PASTORE E PORTA
di Alessandro Conti Puorger
parti precedenti:
GIOVANNI 10,1-16 »
LA METAFORA DELLE PECORE »
I PASTORI NELL'IMMAGINARIO BIBLICO »
LA VOCE DEL PASTORE
Chi ha visto un vero pastore che non sia mercenario, ma veramente interessato al proprio lavoro si rende conto con quale attenzione cura il gregge.
Questi con ogni animale ha un rapporto unico diverso rispetto agli altri con attenzioni particolari in relazione al carattere del singolo elemento che cura.
Ogni pecora è ben conosciuta per carattere, doti, debolezze e tendenze ed è chiamata con un nome o con un aggettivo diverso e riceve in modo specifico proprio quello che le occorre perché possa vivere al meglio.
Nella tradizione ebraica, ad esempio, c'è che Davide fu scelto da Dio per essere re d'Israele dal modo come aveva visto che curava le pecore quando era pastorello; pare, infatti, che quando arrivava in un campo facesse prima brucare le più deboli e quelle gravide, poi le vecchie e solo dopo le sane con i denti forti che potevano mangiare anche l'erba dura.
Ogni inflessione di voce del pastore è accolta dalle pecore come comando diverso; il modulare dei fischi e il tono della voce le fa correre più o meno velocemente o mette in attenzione il gregge.
La voce del pastore, quindi, è ben conosciuta dalle pecore e lo seguono fiduciose, perché le conduce ai buoni pascoli e all'acqua, le tosa quando è caldo e le protegge da qualsiasi pericolo.
Ecco che quella parola "voce" nella parabola del Buon Pastore è come facesse una fotografia su quelle situazioni.
Dice, infatti, Giovanni 10,3: "egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori."
Ora, la prima volta che nel primo libro della Torah è usata la parola "voce" è dopo il peccato, e in quel caso è foriera di maledizione.
Dio, in tale occasione, ebbe a dire all'uomo: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita." (Genesi 3,17)
In quel momento l'uomo, invero, aveva ascoltato la voce del serpente che era diventata ormai la stessa voce della moglie, perché anch'essa diceva di mangiare dell'albero proibito.
In ebraico "voce, suono, rumore" è "qol"
.
La prima lettera
graficamente evoca un rovesciare, piegare, un sedersi.
La seconda
è un'asta, un bastone che sta per "portare, recare, condurre" e quindi è un collegamento che in ebraico equivale alla congiunzione "e".
La Bibbia peraltro attesta che Dio ha consegnato a Mosè la sua Parola, che in egiziano è MeDU, che è un comando e s'indica proprio con un bastone.
MeDU = parola
Chi porta la parola in egiziano è il "servo" - bilitterale HM - ed in egiziano è indicato dallo stesso bastone rovesciato; Mosè, infatti, è definito il servo di Dio.
La terza lettera
è un serpente, che fa presente un potente, buono o cattivo, quindi, comunque una potenza e un guizzare.
Ne consegue che "voce, suono, rumore" "qol"
equivale a "versare
un comando - bastone
con potenza
".
Quelle lettere graficamente però nel caso di Genesi 3 dopo il peccato ci descrivono anche la situazione che descrivono, perché da parte di Dio stanno a sottolineare: Adamo ti sei "piegato
al bastone - comando
del serpente
".
Le prime due lettere
"qav", poi, stanno per "fune, corda" e il loro grafismo suggerisce "al piegato - rovesciato... caduto
si porta
".
Il radicale
è di:
- "sperare, confidare, fidarsi" vale a dire "dal rovesciamento
portarsi
fuori
";
- "unirsi, radunarsi riunirsi", esempio Genesi 1,9, "a sedersi
portarsi
fuori
".
L'avere una fune per uscire da una difficoltà è una speranza di salvezza!
Questo pensiero sarà poi utile.
Anche la seconda e terza volta che si trova la parola "voce" nel libro della Genesi è conseguente al peccato arrecato dal serpente ed è ancora collegato appunto a maledizione e a vendetta, infatti:
- Genesi 4,10s - "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello."
- Genesi 4,23 - "Lamech disse alle mogli: Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l'orecchio al mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido."
Proseguendo nella ricerca segnalo come degni di nota i seguenti due fatti:
- la prima volta che invece il termine "voce" è legato a una "benedizione" è in Genesi 22,18 quando il Signore, dopo l'episodio dell'obbedienza alla richiesta del sacrificio d'Isacco, dice ad Abramo "Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce". Il testo ebraico in tal caso riporta per "qol" solo due lettere
.
- San Paolo in Galati 3,16 commenta: "Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: "e ai tuoi discendenti", come se si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo."
Si può concludere che quella voce dell'allegoria della parabola del Buon Pastore che riporta quanto detto da Gesù fu certamente meditata dall'autore ispirato del Vangelo, perché densa di collegamenti e di relazioni con la Torah.
Che cosa dice allora al seguace di Cristo quella voce "qol"
o
?
Sono "la fune
(di salvezza) del Potente
",
quindi, sperate in Lui, perché a "rovesciare
porterò
il serpente
".