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"TROVAI L'AMORE DELL'ANIMA MIA"

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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DIO È AMORE
Il Dio annunciato da Israele ama l'uomo e questa fede era ben radicata nel pensiero biblico ancor prima del cristianesimo.
Al riguardo mi pare che basta ricordare:

  • Deuteronomio 7,8 quel che significa "il Signore vi ama".
  • Salmo 86, attribuito a Davide che è una preghiera nella prova Salmo in cui al versetto 15 è detto: "Ma tu, Signore Dio di pietà, compassionevole, lento all'ira e pieno di amore, Dio fedele", espressioni che testimoniano realtà sperimentate nella propria vita del fedele nella plurisecolare storia della sua rivelazione al popolo d'Israele."
Dio fu riconosciuto da Israele come Padre, paternità che spesso si presentava in modo severo nelle famigli ebree, ma ciò non toglie che ampi e variegati furono i sentimenti che desta quella paternità.

Al riguardo Giovanni Paolo II mercoledì 20-1-1999 ebbe a dire quanto segue: "Israele ha riconosciuto la paternità divina a partire dallo stupore dinanzi alla creazione e al rinnovarsi della vita. Il miracolo di un bimbo che si forma nel grembo materno non è spiegabile senza l'intervento di Dio, come ricorda il salmista: "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre" (Salmo 139,13). Israele ha potuto vedere in Dio un padre anche in analogia con alcuni personaggi che detenevano una funzione pubblica, specialmente religiosa, ed erano ritenuti padri: così i sacerdoti (Giudici 17,10; 18-19; Genesi 45,8) o i profeti (2Re 2,12). Ben si comprende inoltre come il rispetto che la società israelitica richiedeva per il padre e i genitori inducesse a vedere in Dio un padre esigente. In effetti, la legislazione mosaica è molto severa nei confronti dei figli che non rispettano i genitori, fino a prevedere la pena di morte per chi percuote o anche solo maledice il padre o la madre (Esodo 21,15.17)... La paternità divina nei confronti d'Israele è caratterizzata da un amore intenso, costante e compassionevole. Nonostante le infedeltà del popolo, e le conseguenti minacce di castigo, Dio si rivela incapace di rinunciare al suo amore. E lo esprime in termini di profonda tenerezza, anche quando è costretto a lamentare la non corrispondenza dei suoi figli: "Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore: ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare... Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?... Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione" (Osea 11,3s.8; Geremia 31,20)."

Il Signore si presentò al suo popolo tramite Mosè nell'Esodo in questi termini "...il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe", che si trova ripetuti in Esodo 3,6; 3,15; 4,5 e ricordato da Gesù nei Vangeli sinottici, Matteo 22,32; Marco 12,26; Luca 20,37."
Ognuno di questi patriarchi ha avuto un rapporto personale col Signore che del resto si presenta in modo unico a ciascun uomo nella propria storia e l'accompagna.
Tramite queste tre figure tipiche dei patriarchi nelle Sacre Scritture Dio vuole rivelare il mistero della Sua SS. Trinità, ossia la sua essenza di unità di sostanza in tre persone - Padre, Figlio e Spirito Santo - in due nature, divina e umana, visto che il Figlio entrato nel tempo si fece uomo in Gesù di Nazaret dalla carne della Vergine Maria.
Con tutti e tre quei patriarchi Dio fece alleanza.

Nel libro del Levitico 26,42 il Signore, infatti, dice: "Io mi ricorderò della mia alleanza con Giacobbe, dell'alleanza con Isacco e dell'alleanza con Abramo."
Il parallelo di Abramo col Padre e di Isacco col Figlio è più immediato.
In Isaia 41,8 il Signore dice "Abramo mio amico" "'Abraham 'ahabi" vale a dire "Abramo che amo" e nel nome di questo patriarca c'è il segno del Padre essendo il capostipite di una dinastia che porta la fede ai figli che vengono da lui indipendentemente dalla circoncisione, come del resto sottolinea San Paolo:
  • Romani 4,22-24 - "Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore."
  • Galati 3,6-8 - "Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia. Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: In te saranno benedette tutte le genti."
L'alleanza con Lui comporta d'essere Suo alleato per sempre, quindi, implica la certezza di Vita Eterna, perché l'alleanza rispettata tra persone serie comporta amicizia, l'amicizia ha la stessa radice dell'amore e l'amore se è vero vince la morte.

Nel racconto del sacrificio di Isacco la richiesta di Dio ad Abramo fu: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò" (Genesi 22,2); così Isacco è figura del Figlio sacrificato in croce su quello stesso monte.

Lo Spirito Santo è poi percepito in Giacobbe, da Dio chiamato Israele, che implica tutto l'Israele di Dio, ossia degli eletti da Dio per manifestare lo Spirito Santo nel mondo, perché non è né la carne né le opere che rendono figli, ma la Sua Grazia vale a dire il Suo Spirito Santo e la predicazione, perché: "La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo." (Romani 10,17)

Si trova, infatti, in:
  • 1Cronache 16,13 - "voi, stirpe d'Israele, suo servo, figli di Giacobbe, suoi eletti!"
  • Isaia 44,1 - "Ora ascolta, Giacobbe mio servo, Israele che ho eletto."
L'essere suoi servi comporta di compiere il servizio d'essere portatori della Sua Parola, quindi, d'essere profeti di Lui nel mondo.
Quei tre patriarchi paiono, insomma, costituire proprio una prefigurazione della SS. Trinità che ovviamente è svelata in Cristo, compimento delle Scritture, che rivela il volto del Padre e che ci dona il Suo Santo Spirito.
Dio nelle Scritture sempre si presenta appunto come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, perché intende che Lui è Trino, perché da sempre è una comunione di persone e come tale s'è presentato anche al popolo ebraico nelle Scritture, ma ci svela questo mistero solo nel Figlio fatto carne.
(Vedi: "La SS. Trinità di Abramo, di Isacco e di Giacobbe")

Ciò che tiene unita tanto da rendere unica e indivisibile la SS. Trinità, che in termini umani ci appare come una "famiglia" divina, è il cemento dell'amore.
Nella SS. Trinità c'è un amore corrisposto e questi diviene persona.
Padre e Figlio si amano di un grande infinito eterno amore che s'è reso concreto "ab eterno" divenendo persona, il Santo Spirito, che permea ed emana da loro come le fiamme dal roveto di Mosè.
L'essenza di quella "famiglia" è l'amore e l'unità che in definitiva è pure risultato dell'amore stesso onde vale in assoluto la definizione: "Dio è amore".

Si trova, infatti, nella lettera 1Giovanni al capitolo 4:
  • 1Giovanni 4,7s - "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore."
  • 1Giovanni 4,16 - "Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui."
  • 1Giovanni 4,19 - "Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo."
Nel Nuovo Testamento più volte si parla "dell'amore di Dio", precisamente in Luca11,42, Giovanni 5,42; Romani 5,5; Romani 9,39; 2Corinzi 13,13; Tessalonicesi 3,5; 1Giovanni 2,5; 3,17; 4,9; 5,3; Giuda 1 e 21.

L'enciclica "Deus caritas est" di Benedetto XVI - 25 dicembre 2005, infatti, così inizia: " Queste parole della Prima lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto. L'Antico Testamento greco usa solo due volte la parola "eros", mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all'amore - "eros","philia" (amore di amicizia) e "agape" - gli scritti neotestamentari privilegiano l'ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini. Quanto all'amore di amicizia ("philia"), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell'amore che si esprime attraverso la parola "agape", denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore".

Due parole greche per amore, infatti, non sono mai utilizzato nel Nuovo Testamento:
  • "storge", avendo la stessa idea di famiglia amore o affetto, come sostenuto dal negativo "astorgos" aggettivo usato solo in Romani 1,31 e in 2Timoteo 3,3;
  • "eros", esprimendo un amore possessivo e utilizzato principalmente di fisica amore.
In definitiva "agapao - agape" è molto più alto, visto che cerca il massimo di bene per l'amato.
Il pensiero che Dio -Trinità è amore corrisposto in pienezza, implica l'idea che Dio non ha necessità alcuna d'essere riamato dagli uomini.
Siccome al cuor non si comanda, accade che in terra l'amore che Dio ha dato a tutti creandoli e ancora di più, poi, con l'invio del Figlio a morire in croce per togliere la schiavitù dal peccato, non è corrisposto da tutti.

Aveva detto Gesù "Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici" (Giovanni 15,13) e poi ha dette la propria vita per salvare i "nemici" e anche tutti quelli che l'abbandonarono tra cui c'era uno dei suoi intimi che lo tradì.
Sant'Agostino il vescovo d'Ippona diceva di Gesù: "È più fraterno di ogni fratello, è più amichevole di ogni amico, è più amorevole di ogni amore".

Mette al riguardo in evidenza il Vangelo di Giovanni nel Prologo 1,10-13 che il Figlio di Dio: "Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati."

Coloro che l'hanno accolto hanno compreso l'amore di Dio per loro e per il potere effusivo dell'amore cercherà far comprendere all'altro che Dio esiste e lo ama.
Chi ama, infatti, annuncia all'altro la propria intima gioia, l'aver trovato la perla preziosa e "Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore." (1Giovanni 4,8)

Scrive il sommo Dante nella Divina Commedia "Amor, ch'a nullo amato amar perdona" (Inferno 103) cioè "l'Amore, che a nessuno risparmia, se amato, di riamare" ossia l'Amore obbligherebbe chi è amato ad amare a sua volta. Eppure l'Amore in assoluto che è Dio stesso è comunque esperienza comune che non è riamato.
Al riguardo di San Francesco nei Fioretti è narrato un episodio in cui il santo manifestò tanto dolore nel vedere non riamato Gesù.

"Una volta andava solingo nei pressi della chiesa di Santa Maria della Porziuncola, piangendo e lamentandosi a voce alta. Un uomo pio, udendolo, suppose che egli soffrisse di qualche malattia o dispiacere e, mosso da compassione, gli chiese perché piangeva così. Disse Francesco: Piango la passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo? Allora anche l'uomo devoto si unì al lamento di Francesco."

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