GLI ULTIMI PROFETI
di Alessandro Conti Puorger
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IL PROFETA, SERVO DI DIO
Il termine profeta, dal latino "prophèta", deriva dal greco
"",
parola formata dal prefisso
"-pro",
"davanti, prima", "per", "al posto di" e dal verbo
""
- "femì", per "parlare, dire".
"Profeta", quindi, è "chi parla davanti" o "colui che parla per" ed anche "che parla al posto di", sia nel senso di dire "pubblicamente" davanti ad ascoltatori, sia di esporre al posto, in nome di altro - di una divinità ad esempio - sia di rivelare "prima" qualcosa che accadrà nel futuro.
Costui, in definitiva, in campo religioso era considerato un "servo della divinità", perché compiva un servizio a quella e per conto di quella.
Tra gli egizi, infatti, chi aveva funzione di profeta di un dio era detto
"m
ntr" ossia "hem-netjer", "servo del dio", ove
"m"
è un bastone rivoltato in su e "ntr" è una bandiera su un'asta, simbolo di riconoscimento dei templi di un dio.
Tale servo ovviamente portava la parola del dio.
Il termine "parola", peraltro, era indicato da quello stesso bastone rovesciato e le parole del dio, erano chiamate "medu netjer" vale a dire bastoni divini.
Ecco, quindi, il grande patos nella Torah sul bastone di Mosè che si trasforma in serpente e provoca l'apertura del mare concretizzando la parola di IHWH.
(Vedi: "
Tracce di geroglifici nel Pentateuco - I Parte" e "
II Parte")
Il discorso di cui sopra fa comprendere che, per i conoscitori della cultura egizia, come del resto erano gli antichi ebrei, i fatti relativi al bastone di Mosè erano una chiara allegoria per indicare il potere creativo del suo mandante, cioè del Dio Unico IHWH.
Quei racconti, insomma, stanno ad asseverare che Mosè veramente era ambasciatore di Dio e non che il suo bastone fosse "magico".
Nell'immaginario di quel tempo accostarsi al divino era proibito ed occorreva un intermediario abilitato dal dio stesso che ne riportasse i voleri e che facesse da ponte.
Primo Profeta, ad esempio del dio Amon, era il titolo che distingueva il sacerdote di maggior rilievo nel clero tebano che al tempo di Mosè aveva ormai assunto grande potere.
Altri sacerdoti, tutti servi del dio operanti nello stesso tempio, potevano assumere il titolo di secondo, terzo... profeta del dio.
Si legge, infatti, nella Torah in Numeri 12,8 che Dio stesso definisce suo servo Mosè quando dice: "Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli guarda l'immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il
mio servo Mosè?"
Del resto poi nella Bibbia Mosè si trova definito in quel modo numerose volte, quindi era la voce di Dio in terra.
Del pari, Dio stesso definisce "mio servo" Caleb in Numeri 14,24 e nei libri storici della Bibbia numerose volte poi è indicato Davide come "mio servo" direttamente dal Signore.
In campo biblico, comunque "profeta" è il titolo proprio di chi abbia qualcosa da dire per conto del Dio Unico e di cui Dio si serve da tramite in questa terra a vantaggio degli altri uomini.
Condizione necessaria, quindi, per essere profeta in tale campo è aver avuto in qualche modo un rapporto diretto con Dio e aver ricevuto l'implicito o esplicito incarico di trasmetter un suo messaggio o una sua rivelazione.
Il profeta, in effetti, in analogia a quanto in Egitto, è perciò essenzialmente un "servo di Dio".
Non a caso "
Servo di Dio" è il titolo con cui la Chiesa Cattolica designa dopo la morte per chi è stato avviato il processo canonico di beatificazione, che passerà poi se del caso ai livelli di "Beato" e poi di "Santo", persona che ritiene si sia distinta per santità di vita o eroicità delle virtù, rendendo palese e vivo nella propria epoca il Vangelo, ossia la buona notizia di Cristo, insomma, di fatto, è stato un profeta.