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di Alessandro Conti Puorger
 
 

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NASCITA DEL POPOLO DI DIO
Dal faraone per amore a Giuseppe (Genesi 45,9s) quei 72, il clan di Israele, fu fatto risiedere in Egitto nella parte orientale del delta del Niro nella terra detta di Goshen.
I discendenti di quelli risiedettero in Egitto per 400 anni, come conferma il libro degli Atti: "Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni." (Atti 7,6)
Con i tanti unitisi a loro, lasciarono quella terra al momento dell'Esodo dall'Egitto partendo proprio da quel luogo.
Quel "Goshen" in ebraico è un nome profetico, infatti:

  • + e è zolle di fango, come in Giobbe 7,5, quindi, un terreno umido e pieno di , ossia d'energia, quindi, fertile, ma anche idoneo a fare i famosi mattoni;
  • + ove è tradotto in Giobbe 30,5 come società probabilmente da "goi" popolo e con = è il radicale di "rinnovare", quindi, società nuova;
  • + + e lette come singole lettere si ha "in cammino si porteranno rinnovati .
S'intravede che da là verrà a uscire un popolo e una società nuova, ma ancora molto pagano come fa intravedere quel "goi".
Occorrerà, quindi, molto lavoro da parte di Dio su quel popolo di fuoriusciti ed il relativo racconto con i fatti e gli interventi divini di cui è piena la Torah.
Fino a quel momento il Dio Unico, creatore del cielo e della terra, sostengono quei sacri testi, s'era rivelato a una famiglia di 72 persone, ma come si evince dagli stessi testi il fine ultimo era appunto prepararsi un popolo di profeti, perché lo annunciasse e gli fosse alleato nel mondo a testimonianza per gli uomini di tutte le generazioni.

Nel libro del Deuteronomio 7,7-8 circa la scelta di quei pochi per creare un popolo nuovo si trova "Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri", per contro Dio ama tutti gli uomini "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna." (Giovanni 3,16)

Era necessario, quindi, un pizzico di lievito e una prima pasta per preparare il lievito bastevole per tutta l'umanità.
Il primo lievito furono gli Israeliti e la prima pasta fu la massa di persone aggregata al momento dell'Esodo, immagine di tutti i popoli, infatti "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti". (Matteo 13,33)

Racconta, infatti, il libro dell'Esodo 12,37 "Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini capaci di camminare, senza contare i bambini."

In quel testo gli uomini sono detti "gebarim" , da crescere forte, quindi in quei seicentomila erano contati soltanto i maschi validi adulti e non le donne e i vecchi.

Gli Israeliti, compresi bambini e vecchi portati su asini e carri, si possono allora contare più o meno in 750.000 di sesso maschile, onde complessivamente, comprese le donne di ogni età, i partenti Israeliti sarebbero stati circa 1.500.000 pari ai 72 d'origine immaginati moltiplicatisi 12 volte ogni 100 anni come da questo conteggio: 72x12x12x12x12 = 1.492.992.
Il versetto successivo 12,38 aggiunge "Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e insieme greggi e armenti in gran numero", quindi, veramente due gruppi non miscelati, anzi due popoli da unificare in cui doveva lievitare il dono della fede.

Si dice di gente promiscua, ossia di persone di più nazioni e di vari ceti che, secondo Targum Yonatan; Mekiltà, ammontavano a più di un milione e Shemot Rabba 42 parla complessivamente di oltre tre milioni e mezzo di persone.
I fuoriusciti non ebrei certamente non erano tutta gente di primordine, ma c'erano anche poveri, schiavi, operai, contadini malcontenti, ribelli, quindi una congerie di varie culture e razze, ma tutti idolatri, con pochi illuminati grazie agli antichi padri.

Certo che quei numeri rendono incredibile l'evento, ma sono così indicati come necessari per far comprendere l'opera del Signore che supera ogni potere umano.
Quanto d'importante che intendono quei racconti sottolineare è la netta volontà del Signore alla nascita di quel popolo.
Basta pensare al riguardo che tutte matriarche Sara, Rebecca e Rachele erano di fatto sterili per natura ed ebbero figli solo attraverso l'intervento miracoloso di Dio che intendeva prepararsi quel popolo.
Su questa scia, in definitiva, rientra anche Maria, la madre di Gesù, il nuovo Israele, che ebbe figli senza conoscere uomo.

Certamente l'esodo ci fu, ma forse non fu di tutti assieme in quel numero enorme, ma ci fu evidentemente un episodio eclatante e forse tante fuoriuscite in più secoli.
L'arduo compito di trasformarli in un unico popolo doveva essere portato avanti da un uomo scelto con oculatezza che fosse riconosciuto quale persona autorevole da entrambe i gruppi.
Doveva accadere che lo spirito inculcato dai patriarchi, annacquatosi in Egitto forse con molti matrimoni promiscui, facesse comunque da lievito in tutta quella pasta.
Dio li fece uscire, li portò nel deserto con segni e prodigi e diede loro per prima cosa una legge, corresse per 40 anni le loro trasgressioni, li trattò come fanciulli che avevano bisogno di un tutore con eventi che fecero da insegnamento e diede loro una spina dorsale fino a che vi fu un minimo di coesione per entrare in possesso della terra degli antichi padri da cui venivano.
Chi meglio, allora, di un principe egizio, ma d'origine ebraica com'era Mosè e in più ribelle?

Ecco che il libro dell'Esodo al capitolo 2 presenta la sua origine e il capitolo 3, mentre era in esilio nella penisola del Sinai per aver ucciso un uomo racconta la sua chiamata da parte del Signore che in definitiva gli propose di essere il suo ambasciatore.
Doveva chiedere la liberazione del suo popolo a un nuovo faraone e, se questi non avesse accettato, gli avrebbe dovuto annunciare che avrebbe provocato l'ira di IHWH, un dio sconosciuto a quel re, ma che è il vero unico Dio.
Lui, Mosè, rappresentava Dio stesso, ma chi avrebbe parlato, la voce, era quella del fratello, Aronne, più vecchio di 3 anni.
Inascoltati dal faraone fiducioso degli dei d'Egitto, ci furono le famose 10 piaghe provocate dal diretto intervento divino di cui l'ultima fu la morte dei primogeniti.
La guerra che l'ambasciatore aveva annunciato era iniziata e da quel momento alla guida del popolo si mise Dio stesso che lo precedeva di giorno con una colonna di nubi e di notte con una colonna di fuoco, quindi, ci fu il miracolo dell'apertura del mare e in tutti i successivi 40 anni nel deserto sarà sempre Dio che farà comprendere al popolo con i suoi segni quando accamparsi e quando muoversi.
La paura di incontrare Dio e morire fece richiedere al popolo che permanesse come intermediario Mosè che riferiva i suoi comandi.

Di fatto i versetti conclusivi della Torah, Deuteronomio 34,10-12, propongono che: "Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia, per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nella terra d'Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutta la sua terra, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele."

Pur tuttavia Mosè stesso ha profetizzato che "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto." (Deuteronomio 18,15)

Questo profeta che doveva venire era atteso perché portasse a conclusione la storia di salvezza.
Sarà "pari a me", quindi, è tale che vede il Signore faccia a faccia; questa è profezia del Messia, uomo e Dio, che conosce e vede il Padre.

Il Vangelo di Luca lo sottolinea quando dice "Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo" (Luca 7,16)

Gesù poi ebbe a dire a chi gli chiedeva dov'è tuo padre? "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio". (Giovanni 8,19) e anche "Io e il Padre siamo una cosa sola". (Giovanni 10,30) onde ancor più che vederlo faccia a faccia.

Agli inizi, quindi, era Mosè che doveva precedere e annunciare Dio, ma ci fu un momento, all'apertura del mare, in cui Dio prese in mano direttamente la guida del popolo.
È questo il prototipo dell'incontro con Dio, occorre un annuncio da parte di un profeta, un'adesione da parte di chi ascolta, e la consegna del profeta nelle mani del Signore che opererà il miracolo della fede, perché "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione." (1Corinzi 1,21b)

Non mi soffermo oltre su questo grande profeta Mosè cui la tradizione attribuisce comunque la stesura dell'intera Torah che è la base e la sorgente dei testi sacri giudeo - cristiani, in quanto, grazie a quei libri ben nota è la sua figura e il suo operare è stato ampiamente commentato.
L'esempio di come nacque quel primo popolo di Dio è comunque profezia della nascita del popolo finale dei redenti.

In tutti quei 40 anni nel deserto, allegoria delle 40 settimane della gestazione di un figlio da parte di una madre, Dio dette loro da mangiare la manna cibo fisico, anche questa allegoria di un concreto cibo spirituale e in quei fuggitivi, divenuto popolo, nacque la fede, che in ebraico viene dal radicale .
L'Unico , col dare loro la manna giornaliera, dette loro la fede , ossia ove = .
La santità è la via che fu indicata da Dio con l'esodo nel deserto (Levitico 11,44; 19,2; 20,7) ed è la felicità vera cui l'uomo possa aspirare.
Occorre, infatti:
  • nascano domande esistenziali sulla propria vita;
  • valutare la propria condizione di schiavitù in questo mondo;
  • rendersi conto che non può esserci soluzione umana;
  • scorgere una luce che può illuminare un percorso d'uscita;
  • valutare la credibilità e persistenza del segnale;
  • alzarsi per partire;
  • riconoscere che è un miracolo il mettersi in movimento;
  • rendersi conto che delle regole minimali, opportune, da seguire;
  • seguire con attenzione le tracce lungo la via che rivelano l'idoneità del percorso;
  • accorgersi che altri credibili l'hanno seguita e sono stati illuminati e soddisfatti;
  • sentire in sé nascere la fede, che se giusta porta anche a opere buone.
L'unificare i popoli nemici e diversi portando la pace può solo accadere se si verifica quanto di per sé impossibile, l'amore al nemico e questo può essere solo frutto della fine dei tempi, quindi del Messia.
Al riguardo apro una parentesi.
Tutti i cristiani adulti nella fede sono grazie al battesimo "profeti, re e sacerdoti" in senso pieno, figli di Abramo nella fede.

È insegnato, tra l'altro, dal Vangelo (Matteo 5,43-48) "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste."

Tale comportamento è un dono tipico promesso al cristiano dal sacramento del battesimo in nome di Dio Padre, del figlio Gesù il Cristo, ossia il Messia, e dello Spirito Santo, per divenire efficace nella crescita del cammino di fede e trasformarsi da carattere potenziale in attitudine.
I due concetti di amare e di nemico, tra loro sono nettamente contraddittori, perciò razionalmente inconciliabili, perché non atto immediato di volontà attuabile con le proprie forze o seguendo la sola ragione, ma "nulla è impossibile a Dio". (Luca 1,37)

Quel Vangelo, infatti, dice "siate perfetti" e sappiamo che la perfezione non è di questo mondo, ma solo del Creatore come del resto è quel "siate santi" del Levitico 11,44; 19,2; 20,7.

Se si guarda a quei versetti, "l'amare il nemico" proposto da Gesù è proprio da Lui stesso posto in stretto collegamento con il Padre celeste, cioè con Dio, quindi, con lo stesso biblico IHWH.
Con ciò, che vuole dire Gesù nel discorso della montagna relativo alla descrizione dello "uomo nuovo"?

Gesù è un "rabbi", vale a dire un maestro dell'ebraismo e come quelli a chi lo seguiva presentava esempi e parabole spesso collegate alla terminologia ebraica che era insita nei libri liturgici delle Sacre Scritture lette in sinagoga relativi alla Tenak o Bibbia ebraica.

Al riguardo, ricordo ad esempio, che sul discorso dell'uomo-marito, in ebraico "'aish" e della donna-moglie "'isshah" , parole che la Bibbia presenta la prima volta in Genesi 2 e vi si parla di matrimonio al versetto 24, i rabbini, presentano un commento legato alle lettere ebraiche formative di quei nomi.
Se si guarda i loro nomi, infatti, uomo-marito "'aish" e donna-moglie "'isshah" , ci si rende conto che se tra loro non c'è "Iah" ossia IHWH dei due restano solo due fuochi "'esh" che bruciano e si consumano come del resto accade a tutto quello che è di questo mondo.
Per contro se ci si fa entrare "Iah" , ossia se il matrimonio è a IHWH ispirato, il matrimonio stesso diviene come il roveto ardente ove pur essendoci i fuochi e bruciando accade il miracolo che non si consuma e in parallelo il matrimonio dura integro.

Ora, tornando a quel "amare il nemico" nel Discorso detto della Montagna che Matteo lo pone all'inizio della sua predicazione, Gesù a tutti gli effetti si comporta da "rabbi" e intende "insegnare con autorità" la via cui lui condurrà, i suoi seguaci, perché appunto Lui è la via (Giovanni 14,7).
Tale via è quella dell'uomo nuovo in cui appunto vi sarà il dono di una natura nuova, non umana, ma divina, che fa divenire figli di Dio.
Se si ricorre alle lettere ebraiche si ha:
  • Amare, ha il radicale ;
  • Nemico, è "'oieb" .
Si verifica qualcosa di analogo al precedente caso.
Quei due termini, infatti, hanno in comune le lettere e , ossia proprio quelle di Padre "'ab" e sono conciliabili tra loro solo tramite al fatto che intervenga "Iah" ossia IHWH unendo le restanti lettere che le formano.

Con quel discorso Gesù sta dicendo in pratica quanto l'angelo disse a Maria di Naazaret: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. ...Allora Maria disse all'angelo: Come avverrà questo... Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio... nulla è impossibile a Dio." (Luca 1,31-37)

L'inconciliabile, ossia l'amare il nemico diverrà possibile solo grazie alla nascita dall'alto e grazie al sangue di Cristo; dice infatti San Paolo agli Efesini: "...in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia"... (Efesini 2,13s)

L'amare il nemico è possibile solo tramite il Dio vero e sottolineo vero!

Com'è noto, la Torah apre tutto il profetismo giudaico - cristiano.
La Tenak, infatti, ossia la raccolta delle Sacre Scritture ebraiche, dopo la prima parte, appunto i cinque libri della Torah o Pentateuco, propone quella detta dei "Nevi'im" "I Profeti".
Questa seconda parte è formata da libri storici o pseudostorici e dai libri dei profeti veri e propri in questo modo:
  • 4 libri, detti "Nevi'im Rishonim" - Profeti anteriori; comprende i libri di Giosuè, Giudici, Samuele I e II e dei Re I e II ove si parla tra l'altro di personaggi come Giosuè che portò alla conquista della terra promessa, Samuele che unse i primi re, David da cui Natan profetizzò la venuta del Messia, Elia profeta ricordato nei Vangeli come annunciatore della fine dei tempi;
  • 3+1 "Nevi'im Acharonim" - Profeti posteriori; comprende i libri di Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 dei Profeti minori, i libri di Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia.
A questi è da aggiungere il libro di Daniele inserito negli "Altri scritti" "Ketuvim", ultima parte della Tenak il cui il profeta profetizza la venuta del Figlio dell'Uomo prevedendone la data.

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