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GLI ULTIMI PROFETI
di Alessandro Conti Puorger

INTRODUZIONE
Il racconto di Noè e del diluvio è da vedere anche come profezia che ci sarà una fine del mondo con una via di salvezza.
L'idea che il mondo finirà e ci sarà il giudizio divino alla rivenuta dai cieli nella gloria del Figlio dell'Uomo, il Messia, quale nuovo Noè, che salverà l'umanità è nel "credo" cristiano.
Sono, peraltro, definiti Novissimi gli eventi che avverranno a ciascun uomo alla fine della vita: la morte, il giudizio, il destino eterno - cielo o l'inferno.
La Chiesa li ricorda attraverso la liturgia in modo speciale nel tempo dell'Avvento e invita a meditare su queste realtà; ne consegue che i cristiani che annunciano queste realtà sono gli ultimi profeti.
Seguendo tali pensieri ecco il presente articolo.

Nella mente di vari uomini da molto tempo è nata l'idea che esista una causa prima dell'ordinata creazione dell'universo, che è in fieri, perché quello che ne è l'apice, l'uomo, procede nel percorso che tendere alla pienezza del progetto.
Per questi uomini le vicende della storia dell'universo e dell'uomo non sono un susseguirsi senza senso di eventi ciclici nel tempo, ma procedono in una precisa direzione di sviluppo voluta dall'Ente coordinatore, chiamato Dio, che le fa tendere alla conclusione con cui si aprirà l'ultima porta per la perfezione dell'essere che ha voluto che arrivasse a questa contribuendo con la propria libera volontà.

Gli uomini che hanno sostenuto questi pensieri hanno appoggiato le proprie idee su rivelazioni che sono state credute veritiere da una molti nelle varie generazioni che li hanno preceduti e sono credute credibili da tanti uomini di questo tempo.
La situazione spirituale odierna, per contro, risente sempre più di una crescente crisi di fede e della tendenza a un laico scetticismo, concomitanti a ignoranza sulle cose di religione, accompagnate da un'irrazionale crescita di superstizione.
Gli uomini che hanno portato queste idee sono detti profeti.
Sono apparsi in tutte le culture e le civiltà, ma hanno particolare rilevanza i loro effetti nella giudeo - cristiana.
Questa ha le sue lontane origini nella Torah i cui messaggi sono stati ampliati e trasmessi, come ci propongono gli altri libri della Bibbia, compresi i Vangeli e gli altri scritti cristiani, finché hanno aperto il tempo finale della storia che stiamo vivendo.

Il termine di tutta questa storia per quei Sacri Testi sarà, appunto, l'avvento finale del Messia, che i cristiani ritengono venuto in una prima manifestazione nella debolezza più di 2000 anni orsono con l'uomo-Dio, Gesù di Nazaret e di cui attendono il ritorno nella gloria alla fine dei tempi per portare a conclusione la storia del mondo e degli uomini.
Nel frattempo la verità è stata annunciata e come il lievito nella pasta sta operando nell'umanità.
Questa verità porta alla salvezza degli uomini che possono vivere non ritenendosi da abbandonati e soli su un'isola deserta, come in generale credono e si comportano, ma procedere nel vivere come in un cammino di comunione generale verso il Dio misericordioso seguendo le indicazioni lasciate nel mondo da luci che guidano verso di Lui.
Al riguardo si trova nella lettera canonica 1Pietro 1,8-12: "Esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime. Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciavano la grazia a voi destinata; essi cercavano di sapere quale momento o quali circostanze indicasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che le avrebbero seguite. A loro fu rivelato che, non per se stessi, ma per voi erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo: cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo."

IL PROFETA, SERVO DI DIO
Il termine profeta, dal latino "prophèta", deriva dal greco "", parola formata dal prefisso "-pro", "davanti, prima", "per", "al posto di" e dal verbo "" - "femì", per "parlare, dire".
"Profeta", quindi, è "chi parla davanti" o "colui che parla per" ed anche "che parla al posto di", sia nel senso di dire "pubblicamente" davanti ad ascoltatori, sia di esporre al posto, in nome di altro - di una divinità ad esempio - sia di rivelare "prima" qualcosa che accadrà nel futuro.
Costui, in definitiva, in campo religioso era considerato un "servo della divinità", perché compiva un servizio a quella e per conto di quella.
Tra gli egizi, infatti, chi aveva funzione di profeta di un dio era detto "m ntr" ossia "hem-netjer", "servo del dio", ove "m" è un bastone rivoltato in su e "ntr" è una bandiera su un'asta, simbolo di riconoscimento dei templi di un dio.
Tale servo ovviamente portava la parola del dio.

Il termine "parola", peraltro, era indicato da quello stesso bastone rovesciato e le parole del dio, erano chiamate "medu netjer" vale a dire bastoni divini.


Ecco, quindi, il grande patos nella Torah sul bastone di Mosè che si trasforma in serpente e provoca l'apertura del mare concretizzando la parola di IHWH.
(Vedi: "Tracce di geroglifici nel Pentateuco - I Parte" e "II Parte")

Il discorso di cui sopra fa comprendere che, per i conoscitori della cultura egizia, come del resto erano gli antichi ebrei, i fatti relativi al bastone di Mosè erano una chiara allegoria per indicare il potere creativo del suo mandante, cioè del Dio Unico IHWH.
Quei racconti, insomma, stanno ad asseverare che Mosè veramente era ambasciatore di Dio e non che il suo bastone fosse "magico".
Nell'immaginario di quel tempo accostarsi al divino era proibito ed occorreva un intermediario abilitato dal dio stesso che ne riportasse i voleri e che facesse da ponte.
Primo Profeta, ad esempio del dio Amon, era il titolo che distingueva il sacerdote di maggior rilievo nel clero tebano che al tempo di Mosè aveva ormai assunto grande potere.
Altri sacerdoti, tutti servi del dio operanti nello stesso tempio, potevano assumere il titolo di secondo, terzo... profeta del dio.

Si legge, infatti, nella Torah in Numeri 12,8 che Dio stesso definisce suo servo Mosè quando dice: "Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli guarda l'immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo Mosè?"

Del resto poi nella Bibbia Mosè si trova definito in quel modo numerose volte, quindi era la voce di Dio in terra.
Del pari, Dio stesso definisce "mio servo" Caleb in Numeri 14,24 e nei libri storici della Bibbia numerose volte poi è indicato Davide come "mio servo" direttamente dal Signore.

In campo biblico, comunque "profeta" è il titolo proprio di chi abbia qualcosa da dire per conto del Dio Unico e di cui Dio si serve da tramite in questa terra a vantaggio degli altri uomini.
Condizione necessaria, quindi, per essere profeta in tale campo è aver avuto in qualche modo un rapporto diretto con Dio e aver ricevuto l'implicito o esplicito incarico di trasmetter un suo messaggio o una sua rivelazione.

Il profeta, in effetti, in analogia a quanto in Egitto, è perciò essenzialmente un "servo di Dio".
Non a caso "Servo di Dio" è il titolo con cui la Chiesa Cattolica designa dopo la morte per chi è stato avviato il processo canonico di beatificazione, che passerà poi se del caso ai livelli di "Beato" e poi di "Santo", persona che ritiene si sia distinta per santità di vita o eroicità delle virtù, rendendo palese e vivo nella propria epoca il Vangelo, ossia la buona notizia di Cristo, insomma, di fatto, è stato un profeta.

I PATRIARCHI PROFETI FINO A NOÈ
Racconta il Pentateuco o Torah che Dio parlò col primo uomo, o meglio la prima coppia umana, "'adam", subito dopo averla formata, infatti, "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro..." (Genesi 1,27).
("'Adam" oltre che il nome della 1a coppia umana è il nome del maschio della coppia. Quello dato da Dio alla femmina non è noto; Eva è il nome con cui la chiamò il maschio dopo li peccato)

Dio continuò a parlare con quei due in Genesi 2 e 3.
Questi, di fatto, furono i primi profeti per l'umanità.
Da essi discese quanto la Bibbia dice sui primi tempi, perché fu evidentemente da loro trasmesso oralmente e, ricevuto dai discendenti, entrò così nella tradizione culturale dei padri del popolo ebraico e fu raccolto dall'autore ispirato.

Lo stesso libro della Genesi, poi, al capitolo 4, informa che Dio parlò anche con Caino loro figlio che uccise il fratello Abele.
Caino non si sa quando morì e il sacro testo non riporta altri colloqui diretti di Dio con gli uomini fino alla terza generazione quando a Set, il terzo figlio della coppia "Adamo", nacque il figlio Enos.

C'è nel testo della Genesi, infatti, la notazione che riporto in grassetto: "Adamo si unì di nuovo alla moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set. Perché - disse - Dio mi ha concesso un'altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l'ha ucciso. Anche a Set nacque un figlio, che egli chiamò Enos. Allora si cominciò a invocare il nome del Signore." (Genesi 4,25s)

Enos, "'Oenosh" ha il nome che in ebraico si usa anche per uomo quale essere umano mortale, in quanto è il radicale di "venir meno", perciò a quei tempi venne acquisito che l'uomo è "uno che viene meno ".

Secondo le informazioni della Bibbia quando Enos nacque Adamo aveva compiuto solo 235 anni dei 930 del totale della vita che visse in terra. (Genesi 5,5)
Era evidentemente iniziato il suo pentimento, ossia aveva potuto prendere atto della morte del figlio Abele ucciso da Caino e comprendere le conseguenze del proprio errore e narrare i fatti alle generazioni successive e queste cominciarono a pregare il Signore.
(Vedi: "Cosa nasconde il racconto di Noè e del diluvio?" e in particolare la tabella in "I patriarchi pre e post diluvio")

La serie dei primogeniti degli uomini, a partire dallo stesso Adamo, ma escludendo la generazione di Caino, fu: Set, Enos, Kenan, Maalaleèl, Iared ed Enoch, il settimo della serie.
Nel mondo si divulgava però l'errore di Caino e regnava, orgoglio e violenza in modo simile a quanto è proposto dalla lettera di Giuda (11-13): "Si sono messi sulla strada di Caino... pensando solo a nutrire se stessi. Sono nuvole senza pioggia, portate via dai venti, o alberi di fine stagione senza frutto, morti due volte, sradicati; sono onde selvagge del mare, che schiumano la loro sporcizia; sono astri erranti, ai quali è riservata l'oscurità delle tenebre eterne."

Mentre per tutti gli altri patriarchi antidiluviani si trovano scritte le parole: "Visse e poi morì", ciò non avviene per Enoch.
Il testo di Genesi 5,18-24 anzi segnala che: "Iared aveva centosessantadue anni quando generò Enoch; Iared, dopo aver generato Enoch, visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. L'intera vita di Iared fu di novecentosessantadue anni; poi morì. Enoch aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme. Enoch camminò con Dio; dopo aver generato Matusalemme, visse ancora per trecento anni e generò figli e figlie. L'intera vita di Enoch fu di trecentosessantacinque anni. Poi Enoch cammino con Dio e non fu più perché Dio l'aveva preso."

La lettera agli Ebrei 11,5s così interpreta questi versetti: "Per fede, Enoch fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi, infatti, si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano."

Quel "camminare con Dio" per 300 anni dopo la nascita del primo figlio fa intuire che tra Dio e Enoch c'era una intesa, avevano gli stessi obiettivi e scopi, come del resto conclude il profeta Amos in 3,3 "Camminano forse due uomini insieme, senza essersi messi d'accordo?"
Enoch, quindi, era profeta, aveva parlato con Dio e aveva compreso e accolto la Sua volontà.

La stessa lettera di Giuda (15) suggerisce poi che Enoch avrebbe avvertito quelli della sua generazione che il Signore sarebbe venuto "...con migliaia e migliaia dei suoi angeli per sottoporre tutti a giudizio, e per dimostrare la colpa di tutti riguardo a tutte le opere malvagie che hanno commesso e a tutti gli insulti che, da empi peccatori, hanno lanciato contro di lui", giudizio che di fatto comportò poi la venuta del diluvio.

Quando nacque Enoch, nel testo "Chenok" , sempre secondo Genesi, Adamo aveva 622 anni e quando Dio prese Enoch era l'anno assoluto 622+365 = 987; quindi, Adamo era morto da 57 anni (987-930).

Se si seguono le informazioni temporali in senso assoluto segnate, esclusi Caino e Abele, ci si rende conto che nella linea dei primogeniti si era verificata solo la morte di Adamo.
È quello di Enoch "Chenok" , allora, uno squarcio di luce nel cielo del destino dell'uomo e un chiaro segno dell'intenzione di perdono da parte di Dio.

La Genesi pare, infatti, voler segnalare che Dio portò in cielo a "soli" 365 anni - tanti anni quanti sono i giorni di un anno - quel patriarca che visse tutto sommato molto poco relativamente agli altri patriarchi di quel periodo la cui vita mediamente fu di 900 anni.
Il figlio di Enoch, poi, il famoso Matusalemme fu il più longevo tra i patriarchi, visto che visse 969 anni.

Nel nome di Enoch "Chenok" , del resto c'è la premonizione di una grazia che in ebraico è "chen" .
Con la sua vita Enoch fu profeta per le generazioni future e portò il messaggio di speranza di una grazia del Signore e di una vita oltre la morte da trascorrere con Dio per "grazia al portarsi Rettamente ", come si ottiene dalla lettura del suo nome usando i messaggi grafici insiti nelle lettere ebraiche.

Tale messaggio, evidentemente non bastò, serviva un atto di grazia e qualcuno che guidasse l'umanità per tornare al Signore.
Erano, peraltro, ancora vivi Set, Enos, Kenan, Maalaleèl e il padre Iared che, basta fare i conti, morirono dopo Enoch, rispettivamente negli anni assoluti 1042, 1145, 1240, 1295 e 1427.
Enoch, peraltro, è lo stesso nome che Caino dette anche al proprio primogenito.
Il versetto Genesi 4,17, infatti, informa: "Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio."

Al riguardo segnalo che è il radicale che si usa in vari modi, per:
  • inaugurare una casa, Deuteronomio 20,5;
  • dedicare e consacrare il tempio del Signore, 1Re 8,63;
  • addestrare un ragazzo, 2Cronache 7,5;
  • da esso deriva la parola Channukah di una grande festa ebraica.
(Vedi: "La luce del Servo")

Mentre l'Enoch di Caino fu costruttore di città terrene l'Enoch di Set fu evidentemente chiamato per inaugurare la città celeste ove saranno poi ad abitare i risorti.
Ancora due generazioni dopo Enoch di Set, quelle di Matusalemme e Lamech, quest'ultimo il nono dei primogeniti contando Adamo, ed ecco nascere il 10°, Noè, il profeta che traghetta l'umanità oltre il diluvio di cui poi parleremo ancora.

La Bibbia in tale occasione segnala che anche Lamech, il padre di Noè fu profeta col dire: "Lamech aveva centottantadue anni quando generò un figlio e lo chiamò Noè, dicendo: Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto." (Genesi 5,28s)

Pure in tal caso un omonimo di Lamech si trova nella genealogia di Caino che procede in questo modo: Adamo Caino, Enoch, Irad, Mecuiaèl, Metusaèl, Lamech, il 7° dopo Adamo in quella genealogia.
Questi sarà effettivamente una piaga del serpente, come dicono le lettere del suo nome lette come icone: "del serpente una piaga ()", ove appunto, ricordando che = e che è "piaga" e anche "strage".

Nel prosieguo spesso, infatti, uso il sistema di decriptazione dei testi ebraici utilizzando i valori grafici intrinsechi delle lettere ebraiche con i significati di cui in "Parlano le lettere" e nelle schede che si ottengono cliccando sui simboli della colonna a destra della home di questo mio Sito.

Come ho verificato e come si evince anche dal presente articolo, spesso utilizzando quel metodo di decriptazione, che chiamo sinteticamente "metodo dei segni", decriptando cioè con i valori di icona delle lettere le parole ebraiche dei testi biblici, ci si rende conto che s'ottengono idee che precedono, accompagnano e commentano i racconti stessi, come se proprio le lettere fossero loro evocatrici e danno anche spunti per interpretarne il significato recondito.

(Sulle proprietà delle lettere ebraiche e sulla suscettibilità di decriptazione dei testi della Tenak o Bibbia ebraica si vedano i seguenti articoli a partire dagli ultimi elencati:
Questo tipo di lettura ben si adatta al commento del Genesi su tale soggetto, quando scrive "Lamech disse alle mogli: Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l'orecchio al mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette." (Genesi 4,23s)

Dal nome Lamech, in effetti, "Lamek" , nome anche del padre di Noè, si può considerare che quelle stesse lettere suggeriscano: "per il Potente vivrà un retto ", cioè nascerà Noè come annuncia poi il commento di Genesi 5,29.

Tale Lamech è volutamente messo in contrapposizione a quello di Caino, visto che la stessa Genesi sottolinea: "L'intera vita di Lamech fu di settecento settantasette anni; poi morì." (Genesi 3,31) ponendo in evidenza un 777 contro i 7 e 77 detti per Lamech di Caino in Genesi 4,24.

Al riguardo viene alla mente l'episodio del Vangelo di Matteo quando Pietro disse a Gesù: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette." (Matteo 18,21s)

Proprio come se Gesù dicesse a Pietro, ti devi comportare come discendente di quel Lamech da cui venne Noè e non come un discendente di quello che venne da Caino.
Ed ecco che da Lamech nacque Noè: "Lamech aveva centottantadue anni quando generò un figlio e lo chiamò Noè..." (Genesi 5,28s)

Noè, che visse 950 anni, è il 10° della lista dei primogeniti, a partire da Adamo.
Nacque, sempre secondo quei testi, nell'anno assoluto 1056 dalla formazione di Adamo, quindi 126 anni dopo la sua morte (1056-930).
Set era morto da 14 anni ed Enoch era con Dio da 69, ma oltre al nonno Matusalemme erano vivi ancora, Enos, Kenan, Maalaleèl e il padre Iared, morti questi ultimi negli anni 1145, 1240, 1295 e 1427.
A questo punto nel racconto c'è una svolta importante.

Anche questo personaggio è detto che camminò con Dio: "Il Signore disse: Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio." (Genesi 6,7-9)

In primis, è da sottolineare che il testo mette in evidenza che:
  • Noè, come Enoch, "camminava con Dio", ossia erano in perfetta comunione;
  • Noè era giusto e integro "tsadiq tamim" ;
  • il titolo di giusto nell'Antico Testamento non si trova attribuito da Dio ad altri se non poi a Davide (1Re 11,38 e 14,8).
In quei versetti poi si presentano queste parole:
  • grazia "chen" ove = ;
  • pentirsi ;
  • Noè .
Il Signore "si pente"?
Pare questa un'idea ben strana nei riguardi del Signore, onnisciente, che perciò sa tutto del passato, presente e sul futuro e guida la storia.
In effetti, il radicale di pentirsi si potrebbe tradurre anche con un provare pena e in questo senso va inteso, Dio provò pena.
Nel testo quel "si pentì" è "nichemetti" si può, infatti, interpretare così con le lettere separate:

= + + = + + ()

Ora, è il radicale di "guidare e condurre", quindi, il testo dice anche che Dio pensa, in effetti, che a "guida Lui stesso degli uomini Essere ", vale a dire pensa di intervenire in modo attivo per provocare un ritorno a Lui.
Si dota, allora, in terra di un condottiero, appunto un "noach" , il patriarca Noè che chiamerà gli uomini al pentimento , vale a dire, in termini allegorici, li guiderà () sulle acque della vita; ed ecco l'idea della pioggia di grazia e dell'arca.

Aldilà di quanto può sembrare è da ricordare e credere fermamente che Dio è buono e misericordioso e che quella pioggia è allegorica.
Dio fece piovere acqua dal cielo, quella che stava sopra il firmamento, le sue lacrime, infatti, poi ci sarà un'alleanza con tutti gli uomini che verranno a essere in tal modo in pratica discendenti di Noè, perché soggetti su cui è tesa quella alleanza detta dell'arcobaleno, foriera della pace di Dio con gli uomini.

Dio, quindi, scelse di riparlare all'uomo Noè, infatti, "Allora Dio disse a Noè: È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un'arca di legno di cipresso..." (Genesi 6,13s)

Noè si costruirà l'arca e vi porterà la sua famiglia, la moglie e i tre figli - Sem, Cam e Iafet - con le loro mogli, otto persone in tutto, numero della pienezza e si salvò dal diluvio.
Questi rappresentano e saranno la nuova umanità in cui per Dio non sussisteranno più le due discendenze che c'erano fino allora, quella di Caino e quella di Adamo, ma ci sarà soltanto quella dei discendenti di Noè, fondatore perciò di un'umanità nuova, quella dei salvati, perché tutti e solo come suoi successori ormai saranno da Dio considerati tutti gli uomini.

Noè e figura di Cristo, l'arca di legno è la croce e la barca della Chiesa e gli otto salvati, la nuova umanità.
I pesci del mare sono gli unici esseri viventi del mondo che non salirono su quella barca; sono, quindi, da considerare allegoria degli uomini ancora schiavi del mostro marino, del Leviatano, quelli da salvare, su cui, infatti, c'è poi tutto un particolare patos nei Vangeli.
Le lettere ebraiche di "Fatti un'arca di legno di cipresso" dicono:
  • "Fatti" "e'she lek" "Vedrà la luce nel mondo un cammino ."
  • "un'arca" "tebat" "Tutti dimoreranno col Crocifisso ."
  • "di legno di cipresso" "e'sei goper" "Il legno che l'afflisse () farà frutto ()."
In definitiva "Vedrà la luce nel mondo un cammino. Tutti dimoreranno col Crocifisso. Il legno che l'afflisse farà frutto."
Questo è il pensiero che si trae dall'episodio del risorto, nuovo Noè, sul lago di Tiberiade, con 7 discepoli, narrato al capitolo 21 del Vangelo di Giovanni.

DIO PARLA AD ABRAMO
Il testo della Genesi, dopo l'evento "diluvio" non riporta altri colloqui di Dio con un uomo, ma al capitolo 11 segnala l'episodio della torre di Babele.
Questo evento evidenzia un'intenzione dell'umanità di allora che si sta ripresentando prepotente in questi giorni.
Tutta quella l'umanità da quel sacro testo è immaginata raccolta e residente nella valle di "Sinar" vale a dire nella piana di Babilonia "Baboel" .
È immaginato che tutte le famiglie degli uomini, insomma, erano concentrate in Babilonia "Baboel" , l'attuale Iraq, e parlavano tutte la medesima lingua, la lingua sacra, ossia l'ebraico biblico con cui fu creato il mondo e con cui parlava Dio con la prima coppia nel Paradiso terrestre. (Rashi Mizrakhi)
Quel nome della valle "Sinar" lo possiamo considerare formata da + () vale a dire è questi un posto ove "si rinnova ()" la presenza del "nemico ".

Tutti si dicevano "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra" (Genesi 11,4) il che appunto sta a indicare una tentazione indotta dal solito tentatore che inculca negli uomini di mancare di fede nel Creatore loro Padre, tanto che questi vogliono crescere... salire al cielo... farsi un nome nuovo... un idolo fatto con le loro mani, in definitiva seguire solo i propri impulsi, la propria volontà ed intelligenza non riconoscendo di essere creature, quindi, dipendenti dall'amore divino che da loro la vita.
Dio provocò la dispersione dell'umanità per evitare l'anticipato fenomeno della "globalizzazione" che stava già manifestando in modo esasperato i propri limiti... infatti, Dio stesso commenta: "sono un unico popolo e hanno tutti un'unica lingua" (Genesi 11,6) e portò a confondere "balel" le lingue per provocarne la dispersione.
Tale intenzione se avesse trovato piena attuazione avrebbe allora coinvolto in errore tutti, con svantaggi maggiori dei vantaggi e con un definitivo allontanamento compatto dell'umanità tutta da Dio.

L'episodio della torre tende a spiegare la dispersione dell'umanità per tutto il mondo divisa in famiglie con lingue diverse tra loro e intende di dissipare il dubbio che gli uomini non siano stati generati da una sola prima coppia.
Moshe ben Maimon, detto anche Rambam, nel suo libro Moré Nevukhim, afferma, infatti, che uno dei principi fondamentali della Torah è proprio che il mondo è stato creato dal nulla e da un solo uomo e da una sola donna.
Per questo la Torah riporta anche le genealogie dei popoli e precisa il motivo per cui essi si dispersero e si vennero a formare lingue diverse.

Secondo il libro "Seder Olam" del Talmud l'anno in cui accaddero gli avvenimenti della torre di Babele sarebbe stato il 1996 dalla creazione dell'uomo, ossia 340 anni dopo il diluvio.
Noè aveva 940 anni e morì 10 anni dopo.
Quelle durate allora così lunghe di vita degli uomini si possono forse interpretare come periodi in cui restò viva influenza dell'insegnamento di un patriarca pur se, forse, era fisicamente già deceduto.
Nel caso specifico, infatti, pare proprio che l'insegnamento di Noè fosse stato gradualmente dimenticato dalle generazioni nel tempo del dopo diluvio fino all'episodio della torre, peraltro, avvenuto durante la vita di Terach, padre di Abramo che allora si chiamava Abram.
Quest'ultimo aveva già 48 anni al momento della dispersione da Babele.
Risulta, così, che Abram, decimo primogenito nella genealogia di Noè, per 58 anni potenzialmente poté avere come maestro Noè stesso, ossia apprese quanto doveva sapere del periodo prima del diluvio.

Connesso al movimento migratorio mosso dall'evento della torre di Babele si deve perciò considerare il trasferimento della famiglia di Terach a Carran in Anatolia accennato dal versetto Genesi 11,31: "Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono."

Il libro della Genesi, dopo i colloqui di Dio e Noè prima e dopo il diluvio, segnala il silenzio da parte di Dio, silenzio che s'interrompe soltanto con la chiamata di Abram, quando questi aveva 75 anni cioè 367 anni dopo il diluvio, infatti: "Il Signore disse ad Abram: Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra. Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran." (Genesi 12,1-4)

È comunque importante ricordare che Abramo visse 175 anni come asserisce Genesi 25,7.
Dio evidentemente lasciò passare un anno di anni, cioè 365 anni dall'ultima volta che aveva parlato dopo il diluvio con Noè e ricominciò a parlare con Abramo con la finalità di trovare un alleato che servisse da chiave per aprire i cuori dell'umanità, come del resto Dio stesso aveva anticipato con la promessa "in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra".
Abramo in Canaan dovette superare varie difficoltà, una carestia poi una guerra in cui combatté contro invasori che venivano da oriente e (Genesi 14) fu benedetto da Melkisedek re di Salem, figura profetica, sacerdote del Dio Altissimo.
Di figli gli potessero garantire la discendenza da parte di Sara, però, ancora nulla di concreto, ma il Signore gli riapparve una notte e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle e soggiunse: Tale sarà la tua discendenza".

Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia." (Genesi 15,5s)
Ora quel "glielo accreditò" assicura che avere la fede di Abramo è come avere una garanzia, simile a che il Signore stesso gli aprisse un conto corrente in dare nel cielo.

Per il tema "profeti" è importante considerare quanto detto al riguardo nel capitolo 20,7 del libro Genesi quando tale libro riporta l'episodio di Abramo presso il re Abimelek quando il titolo di "profeta" fu attribuito ad Abramo proprio da Dio stesso: "Ora restituisci la donna di quest'uomo: egli è un profeta: preghi egli per te e tu vivrai" e profeta li è scritto e detto "nabia'".

Al capitolo Genesi 17 si legge che Dio aveva detto ad Abramo: "Eccomi: la mia alleanza è con te" (Genesi 17,4)

E ancora al capitolo Genesi 18 relativo alla preparazione della distruzione di Sodoma e Gomorra "Il Signore diceva: Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti, io l'ho scelto..." (Genesi 18,17-19)

Da tutto ciò si comprende che Abramo essendo considerato proprio alleato da Dio è un suo plenipotenziario in terra e tutto ciò che fa è da Dio accettato.
Prova ne è che in quel racconto della questione con Abimelek "Abramo pregò Dio e Dio guarì Abimèlech" (Genesi 20,17).

Abramo fu il primo delegato in terra per affermare il regno di Dio... direi un viceré come ad esempio fu Cristoforo Colombo per il re di Spagna nelle Americhe.
Abbiamo poi visto che Abramo intercede per i peccatori.
Del resto anche il racconto della trattativa con Dio dei 50 giusti ridotti poi a 10 in Genesi 18 lo ricorda, quindi, in tal senso Abramo fa da ponte ed è perciò sacerdote, insomma ha la pienezza dei poteri.

È questa la radice del principio del sacerdozio cristiano in Matteo 16,19: "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".

Quando Abram ebbe 99 anni Dio gli riapparve (Genesi 17,1) e gli disse "Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te"...
Con quel "cammina davanti a me" si propone nuovamente la situazione di Enoch e di Noè che camminarono con Dio, ma questa volta il testo precisa che Abram in effetti gli deve camminare davanti.

È un'evoluzione del rapporto rispetto ai precedenti profeti.
È come se Dio gli dicesse, tu mi farai la strada tra gli uomini, tu mi precedi e io ti seguirò, con ciò il tuo prossimo ne avrà vantaggi e potrà incontrarmi grazie a te.
Gli interessi erano comuni, Abramo cercava uno scopo alla sua vita, desiderava figli e una terra, come del resto Dio voleva essere riconosciuto in terra quale padre dall'umanità.

In linea col fatto che Dio aveva riconosciuto integro Noè, dice ad Abram quel "sii integro" "heieh tamim" , richiesta con più significati, sii "senza difetti, senza macchia, irreprensibile, giusto, retto onesto", e le lettere dicono di un invito: "nel mondo Iah (IHWH) indica ai viventi che è vivente ".

Poi il Signore gli cambiò nome in Abramo e gli disse: "Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re..." (Genesi 17,4-6)

Si dice che "'Abram" stia a significare padre "'ab" "ram" esaltato, alto, ma era vecchio e sposo di una moglie sterile, quindi presto sarebbe solo padre di vermi "rimmah" , ove = , visto che presto sarebbe morto.

Abramo, in effetti, aveva già avuto un figlio, Ismaele, da Agar, la serva egizia della vera unica moglie Sara che era ormai vecchia ed era stata sempre sterile, onde la promessa sembrava veramente incredibile eppure Abramo credette.

La lettera ai Romani di San Paolo apostolo al 4,18s ricorda proprio questo evento quando dice: "Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara."
Poi la stessa lettera così prosegue ricordando anche l'evento della promessa in Genesi 15: "Di fronte alla promessa di Dio (Abramo) non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia." (Romani 4,20-22)

Il nome nuovo "Abraham" proprio con le lettere diceva che sarebbe stato un vero padre in quanto il suo "corpo s'aprirà alla vita ".
Dio poi si presentò a lui e a Sara alle querce di Mamre in forma di tre angeli con aspetto d'uomo (Genesi 18) venuti per distruggere le città di Sodoma e Gomorra.
In tale occasione fu annunciata ad Abramo la nascita del figlio della promessa.
Isacco nacque quando Abramo ormai aveva 100 anni (Genesi 21,5) e Sara 90 come si deduce da Genesi 17,17 quando dice "Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novanta anni potrà partorire?"

Tante furono le prove cui fu sottoposto Abramo, ultima delle quale fu assieme proprio al figlio Isacco, quella riferita da Genesi 22 in cui "'Elohim" tentò Abramo e gli chiese in sacrificio il figlio Isacco, prova che Abramo superò grazie alla fede nella risurrezione, quando tutto allestito per il sacrificio fu fermato da IHWH che poté sostituire Isacco con un ariete che gli fece trovare impigliato in un cespuglio di rovi, figura del Cristo con la corona di spine.

Questa fu l'ultima volta che la Genesi riferisce colloqui di Dio con Abramo, infatti, l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo e gli disse: "Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce." (Genesi 22,16)
Dopo il testo in 22,23 annuncia la nascita di Rebecca, futura moglie di Isacco.

ABRAMO, AMICO DI DIO
Nella Bibbia cristiana il patriarca Abramo è definito "amico di Dio". (Dal paragrafo "Gli amici di Dio" dell'articolo "L'amico Lazzaro e il riposo di Betania")

Si legge, infatti, nella lettera di Giacomo: "Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio." (Giacomo 2,21-23)

Giacomo si riferisce al passo del libro del profeta Isaia 41,8 che dice: "Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramo mio amico..." da cui si ricava che Giacobbe è servo di Dio, quindi profeta, ma Abramo è amico "'ahbaì" dal radicale di amare , quindi, è anche "amore mio", "mio amore", il mio diletto.

Del resto Abramo è ricordato quale amico di Dio anche in 2Cronache 20,5-7.
Abramo si mise a disposizione di Dio che gli rispose in modo concreto, ossia, se Abramo fu amico di Dio, Dio fu amico di Abramo; vediamo come.
Il primo segno di amicizia fu il dono della familiarità con Lui.
Vari, infatti, sono i colloqui, in visione, del patriarca Abramo col Signore lungo tutto il cammino della sua lunga vita dal momento della chiamata e Abramo eseguì sempre, con fede, tutti i suoi comandi e per contro Dio rispose a tutti i desideri di Abramo.

Dopo la vittoria contro i re che erano venuti ad assalire la terra promessa e la benedizione di Melkisedek, re di Salem, "Questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande. Rispose Abram: Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco." (Genesi 15,1s)

Abramo, che allora si chiamava Abram, in quanto, Dio non gli aveva ancora cambiato nome, prende la palla al balzo e parla di Eliezer.
Quel "che mi darai?" è per dire "che dono mi darai?"
Fin allora aveva avuto solo Eliezer, infatti questi, il suo servo fedele era stato proprio un dono del Signore come suggerisce il nome in quanto Eliezer "'Elioezoer" è tutto un programma: "Dio m'è d'aiuto ".

Anche uno dei due figli di Mosè, avuti dalla moglie Zippora, si chiamerà Eliezer e là il libro dell'Esodo spiega il nome "Eliezer, perché Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone". (Esodo 18,4)

È proprio ciò che è accaduto anche ad Abramo con il suo servo Eliezer.
Nella guerra contro quei 4 re venuti contro i 5 re della valle ombrosa di Siddim, ora trasformata nel Mar Morto, Abram, perché avevano preso prigioniero suo nipote Lot "...organizzò i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di 318, e si diede all'inseguimento fino a Dan." (Genesi 14,14)
Il numero 318 non è lì un numero a caso, infatti, il valore somma delle lettere del nome Eliezer forniscono proprio quel 318.

= ( = 200) + ( = 7) + ( = 70) + ( = 10) + ( = 30) + ( = 1) = 318.

Dio, provata in tanti modi la fede di Abramo, l'accontentò in ogni cosa e gli donò discendenza, grandi ricchezze, servi con ogni sorta di beni.
La lettera agli Ebrei 11,8-12 quando elogia la fede degli antenati, infatti, ricorda Abramo e Sara sua moglie per la loro grande fede, perché:
  • chiamato da Dio, senza sapere dove andava, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità;
  • soggiornò come straniero e pellegrino nella Terra promessa;
  • Sara ricevette la possibilità di concepire il figlio della promessa;
  • offrirono in sacrificio il loro unico figlio.
Abramo quindi è il padre nella fede e il capostipite cui si rifà la prima elezione di Dio di tutti coloro che credono in lui secondo la rivelazione data attraverso le Sacre Scritture ebraiche della Tenak.
Ciò vale par tutti coloro che si rifanno alla fede di Abramo e non solo a quelli che sui rifanno alla Legge di Mosè.
San Paolo, infatti, nella Lettera ai Romani sostiene:
  • Lettera ai Romani 4,13-16 - "Non, infatti, in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede; poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa. La legge infatti provoca l'ira; al contrario, dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione. Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi."
  • Lettera ai Romani 4,17 - Abramo s'affidò a Dio e: "credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono".
  • Lettera ai Romani 4,20, - credette cioè in Dio creatore, che risorge dai morti e nella sua promessa, infatti: "Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio".
  • Lettera ai Romani 4,24s - L'eredità della promessa viene come giustizia anche ai figli nella fede: "noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione".
La lettera ai Galati 3,29 conclude: "se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa"; Abramo quindi, è padre di chi ha fede e la fede annovera a far parte degli amici di Dio.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna:

142 - Con la sua rivelazione, Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e s'intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé. La risposta adeguata a questo invito è la fede.

Abramo perciò è padre di tutti i credenti.
Parole dolci dice il Signore chiama i fedeli suoi amanti, amici diletti :
  • Salmo 118,6s - "Innalzati, Dio, sopra i cieli, su tutta la terra la tua gloria. Perché siano liberati i tuoi amici ."
  • Salmo 127,2 - "Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno."
DIO PARLA CON ISACCO E GIACOBBE
Isacco, secondo l'interpretazione dei rabbini, al momento del sacrificio non era più un ragazzo, ma un adulto di 37 anni, e allora Abramo aveva ben 137 anni.
La fede che è a base della disposizione al sacrificio quale atto di massima sottomissione fu pari nel padre e nel figlio che data l'età era pienamente cosciente e consenziente al sacrificio stesso.

Vari studiosi attribuiscono l'età di 37 anni anche a Gesù quando morì in croce, pur se la tradizione lo considera nel 33° anno d'età; infatti, secondo Giuseppe Flavio, la morte di Erode I il Grande, salito al trono nel 40 a.C. fu dopo 37 anni di regno, indi l'anno della sua morte fu il 4 a.C. quando Gesù per i Vangeli aveva almeno 2 anni ed era esule in Egitto con la Santa Famiglia.
Al 7 a.C. si arriva secondo il Vangelo di Luca 2,2 anche ricordando che Giuseppe e Maria incinta dovettero spostarsi dalla Galilea a Gerusalemme per il censimento detto "di Quirinio".
Questo, invero fu indetto da Quirino nell'8 a.C. e si protrasse per oltre un anno fino a concludersi sotto il successore Saturnino, onde Tertulliano, appunto, lo definisce di Saturnino.

Circa il mese e il giorno della nascita di Gesù, abbiamo le informazioni che l'Angelo Gabriele annunciò che Elisabetta era incinta quando il marito Zaccaria, sacerdote della classe di Abia, esercitava al Tempio nel turno del suo ordine in Luca 1,8 e in 1,36 riferisce che lo stesso Gabriele disse a Maria che Elisabetta era incinta da sei mesi.
È stato allora possibile verificare che le famiglie sacerdotali erano divise in 24 e l'ottava classe, quella di Abia, svolse un servizio presso il tempio dal 24° al 30° giorno dell'ottavo mese, nove mesi prima del 24 giugno, ossia della data di nascita del Battista.
L'annuncio alla Vergine nel sesto mese dal concepimento di Elisabetta porta al 25 marzo onde anche la data di nascita di Gesù, il 25 dicembre si può considerare storica.

I rabbini evincono per Isacco l'età di 37 anni al momento del sacrificio dal successivo capitolo Genesi 23 in cui immediatamente, senza preavviso di malattie o di accidenti, è annunciata la morte di Sara, sua madre.
Il Talmud perviene a tale conclusione susseguendosi i due racconti del sacrificio d'Isacco e della morte di Sara senza interruzione. (Tankumah Vayerà 23 - La divisione della Tenak in capitoli e versetti ci fu dopo II secolo d.C., onde paiono proprio un solo discorso)

Sara morì a 127 anni, appunto 37 anni dopo la nascita di Isacco, secondo gli stessi rabbini a seguito del grande dispiacere provato all'annuncio che Abramo e Isacco erano partiti con l'intenzione di aderire al sacrificio richiesto dal Signore.
Fu sotterrata nella grotta detta di Macpela , "Me'arat HaMachpelah" in un terreno che Abramo acquistò dagli Ittiti di Ebron per 400 sicli d'argento; nella grotta, alla sua morte, 38 anni dopo, fu deposto anche lui e fu poi anche la tomba di Isacco e Rebecca e di Giacobbe e Lia. (La tradizione considera tale grotta sepoltura anche di Adamo ed Eva - Pirké Derabbì Eli'ezer 20 Rashi).

In ebraico , lettere che sono in "Machpelah" danno luogo a un radicale che sta per "raddoppiare" e definisce qualcosa di doppio, in quanto la caverna pare fosse a due piani ed anche in relazione al fatto che vi erano sepolti a coppie i patriarchi con le matriarche.
È da tenere presente che "kaf" Ove = significa "palmo, incavo della mano" e "kefim", sta per "roccia e rupe" come in Geremia 4,29 e Giobbe 30,6.


Quelle lettere ci dicono "mani a coppa con faccia potenziata " cioè come due mani avvicinate per creare una grande coppa o per nascondere tra di loro qualcosa.

Questi pensieri suggeriscono un parallelo con quanto dice il libro dell'Esodo su Mosè all'Oreb quando sta per riavere le tavole: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere." (Esodo 33,21-23)

Ecco che, in effetti, la grotta di Macpela , "Me'arat HaMachpelah" è ben degna d'essere ricordata in quanto i patriarchi "in seno () i corpi di tutti entrarono a vivere ; tra le mani a coppa del Potente entrarono ".

Gli Ittiti trattavano Abramo con molto rispetto, infatti, lo chiamarono (Genesi 23,6)
"Signore" "'adoni" e "principe di Dio" "neshi'à 'Elohim" il che conferma che Abramo ove passava lasciava vivo l'annuncio del Dio Unico.
Intanto, la notizia che i suoi parenti in Anatolia in Paddan Aram si stavano moltiplicando aveva acceso in Abramo il desiderio di trovare tra i suoi parenti la moglie per il figlio Isacco.
Ecco che tutto il capitolo 24 del libro della Genesi riguarda le prodigiose peripezie di come fu individuata Rebecca tra i nipoti di suo fratello Nacor e questa accettò di venire in Canaan e di sposare Isacco.

Abramo ebbe, di fatto, proprio un grande amico con Eliezer di cui ho parlato, tanto che la stessa discendenza, quella che gli verrà da Isacco, fu a concretizzarsi ad opera proprio di Eliezer.
Si legge, infatti, in Genesi 24,1-4: "Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: ...andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco".

Abramo non voleva, infatti, mogli cananee per i suoi figlio Isacco, visto che Esaù aveva disobbedito.
Eliezer fu veramente efficiente e fedele, portò a compimento l'incarico, andò in Anatolia e tornò con Rebecca che sposò Isacco; Rebecca era figlia di Betuel e sorella di Labano, di cui Abramo era prozio.
L'amicizia particolare unica e speciale di Dio per Abramo passò con la promessa a Isacco e poi a Giacobbe e ai figli nella fede di Abramo.
Isacco, secondo Genesi 25:
  • aveva 40 anni quando prese in moglie Rebecca (Genesi 25,20)
  • "...supplicò il Signore per sua moglie perché era sterile e il Signore l'esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta." (Genesi 25,26)
  • aveva 60 anni quando da Rebecca nacquero Esaù e Giacobbe (Genesi 25,26).
    (Vedi: il paragrafo "Rebecca - la moglie di un patriarca" dell'articolo "Gli sposi vergini, famiglia escatologica")
Isacco era veramente gradito al Signore che esaudì le sue preghiere.
Abramo, intanto, avendo fatto sposare Isacco e avendogli dato tutti i suoi beni, aveva preso un'altra moglie, Chetura da cui ebbe vari figli.
Avendo ormai Abramo pressoché finito il proprio incarico Dio passò la benedizione a Isacco cui apparve di notte tra Gerar e Bersabea, e gli disse: "Io sono il Dio di Abramo, tuo padre; non temere, perché io sono con te: ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza a causa di Abramo, mio servo." (Genesi 26,24)

Esaù e Giacobbe sono completamente diversi tra loro e pur se fratelli saranno tra loro in continua opposizione.
Significativo è l'evento della cessione non del tutto volontaria da parte di Esaù della primogenitura per il famoso piatto di lenticchie.
(Vedi: Esaù e Giacobbe - genesi capitolo 25 in "Vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia")

Prima di tale evento il capitolo 25 del libro della Genesi al versetto 8 precisa che Abramo a 175 anni morì e i figli Isacco e Ismaele lo seppellirono nella grotta di Macpela.
Abramo morì quando Giacobbe e Esaù avevano 15 anni ed era l'anno assoluto 2023 secondo Genesi, quindi, nel 1737 a.C.; il calendario ebraico, infatti, conta gli anni a partire dalla dedotta data di creazione desunta dalle indicazioni della Tenak calcolata dai rabbini come 3760 a.C.
La creazione di Adamo, quindi, viene a coincidere con uno dei due capodanni ebraici: 1 Tishri 3760 a.C. o 1 Nisan 3761.
(Nel settembre dell'anno 2015 in cui sto scrivendo inizia l'anno ebraico 5776.)

Quando avvenne l'episodio delle lenticchie, cibo che si usava per ricordare un defunto, fu quando Giacobbe e Esaù diventarono maggiorenni, vale a dire a 20 anni.
Secondo maestri dell'ebraismo era la ricorrenza di 5 anni della morte di Abram e pare che Giacobbe andò a consolare suo padre cucinando tale minestra.
La minestra fu l'incentivo per la vendita della primogenitura ed era una minestra rossa "'adom" di lenticchie dette e scritte "e'dashim" .
Tale termine, sempre al plurale, per lenticchie si trova anche in 2Samuele 7,28 e 23,11 nonché in Ezechiele 4,9.
Le lettere di lenticchie "e'dashim" evocano tanti pensieri e, in particolare, sono un augurio per il morto di ricevere "dall'Eterno il dono della vita " ossia la vita eterna.

Isacco visse in tutto 180 anni (Genesi 35,28).
Tante furono poi le vicende in cui Giacobbe riconobbe la presenza della mano dell'Onnipotente.
Sono in particolare da ricordare:
  • in Genesi 28, il sogno della scala su cui salivano e scendevano gli angeli di Dio che gli disse "Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto" (13-15) in pratica la stessa promessa fatta ad Abramo in quanto gli promise la terra su cui stava dormendo, una grande discendenza per cui tutte le famiglie della terra saranno benedette e Giacobbe concluse con questo voto "Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima" (21-22) e così avvenne.
  • in Genesi 32, al ritorno da Paddan Aram con le mogli e i figli e prima dell'incontro con Esaù, la lotta notturna con l'angelo di Dio al guado del torrente Iabbok ove gli chiese una benedizione e gli fu dato il nome Israele, che in ebraico significa "è a lottare () con Dio ", ma anche con i miei criteri di decriptazione, "è il principe di Dio " o "è la luce a vedere () del Potente ".
Tramite il figlio Giuseppe, il primogenito dell'amata moglie Rachele, grazie a Dio che gli dette il potere d'essere profeta interpretando i sogni, divenuto vice faraone d'Egitto, tutta la famiglia di Giacobbe - Israele entrò in Egitto quando il patriarca aveva già 130 anni.
Giacobbe-Israele conclude la storia dei tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e muore in Egitto all'età di 147 anni (Genesi 47,28), corrispondente, sempre secondo i rabbini, al 2155° anno dalla creazione vale a dire nel 1605 a.C..
In Egitto Giacobbe s'era recato 17 anni prima chiamato dal figlio Giuseppe con tutti i figli e il bestiame che aveva.

Era ormai una famiglia consistente, infatti, si legge:
  • Genesi 46,26 - "I figli che nacquero a Giuseppe in Egitto sono due persone. Tutte le persone della famiglia di Giacobbe, che entrarono in Egitto, sono settanta."
  • Esodo 1,5 - questo punto "Tutte le persone nate da Giacobbe erano settanta, Giuseppe si trovava già in Egitto."
Si era quindi nel 1622 a.C..
Giuseppe fu profeta non solo perché interpretò sogni, ma anche perché ebbe il dono della sapienza e dell'intelletto che lo rese capace di trasformare il sogno del faraone in realtà amministrando come vice faraone, infatti, "Poi il faraone disse a Giuseppe: Io sono il faraone, ma senza il tuo permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutta la terra d'Egitto. E il faraone chiamò Giuseppe "Safnat-Panèach" e gli diede in moglie Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli. Giuseppe partì per visitare l'Egitto. Giuseppe aveva trent'anni quando entrò al servizio del faraone, re d'Egitto." (Genesi 41,44-46)

"Safnat-Panèach" è nome egizio dal significato "il Dio parla ed egli vive" che fa intravedere l'annunciare la parola di Dio nella sua vita.
Giuseppe con la famiglia di suo padre abitò in Egitto ed ebbe due figli Efraim e Manasse.
Prima di morire, profeticamente ebbe a dire ai fratelli, "Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe". (Genesi 50,24)

Giuseppe, inoltre, fece giurare ai figli d'Israele, "...allora voi porterete via di qui le mie ossa" quando Dio verrà a visitarvi e morto all'età di 110 anni lo imbalsamarono e fu posto in un sarcofago in Egitto.
Il libro dell'Esodo poi riferisce che fu portato poi con sé da Mosè 4 secoli dopo con i fuoriusciti dall'Egitto, infatti, "...prese con sé le ossa di Giuseppe, perché questi aveva fatto prestare un solenne giuramento agli Israeliti, dicendo: Dio, certo, verrà a visitarvi; voi allora vi porterete via le mie ossa." (Esodo 13,19)

Con questi racconti termina il libro della Genesi, preparatori dell'intervento divino raccontato dagli altri 4 libri della Torah - Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio - a favore dell'umanità intera.

NASCITA DEL POPOLO DI DIO
Dal faraone per amore a Giuseppe (Genesi 45,9s) quei 72, il clan di Israele, fu fatto risiedere in Egitto nella parte orientale del delta del Niro nella terra detta di Goshen.
I discendenti di quelli risiedettero in Egitto per 400 anni, come conferma il libro degli Atti: "Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni." (Atti 7,6)
Con i tanti unitisi a loro, lasciarono quella terra al momento dell'Esodo dall'Egitto partendo proprio da quel luogo.
Quel "Goshen" in ebraico è un nome profetico, infatti:
  • + e è zolle di fango, come in Giobbe 7,5, quindi, un terreno umido e pieno di , ossia d'energia, quindi, fertile, ma anche idoneo a fare i famosi mattoni;
  • + ove è tradotto in Giobbe 30,5 come società probabilmente da "goi" popolo e con = è il radicale di "rinnovare", quindi, società nuova;
  • + + e lette come singole lettere si ha "in cammino si porteranno rinnovati .
S'intravede che da là verrà a uscire un popolo e una società nuova, ma ancora molto pagano come fa intravedere quel "goi".
Occorrerà, quindi, molto lavoro da parte di Dio su quel popolo di fuoriusciti ed il relativo racconto con i fatti e gli interventi divini di cui è piena la Torah.
Fino a quel momento il Dio Unico, creatore del cielo e della terra, sostengono quei sacri testi, s'era rivelato a una famiglia di 72 persone, ma come si evince dagli stessi testi il fine ultimo era appunto prepararsi un popolo di profeti, perché lo annunciasse e gli fosse alleato nel mondo a testimonianza per gli uomini di tutte le generazioni.

Nel libro del Deuteronomio 7,7-8 circa la scelta di quei pochi per creare un popolo nuovo si trova "Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri", per contro Dio ama tutti gli uomini "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna." (Giovanni 3,16)

Era necessario, quindi, un pizzico di lievito e una prima pasta per preparare il lievito bastevole per tutta l'umanità.
Il primo lievito furono gli Israeliti e la prima pasta fu la massa di persone aggregata al momento dell'Esodo, immagine di tutti i popoli, infatti "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti". (Matteo 13,33)

Racconta, infatti, il libro dell'Esodo 12,37 "Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini capaci di camminare, senza contare i bambini."

In quel testo gli uomini sono detti "gebarim" , da crescere forte, quindi in quei seicentomila erano contati soltanto i maschi validi adulti e non le donne e i vecchi.

Gli Israeliti, compresi bambini e vecchi portati su asini e carri, si possono allora contare più o meno in 750.000 di sesso maschile, onde complessivamente, comprese le donne di ogni età, i partenti Israeliti sarebbero stati circa 1.500.000 pari ai 72 d'origine immaginati moltiplicatisi 12 volte ogni 100 anni come da questo conteggio: 72x12x12x12x12 = 1.492.992.
Il versetto successivo 12,38 aggiunge "Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e insieme greggi e armenti in gran numero", quindi, veramente due gruppi non miscelati, anzi due popoli da unificare in cui doveva lievitare il dono della fede.

Si dice di gente promiscua, ossia di persone di più nazioni e di vari ceti che, secondo Targum Yonatan; Mekiltà, ammontavano a più di un milione e Shemot Rabba 42 parla complessivamente di oltre tre milioni e mezzo di persone.
I fuoriusciti non ebrei certamente non erano tutta gente di primordine, ma c'erano anche poveri, schiavi, operai, contadini malcontenti, ribelli, quindi una congerie di varie culture e razze, ma tutti idolatri, con pochi illuminati grazie agli antichi padri.

Certo che quei numeri rendono incredibile l'evento, ma sono così indicati come necessari per far comprendere l'opera del Signore che supera ogni potere umano.
Quanto d'importante che intendono quei racconti sottolineare è la netta volontà del Signore alla nascita di quel popolo.
Basta pensare al riguardo che tutte matriarche Sara, Rebecca e Rachele erano di fatto sterili per natura ed ebbero figli solo attraverso l'intervento miracoloso di Dio che intendeva prepararsi quel popolo.
Su questa scia, in definitiva, rientra anche Maria, la madre di Gesù, il nuovo Israele, che ebbe figli senza conoscere uomo.

Certamente l'esodo ci fu, ma forse non fu di tutti assieme in quel numero enorme, ma ci fu evidentemente un episodio eclatante e forse tante fuoriuscite in più secoli.
L'arduo compito di trasformarli in un unico popolo doveva essere portato avanti da un uomo scelto con oculatezza che fosse riconosciuto quale persona autorevole da entrambe i gruppi.
Doveva accadere che lo spirito inculcato dai patriarchi, annacquatosi in Egitto forse con molti matrimoni promiscui, facesse comunque da lievito in tutta quella pasta.
Dio li fece uscire, li portò nel deserto con segni e prodigi e diede loro per prima cosa una legge, corresse per 40 anni le loro trasgressioni, li trattò come fanciulli che avevano bisogno di un tutore con eventi che fecero da insegnamento e diede loro una spina dorsale fino a che vi fu un minimo di coesione per entrare in possesso della terra degli antichi padri da cui venivano.
Chi meglio, allora, di un principe egizio, ma d'origine ebraica com'era Mosè e in più ribelle?

Ecco che il libro dell'Esodo al capitolo 2 presenta la sua origine e il capitolo 3, mentre era in esilio nella penisola del Sinai per aver ucciso un uomo racconta la sua chiamata da parte del Signore che in definitiva gli propose di essere il suo ambasciatore.
Doveva chiedere la liberazione del suo popolo a un nuovo faraone e, se questi non avesse accettato, gli avrebbe dovuto annunciare che avrebbe provocato l'ira di IHWH, un dio sconosciuto a quel re, ma che è il vero unico Dio.
Lui, Mosè, rappresentava Dio stesso, ma chi avrebbe parlato, la voce, era quella del fratello, Aronne, più vecchio di 3 anni.
Inascoltati dal faraone fiducioso degli dei d'Egitto, ci furono le famose 10 piaghe provocate dal diretto intervento divino di cui l'ultima fu la morte dei primogeniti.
La guerra che l'ambasciatore aveva annunciato era iniziata e da quel momento alla guida del popolo si mise Dio stesso che lo precedeva di giorno con una colonna di nubi e di notte con una colonna di fuoco, quindi, ci fu il miracolo dell'apertura del mare e in tutti i successivi 40 anni nel deserto sarà sempre Dio che farà comprendere al popolo con i suoi segni quando accamparsi e quando muoversi.
La paura di incontrare Dio e morire fece richiedere al popolo che permanesse come intermediario Mosè che riferiva i suoi comandi.

Di fatto i versetti conclusivi della Torah, Deuteronomio 34,10-12, propongono che: "Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia, per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nella terra d'Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutta la sua terra, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele."

Pur tuttavia Mosè stesso ha profetizzato che "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto." (Deuteronomio 18,15)

Questo profeta che doveva venire era atteso perché portasse a conclusione la storia di salvezza.
Sarà "pari a me", quindi, è tale che vede il Signore faccia a faccia; questa è profezia del Messia, uomo e Dio, che conosce e vede il Padre.

Il Vangelo di Luca lo sottolinea quando dice "Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo" (Luca 7,16)

Gesù poi ebbe a dire a chi gli chiedeva dov'è tuo padre? "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio". (Giovanni 8,19) e anche "Io e il Padre siamo una cosa sola". (Giovanni 10,30) onde ancor più che vederlo faccia a faccia.

Agli inizi, quindi, era Mosè che doveva precedere e annunciare Dio, ma ci fu un momento, all'apertura del mare, in cui Dio prese in mano direttamente la guida del popolo.
È questo il prototipo dell'incontro con Dio, occorre un annuncio da parte di un profeta, un'adesione da parte di chi ascolta, e la consegna del profeta nelle mani del Signore che opererà il miracolo della fede, perché "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione." (1Corinzi 1,21b)

Non mi soffermo oltre su questo grande profeta Mosè cui la tradizione attribuisce comunque la stesura dell'intera Torah che è la base e la sorgente dei testi sacri giudeo - cristiani, in quanto, grazie a quei libri ben nota è la sua figura e il suo operare è stato ampiamente commentato.
L'esempio di come nacque quel primo popolo di Dio è comunque profezia della nascita del popolo finale dei redenti.

In tutti quei 40 anni nel deserto, allegoria delle 40 settimane della gestazione di un figlio da parte di una madre, Dio dette loro da mangiare la manna cibo fisico, anche questa allegoria di un concreto cibo spirituale e in quei fuggitivi, divenuto popolo, nacque la fede, che in ebraico viene dal radicale .
L'Unico , col dare loro la manna giornaliera, dette loro la fede , ossia ove = .
La santità è la via che fu indicata da Dio con l'esodo nel deserto (Levitico 11,44; 19,2; 20,7) ed è la felicità vera cui l'uomo possa aspirare.
Occorre, infatti:
  • nascano domande esistenziali sulla propria vita;
  • valutare la propria condizione di schiavitù in questo mondo;
  • rendersi conto che non può esserci soluzione umana;
  • scorgere una luce che può illuminare un percorso d'uscita;
  • valutare la credibilità e persistenza del segnale;
  • alzarsi per partire;
  • riconoscere che è un miracolo il mettersi in movimento;
  • rendersi conto che delle regole minimali, opportune, da seguire;
  • seguire con attenzione le tracce lungo la via che rivelano l'idoneità del percorso;
  • accorgersi che altri credibili l'hanno seguita e sono stati illuminati e soddisfatti;
  • sentire in sé nascere la fede, che se giusta porta anche a opere buone.
L'unificare i popoli nemici e diversi portando la pace può solo accadere se si verifica quanto di per sé impossibile, l'amore al nemico e questo può essere solo frutto della fine dei tempi, quindi del Messia.
Al riguardo apro una parentesi.
Tutti i cristiani adulti nella fede sono grazie al battesimo "profeti, re e sacerdoti" in senso pieno, figli di Abramo nella fede.

È insegnato, tra l'altro, dal Vangelo (Matteo 5,43-48) "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste."

Tale comportamento è un dono tipico promesso al cristiano dal sacramento del battesimo in nome di Dio Padre, del figlio Gesù il Cristo, ossia il Messia, e dello Spirito Santo, per divenire efficace nella crescita del cammino di fede e trasformarsi da carattere potenziale in attitudine.
I due concetti di amare e di nemico, tra loro sono nettamente contraddittori, perciò razionalmente inconciliabili, perché non atto immediato di volontà attuabile con le proprie forze o seguendo la sola ragione, ma "nulla è impossibile a Dio". (Luca 1,37)

Quel Vangelo, infatti, dice "siate perfetti" e sappiamo che la perfezione non è di questo mondo, ma solo del Creatore come del resto è quel "siate santi" del Levitico 11,44; 19,2; 20,7.

Se si guarda a quei versetti, "l'amare il nemico" proposto da Gesù è proprio da Lui stesso posto in stretto collegamento con il Padre celeste, cioè con Dio, quindi, con lo stesso biblico IHWH.
Con ciò, che vuole dire Gesù nel discorso della montagna relativo alla descrizione dello "uomo nuovo"?

Gesù è un "rabbi", vale a dire un maestro dell'ebraismo e come quelli a chi lo seguiva presentava esempi e parabole spesso collegate alla terminologia ebraica che era insita nei libri liturgici delle Sacre Scritture lette in sinagoga relativi alla Tenak o Bibbia ebraica.

Al riguardo, ricordo ad esempio, che sul discorso dell'uomo-marito, in ebraico "'aish" e della donna-moglie "'isshah" , parole che la Bibbia presenta la prima volta in Genesi 2 e vi si parla di matrimonio al versetto 24, i rabbini, presentano un commento legato alle lettere ebraiche formative di quei nomi.
Se si guarda i loro nomi, infatti, uomo-marito "'aish" e donna-moglie "'isshah" , ci si rende conto che se tra loro non c'è "Iah" ossia IHWH dei due restano solo due fuochi "'esh" che bruciano e si consumano come del resto accade a tutto quello che è di questo mondo.
Per contro se ci si fa entrare "Iah" , ossia se il matrimonio è a IHWH ispirato, il matrimonio stesso diviene come il roveto ardente ove pur essendoci i fuochi e bruciando accade il miracolo che non si consuma e in parallelo il matrimonio dura integro.

Ora, tornando a quel "amare il nemico" nel Discorso detto della Montagna che Matteo lo pone all'inizio della sua predicazione, Gesù a tutti gli effetti si comporta da "rabbi" e intende "insegnare con autorità" la via cui lui condurrà, i suoi seguaci, perché appunto Lui è la via (Giovanni 14,7).
Tale via è quella dell'uomo nuovo in cui appunto vi sarà il dono di una natura nuova, non umana, ma divina, che fa divenire figli di Dio.
Se si ricorre alle lettere ebraiche si ha:
  • Amare, ha il radicale ;
  • Nemico, è "'oieb" .
Si verifica qualcosa di analogo al precedente caso.
Quei due termini, infatti, hanno in comune le lettere e , ossia proprio quelle di Padre "'ab" e sono conciliabili tra loro solo tramite al fatto che intervenga "Iah" ossia IHWH unendo le restanti lettere che le formano.

Con quel discorso Gesù sta dicendo in pratica quanto l'angelo disse a Maria di Naazaret: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. ...Allora Maria disse all'angelo: Come avverrà questo... Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio... nulla è impossibile a Dio." (Luca 1,31-37)

L'inconciliabile, ossia l'amare il nemico diverrà possibile solo grazie alla nascita dall'alto e grazie al sangue di Cristo; dice infatti San Paolo agli Efesini: "...in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia"... (Efesini 2,13s)

L'amare il nemico è possibile solo tramite il Dio vero e sottolineo vero!

Com'è noto, la Torah apre tutto il profetismo giudaico - cristiano.
La Tenak, infatti, ossia la raccolta delle Sacre Scritture ebraiche, dopo la prima parte, appunto i cinque libri della Torah o Pentateuco, propone quella detta dei "Nevi'im" "I Profeti".
Questa seconda parte è formata da libri storici o pseudostorici e dai libri dei profeti veri e propri in questo modo:
  • 4 libri, detti "Nevi'im Rishonim" - Profeti anteriori; comprende i libri di Giosuè, Giudici, Samuele I e II e dei Re I e II ove si parla tra l'altro di personaggi come Giosuè che portò alla conquista della terra promessa, Samuele che unse i primi re, David da cui Natan profetizzò la venuta del Messia, Elia profeta ricordato nei Vangeli come annunciatore della fine dei tempi;
  • 3+1 "Nevi'im Acharonim" - Profeti posteriori; comprende i libri di Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 dei Profeti minori, i libri di Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia.
A questi è da aggiungere il libro di Daniele inserito negli "Altri scritti" "Ketuvim", ultima parte della Tenak il cui il profeta profetizza la venuta del Figlio dell'Uomo prevedendone la data.

PROFETI E PROFETESSE NELLA TENAK
Il Talmud con Megillah 14° propone la presenza nella Tenak di 48 profeti e 7 profetesse e indica:
  • per le 7 profetesse, definite sempre e soltanto "nevi'ah", Sara, Miriam sorella di Mosè, Debora, Anna madre di Samuele, Abigail, Culda e Ester;
  • per i 48 profeti, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aronne, Giosuè, Pinchas, Elkana fratello di Samuele, Eli, Samuele, Gad, Nosson, re David, re Salomone, Adonia, Micha Ben Yamla ai tempi di Achab, Ovadia, Achia Hashiloni, Yehu Ben Hanani ai tempi di Asa, Azaryah Ben Oded ai tempi di Yehoshaphat, Haziel, Eliezer, Morishah, Osea, Amos, Micha, Elia, Eliseo, Giona, Isaia, Gioele, Nachum, Abacuk, Zefania, Uriah, Geremia, Ezechiele, Daniel, Baruk, Neriah, Sharyah, Machsiyah, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Mordechai e altri due su cui nomi c'è discussione; non c'è infatti unanimità tra i rabbini sulla qualità profetica di alcuni.
Tra questi 48 sono accumunati personaggi con tre titoli diversi in ebraico:
  • il profeta vero e proprio, "navi'", al femminile "nevi'ah", pronuncia la benedizione o maledizione, può fare o non fare prodigi e miracoli, può prevedere avventi futuri, ammonisce il popolo, trasmette messaggi di Elohim con lo scopo di correggere, chiamare al ravvedimento e d'annunciare conseguenze di disobbedienze;
  • il veggente "ro'ah", dal verbo "ra'ah", vedere e "chozeh" dal verbo "chazah", vedere con attenzione, contemplare, osservare, guardare che riceve rivelazioni di solito attraverso visioni e sogni osservano le stelle, che vede eventi futuri attraverso i sogni, visioni ed estasi; come Samuele è detto "ro'ah" in 1Samuele 9,19 e sono detti "chozeh" Gad, veggente di David, in 2Samuele 24,11 e nei libri omonimi Nahum in 1,1 e Abdia 1,1.
Quei tre termini si trovano citati assieme in 1Cronache 29,29 "Le gesta del re Davide, dalle prime alle ultime, sono descritte nei libri del veggente (ro'eh) Samuele, nel libro del profeta (navi') Natan, e nel libro del veggente (chozeh) Gad".

Un altro titolo dato ad alcuni è: "uomo di Elohim" ("'ish haElohim") usato anche per Mosè (Deuteronomio 33,11), Samuele (1Samuele 9,7), Davide (2Cronache 8,14), Elia (1Re 17,18), Eliseo (2Re 4,7), Gioele (1,1), Osea (1,1), Michea (1,1), Geremia (35,4), Sofonia (1,1), Malachia (1,1).
Un caso a parte è Balaam citato nel libro dei Numeri, da molti considerato un profeta dei gentili, definito però semplicemente quale indovino, "qosem", in Giosuè 13,22.

Per il giudaismo rabbinico, il ministero di profeta, "navi'", cessò dopo il ritorno dei Giudei da Babilonia, ma i Giudei consideravano che c'erano ancora dei profeti attivi in quel tempo fino alla distruzione del Tempio nel 70 d.C..

Tra questi è da considerare il Giovanni Battista di cui parlano i Vangeli. Giuseppe Flavio in Antichità giudaiche al capitolo 18,116-119 fa un riferimento a Giovanni Battista che il popolo riteneva un vero profeta di Dio: "Ad alcuni dei Giudei sembrò che l'esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il quale giustamente aveva vendicato l'uccisione di Giovanni soprannominato il Battista. Erode infatti mise a morte quel buon uomo che spingeva i Giudei che praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà verso Dio a venire insieme al battesimo; così infatti sembrava a lui accettabile il battesimo, non già per il perdono di certi peccati commessi, ma per la purificazione del corpo, in quanto certamente l'anima è già purificata in anticipo per mezzo della giustizia. Ma quando si aggiunsero altre persone - infatti provarono il massimo piacere nell'ascoltare i suoi sermoni - temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che non portasse a qualche sedizione - parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa dietro sua esortazione - ritenne molto meglio, prima che ne sorgesse qualche novità, sbarazzarsene prendendo l'iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo, messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli per questo sospetto di Erode fu mandato in catene alla già citata fortezza di Macheronte, e colà fu ucciso."

IL RITORNO DI ELIA
Elia, detto il Tisbita o il Galadita, era originario di Tisbe in Gàlaad (Tisbe el-Istib pare fosse vicino ad Ajlun), oggi chiamata Giordania, a est del fiume Giordano.
È un personaggio che irrompe sulla scena della Bibbia al capitolo 17 di 1Re senza preavvisi né descrizione della chiamata come profeta.
Di se stesso disse "Per la vita del Signore degli eserciti, alla cui presenza io sto", (1Re 17,1) e annunciò ad Acab, re di Israele, ossia re del regno del Nord, che finché non avesse detto di piovere non ci sarebbe stata alcuna pioggia o rugiada per Israele, abrogandosi, quindi, poteri propri di Dio.

Elia, in ebraico "'Eliiahu" , il cui nome significa "il mio Dio è IHWH", visse nel IX secolo a.C. ed operò nel regno del nord ai tempi del re Acab (874-853 a.C.) e di suo figlio.
Tale re per motivi politici di una ricercata alleanza con la Fenicia, nell'anno 874 a.C. aveva sposato la famosa Gezabele, figlia del re Et-Bàal di Tiro e Sidone, gran sacerdote della dea Astarte, detta anche Ashera.
Questa Gezabele, divenuta regina, aveva favorito con successo in Israele il culto del Baal, famosa divinità fenicia e aveva portato a corte molti sacerdoti di quel dio che veniva adorato sulle alture con la colpevole condiscendenza di Acab.
Questo Acab, infatti, per la sua apostasia è considerato un maledetto dalla Bibbia; infatti, Giosuè aveva fatto giurare: "Maledetto davanti al Signore l'uomo che si alzerà e ricostruirà questa città di Gèrico! Sul suo primogenito ne getterà le fondamenta e sul figlio minore ne erigerà le porte!" (Giosuè 6,26) e quell'uomo fu proprio Acab come si legge prima della storia di Elia in 1Re 16,34.

Elia è considerato l'ispiratore dei monaci anacoreti del IV secolo d.C. detti "padri del deserto", evidentemente per sua scelta o chiamata.
Viveva, infatti, in solitudine come un eremita cibandosi di quel che trovava, portava un perizoma e un mantello di peli come poi sarà uso di altri profeti tra cui anche il precursore di Cristo, il Battista (Matteo 3,4) che viveva proprio ispirandosi ad Elia nei pressi di Gerico e del Giordano.

Il profeta Elia, preannunciata ad Acab la siccità, nei tre anni seguenti si rifugiò prima presso il torrente Kerìt in Transgiordania, ove fu nutrito dai corvi poi, per ordine del Signore, andò a Zarepta a 15 Km a sud di Sidone ove fu mantenuto da una vedova cui moltiplicò olio e farina e ne risuscitò il figlio (1Re 17,7-24); dice, infatti, il testo "L'anima del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere" (1Re 17,22) il che pone subito Elia in relazione al tema della risurrezione.

Dopo quel tempo Elia andò a incontrare di nuovo Acab e questi l'investì accusandolo: "Sei tu la rovina di Israele!" (1Re 18,17), ma Elia gli ritorse contro l'accusa in questo modo: "Io non rovino Israele, ma piuttosto tu insieme con la tua famiglia, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito Baal. Su, con un ordine raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele". (1Re 18,18s)

Non restava ormai che provare la verità, e a tale scopo, con irriducibile fiducia, Elia convocò Dio Unico sul Monte Carmelo in giudizio per dirimere la questione tra lui solo contro tutti i profeti di Baal e di Asera.
È noto l'episodio del sacrificio di Elia accettato da Dio in El-Muhraqah, a sudest del Carmelo, ove IHWH rispose dal cielo bruciando l'olocausto, mentre le grida, le danze e le mutilazioni dei falsi profeti non ottennero alcun risultato.

Riferisce 1Re 18,36-40: "Al momento dell'offerta si avvicinò il profeta Elia e disse: Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore! Cadde il fuoco del Signore e consumò l'olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l'acqua del canaletto. A tal vista, tutti si prostrarono a terra ed esclamarono: Il Signore è Dio! Il Signore è Dio! Elia disse loro: Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi uno! Li afferrarono. Elia li fece scendere nel torrente Kison, ove li scannò."

Lo "stare alla presenza del Signore", che aveva dichiarato Elia, viene così a corrispondere in definitiva al "farsi servo del Signore", vale a dire a essere abitati dal Suo stesso Spirito.
Ovviamente ci fu la reazione di Gezabele che si vendicò massacrando gli ultimi profeti di IHWH.
Elia per evitare la vendetta di Gezabele, dovette fuggire verso sud. Miracolosamente ristorato lungo il cammino, raggiunse l'Oreb e sulla sommità del Gebel-Mùsà, ebbe una teofania: "Ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: Che fai qui, Elia?" ed egli "Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita".

Qui Elia fa una pesante accusa "gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza" e come sappiamo, alleanza in ebraico è "berit" parola che richiama il patto per eccellenza, quello tra Abramo e Dio.

Il primo patto tra loro ci fu quando: "Disse Dio ad Abramo: Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio." (Genesi 17,9s)

Il conseguente pensiero rabbinico, come vedremo, è che Dio, valutando vera l'accusa da parte di Elia ha come delegato Elia di essere per sempre attento all'applicazione di quel patto, onde questi deve essere presente ogni volta che del patto viene fatta memoria in una circoncisione.
Poi le Scritture chiariranno che la vera circoncisione desiderata da Dio è quella del cuore, caratterizzata dalla fede sgorgata dalla Torah, ossia che nasce dal credere alle Scritture e agli annunciatori veraci di Dio e provoca la speranza della nascita della carità, ossia dell'amore pieno per il Dio unico e il prossimo, vera circoncisione del cuore.


Segue, la teofania, l'episodio dell'incontro col Signore che passò in un "un vento leggero" (1Re 19,9-18) e ricevette la missione di investire Hazael come re di Damasco, lehu come re di Israele e Eliseo come profeta al suo posto.
La storia delle malefatte di Acab continua con il famoso episodio della vigna di Nabot ed Elia è inviato dal Signore per annunciare ad Acab il castigo imminente (1Re 21,21-24), poi "dilazionato" in seguito al suo pentimento, ma esteso alla moglie e ai figli (1Re 21,29 e Il Re 9,710; 26; 36).

Del profeta Elia mi sono già interessato ("Da Elia a Eliseo: il mio Dio è Iahwèh, il Signore Gesù" e "Elia rapito in cielo. Un Giubileo"), ma ora intendo evidenziare solo alcuni aspetti connessi alla profezia che chiude il libro del profeta Malachia grazie alla quale Elia deve rinnovare il suo operato annunciando la fine dei tempi per la conversione: "Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al quale ordinai sull'Oreb precetti e norme per tutto Israele. Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio." (Malachia 3,22-24)

Perché ciò?
Del profeta Elia, in effetti, non è data notizia della morte, ma è espressamente detto che fu prelevato "su un carro di fuoco e cavalli di fuoco" e che "salì nel turbine verso il cielo" (2Re 2,11).

Questi, come Enoch, ha camminato con Dio, stava alla presenza del Signore e Dio lo prese e divenne l'ultimo annunciatore della risurrezione.
Nel pensiero rabbinico, infatti, grazie a tale profezia, di Elia, perciò, come lo si è visto andare via su un carro di fuoco, se ne attende il ritorno con il carro del Messia che verrà con i suoi angeli e i suoi santi per il giudizio e la risurrezione finale.
Ecco che, allora, per la tradizione rabbinica Elia è tra gli invitati alla cena pasquale, infatti, ogni anno, a Pesah, sulla tavola del Seder è posta anche la coppa di "Eliahu HaNavì", di Elia profeta un calice d'argento o di cristallo e ognuno, come un bambino, attenderà che venga davvero a bere il vino a lui destinato annunciando la venuta del Messia.
Come a Pesach ci fu la liberazione dalla schiavitù in una veglia di Pesach verrà il Messia per la liberazione finale.

Un Midràsh poi racconta che al tempo della regina Gezabele, Elia, come ho evidenziato, si ribellò all'abbandono della "milà" o circoncisione e fu minacciato di morte, al punto di doversi nascondere.
Da allora è come se Dio gli avesse promesso, in cambio del suo zelo per Patto che Elia sarebbe stato reso testimone di tutte le "milòt" - circoncisioni che sarebbero state eseguite nel popolo d'Israele.
Da qui l'uso per gli ebrei al momento del rito familiare della "milà" di disporre una sedia per Elia, "malakh haberìt", re del Patto, sulle cui ginocchia si posa simbolicamente il bambino (Pirkè Derabbì Eli'èzer 29).

GIOVANNI BATTISTA
S. Giovanni Battista, guardando ai Vangeli e alla tradizione è il precursore del Signore, fin dal seno materno ricco di grazia, nunzio di gaudio per i popoli, benedetto dalla Madre di Dio, cresciuto mirabilmente nel deserto, voce che prepara le vie del Signore, instancabile predicatore della conversione, istitutore del battesimo di penitenza, testimone della SS. Trinità e della Luce di Cristo quale Agnello di Dio.
Egli battezzò Gesù nel Giordano, donò a Gesù i suoi discepoli, fu amico dello Sposo celeste, specchio della penitenza, prodigio di umiltà, amante della povertà, giglio di perfetta castità, vindice della divina legge, lucerna ardente e luminosa, il più grande dei nati di donna, come ebbe a dire Gesù stesso.
Egli è ritenuto il più eccelso dei profeti, splendore dei martiri, esemplare dei monaci, sostegno dei confessori, maestro degli evangelizzatori, modello delle anime consacrate, sollievo degli afflitti e dei carcerati, luce per chi soffre le tenebre dell'anima, fiducia per chi l'invoca, flagello dei demoni, conforto per chi muore, tutela per tutta la Chiesa.
Giovanni Battista, accusando il re Erode Antipa, tetrarca della Galilea e della Perea di pubblico peccato contrario alla Torah, perché, intrecciata una relazione con la moglie di suo fratello Erode Filippo, l'aveva sposata, si era comportato come Elia a suo tempo aveva fatto accusando di apostasia il re Acab.

Lui però quando "...gli chiesero: Che cosa dunque? Sei Elia? Rispose: Non lo sono". (Giovanni 1,21) eppure, dopo che Erode aveva fatto arrestare il profeta e rinchiudere a Macheronte in Giordania, nella fortezza che aveva fatto costruire su una collina a 24 km a sud-est della foce del fiume Giordano nel Mar Morto, Gesù parlando di Giovanni Battista, disse alla folla: "...che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Tutti i Profeti e la Legge, infatti, hanno profetato fino a Giovanni. ...E, se volete comprendere, è lui quell'Elia che deve venire." (Matteo 11,9-14)

Gesù con autorità assicura gli ebrei del suo tempo e chi lo segue oggi che con il Battista s'è conclusa la profezia di cui in Malachia 3 circa l'attesa messianica che prevedeva la venuta di Elia.
Gesù, infatti, pone in evidenza che è venuto il tempo di Elia, che apre l'epoca finale utile per la conversione prima del giudizio e della fine del mondo.
Tutto quanto era da attendersi dall'ebraismo era concluso, aveva portato a termine la sua funzione, il Battista era l'ultimo dei profeti, il punto di passaggio dell'antica alleanza e il regno dei cieli che stava venendo col Messia, infatti, "Tutti i Profeti e la Legge, infatti, hanno profetato fino a Giovanni."
Dirà il Battista stesso nel Vangelo di Giovanni 3,30 parlando di Gesù "Egli deve crescere e io invece diminuire."

Del resto l'episodio della Trasfigurazione è un evento della vita di Gesù descritto nei Vangeli sinottici - Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8; Luca 9,28-36 - in cui appaiono in una nube luminosa a conversare con lo stesso Gesù proprio Mosè ed Elia in rappresentanza della Legge e dei Profeti.

Il Vangelo di Matteo 3,1-6 pone ben in evidenza come il Battista fosse profetizzato dallo stesso Isaia, come si comportava proprio come Elia e chiamava a conversione come previsto in Malachia 3, infatti: "In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati."

Il Battista, quindi, è la "voce che chiama" "qol qore'a", lettere che dicono anche con il metodo dei segni: "sperate () il Potente si versa ; si porta alla vista ".

In questo senso, come dice Gesù, il Battista è più di un profeta, perché ha la funzione di voce stessa del Signore che in tempo reale annuncia il nuovo tempo che fa chiudere col passato e apre al futuro.
In definitiva, Giovanni Battista ha la stessa funzione del catecumenato che apre l'orecchio all'ascolto e prepara al battesimo e alla venuta del Signore!

In tal senso per il 24 Giugno, giorno che ricorda la nascita del Battista, in "Toccati dall'invisibile", Benedetto XVI Joseph Ratzinger scrive: "La figura di San Giovanni Battista, la cui festa oggi si celebra, malgrado l'incomparabilità e l'irripetibilità della sua missione, ci può tuttavia aiutare a comprendere qualcosa di più del nuovo servizio dell'assistente pastorale nella chiesa. Il Battista esiste per chiamare la gente a Gesù. Il suo servizio è caratteristicamente distinto da quello dell'apostolo e dei suoi successori. Egli non rappresenta direttamente Cristo stesso, come devono fare gli apostoli, ma apre la porta per lui. Egli crea lo spazio in cui Gesù possa essere ascoltato. Raduna, purifica, prepara il popolo affinché ci sia la possibilità di incontrarlo. Porta le persone sulla via verso di lui. In un mondo diventato cristiano un tale servizio poteva anche venir meno. In un tempo sempre meno cristiano, in cui gli organi per percepire Dio e Gesù Cristo rischiano di atrofizzarsi, un tale servizio di preparazione catecumenale che crea spazio affinché egli stesso possa essere ascoltato, è di una nuova urgente necessità."

In questo senso l'ebraismo stesso ha avuto la funzione fondamentale di catecumenato nei riguardi del cristianesimo.
Sul Battista nei Discorsi di san Gregorio Nazianzeno vescovo, si trova: "Dopo la prima incerta luce del Precursore, viene la Luce stessa, che è tutto fulgore. Dopo la voce viene la Parola, dopo l'amico dello Sposo, viene lo Sposo stesso. Il Signore viene dopo colui che gli preparò un popolo scelto e predispose gli uomini alla effusione dello Spirito Santo mediante la purificazione nell'acqua. Dio si fece uomo e morì perché noi ricevessimo la vita. Così siamo risuscitati con lui perché con lui siamo morti, siamo stati glorificati perché con lui siamo risuscitati."

Giovanni Battista è l'unico santo, oltre la Madre del Signore, del quale si celebra con sia la nascita 24 giugno, sia la morte il 29 agosto, mentre per gli altri si festeggia solo la morte come nascita al cielo.

Giovanni XXIII, nell'omelia del 26 maggio 1960 per la canonizzazione di Gregorio Barbarico cardinale e vescovo del XVII secolo, ricordò con queste parole "Spetta quindi ai morti dell'Antico Testamento, i più vicini a Gesù - nominiamone due dei più intimi alla sua vita, Giovanni Battista il Precursore e Giuseppe di Nazareth, il suo nutricatore e custode - spetta a loro - così piamente noi possiamo credere - l'onore ed il privilegio di aprire questo mirabile accompagnamento per le vie del cielo: e dare le prime note all'interminabile Te Deum delle generazioni umane salienti sulle tracce di Gesù Redentore verso la gloria promessa ai fedeli, alla grazia sua." l'antica pia credenza secondo cui quei due grandi santi sarebbero stati risorti in corpo ed anima e saliti con Gesù in Cielo quando "...i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella Città santa e apparvero a molti." (Matteo 27,52s)

L'ARCA DELL'EVANGELIZZAZIONE
Il popolo di Dio avanzava nel deserto guidato dal Signore che veniva immaginato seduto sui cherubini del coperchio dell'arca tanto che questa in 1Cronache 13,5 era chiamata proprio "Il Signore seduto tra i cherubini"; ed era Lui che diceva a Mosè quando partire per una nuova tappa e quando fermarsi.
Si legge, infatti, al riguardo nel libro dei Numeri: "Quando l'arca partiva, Mosè diceva: Sorgi, Signore, e siano dispersi i tuoi nemici e fuggano davanti a te coloro che ti odiano, Quando sostava, diceva: Torna, Signore, alle miriadi di migliaia d'Israele." (Numeri 10,35s)

Quest'arca che precede il muoversi del popolo di Dio è vista trasfigurata nella visione di Ezechiele in un carro di fuoco con le ruote che vanno in tutte le direzioni e portano una figura d'uomo.
(Vedi: "Il carro di fuoco d'Ezechiele: UFO e/o macchina del tempo?")

Con quel carro quella visione intendeva sottolineare che era finito il tempo dell'esilio e Dio si rimetteva alla testa per far muovere il popolo e riportarlo nella sua terra.
Per i cristiani la figura d'uomo che era su quel carro è, appunto, il Figlio dell'uomo - figlio di Dio, Gesù Cristo, mentre per gli ebrei è la figura dell'archetipo dell'uomo l'Adam Kadmon, l'uomo pensato da Dio prima del peccato.
Questa visione divenne oggetto della speculazione mistica del Merkavah.

La visione di Ezechiele inizia con: "Io guardavo ed ecco un uragano ( sa'rah) avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinio di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente." (Ezechiele 1,4)
Del carro che porta in cielo Elia è detto "un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine ( "sa'rah") verso il cielo." (2Re 2,11)

Quel turbine o uragano "sa'rah" che li connette non è certamente a caso.
Elia su quel carro di fuoco alla fine dei tempi tornerà col Messia e porterà tutti alla dimora celeste; cioè Dio verrà a prendere i suoi figli alla fine dei tempi.
La visione di Isaia sugli ultimi tempi, peraltro, propone: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti." (Isaia 2,2)

Tutti i popoli debbono essere raccolti e portati alla Gerusalemme celeste.
Ed ecco che su questo tema s'inserisce il pensiero di San Paolo nella lettera ai Romani quando dice: "...la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: Gesù è il Signore!, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? ...Dunque, la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo." (Romani 10,8-17)



La croce gloriosa con Gesù in trono portata su un carro mosso dagli angeli è icona di quel carro, la "merkabah", il carro di fuoco dell'evangelizzazione con cui è portato l'annuncio della venuta del Messia nella carne, della morte in croce e della risurrezione di Gesù di Nazaret.
L'evangelizzazione è, infatti, il modo con cui i popoli tutti usciranno dalla schiavitù del peccato del mondo e torneranno al Signore.

Il tempo del Messia, in effetti, ha inizio dal battesimo nel Giordano, atto con cui inizia il ministero terreno e la consacrazione, da parte dello Spirito Santo, di re, sacerdote e profeta, dell'uomo Gesù figlio di Dio; infatti: "In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto." (Marco 19-11)

Poi, com'è noto, inviò in missione prima a due a due, come i cherubini sopra l'arca, i dodici apostoli che aveva costituito e poi, pure a due a due, 72 discepoli, e "...predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano" (Marco 6,12s) per preparare il terreno nelle città in cui sarebbe passato poi Lui stesso, il Signore.

Dopo la sua morte e risurrezione, infine, la missione di preparare il terreno fino al tempo del suo ritorno nella gloria fu data ai cristiani e il Vangelo di Marco chiude i questo modo: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano." (Marco 16,15-20)

Che cosa sono allora i cristiani?
Sono servi di Dio che portano la sua parola e preparano il terreno al Signore.
(Vedi: "Filippo e il carro della prima evangelizzazione")

San Paolo nella lettera ai Romani conferma: "Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto per la vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore." (Romani 6,22)

A questo punto vale ricordare la necessità di pregare per il buon esito dell'evangelizzazione, come suggerisce nostro Signore: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi ! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!" (Matteo 9,37s)

Gli eventi di questi ultimi tempi che infiammano tutto il mondo fanno pensare prossimo il momento del combattimento finale, della lotta della luce contro le tenebre del mondo, annunciata dall'Apocalisse contro le armate dell'anticristo, le armate di Gog e Magog.
(Vedi: "Il combattimento finale: Gog e Magog")

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