrifica un giovenco e poi uccide un uomo, uno immola una pecora e poi strozza un cane, uno presenta un'offerta e poi sangue di porco, uno brucia incenso e poi venera l'iniquità. Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini;

    Isaia 66,4 - anch'io sceglierò la loro sventura e farò piombare su di loro ciò che temono, perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito. Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco hanno scelto.

    Isaia 66,5 - Ascoltate la parola del Signore, voi che tremate alla sua parola. Hanno detto i vostri fratelli che vi odiano, che vi respingono a causa del mio nome: Mostri il Signore la sua gloria, perché possiamo vedere la vostra gioia! Ma essi saranno confusi.

    Isaia 66,6 - Giunge un rumore, un frastuono dalla città, un rumore dal tempio: è la voce del Signore, che dà la ricompensa ai suoi nemici.

    Isaia 66,7 - Prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio.

    Isaia 66,8 - Chi ha mai udito una cosa simile, chi ha visto cose come queste? Nasce forse una terra in un giorno, una nazione è generata forse in un istante? Eppure Sion, appena sentiti i dolori, ha partorito i figli.

    Isaia 66,9 - Io che apro il grembo materno, non farò partorire?, dice il Signore. Io che faccio generare, chiuderei il seno? dice il tuo Dio.

    Isaia 66,10 - Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l'amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto.

    Isaia 66,11 - Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria.

    Isaia 66,12 - Perché così dice il Signore: Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati.

    Isaia 66,13 - Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati.

    Isaia 66,14 - Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l'erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi, ma la sua collera contro i nemici.

    Isaia 66,15 - Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, i suoi carri sono come un turbine, per riversare con ardore l'ira, la sua minaccia con fiamme di fuoco.

    Isaia 66,16 - Con il fuoco infatti il Signore farà giustizia e con la spada su ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore.

    Isaia 66,17 - Coloro che si consacrano e purificano nei giardini, seguendo uno che sta in mezzo, che mangiano carne suina, cose obbrobriose e topi, insieme finiranno - oracolo del Signore -

    Isaia 66,18 - con le loro opere e i loro propositi. Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.

    Isaia 66,19 - Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti.

    Isaia 66,20 - Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme - dice il Signore -, come i figli d'Israele portano l'offerta in vasi puri nel tempio del Signore.

    Isaia 66,21 - Anche tra loro mi prenderò sacerdoti leviti, dice il Signore.

    Isaia 66,22 - Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a me - oracolo del Signore -, così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome.

    Isaia 66,23 - In ogni mese al novilunio, e al sabato di ogni settimana, verrà ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore.

    Isaia 66,24 - Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti.

    A titolo d'esempio riporto la dimostrazione della decriptazione dei versetti 1 e 13 e poi tutta di seguito la decriptazione dell'intero capitolo Isaia 66.

    Isaia 66,1 - Così dice il Signore: Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la dimora?




    "Così dal mondo , uniti , vivi col corpo col Signore entrano in cielo . Al trono () dell'Unico sono portati gli usciti dalla terra ; usciti simili () nei corpi al rivelarsi () che fu dell'Unico . Sono in questi a entrare dentro . Sono infine beati tutti figli . E al Potente sono stati condotti dall'Unigenito . Sono con questi usciti i viventi risorti ; alla dimora sono ."

    Isaia 66,13 - Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati.




    In questo versetto per tre volte si trova il radicale di consolare e nel criptato porta al battesimo.

    "Dentro agli uomini l'Unigenito illumina le menti - teste . Inizia la vita a portarsi completa ; a guidare () i viventi gli apostoli (apostoli o inviati, come consente l'icona della lettera ) si recano , così alla bella angelica retta esistenza l'iniziano . Consolano , retti all'acqua li portano dei pozzi e bruciano i serpenti dagli uomini ; l'energia racchiudono che la (vera) vita reca ."
    (Con "La vita si porta completa" sopra ho decriptato le lettere che significa morte, e viene l'idea che si prepara la prima risurrezione, infatti, quanto ho proposto come "Dentro agli uomini l'Unigenito illumina le menti/teste. Inizia la vita a portarsi completa si potevano anche leggere: "Dentro per gli uomini inizia la resurrezione della mente prima dalla morte")

    Isaia 66,1 - Così dal mondo, uniti, vivi col corpo col Signore entrano in cielo. Al trono dell'Unico sono portati gli usciti dalla terra; usciti simili nei corpi al rivelarsi che fu dell'Unico. Sono in questi a entrare dentro. Sono infine beati tutti figli. E al Potente sono stati condotti dall'Unigenito. Sono con questi usciti i viventi risorti; alla dimora sono.

    Isaia 66,2 - Si porta l'Unigenito alla fine con la sposa a Dio dal mondo; sono alla porta, sono in vista della luce, dal deserto sono usciti, si sono portati dalla prigione del serpente fuori. Con gli apostoli all'Unico i viventi il Signore porta, da Dio questi escono, del Padre sono al cuore, da Dio i miseri ha recato, angeli retti escono, lo Spirito portano chiuso nei corpi con la conoscenza. Partoriti i figli sono stati.

    Isaia 66,3 - Alla luce li ha portati dalle tombe per amore per l'uscita risurrezione che ha riportato i corpi a vivere. Retti escono gli uomini. Questi, condotti da dentro le tombe fuori, risorti escono, si vedono portati col corpo dalla Parola tutti a casa dal misfatto usciti per l'offerta nel mondo del sangue dal petto lanciato ai viventi, (quando) colpito fu il corpo da un serpente. Dal Figlio uscì con l'acqua la benedizione. L'Unigenito ha portato gli apostoli in cammino con la Madre. Uscì la vita fuori con vigore in un corpo. Si portarono da casa per via con forza. Usciti ai viventi recarono dentro la luce per svegliarli. Sono a riuscire a vivere. L'energia della Parola li risorge in vita dalle tombe; a liberarli uscirono.

    Isaia 66,4 - In cammino la Madre dell'Unigenito inviata è stata dal Padre dal chiuso del corpo da dentro del Crocefisso innalzato l'ha portata al serpente, Sono stati al mondo all'acqua portati i viventi in cammino, ha condotto i corpi alla purezza. Del Padre è stata la maledizione a esistere, in azione inviata, versata dal corpo dell'Unigenito dalla croce, è portata per annullare il peccato del mondo. La Parola in croce è stata condotta dal Potente in sacrificio di espiazione al peccare ed è stato con quell'agire il fuoco condotto al mondo al male. Per le preghiere con i lamenti recati dentro l'Unigenito ha bruciato dai corpi il serpente, dall'Unico con la Parola su alla fine sono a dilettarsi portati.

    Isaia 66,5 - A sorgere tra i viventi in azione recò per aiutare il Figlio. Fu la calamità che uscì con spavento all'esistenza del primo serpente. La Parola portò l'Unico a vivere col corpo e i fratelli è stato così a salvare. Sorge bella l'esistenza retta della vita ai viventi. Dall'impurità sono alla rettitudine i viventi. Del Potente all'amore sorgono in vita, sono all'esistenza nella gloria con il Signore e inviati col corpo per amore risorti in vita dallo spavento. Retti la Madre porta fuori dalle acque, gli sono dentro simili.

    Isaia 66,6 - A rovesciare portò al serpente un fuoco. Desiderò inviarglielo dal seno. Fu un corpo versato, si portò guizzando con l'acqua fuori. Fu la sposa versata e con la potenza del Signore libererà dal serpente i viventi, dal cammino lo reciderà. Al serpente guai a casa è a recare.

    Isaia 66,7 - Da dentro il Cuore dall'alto della croce in vita fu dal Potente partorita. Gli uscì da dentro dal cuore. Un corpo/popolo nell'acqua è da dentro a portare. Fratelli sparsi nel mondo e uscì ai viventi la potenza della carità al mondo dal colpito Agnello.

    Isaia 66,8 - In vita è sorta dal seno la rettitudine, questa venuta in vita è dal corpo dell'Unigenito al mondo, così la maledizione fuori è stata portata (1), per stringere il serpente. In terra a casa è stata portata la Madre ai fratelli per aiutare (2), inizieranno dalla Madre ad essere generati i popoli con la Parola. Vedranno la Madre i Fratelli alla croce così essere dolorosa (3), in cammino i viventi sarà a generare, al mondo giù è stata portata l'energia, verranno figli ad esistere al mondo.
    (1) In questo momento che si sta portando la profetica maledizione al serpente di Genesi 3,14 e 15 si concretizzerà anche col dolore del partorire della Madre che sotto la croce è nel dolore.
    (2) Giovanni 19,27 "Poi disse al discepolo: Ecco la tua madre! E da quel momento il discepolo la prese a casa sua."
    (3) La madre sotto la croce addolorata per la morte del figlio ha anche un dolore per partorire nuovi figli!

    Isaia 66,9 - Al mondo dall'Unico inviata è stata la Donna (quella della Genesi 3,15), un pozzo porta per il "no" (il fonte battesimale, è lì che si porterà prima l'acqua e poi il fuoco della risurrezione al serpente) iniziò a portarlo al serpente (dove) sarà sbarrato con forza. Inizia d'acqua l'irrigazione al mondo, l'ha portata fuori l'Unigenito. Per i viventi inizia l'energia ad esistere al mondo per recidere dalle esistenze l'impuro, dal legno della croce gli esiste dell'Unico in vita col corpo la maledizione; fu così.

    Isaia 66,10 - A risorgere in vita dalla tomba ha portato l'Unico il Crocefisso a Gerusalemme e camminando si è potente riportato a casa. Rientra dalla sposa. Per amore è stato al mondo risorto. Saranno a essergli simili tutti del mondo gli uomini. Dal Padre, il Potente, saranno a vivere; innalzati saranno dal mondo.

    Isaia 66,11 - Sul Potente ai viventi in azione gli apostoli completamente sono ad inviare lo sperare, portano (l'annuncio) del risorto, che dentro hanno visto in croce, vivo ai viventi. Per il maligno finire a guidare i viventi sono del mondo. Del Potente l'amore integri i precetti portano nel mondo. Della croce a vedere lo splendore indica la Madre ai viventi. Questa un'esistenza pura dentro porta per aiutare il mondo.

    Isaia 66,12 - Così, esseri retti escono a parlare del Signore al mondo. Gli apostoli del Figlio ne recano l'amore nel mondo. Da Dio è uscito di rettitudine un fiume. Del risorto la potenza portano ai viventi e così guidano per il Potente esseri simili a bambini retti. Da casa si portano per aiutare i popoli a essere alla Madre condotti e sono gli apostoli a versarli segnandoli alle acque. In alto a salire la legge divina luminosa dell'Unico conducono e se ne vede il cuore; un corpo retto esiste di uomini sorto a operare si vedono condurre.

    Isaia 66,13 - Dentro agli uomini l'Unigenito illumina le menti/teste. Inizia la vita a portarsi completa; a guidare i viventi gli apostoli si recano, così alla bella angelica retta esistenza l'iniziano. Guidano i viventi, retti all'acqua li portano dei pozzi e bruciano i serpenti dagli uomini; l'energia racchiudono che la (vera) vita reca.

    Isaia 66,14 - Portato un corpo dall'Unigenito è stato dalla croce in vita portato alla luce a sorgere. Dal cuore agognante l'ha portata, dal legno della morte all'esistenza retta. Con le piaghe alle mani il risorto Unigenito crocifisso soffierà al corpo (Vedi: Giovanni 20,19-23), la grazia a uscire porterà. Gli apostoli recheranno la conoscenza al mondo, saranno di aiuto al Signore, dall'Unigenito crocefisso per servire sono stati portati e questi ai popoli venuti con l'Unigenito sono, da casa si sono recati. (È il natale della Chiesa bambina, questa madre comprenderà nei Vangeli la madre terrena Maria, ma è la figura della Chiesa futura; della Madre = al gruppo degli apostoli con Maria la madre, di Gesù.)

    Isaia 66,15 - Così è uscita con gli apostoli per il mondo dal Signore da dentro la moglie - donna che sono dentro a recare. S'inizia a portare rettitudine attorno e del Verbo nel mondo la Mercabah (il carro della evangelizzazione) del Crocifisso sono a portare. Il serpente n'esce bruciato dall'esistenze. Dall'intimo il veleno inizia a liberare e in cammino al nemico per finirlo recano in casa le fiamme forti dell'Unigenito risorto.

    Isaia 66,16 - Cosi è dentro iniziata la risurrezione a essere nel mondo recata. E esce con gli apostoli la illuminazione della Parola, la carità portano negli eletti ad abitare e dell'Unigenito crocefisso la sposa dentro sorge il corpo, recandovi le moltitudini e uccisa è dall'esistenze la perversità.

    Isaia 66,17 - Nel mondo uomini alla santità sono dalla Madre (Chiesa) portati. Esce dalla Madre la carità che generata è nei viventi. La maledizione del giardino (dell'Eden) porta a finire l'Unico. Stretto un corpo di fratelli che si aiutano dentro segnati portano la rettitudine dell'Unigenito. Il maligno dentro bruciato dai corpi esce, nei porci si porta a entrare l'abominevole, fuori alla vista spenti i corpi insieme e sono alla fine portati, inviata dall'Unigenito nell'acqua è stata la perversità. (È l'evidente la descrizione della profezia battesimale, realizzata poi da Gesù e riportata dai sinottici dei demoni scesi nei porci nel paese dei Geraseni o Gadareni- Matteo 8,28- 34; Marco 5,1-20; Luca 8,26-39)

    Isaia 66,18 - Dentro inizia al mondo il serpente ad essere rovesciato nel fango; vengono alla sposa i popoli, che sono alla vita riportati, esce la potenza della risurrezione dagli apostoli portati dal Crocifisso e a casa dell'Unico iniziano a condurli ed alla vista vengono della gloria a stare.

    Isaia 66,19 - E la risurrezione dai morti è stata dentro al mondo ai viventi vita dall'Unigenito portata alla fine. Ha recato il fuoco potente nelle tombe. Tutti risono a vivere. Nel mondo dalla Madre salvati sono stati. Alla vita di Dio escono in cammino portati all'esistenza gli uomini con i corpi in dono li ha risorti la Parola portando la potenza e il serpente ha portato dai simili a bruciare. Cosi si è versata la risurrezione completamente, alla fine ha portato l'invecchiare ed è stata portata l'energia a entrare dell'Unico nell'esistenza. Sono stati (ri)partoriti, dalle tombe riversati sono stati alla vita beata. Del serpente l'Unigenito ha bruciato dai viventi il peccare venuto. Col fuoco dal seno gli ha portato il "no" col corpo (da parte) dell'Unico. Dalla croce alla gloria sono stati portati. L'annuncio portato della gloria è stato in cammino, l'ha recato nelle esistenze la Madre.

    Isaia 66,20 - E dal mondo a casa sono stati all'Unico portati dall'Unigenito la perfetta con i fratelli che era ad anelare di vivere con la sposa. I popoli la Madre in vita ha guidati, la potenza è stata dal Signore dentro in pienezza recata, riempiti sono stati i viventi e la benedizione dentro ha recato. A casa su dentro è stato la Madre condotta, dentro ha portato frutto, per mano sono stati i viventi condotti dentro retti nei corpi. L'Agnello portato in croce innalzato li ha generati alla santità. È stato a Gerusalemme che ha originato a (ri)vivere i corpi il Signore, così beati sono dentro. L'Unigenito li porta a casa con gli angeli a stare. È alla luce col corpo da Dio venuta l'offerta dal mondo. A casa la sposa è. Per amore ha portato le moltitudini all'esistenza completa il Signore.

    Isaia 66,21 - Ed in cammino in vita i viventi escono, a vivere con l'Unigenito che ha rovesciato le tombe. Dal serpente così escono. Con energia è stato reciso. E è stato ai viventi dall'Unigenito da cibo portato nel mondo (banchetto Messianico).

    Isaia 66,22 - Così sono retti, con l'Unigenito risorti, col corpo usciti in cielo dal mondo. Dalle tombe sbarrate alla luce sono i viventi portati. Dal mondo all'Unico col corpo su escono rinnovati, entrano beati da 'Io sono'. Alla vista della luce entrano ad abitare. Sono i viventi con la potente Parola, Figlio dell'Unico, i viventi. Col Signore retti con gli angeli sono. Si vede in vesti di lino la stirpe retta dei viventi. L'ha portata alla luce a vivere la retta Madre.

    Isaia 66,23 - E dal mondo sono usciti con le vesti che sono state rinnovate, dentro all'Uno simili ha portato i viventi per mano a dimorare tutti a casa, risorti ad abitavi alla fine. E sono stati a casa portati dall'Unigenito tutti con la carne potenti usciti risorti completamente dalle tombe, portati da un colle dalla Parola con gli angeli sono; iniziano a vivere col corpo col Signore.

    Isaia 66,24 - E sono stati su all'Unico portati, condotti con i corpi. Dagli spiriti dei morti, dai cadaveri sono usciti gli uomini. Sono vivi, la Parola li ha risorti con ardore, dentro sono retti. È il verme per la purezza potente nei viventi venuta al morire portato e del peccare del serpente l'Unigenito ha finito con la rettitudine dentro la perversità, fuori.

    a.contipuorger@gmail.com

    Tutti gli articoli di BibbiaWeb

    vai alla visualizzazione normale di inizio articolo     invia questa notizia ad un amico

     
    DECRIPTARE LA BIBBIA - Le lettere del RE
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera jod
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera kàf
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera lamed
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera mèm

    DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a destra del RE
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera nùn
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera samek
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera 'ajin
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera pè

    DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a destra estrema
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera sade
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera qòf
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera resh
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera s'in e sh́n

    DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a sinistra del RE
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera wàw
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera zàjin
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera hèt
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera tèt

    DECRIPTARE LA BIBBIA - Ala a sinistra estrema
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera bèt
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera ghimel
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera dalet
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera hè

    DECRIPTARE LA BIBBIA - Il primo e l'ultimo
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera 'alef
    DECRIPTARE LA BIBBIA - La lettera taw


    Bibbia Home | Autore | Perché Bibbiaweb? | Contatti | Cerca | Links
    info@bibbiaweb.net  
    Per i contenuti tutti i diritti sono riservati ad Alessandro Conti Puorger
    BibbiaWeb

    Alessandro Conti Puorger Alessandro Conti Puorger
    Via Eleonora d'Arborea 30 - Roma - Italy

    Realizzazione EdicolaWeb Edicolaweb.net
    Via S. Maria a Cintoia 14/b - Firenze, Italy