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PASTORE E PORTA
di Alessandro Conti Puorger

GIOVANNI 10,1-16
Motore di questo articolo è un brano del Vangelo di Giovanni che a modo di parabola com'è spesso uso nella predicazione da parte di Gesù evoca tanti concetti intimi alle antiche Sacre Scritture dell'ebraismo, tutte passate nel canone biblico cristiano, concetti che vanno evidenziati essendo essenziali per chiarire le motivazione del Suo dire e aiutano ad avvicinarsi al significato autentico.
Con il presente scritto mi propongo, infatti, di approfondire alcuni di tali aspetti che mi si sono presentati nell'esame del brano detto del "Buon Pastore" in Giovanni 10,1-16 che è in prosecuzione all'episodio al capitolo 9 della guarigione detta del "cieco nato".

Il discorso di Gesù pare conseguenza proprio del comportamento dei farisei in questo episodio, orgogliosi del proprio sapere (Giovanni 9,24.29.34), atteggiatisi con grande prosopopea alla testimonianza umile, ma precisa e decisa, di quel cieco miracolato, tanto che alcuni tra l'altro gli dissero: "Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?" (Giovanni 9,34)

Poi con poca umiltà s'opposero così a Gesù: "Siamo ciechi anche noi? Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane." (Giovanni 9,40s)

Più che una parabola, come poi vedremo, il brano del "Buon Pastore" vuole essere un'allegoria ed ha valore universale, perché nessuno è escluso dalla verità in esso contenuta.
Il Signore, infatti, per due volte, nei versetti 1 e 7, con il suo "In verità, in verità io vi dico" si propone all'attenzione con autorità.

Di seguito riporto il discorso di Gesù sul "Buon Pastore" secondo la traduzione C.E.I. del 2008.

Giovanni 10,1 - "In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.

Giovanni 10,2 - Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.

Giovanni 10,3 - Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori.

Giovanni 10,4 - E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce.

Giovanni 10,5 - Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei.

Giovanni 10,6 - Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Giovanni 10,7 - Allora Gesù disse loro di nuovo: In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore.

Giovanni 10,8 - Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.

Giovanni 10,9 - Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

Giovanni 10,10 - Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

Giovanni 10,11 - Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.

Giovanni 10,12 - Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde;

Giovanni 10,13 - perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Giovanni 10,14 - Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,

Giovanni 10,15 - così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.

Giovanni 10,16 - E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore."

In questo racconto ho evidenziato in grassetto i seguenti temi ricorrenti:
  • la porta, citata 4 volte;
  • il pastore, citato 6 volte;
  • le pecore, parola ripetuta 16 volte;
  • la voce, termine ripetuto 4 volte;
  • il conoscere, il cui verbo è ricordato 6 volte;
  • l'ascoltare, il cui verbo è ricordato 3 volte;
  • il recinto, citato 2 volte.
Oltre che del pastore e delle pecore si parla di mercenari, briganti, ladri e lupi e di un personaggio definito come il guardiano, ovviamente del recinto.

Tre sono i temi essenziali, quelli della porta, del pastore, perché Gesù stesso in tal modo si definisce, e della conoscenza.
I seguaci, che lui conosce e lo conoscono, sono le pecore come da versetti:
  • Giovanni 10,7b - "...io sono la porta delle pecore";
  • Giovanni 10,9 - "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo";
  • Giovanni 10,11 - "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore";
  • Giovanni 10,14-15 - "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore".
Lui è "pastore e porta", quindi, tutto quello che qui Gesù dice va filtrato col criterio con cui ha definito le sue pecore ai versetti 14 e 15: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore", queste sono sue, del resto "lo seguono perché conoscono la sua voce" come dice al versetto 4.

Questo paragone dei suoi seguaci con le pecore lo vedremo poi come pure cercheremo di spiegarci le allegorie della parabola.



Il Buon Pastore. Museo delle terme di Diocleziano a Roma

Fino al IV secolo Gesù era rappresentato nelle catacombe e negli altri reperti come il Buon Pastore che porta sulle spalle una pecorella smarrita; solo più tardi, dopo Costantino, fu rappresentato con il Crocifisso in quanto la croce era un ricordo tremendo e i cristiani ne stavano facendo ancora esperienza diretta come martiri nelle varie persecuzioni.



Un immagine del Buon Pastore dalle Catacombe

Gli eventi che propone il racconto hanno la seguente sequenza.
C'è un recinto in cui stanno le pecore.
Lui, che è il pastore vero del gregge, entra dalla porta, di quel recinto, anzi Lui stesso è la porta.
Il guardiano gli apre.
Ladri e briganti al contrario non si curano della porta e hanno tentato e provano di scavalcare il recinto.
Il pastore chiama e conduce fuori le pecore e cammina alla loro testa.
Nel recinto vi sono anche pecore "egli chiama le sue pecore" che non riconoscono la sua voce, ma che restano nel recinto.
Per contro vi sono "altre pecore che non provengono da questo recinto"; anche queste il pastore intende aggregare e guidare.
Pur se fuori dal vecchio recinto Lui, il pastore, di fatto, è un recinto ideale.
Pecore che non sono del vecchio recinto possono unirsi al gregge in cammino solo passando attraverso Lui stesso che è la porta di un recinto mobile, il recinto, l'unica protezione, di un gregge in cammino.
Accade poi che "se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo".

Un modo per dire "porta" in ebraico è "dalet" che poi è il nome della IVa delle 22 lettere dell'alfabeto ebraico.
La lettera "iod" , la Xa di quell'alfabeto, poi è nella radice del verbo essere e tenendo conto dei significati grafici delle lettere scrivere in modo criptico corrisponde a dire "sono la porta ".
Sono la porta se uno entra - esce si porta ai pascoli .

Abbiamo descritto il Tetragramma Sacro, il Nome di Dio, IHWH.
(Vedi: "Cantico e Tempio di salomone: inni al Nome ineffabile")


Immaginiamo, infatti, il Tetragramma Sacro IHWH come il recinto ideale del Regno di Dio.
Per uno che viene dall'esterno, ossia l'occhio che guarda, se vuole entrare nel recinto la prima cosa che incontra è la che possiamo considerare essere il portinaio.
Dietro di lui c'è, almeno così pare guardando dall'esterno, una porta, una lettera "dalet" , mentre in effetti è una lettera "he" .
Questo portinaio, che poi è la porta , gli apre e il nuovo entrato si porta in cammino verso campi nuovi che gli si aprono davanti, i pascoli erbosi del Regno di Dio.
Questo Regno di Dio si rivela in definitiva essere la stessa persona di Gesù che è Cristo RE, il Regno di Dio in terra e in cielo, infatti:
  • Luca 11,20 - "è dunque giunto a voi il regno di Dio";
  • Luca 17,21 - "il regno di Dio è in mezzo a voi!".
Questo brano del Buon Pastore ha dei richiami negli altri Vangeli, Matteo 18,12-14 e Luca 15,1-7 con la parabola della pecora smarrita:

"Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Ed egli disse loro questa parabola: Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione." (Luca 15,1-7)

I 99 che si ritengono giusti sono quelli che si barricano nel rispetto delle "mitzvot", come dice in Matteo 23,23s: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumìno e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!"

LA METAFORA DELLE PECORE
Nel mondo occidentale, e non solo, il termine "pecora" pare riduttivo, perché può alludere a esseri paurosi, vili e timorosi nel contraddire i più forti, persone facili a piegarsi alla volontà o alla prepotenza altrui, esseri deboli e spesso vittime predestinate, marcate e/o segnate da un proprietario.
È poi ben noto il loro odore caratteristico.
Le pecore portano però ricchezza e i romani chiamavano "pecunia" il danaro che in lingua latina derivava appunto da "pecus-pecoris", ossia "bestiame - pecora" ed è nota al riguardo la locuzione latina "pecunia non olet" riportata da Svetonio (70-126) in "De vita Caesarum" VIII 23, 3 per dire che il denaro "non puzza" ha odore cattivo e sostenere in modo cinico che qualunque sia la sua provenienza non dispiace anche se sappiamo che di fatto le pecore puzzano... quindi... probabilmente se si scava a fondo forse puzza anche lui, il denaro.
Il furto di pecore era molto praticato ed erano soggette a razzie e ad attacchi di animali selvatici lupi, orsi e leoni ed erano simbolo di popolo debole e indifeso.
In ebraico i modi principali per indicare la pecora sono:
  • "rachel" che è anche il nome proprio della seconda moglie di Giacobbe - Israele, Rachele, la madre di Giuseppe e di Beniamino; le lettere ebraiche con i significati grafici propri (Vedi: schede cliccando sui simboli a destra delle pagine di questo mio Sito e "Parlano le lettere") dicono di un "corpo - popolo costretto dai potenti ", e se si spezza la parola dividendola in () + , tenuto conto che il radicale è relativo ad "essere debole, ammalarsi", se ne ricava che sono "di corpo debole ()";
  • "koeboes" agnello, "kibesah" pecora, plurale "kabesim" , usato prevalentemente per designare animali per sacrifici; i significati grafici delle lettere pare parlarci del suo vello di lana che è "un vaso che dentro scalda " e se si divide il termine in + () tenuto conto che è il radicale di "spegnere" si ha "spento () il fuoco ", nel senso forse che l'animale è mite e docile, poi il radicale con quelle stesse tre lettere indica il verbo "pestare, calpestare, assoggettare, dominare" e "koeboesh", con la "shin" anziché con la "sin", sta per sgabello (2Cronache 9,18), ossia che si mette sotto i piedi;
  • "tso'n" pecore o capre e gregge, interpretabile pensando la parola divisa in + e siccome "tse'ah" e "tso'ah" è letame, sporcizia, feci, si ha "sporcizia () emanano " con riferimento al loro odore;
  • "soeh", agnello o capretto, pecora, ma soprattutto bestiame minuto che sta alla "luce aperta ", ossia che può non stare in una stalla, ma risiedere nel campo all'aperto.
L'ambiente palestinese antico, era popolato di pastori e di nomadi che conoscevano bene le pecore e l'accezione sui termini usati per pecora anche in ebraico parla di concetti analoghi a quelli occidentali.
Allora perché l'allegoria delle pecore col popolo di Dio?

La risposta potrebbe essere come dice il Signore, "Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri." (Isaia 55,8s)

Certo è che un popolo di pecore è un assurdo per questo mondo, perché non potrebbe sopravvivere, eppure, la sopravvivenza del popolo d'Israele, gregge facilmente disperdibile, è in vita solo per merito del Signore che lo protegge.
Questa è la conclusione che tutti possono trarre dalla sua sopravvivenza, nonostante tutte le traversie e le persecuzioni che quel popolo ha passato nella sua storia.

Vari, in effetti, sono i paragoni e le metafore della Bibbia per presentare il particolare rapporto di amore e affetto e di protezione che Dio ha con il popolo d'Israele, come quello di padre e figlio, tra fidanzati e sposi, infine quello speciale tra pecora e pastore.
Si vuole con tale metafora sostenere in pratica che nel popolo ebraico la devozione per IHWH è istintiva, innata e spontanea come quella delle pecore per il pastore che altrimenti senza di Lui sarebbero solo degli sbandati deboli e inermi rispetto ai grandi popoli che li circondano e facile preda come del resto sono le pecore davanti ai lupi.

I profeti Geremia 23,1-4 ed Ezechiele 34,31 evidenziano che il Signore parla del "gregge del mio pascolo".

Scrive Geremia in 23,1-4: "Guai ai pastori, che perdono e disperdono il gregge del mio pascolo, dice il Signore! Ecco quello che annunzia il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori, che guidano il mio popolo: Voi avete disperso il mio gregge, l'avete traviato, non ve ne siete curati. Ma io mi occuperò di voi, dice il Signore, e della malizia delle vostre azioni. Io stesso radunerò le mie pecore, da tutti i paesi dove le ho disperse, e le farò tornare ai loro pascoli, dove cresceranno e si moltiplicheranno. Susciterò in mezzo a loro dei pastori, che le pasceranno; non avranno più a temere, né a subire spaventi, e nessuna più si perderà."

Ezechiele precisa: "Sapranno che io, il Signore, sono il loro Dio e loro, la gente d'Israele, sono il mio popolo. Parola del Signore Dio. Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro Dio. Oracolo del Signore Dio" (Ezechiele 34,30-31) e sottolinea la profezia con "parola e oracolo del Signor, cioè come caratteristica indelebile e certa.

Anche nel Talmud in Midràsh Rabba si trova: "E tu, gregge Mio, gregge del Mio pascolo".

Quel "Sapranno che io, il Signore, sono il loro Dio e loro, la gente d'Israele, sono il mio popolo" è da mettere strettamente in relazione con quanto dice il Cantico dei Cantici per due volte per certificare un amore corrisposto:
  • Cantico dei Cantici 2,16 - "Il mio amato è mio e io sono sua; egli pascola fra i gigli."
  • Cantico dei Cantici 6,3 - "Io sono del mio amato e il mio amato è mio; egli pascola tra i gigli."
In tale libro profetico relativo al rapporto speciale di IHWH e Israele si trova 5 volte un termine speciale per definire il gregge:
  • Cantico dei Cantici 1,7 - "Dimmi, o amore dell'anima mia, dove vai a pascolare le greggi, dove le fai riposare al meriggio, perché io non debba vagare dietro le greggi dei tuoi compagni?"
  • Cantico dei Cantici 4,1-2 - "Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo. Le tue chiome sono come un gregge di capre, che scendono dal monte Gàlaad. I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno; tutte hanno gemelli, nessuna di loro è senza figli."
  • Cantico dei Cantici 6,5-6 ove ripete in pratica quanto detto in 4,1-2.
Tale termine usato complessivamente altre 30 volte nella Tenak o Bibbia ebraica, è "e'doer" e il primo pensiero che quelle lettere destano è che "si vede un protetto corpo - popolo - popolazione " e pensandolo come + , considerato che = significa anche "cerchio, circolo", si ha "si vede in circolo " com'è solito raggrupparsi un gregge.
La prima volta che si trova questa parola lo è per 2 volte nello stesso versetto in Genesi 29,2 quando Giacobbe incontra per la prima volta Rachele, e non poteva essere diversamente visto che Rachele vuol dire pecora: "Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame, accovacciati vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano i greggi, ma la pietra sulla bocca del pozzo era grande." (Genesi 29,2)

Questo termine è però allusivo per il tema che stiamo trattando, infatti, le prime due lettere "e'd" sono anche quelle che in ebraico indicano l'Eterno e l'eternità onde "e'doer" da luogo al pensiero "dell'Eterno il corpo - popolo ", che aiuta a formare il concetto che il Suo popolo è un gregge di pecore.

Il Salmo 100,2-3 mette in evidenza che tutti i popoli della terra fanno parte del gregge del Signore: "Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo."

I PASTORI NELL'IMMAGINARIO BIBLICO
Relativamente ai pastori cominciamo da lontano, dalla terra d'Egitto da cui la Bibbia racconta che, liberati dal Signore, uscirono quelli che le stesse Sacre Scritture definiscono poi il popolo di Dio.
In egiziano antico la parola HeKA, il cui sintetico geroglifico è un bastone da pastore che finisce ad uncino, ossia un vincastro, come il pastorale dei Vescovi cattolici, riguarda il "governare" del Faraone, indicato con il geroglifico HeKA'T.


Quello che in origine era il lungo bastone per i pastori indicava il potere della sovranità del faraone e divenne uno scettro in forma corta con un'estremità arcuata, decorato a bande blu, usato sin dai tempi predinastici e menzionato nei Testi delle Piramidi.
Lo scettro HeKA'T più antico è stato ritrovato in una tomba ad Abido.
L'altro simbolo è il Nekhekh, corto bastone a forma di "flagello", che aveva il significato di protezione.



Gli scettri HeKA'T e Nekhekh

Con questi due simboli in mano l'iconografia rappresenta spesso i faraoni che in definitiva era il pastore del suo popolo; lo protegge con il flagello e lo guida con il bastone.


Il Faraone prima ancora di Cristo perciò fu chiamato il Buon Pastore.
Del faraone Amenemhat I del XX secolo a.C., fondatore della XII dinastia, è rimasto un testo ove al figlio Sesostri dice come comportarsi con ordine e giustizia affinché possano dire che è un faraone, vero " Buon Pastore" del suo popolo. (Vedi: "Visione su Abele, il pastore gradito al Signore")

I pastori si spostano spesso in cerca di acqua e di nuovi pascoli.
La loro vita è molto dura e in Israele ai tempi di Gesù erano considerati gli ultimi della società e impuri per l'attività che svolgevano.
Il loro modo di vivere sempre in campagna con le loro bestie non gli consentiva, infatti, di frequentare le sinagoghe e tantomeno il Tempio e non erano in grado di rispettare le "mitzvot" della Torah.
Erano perciò persone che vivevano ai margini dalla società civile e religiosa e non godevano dei diritti civili in quanto la loro testimonianza in tribunale non aveva valore giuridico.
Era vietato comprare direttamente dai pastori perché in genere non erano indipendenti, ma a servizio di qualcuno che era il proprietario delle pecore, ma soprattutto erano considerati malvagi, imbroglioni, in genere dediti a furti e a omicidi, perciò erano ritenuti per opinione comune dei cattivi dediti al male.
Il "Tamud", ossia la tradizione orale cominciata ad essere messa per iscritto dall'ebraismo a partire dal II secolo d.C., sui pastori di greggi sostiene:
  • "Non si tirano fuori da un fosso né i pagani né i pastori" tanto per loro non c'è speranza di salvezza. (Toseptha Baba Mezia 2,23)
  • di non insegnare ai figli il mestiere di pastore "perché è un lavoro da ladro" (Qiddushim - Matromoni 4,14)
  • "nessuna condizione al mondo è disprezzata come quella del pastore" (Midrash sui Salm0 23.2).
In definitiva era difficile immaginare "buono" un pastore ed ecco che per definire il pastore delle pecore di Dio è essenziale l'aggettivo di Buon Pastore.
In ebraico pastore è "rooe'h" dal radicale che ha quelle stesse tre lettere che riguarda i verbi "pascere, pascolare, prendersi cura" e per traslato è usato anche per "governare", che può spiegarsi con "un corpo - popolo - popolazione guarda nel campo ".

Pascolo è "rei'i" o "mare'h" e "mari'it" è ovile e gregge.
Accade però che le prime due lettere "ra'" indicano da sole il male assoluto, "il cattivo, il malvagio, il perverso", ed accade che il peccato e il peccatore hanno lo stesso nome del dio "RA", la divinità più importante d'Egitto, il Dio-Sole di Eliopoli nell'antico Egitto che emerse dalle acque primordiali del Nun.



Geroglifico del dio Ra

Quel radicale peraltro riguarda anche il verbo "accompagnare e accompagnarsi" "un corpo con cui si vede uscire " ed ecco che abbiamo compagno - compagna e vicino - vicina "re'a" e "reoe'h" o amica e fidanzata anche "ra'iah" .
Abbiamo poi "rea'" pensiero, disegno, intenzione come in Salmo 139,2.17 che si interpreta con la "testa - mente vedo " e anche per grido, strillo, urlo, clamore Esodo 32,17, Michea 4,9 e Giobbe 36,38 che si spiega come "nella testa sento ".

Il pastore però richiama immagini tradizionali di Dio presenti nella Bibbia e al popolo d'Israele, alle origini formato essenzialmente di pastori.
Dio che si prende cura della sua gente dette luogo all'idea di Dio quale buon pastore fin dai primi tempi.
Giacobbe quando benedice i figli di Giuseppe tra l'altro dice "Il Dio, alla cui presenza hanno camminato i miei padri, Abramo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore ("rooe'h" ) da quando esisto fino ad oggi". (Genesi 48,15), ossia è stato il mio compagno.

Nella benedizione a Giuseppe da parte dello stesso Giacobbe fu detto "Ma fu spezzato il loro arco, furono snervate le loro braccia per le mani del Potente di Giacobbe, per il nome del Pastore ("rooe'h" ) Pietra d'Israele". (Genesi 49,24)

Giuseppe, poi, quando accolse i fratelli in Egitto ebbe a dire: "Vado ad informare il faraone e a dirgli: I miei fratelli e la famiglia di mio padre, che erano nel paese di Canaan, sono venuti da me. Ora questi uomini sono pastori di greggi, si occupano di bestiame, e hanno condotto i loro greggi, i loro armenti e tutti i loro averi. Quando dunque il faraone vi chiamerà e vi domanderà: Qual è il vostro mestiere? Voi risponderete: Gente dedita al bestiame sono stati i tuoi servi, dalla nostra fanciullezza fino ad ora, noi e i nostri padri. Questo perché possiate risiedere nel paese di Gosen. Perché tutti i pastori di greggi sono un abominio per gli Egiziani." (Genesi 46,31-34)

Il bestiame, infatti, sottrae terra all'agricoltura e gli egizi vivevano di questa sulle due strisce relativamente strette bagnate e fecondate dal Nilo e solo nel delta potevano trovarsi ampi territori ove farli risiedere con minori danni.
Del resto, viene da supporre che Caino, l'agricoltore, e Abele, il pastore, prefigurino, il primo, proprio gli egiziani che preferivano l'agricoltura e angariarono poi i discendenti dei pastori prefigurati da quel Abele, il fratello soccombente, che anticipa l'immagine degli ebrei assoggettati dagli egiziani ai lavori forzati.

Il Signore, quando fu il momento di scegliere chi regnasse per suo conto nella città di Gerusalemme, figura della futura Gerusalemme celeste, scelse un uomo secondo il suo cuore, l'ultimo figlio di Iesse della città di Betlemme, Davide, ma questi era un pastorello, infatti, gli disse: "Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, per costituirti principe sul mio popolo Israele" (1Cronache 17,7).

Da Davide verrà il Messia secondo le profezie di Natan in 2Samuele 7,16 e 1Cronache 17,11-14.
Davide oltre che re fu anche profeta, poeta e cantore e suonatore di cetra e numerosi Salmi del salterio riportano l'indicazione che sono stati scritti da lui.
Tra questi c'è il Salmo 23 che dopo aver detto che è stato scritto da Davide il quale ne consegue che riconosce che nonostante fosse il re anche lui è governato da un pastore più grande inizia proprio con queste parole: "Il Signore è il mio pastore..." ossia IHWH "ro'i"

Il Signore è il mio pastore è, allora, un credo, una dichiarazione di fede e politica in un mondo pagano sotto l'influenza egizia che allungava le mani verso Canaan in quanto equivale a significare "Iahwèh è il mio Dio", come cantarono Mosè e Miriam in Esodo 15,2b nel cantico dopo l'apertura del mare dopo che vi precipitarono carri e cavalieri egizi.
Quella è anche una dichiarazione d'indipendenza dalla protezione egizia, in quanto non è il Faraone, figlio di Ra, il mio Dio, quello che mi governa, ma "Iahwèh è il mio Ra".

Lui "Iahwèh "è il vero pastore d'Israele come afferma poi il Salmo 80: "Tu, pastore d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge."

Dopo Davide e Salomone il regno ebbe a scindersi in quello del Nord detto d'Israele e in quello del Sud detto di Giuda, ma entrambi ebbero a decadere.
Principali responsabili secondo i profeti furono vari re d'entrambi le parti che in tempi diversi favorirono l'allontanamento dalle tradizioni dei padri e furono adulteri nei riguardi di IHWH.

Ecco che in Geremia, prima dell'esilio del regno di Giuda, si trova questa importante profezia sigillata da 3 volte "oracolo del Signore" e da un "dice il Signore Dio d'Israele": "Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore." (Geremia 23,1-4)

Durante l'esilio in Babilonia il profeta Ezechiele oltre il ritorno dall'esilio tra l'altro profetizzò i tempi messianici e nel capitolo 34 del suo libro, interamente dedicato ai pastori che hanno mal pascolato il popolo, si trova questa decisione da parte di Dio: "Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato." (Ezechiele 34,23s)

Con ciò Dio ha promesso al Suo popolo un pastore della discendenza di Davide che lo avrebbe guidato e nutrito.
Sia Rabbi David Qimhi sia Rashi in merito a quanto dice Ezechiele 34 concludono che "il mio pastore Davide" è il Messia.

Ezechiele ripete la profezia al capitolo 37 in questo modo: "Il mio servo Davide regnerà su di loro e vi sarà un unico pastore per tutti; seguiranno le mie norme, osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica. Abiteranno nella terra che ho dato al mio servo Giacobbe. In quella terra su cui abitarono i loro padri, abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli, per sempre; il mio servo Davide sarà loro re per sempre. Farò con loro un'alleanza di pace; sarà un'alleanza eterna con loro. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le nazioni sapranno che io sono il Signore che santifico Israele, quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre." (Ezechiele 37,24-28)

Rabbi David Qimh detto RaDaQ riguardo alla profezia di Ezechiele 37 aggiunge anche che "il mio pastore Davide è il Messia-Re. Egli è chiamato Davide perché è seme di Davide." (Santala, p. 177)

In definitiva tornando al motore di questo articolo Gesù in Giovanni 10, versetti 9 e10, quando asserisce "Io sono il buon pastore" si pone in questo alveo di profezie e con quel discorso di fatto asserisce agli ebrei del tempo e anche ai più dotti i farisei che contrastavano il cieco nato, di essere Lui proprio il Messia atteso.

LA VOCE DEL PASTORE
Chi ha visto un vero pastore che non sia mercenario, ma veramente interessato al proprio lavoro si rende conto con quale attenzione cura il gregge.
Questi con ogni animale ha un rapporto unico diverso rispetto agli altri con attenzioni particolari in relazione al carattere del singolo elemento che cura.
Ogni pecora è ben conosciuta per carattere, doti, debolezze e tendenze ed è chiamata con un nome o con un aggettivo diverso e riceve in modo specifico proprio quello che le occorre perché possa vivere al meglio.

Nella tradizione ebraica, ad esempio, c'è che Davide fu scelto da Dio per essere re d'Israele dal modo come aveva visto che curava le pecore quando era pastorello; pare, infatti, che quando arrivava in un campo facesse prima brucare le più deboli e quelle gravide, poi le vecchie e solo dopo le sane con i denti forti che potevano mangiare anche l'erba dura.
Ogni inflessione di voce del pastore è accolta dalle pecore come comando diverso; il modulare dei fischi e il tono della voce le fa correre più o meno velocemente o mette in attenzione il gregge.
La voce del pastore, quindi, è ben conosciuta dalle pecore e lo seguono fiduciose, perché le conduce ai buoni pascoli e all'acqua, le tosa quando è caldo e le protegge da qualsiasi pericolo.
Ecco che quella parola "voce" nella parabola del Buon Pastore è come facesse una fotografia su quelle situazioni.

Dice, infatti, Giovanni 10,3: "egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori."
Ora, la prima volta che nel primo libro della Torah è usata la parola "voce" è dopo il peccato, e in quel caso è foriera di maledizione.

Dio, in tale occasione, ebbe a dire all'uomo: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita." (Genesi 3,17)

In quel momento l'uomo, invero, aveva ascoltato la voce del serpente che era diventata ormai la stessa voce della moglie, perché anch'essa diceva di mangiare dell'albero proibito.

In ebraico "voce, suono, rumore" è "qol" .
La prima lettera graficamente evoca un rovesciare, piegare, un sedersi.
La seconda è un'asta, un bastone che sta per "portare, recare, condurre" e quindi è un collegamento che in ebraico equivale alla congiunzione "e".

La Bibbia peraltro attesta che Dio ha consegnato a Mosè la sua Parola, che in egiziano è MeDU, che è un comando e s'indica proprio con un bastone.

MeDU = parola

Chi porta la parola in egiziano è il "servo" - bilitterale HM - ed in egiziano è indicato dallo stesso bastone rovesciato; Mosè, infatti, è definito il servo di Dio.

La terza lettera è un serpente, che fa presente un potente, buono o cattivo, quindi, comunque una potenza e un guizzare.
Ne consegue che "voce, suono, rumore" "qol" equivale a "versare un comando - bastone con potenza ".

Quelle lettere graficamente però nel caso di Genesi 3 dopo il peccato ci descrivono anche la situazione che descrivono, perché da parte di Dio stanno a sottolineare: Adamo ti sei "piegato al bastone - comando del serpente ".
Le prime due lettere "qav", poi, stanno per "fune, corda" e il loro grafismo suggerisce "al piegato - rovesciato... caduto si porta ".
Il radicale è di:
  • "sperare, confidare, fidarsi" vale a dire "dal rovesciamento portarsi fuori ";
  • "unirsi, radunarsi riunirsi", esempio Genesi 1,9, "a sedersi portarsi fuori ".
L'avere una fune per uscire da una difficoltà è una speranza di salvezza!
Questo pensiero sarà poi utile.

Anche la seconda e terza volta che si trova la parola "voce" nel libro della Genesi è conseguente al peccato arrecato dal serpente ed è ancora collegato appunto a maledizione e a vendetta, infatti:
  • Genesi 4,10s - "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello."
  • Genesi 4,23 - "Lamech disse alle mogli: Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l'orecchio al mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido."
Proseguendo nella ricerca segnalo come degni di nota i seguenti due fatti:
  • la prima volta che invece il termine "voce" è legato a una "benedizione" è in Genesi 22,18 quando il Signore, dopo l'episodio dell'obbedienza alla richiesta del sacrificio d'Isacco, dice ad Abramo "Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce". Il testo ebraico in tal caso riporta per "qol" solo due lettere .
  • San Paolo in Galati 3,16 commenta: "Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: "e ai tuoi discendenti", come se si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo."
Si può concludere che quella voce dell'allegoria della parabola del Buon Pastore che riporta quanto detto da Gesù fu certamente meditata dall'autore ispirato del Vangelo, perché densa di collegamenti e di relazioni con la Torah.
Che cosa dice allora al seguace di Cristo quella voce "qol" o ?
Sono "la fune (di salvezza) del Potente ", quindi, sperate in Lui, perché a "rovesciare porterò il serpente ".

LA PORTA STRETTA
Prima di proseguire è opportuno fare un excursus nei Vangeli sul tema della "porta stretta" che si trova nominata da Gesù in:
  • Matteo 7,13-14 - "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!"
  • Luca 13,24 - ma riporto anche il precedente e il successivo: "Un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano? Disse loro: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici! Ma egli vi risponderà: Non so di dove siete."
Altro spunto interessante è in Matteo 25,10-13 ove parla di un matrimonio: "Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità io vi dico: non vi conosco".

Da Gesù così esce il tema di una "porta stretta" e di una "porta che viene chiusa" per quelli che lui dice di "non conoscere".
Questa porta stretta è proprio Gesù stesso.
"È questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti" recita il Salmo 118,20.

Ma chi è giusto?
Il Salmo 143,2 peraltro afferma: "Non entrare in giudizio con il tuo servo: davanti a te nessun vivente è giusto."

Ne consegue perciò che chi passa attraverso Lui che è la porta evidentemente è da Lui stesso giustificato, perché altrimenti nessuno potrebbe passare per i propri esclusivi meriti.
Ora, chi vuole passare per quella porta stretta deve cercare di farsi "mite e umile di cuore" come propone Gesù in Matteo 11,28-30 ove si trova scritto che disse: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero".

Questa di fatto è l'esegesi della Chiesa al riguardo della porta stretta.
Al riguardo sono esemplificativi i discorsi agli Angelus del:
  • 26 agosto 2007 di Papa Benedetto XVI;
  • 25 agosto 2013 di Papa Francesco.
Quel mite e umile di cuore pare proprio ricordare il Salmo 45 sul Messia, il più bello dei figli dell'uomo che "avanza per la verità, la mitezza e la giustizia." (Salmo 45,5)

Il verbo greco della frase "sforzatevi di entrare per la porta stretta" è "agonizeste" e richiama l'agone, il combattimento, evidentemente per il "venga il tuo Regno" in cui i suoi seguaci sono alleati e in cui implicito è l'aiuto di Dio.

Gesù, quindi, dice, vivete la vostra vita come un perenne combattimento, ossia la guerra quotidiana contro la mentalità di questo mondo, in cui si possono perdere delle battaglie, ma è necessario ogni volta rialzarsi e la vittoria solo con Lui è assicurata.
Dio, infatti, concede all'uomo l'onore di partecipare alla missione di Suo figlio sulla terra ed è l'entrare in tale opera rende l'uomo "figlio adottivo" di Dio stesso essendo collaboratore del Figlio Unigenito.

Santa Giovanna d'Arco a un giudice quando le chiese perché Dio che è Onnipotente doveva servirsi del "suo" aiuto per vincere rispose: "Bisogna dare battaglia, perché Dio conceda la vittoria", infatti, "Grida di giubilo e di vittoria, nelle tende dei giusti: la destra del Signore ha fatto meraviglie, la destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto meraviglie. Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore." (Salmo 118,15-17)

Del resto dice la Torah in Deuteronomio 1,30: "Il Signore, vostro Dio, che vi precede, egli stesso combatterà per voi, come insieme a voi ha fatto, sotto i vostri occhi, in Egitto".

In "Padre Nostro chiave di volta contro la pena di morte", ove tra l'altro ho scrutato la preghiera del "Padre Nostro" nella sua edizione in ebraico, quando dopo "venga il Tuo Regno" si dice anche "dacci oggi il nostro pane quotidiano" accade che quel "pane" in ebraico "loechoem" ha le stesse lettere pure di "lachoem" combattimento, quindi, in pratica si chiede di partecipare al combattimento quotidiano per la venuta del Suo Regno.
Nulla di moralistico, quindi, ma occorre che sia data concretezza all'alleanza non solo a parole, ma nella sostanza.

Gesù in un altro brano dei Vangeli collega l'entrata nel Regno dei cieli alla porta stretta di una cruna di un ago.
In Matteo 19,23-26 il Signore dice "In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli" e prosegue "...è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli" (Marco 10,25 e Luca 18,25) e viene proposto il paragone con un passaggio angusto, la cruna di un ago, per un canapo grosso o una ipotetica porticina per un cammello, e a queste parole i discepoli costernati e pragmatici chiesero "Chi si potrà dunque salvare?" e Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: "Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile".

Sussistendo l'alleanza, quanto dovesse mancare alla fine per conseguire la piena misura, l'aggiungerò io stesso dice in pratica il Signore, e questa è proprio la Sua giustificazione che supererà per "quelli che conosce" l'impossibilità connessa a tutti gli uomini causata dal peccato originale per cui comunque sono tutti peccatori.

Ora, cerchiamo le parole in ebraico del detto di Gesù "Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero".
Tali parole si possono individuare con:
  • giogo "u'l - o'l" esempio in Genesi 27,40 e Numeri 19,2; ha le stesse lettere di "alto, su, sopra, altezza";
  • dolce "matoq" come in Giudici 14,14;
  • carico "massa" con la lettera "sin" , ma raddoppiata, esempio in Numeri 4 termine usato ben nove volte per il carico di un trasporto;
  • leggero "qal" esempio Isaia 5,29.
Da queste lettere, lette con i criteri di "Parlano le lettere", ne deriva questo messaggio:


"In alto i morti - gli uomini porterò a riversare salvati (); nella distruzione ( = ) verserò il serpente ."

Nei testi antichi in ebraico dell'Antico Testamento "stretto e/o angusto" è "tzar" e al femminile è "tzarah" .
Con le stesse lettere "tzar" si definisce il "nemico" che angustia e mette alle strette, del tutto analogo ad "a'r" .
Ecco alcuni versetti ove si trova il termine "tzar" :
  • Numeri 22,26 - "L'asina vide l'angelo del Signore, si serrò al muro e strinse il piede di Balaam contro il muro e Balaam la percosse di nuovo. L'angelo del Signore passò di nuovo più avanti e si fermò in un luogo stretto, tanto stretto che non vi era modo di ritirarsi né a destra, né a sinistra" e quel luogo stretto è "maqom tzar" .
  • 2Re 6,1 - "I figli dei profeti dissero a Eliseo: Ecco, il luogo in cui ci raduniamo alla tua presenza è troppo stretto per noi" e quello stretto qui è "tzar" .
  • Isaia 28,20 - "Troppo corto sarà il letto per distendervisi troppo stretta la coperta per avvolgervisi" e stretta, al femminile, qui è "tzarah" .
  • Isaia 49,20 - "Di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di cui fosti privata: Troppo stretto è per me questo posto; scostati, e mi accomoderò", ancora "tzar" .
Questi pensieri per quella porta con l'aggettivo stretta fanno convergere a pensare a un nemico che, invece, è aduso passare per porte larghe, ma queste sono vie di perdizione.

LA PORTA DELLE PECORE
Vediamo che senso dare all'auto-definizione di Gesù che dichiara in Giovanni 10,7b "io sono la porta delle pecore".
In ebraico, "porta" si definisce in almeno tre modi:
  • "dalet" che evidenzia la proprietà di battente e di anta dal radicale del verbo di tirar fuori , ove la lettera ha lo stesso nome "dalet" della 4a lettera dell'alfabeto ebraico il cui grafismo è una mano aperta che ferma o ruotando fa entrare e indica aiuto o impedimento, che batte e fa da battente, da cui ecco che il verbo "aiuta a guizzar fuori ".
    Poi "dal" da solo è "povero, bisognoso, misero" da cui il pensiero che questi bisognosi sono alla "porta dei potenti ", infatti, il povero Lazzaro della parabola era sempre alla porta del ricco epulone che rappresenta un potente "Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe" (Luca 16,20).
    Se si attribuiscono tutte le lettere al Messia "dalet" parla di "un aiuto potente dal Crocifisso " e di "sbarrerà il serpente il Crocifisso ".
  • "poetach" dal verbo aprire, slegare socchiudere, quindi, porta, portone, soglia, ingresso, accesso e i segni delle lettere suggeriscono "della bocca segna la chiusura " e se si riferiscono al Messia si ha per "la Parola finiranno le chiusure - tombe ".
  • "shaa'r" portone, portale in genere di città, di cinta di mura, di palazzi particolari; con i segni delle lettere si ha "una luce si vede nel corpo ", quindi, ha un'apertura possibile e in senso messianico "risorti si vedranno i corpi ".
Quei termini sono tutti in grado di parlarci di discorsi cristologici, di vittoria sul serpente, di fine delle tombe e di risurrezione.



Porta dei Leoni, ai tempi di Gesù detta Porta delle Pecore



Mappa di Gerusalemme

Ora, a Gerusalemme, in effetti, ai tempi di Gesù c'era una porta, detta "porta delle pecore" che era situata al lato Nord-Est del muro della città, quindi era una "shaa'r" ed era chiamata così, perché attraverso questa porta entravano le pecore che venivano sacrificate nel Tempio.
Da questa porta, secondo la tradizione, sarebbe entrato Gesù all'inizio della sua passione per essere condotto dal Sommo Sacerdote e poi da Pilato.
Questa "porta delle pecore" è menzionata in Giovanni al capitolo 5: "A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici..." (Giovanni 5,2)

Era anche detta "Piscina probatica" o "Piscina degli agnelli", dal greco "probaton" che vuol dire gregge e pecora, in quanto, assieme ad altre piscine vicine erano utilizzate per lavare gli agnelli prima del sacrificio.

Ai tempi di Neemia (Neemia 3,1) quando i tornati dall'esilio babilonese ripararono le brecce delle mura di Gerusalemme, la prima delle porte ricostituite fu proprio la porta delle pecore, la quale, peraltro, fu l'unica a essere consacrata, forse proprio perché portava al restaurato Tempio.
Questa traccia, voluta certamente dallo stesso evangelista Giovanni, ci porta, quindi, verso il Tempio ove per l'ebraismo stava la "Shekinah" o presenza di IHWH che si riteneva risiedere nel Santo dei Santi, il luogo ove nel primo Tempio era stata sistemata, sulla roccia del sacrificio d'Isacco, l'arca delle Testimonianza su cui il Signore sedeva sui cherubini (1Samuele 4,4) come conferma anche il Salmo 99,1 "Il Signore regna, tremino i popoli; siede sui cherubini".

LA PORTA DEL RECINTO
Questa parabola di Gesù in Giovanni 10,1-16 allude certamente ad altro.
Cosa intendere dire la parabola quando parla recinto?
Questa realtà cui allude che porta aveva?

In pratica il Signore pare prendere le distanze della classe religioso-politica e del tempo e ricorda a quei farisei "il recinto" che evidentemente era in grado di evocare loro qualcosa di ben noto.
Tale recinto, che indica simbolicamente Israele, in modo inequivocabile per un cultore della parola della Tenak o Bibbia ebraica allude al vestibolo o cortile recintato posto davanti alla Tenda del Convegno che veniva montata nel deserto durante i 40 anni di del peregrinare del popolo d'Israele nel deserto o che era davanti al Tempio di Gerusalemme. Sono, infatti, da ricordare le disposizioni date in Esodo 27,9-19 in cui la parola "recinto" è menzionata per 8 volte:

"Farai poi il recinto della Dimora. Sul lato meridionale, verso sud, il recinto avrà tendaggi di bisso ritorto, per la lunghezza di cento cubiti sullo stesso lato. Vi saranno venti colonne con venti basi di bronzo. Gli uncini delle colonne e le loro aste trasversali saranno d'argento. Allo stesso modo sul lato rivolto a settentrione: tendaggi per cento cubiti di lunghezza, le relative venti colonne con le venti basi di bronzo, gli uncini delle colonne e le aste trasversali d'argento. La larghezza del recinto verso occidente avrà cinquanta cubiti di tendaggi, con le relative dieci colonne e le dieci basi. La larghezza del recinto sul lato orientale verso levante sarà di cinquanta cubiti: quindici cubiti di tendaggi con le relative tre colonne e le tre basi alla prima ala; all'altra ala quindici cubiti di tendaggi, con le tre colonne e le tre basi. Alla porta del recinto vi sarà una cortina di venti cubiti, lavoro di ricamatore, di porpora viola, porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto, con le relative quattro colonne e le quattro basi. Tutte le colonne intorno al recinto saranno fornite di aste trasversali d'argento: i loro uncini saranno d'argento e le loro basi di bronzo. La lunghezza del recinto sarà di cento cubiti, la larghezza di cinquanta, l'altezza di cinque cubiti: di bisso ritorto, con le basi di bronzo. Tutti gli arredi della Dimora, per tutti i suoi servizi, e tutti i picchetti, come anche i picchetti del recinto, saranno di bronzo."

Accade poi che la "Porta del recinto" nel libro dell'Esodo 27,16; 35,17; 38,18; 38,31; 39,40; 40,8 e 40,33 è ricordata 7 volte.
Nel testo ebraico tale "porta del recinto" è "shaa'r hoechatser" e "recinto" è "chatser" .
Questo termine, usato molte volte come "recinzione, recinto di un villaggio, cortile", lo è anche per il recinto del Tempio.

Faccio notare che "chatser" ha nel suo interno anche quelle lettere di "stretto" e di "nemico".
Se poi lo si pensa come + questo è da intendere come "chiuso al nemico " e tale è anche una "chiusura stretta ", quindi questo per conseguenza è un recinto che ha una porta stretta, attraverso cui possono passare solo quelli che credono in IHWH.

Sono proprio le aree di questo recinto quelle che sono dette gli atri del Signore, come in Isaia 1,12, Geremia19,14; Ezechiele 40,14 e ad esempio nei Salmi 65,5 "Beato chi hai scelto e chiamato vicino, abiterà nei tuoi atrii ("chatserei")", Salmi 84,3 "L'anima mia languisce e brama gli atri ("chetsarot") del Signore" e Salmi 96,8 "date al Signore la gloria del suo nome. Portate offerte ed entrate nei suoi atri ("chetsarot")", quindi, entrare per la porta stretta è entrare negli atri del Signore.

Al tempo di Gesù il Tempio, fatto costruire da Erode il Grande, era contornato da portici; il Portico Reale a sud a quattro ordini di colonne, mentre sui lati est, nord e ovest i porticati erano a due ordini di colonne di cui quello a est era stato chiamato Portico di Salomone.



Plastico del complesso del II Tempio

I portici delimitavano un grande spazio, detto Atrio dei Gentili ove al centro c'era il Tempio riservato soltanto ai fedeli del giudaismo.



Mappa del Tempio di Erode il Grande

Lo spazio accessibile ai pagani, aveva un limitare sopraelevato con una balaustra di pietra oltre la quale i pagani incirconcisi non potevano avanzare e iscrizioni in greco e latino ammonivano gli stranieri di non superare la balaustra, pena la morte.
Gli altri atri interni, invece, erano accessibili a chi aveva fede nel Dio d'Israele, quindi il popolo - le pecore del recinto - erano tutte e solo quelli che credevano in IHWH.
La porta di accesso al primo atrio interno escluso ai pagani detto "Atrio delle donne" si chiamava "Porta Bella" ricordata in Atti 3,2, dove avvenne la guarigione dello zoppo da parte di Pietro.
Il grafismo delle lettere a questo punto fa venire spontanea l'idea che quella "porta sarà il Verbo ad aprire " ai pagani.

Nel libro degli Atti degli Apostoli si trova questo pensiero nel racconto di Paolo e compagni che tornano ad Antiochia: "Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede." (Atti 14,27)

Quindi la porta stretta è "la porta della fede" e ormai coincide con Cristo, appunto, in quanto, è: "Gesù, autore e perfezionatore della fede" (Ebrei 12,2).

È questa la porta che fa entrare nel Regno dei Cieli di cui il Tempio di Gerusalemme era immagine.
Il Tempio, infatti, era costruito a imitazione della Tenda della Dimora che Mosè faceva montare nel deserto secondo l'ordine datogli da Dio stesso che gliela aveva mostrata in visione sull'Oreb: "Costruirai la Dimora secondo la disposizione che ti è stata mostrata sul monte." (Esodo 26,30)

Ecco che il recinto di prima non basta più occorre un recinto nuovo.
E questo recinto è un cammino di fede che possa comprendere anche i non circoncisi se accolgono la fede nel Cristo e in suo Padre.

Abbiamo poi visto che in quella parabola del Vangelo di Giovanni oltre al Pastore del gregge c'è un'altra figura, il Guardiano del recinto, che evidentemente ha il potere e le chiavi per far entrare se riconosce il vero pastore, infatti, "il guardiano gli apre".
Probabilmente si riferisce alla consuetudine di quei tempi quando i pastori pare si consociassero e facevano un grande recinto dotato di un guardiano e ogni giorno i vari pastori chiamavano le proprie pecore e uscivano con loro al pascolo.
Nell'ovile recintato vari proprietari raccoglievano le loro pecore, in spazi interni divisi e con gli animali marchiati per consentirne il riconoscimento.
La mattina ogni pastore si presentava alla porta per ritirare il proprio gregge e condurlo al pascolo.
Ora, al riguardo, è da tenere presente che al tempo di Gesù varie erano le sette, i movimenti, le associazioni che si rifacevano al recinto del giudaismo, quali sadducei, scribi, farisei, esseni, ecc..
Questo guardiano per il recinto della parabola ovviamente fu disposto da Dio Padre, quindi, dalla SS Trinità, perciò dallo stesso Figlio, l'unica autorità assoluta che può riconoscere il Figlio dell'Uomo, quindi in definitiva secondo Sant'Agostino questo portinaio è il Signore stesso che è Dio e uomo, come Dio portinaio, come uomo pastore e porta.

Del resto il pensiero è in linea con quanto in Isaia 22,22: "Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire."

Il termine usato dal testo in greco nel brano del Buon Pastore è "turoròs", quindi, questo guardiano letteralmente è un "portinaio", parola questa che in ebraico non è mai usata per indicare il custode di un ovile, mentre viene definito "shomer" vale a dire guardiano e custode, termine che nasconde anche il biletterale che allude al Nome, il Nome dei nomi, ossia Dio.
Questo simbolismo fa capire che il pastore come sappiamo è Cristo-Messia che nasce dal giudaismo e che un guardiano divino, "shomer" , è stato posto dalla divinità celeste al recinto del giudaismo.
Il Tempio, in effetti, era il segno in terra del Regno di Dio e col suo Santo dei Santi ricorda il giardino dell'Eden da cui fu cacciato il primo uomo nei riguardi del quale si trova scritto che Dio "...pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire ("shomer" ) la via all'albero della vita." (Esodo 3,24)

Nel Santo dei Santi del Tempio solo una volta l'anno, nel giorno del perdono - "Iom Kippur" - poteva entrare il Sommo Sacerdote, segno dell'atteso futuro uomo perdonato, figura del Figlio dell'Uomo che potrà entrare a pieno titolo nei suoi possedimenti, perché anche Figlio di Dio e che riaprirà la casa di Dio in terra e soprattutto in cielo all'umanità redenta e non solo agli ebrei circoncisi.
La lettera agli Ebrei al riguardo propone:
  • Lettera agli Ebrei 9,4-28 - "Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza."
  • Lettera agli Ebrei 10,19-23 - "Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso."
Ecco allora che la lettera agli Efesini 2,19-22 dice: "Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d'angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito."

I sacerdoti leviti, invero, erano anche i "guardiani" del Tempio, il che porta a confermare, grazie al richiamo al recinto e alla porta, che il recinto allude alle istituzioni religiose di Israele.
Il recinto delle pecore, citato in Giovanni 10,1, allora, visto il naturale accostamento col recinto del Tempio di Gerusalemme, pare proprio che stia a indicare il giudaismo teocratico.
Come si evince dai Vangeli, i Sommi Sacerdoti essendo in quel momento storico contrari a Gesù, il vero custode che apre il recinto è lo stesso Spirito che circola nella Torah e negli scritti profetici che, appunto, con le profezie in essi contenute Lo riconoscono come il Messia atteso che ha le chiavi di Davide di cui in Isaia 22,22.

Il pastore delle pecore, il solo che entra per la porta, è Gesù, il vero pastore di Israele che, in effetti, si è presentato per rivelarsi in primo luogo ai Giudei.
Ora, tutte le Sacre Scritture e le profezie l'accolgono come tale.
Molti accettano la sua parola e Gesù e in essi riconosce le sue pecore, cioè i suoi discepoli, quelli che il Padre gli ha dato e questi sono coloro che riconoscono la sua voce e lo seguono.
Da molti Giudei influenti che evidentemente hanno da difendere delle proprie posizioni di potere però non viene riconosciuto e trascinano con loro, ossia rubano, molte pecore.
Sono comunque arrivati gli ultimi tempi.
Ecco che il recinto del giudaismo ha terminato la propria funzione.
Del Giudaismo rimane solo un resto che ha ormai un ruolo residuale, quello di memoria e testimonianza che avvalora nel tempo gli sviluppi della storia della salvezza preservandone le basi profetiche.
Gesù, insomma, entra nei cortili del Tempio dove c'è un solo gregge, quello di Israele.
I farisei, i sadducei e molti della classe sacerdotale, guide spirituali del tempo per il popolo sono in diatriba con lui e la parabola pare prevedere che la situazione degenererà; infatti, poi vi sarà lo scontro, l'accusa e l'eliminazione fisica di Gesù.

La parabola, di fatto, ecco che è anche una profezia del comportamento di Gesù nei riguardi di coloro che credono in lui, comportamento che sarà poi quello della Chiesa che di fatto coincide con Lui essendo la sua sposa.
Accadrà che la Chiesa nata dai discepoli del vecchio recinto viene chiamata ad uscire dal recinto del Giudaismo stesso e si metterà in cammino con il Pastore.
Lo stesso Maestro risorto camminerà davanti a loro per condurli al Padre, quindi verso la salvezza.
Questa nuova comunità in cammino, ha un recinto mobile, lo sguardo vigile del Pastore, il quale aggregherà tutti quelli che nel tempo riconosceranno la sua voce, siano essi ebrei o pagani e li porterà fuori dal giudaismo.
La conclusione del Vangelo di Giovanni al capitolo 21 con la manifestazione del Risorto al lago di Tiberiade e il miracolo della pesca miracolosa propone poi il colloquio di Gesù con Pietro, il primo degli apostoli, quindi capo della Chiesa universale, a cui viene consegnato l'incarico e gli ripete tre volte:
  • Giovanni 21,15 - "Pasci i miei agnelli";
  • Giovanni 21,16 - "Pascola le mie pecore";
  • Giovanni 21,17 - "Pasci le mie pecore".
Gesù comunque sarà sempre la sola e unica porta predicata nello stesso modo da Pietro e da tutti gli apostoli.

IL RECINTO DELLA NUOVA GERUSALEMME
Nell'anno 14° dalla distruzione di Gerusalemme, 56 anni prima della fine dell'esilio, il profeta Ezechiele racconta che: "In visione divina mi condusse nella terra d'Israele e mi pose sopra un monte altissimo, sul quale sembrava costruita una città, dal lato di mezzogiorno." (Ezechiele 40,2)

In particolare vide un tempio glorioso di proporzioni gigantesche con 6 porte, 30 stanze, il Santo, il Santissimo, un altare di legno e un altare per gli olocausti, il tempio spirituale di Dio, Tempio mai costruito, quindi che si attuerà in qualche modo nel futuro, comunque promessa che la pura adorazione sarebbe stata ristabilita.
Nella parte finale del libro - capitoli da 33 a 48 - da Dio è affidato a Ezechiele l'incarico di chiamare il popolo alla conversione e ad annunciare il futuro con la visione di una nuova Gerusalemme, sotto la guida di un nuovo pastore, un nuovo Davide, vale a dire il Messia.
(Vedi: "Visione di Ezechiele del III Tempio - Chiesa del Messia")

In questa terza parte è importante ai fini escatologici e apocalittici la visione nei capitoli 40-48 detta "La Torah di Ezechiele", in cui:
  • Ezechiele 40-42 - È descritto il Tempio futuro o Terzo Tempio;
  • Ezechiele 43 - È detto del ritorno del Signore e della consacrazione dell'altare;
  • Ezechiele 44 - Su regole d'ammissione al Tempio, leviti e sacerdoti;
  • Ezechiele 45 e 46 - Circa le feste di Pasqua e delle Capanne e regolamenti vari;
  • Ezechiele 47 - Relativo alla sorgente del Tempio;
  • Ezechiele 48 - Riguarda la divisione del paese e le porte di Gerusalemme.
Sul filone di questa premessa escatologica si muove il capitolo 21,9-23 del libro dell'Apocalisse:
"Poi venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò: Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell'Agnello. L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardonice, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello."

Questa è l'elaborazione della Chiesa degli Apostoli che dopo decenni dall'evento Pasquale medita ed elabora la teologia conseguente a quanto proposto da Cristo Gesù con gli eventi riportati nei Vangeli.
È perciò da considerare quale visione profetica escatologica e conclusione anche della parabola delle pecore e del pastore.
Ecco che il gregge dei salvati ha trovato l'ovile finale di cui viene descritto il recinto, la Città di Dio, la Gerusalemme celeste.
Questa Città è chiamata "sposa" dell'Agnello.
Il pastore ha tanto amato le sue pecore che s'è fatto come loro e ora è l'Agnello.
Il recinto finale ha ben 12 porte, quanti sono gli apostoli di Gesù.

Queste porte però è come fossero una sola porta perché sono tutte uguali, infatti, sono 12 perle, infatti: "...le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla."
Del resto ogni apostolo del Signore è come il Maestro, infatti, disse: "Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro." (Luca 6,40) e dopo l'ultima cena nell'ambito del suo testamento spirituale Gesù pregò il Padre con queste parole: "E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me." (Giovanni 17,22-23)

FRATELLO PORTA
Che sono quelle perle?
(Vedi: "In cammino alla ricerca della perla preziosa")

"Perle" in ebraico è "faninim"
Quelle porte sono tutte uguali, costituite ciascuna da un'unica perla e questa porta è l'annuncio di Cristo morto a causa dei peccati degli uomini e risorto per la giustificazione di tutti, l'unica porta che conduce al Regno e che "Parla del Figlio ".
Sono proprio l'annuncio che fa ogni apostolo di Cristo, la sua predicazione, il "Kerigma", che fa entrare nella città di Dio.
Scrive al proposito San Paolo:

  • Colossesi 4,3-4 - "Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo."
  • Romani 10,17 - "La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo" come se la parola dell'apostolo fosse proprio sperma dello Spirito Santo.
  • 1Corinzi 1,21 - "Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione."
  • 1Tessalonicesi 2,13 - "Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete."
Il Vangelo di Giovanni 1,12, infatti, sancisce che: "A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome..."

La prima azione dello Spirito Santo che scende nel cuore di un uomo è azione che lo genera a figlio di Dio, ossia è sperma di vita che accolto dall'uomo, crescendo e sviluppandosi, crea una nuova vita, quella filiale da parte di Dio stesso.

Il precedente discorso di Gesù sull'unità porta a meditare.
Che Dio è Uno solo, ossia Unico è, infatti, il primo comandamento che ha Israele, detto lo "Shema'" che nella liturgia ebraica e nelle preghiere individuali (assieme al "Kaddish") è appunto la preghiera più recitata.
Questa preghiera è formata da vari brani della Torah: Deuteronomio 6,4-9; 11,13-21 e Numeri 15,37-41 e inizia con: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze..." (Deuteronomio 6,4-9)

Quanto li in ebraico, traslitterato in italiano è: "Shema' Israel IHWH 'Oelohenu IHWH 'oechad..."
Nella Tenak a Deuteronomio 6,4 quel versetto è scritto in ebraico come qui di seguito con due lettere, l'ultima di "Shema'" e l'ultima di "'oechad" , in grande che paiono proprio voler esaltare e ricordare "e'd" l'Eterno e l'eternità cui aspira chi desidera assolvere quel comandamento.



In questo primo versetto della preghiera si trova citato 4 volte il Santo Nome, di cui una nella parola "Shema'", due come IHWH o Tetragramma sacro e, infine ancora una volta con "'Oelohenu" vale a dire "Dio Nostro".
La stessa parola "Shema'" , infatti si può spezzare in + e vi appare il Nome , ove = , e le lettere in base ai loro significati anche grafici sono in grado di dire di sé: "Il Nome vedrò ".

La definizione è che Dio è UNO "'oechad" .

Quella parola UNO "'oechad" , poi si può pensare formata da + e "'ach" che in ebraico sta a significare la parola "fratello", ossia "uno stretto " e dalla lettera "dalet", che come nome e graficamente è una porta e una mano aperta che aiuta o blocca.
A questo punto, pensando all'incarnazione di Dio in Gesù di Nazaret quell'UNO conduce a che Dio si farà fratello che aiuta , un fratello che sarà una porta ; e Gesù dice "IO sono la porta".

Pensando poi alle mura della Città di Dio, chi si avvicina da ogni direzione da cui viene, guardando con gli occhi del proprio spirito, vede una città turrita e serrata, ma vede e sente il richiamo di una porta che gli dice di entrare e se accade entra come "pecora" nella città dell'Agnello.

Dice al riguardo il profeta Isaia 26,1s: "Abbiamo una città forte; egli ha eretto a nostra salvezza mura e baluardo. Aprite le porte: entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà."

Se riconosce che in essa abita l'Eterno "a'd" e chi si avvicina è riconosciuto essere in buona fede dal "Fratello porta" entra dalla porta stessa, viene e vede ossia è portato alla conoscenza "dea'" dell'Eterno.


Del resto tutta la parabola delle pecore e del pastore di Giovanni 10 parla della conoscenza reciproca e quindi dell'unità del sentire tra pastore e pecore.
Nello stesso Vangelo, nel suo "testamento spirituale" Gesù ebbe poi a dire:
  • Giovanni 14,7 - "se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto."
  • Giovanni 14,17 - "Lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi."
  • Giovanni 17,3 - "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo."
  • Giovanni 17,11 - "Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi."
  • Giovanni 17,23 - "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me."
Ne consegue che ogni discepolo di Gesù diventa a sua volta una porta attraverso cui altri possono accedere alla Chiesa ed essere illuminati dalla lampada dell'Agnello.

GLI ALBERI DEL GIARDINO
Nel giardino dell'Eden com'è noto, come dice il versetto Genesi 2,9:
  • "Il Signore Dio fece germogliare dal suolo:
  • ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare
  • e l'albero della vita in mezzo al giardino
  • e l'albero della conoscenza del bene e del male."
Sappiamo che poi Dio comandò ad Adamo di non mangiare di quest'ultimo albero che in ebraico è chiamato "e'ts haddaa't tob vara'"

E nel dettaglio è:
  • albero "e'ts"
  • la conoscenza "haddaa't"
  • del bene "tob"
  • e del male "vara'" .
Adamo poi tentato, volle mangiarne pensando di divenire come Dio e, di fatto, scelse la totale indipendenza dal proprio Creatore per sé e per la discendenza.
Uscì, quindi dalla grazia divina.
Dio, però, per rendere solo temporanea tale condizione e non eterno il vivere nel peccato da parte dell'uomo, quindi lontano dal suo Creatore, l'allontanò dall'albero della vita, perché non ne mangiasse e vivesse nella sofferenza privato di Lui in eterno.
Gli regalò un tempo perché tornasse sui propri passi con alcuni anni di vita onde ci potesse essere in vita un ravvedimento che giudicherà alla fine dei tempi e poi da morto lo conservò nello "sheol" per un tempo migliore fino alla venuta del Messia che avrebbe portato la risurrezione dai morti.

Il Salmo 49 al riguardo considera gli uomini come pecore inviate agli inferi e dice: "Questa è la via di chi confida in se stesso, la fine di chi si compiace dei propri discorsi. Come pecore sono destinati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà di loro ogni traccia, gli inferi saranno la loro dimora." (Salmo 49,14-15)

Ma nello stesso Salmo si trova un atto di fede nella salvezza che verrà dal Signore: "Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi." (Salmo 49,16)

Questo Salmo 49 che è una lezione per l'uomo che ritiene di fare a meno del proprio Creatore l'ho decriptato con le regole di "Parlano le lettere" e ne riporto il risultato in Appendice.

Nel contempo Dio iniziò ad intessere la storia della salvezza fino a Gesù Cristo, che si é rivelato alle sue pecore come il Messia atteso, e che con il sacrificio della croce e con la sua morte per i nostri peccati ha ricostruito la "relazione filiale perfetta con il Padre.
Questi, pur Figlio di Dio, s'abbassò, divenne "servo" e percorrendo la via dell'amore al nemico "umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Filippesi 2,8) onde la stessa croce divenne così "il nuovo albero della vita" visto il frutto della risurrezione che aveva prodotto grazie a Lui. Gesù in Giovanni 14,6 ha, infatti, detto: "Io sono la via, la verità e la vita."

Proviamo ora a leggere con spirito profetico indirizzando il pensiero a questi eventi quelle lettere ebraiche relative "l'albero della conoscenza del bene e del male" di Genesi 2,9:

.

Ecco che si ottiene: "si vedrà scendere nel mondo la conoscenza dal Crocifisso del bene ; la portò il pastore ".

La giusta conoscenza del bene che era stata celata all'uomo dal serpente tentatore che istigò a mangiare dell'albero solo perché l'uomo venisse inquinato dal verme del male l'ha portata il Crocifisso, morto in croce per amore dell'umanità.
Ecco, allora, che il Crocifisso sulla croce è assieme albero di vita e albero della conoscenza del bene, ossia dell'amore vero che vince il male provocato dal serpente e dall'accettazione da parte degli uomini della sua catechesi.
L'uomo, grazie al Crocifisso, ha potuto mangiare anche dell'albero del bene e del male cogliendo solo la parte buona dei frutti in quanto il male s'è riversato solo sul "Buon Pastore " da cui viene il bene e prende su di se il male.

Se torniamo al libro dell'Apocalisse al Capitolo 22 dove continua la visione della nuova Gerusalemme, vi si legge: "E mi mostrò poi un fiume d'acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall'altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all'anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni." (Apocalisse 22,1-2)

Non vi si trova però l'albero della conoscenza del bene e del male, perché ormai non serve più.
Il libro dell'Apocalisse in 21,4 aveva, infatti, detto: "E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate".
Quell'albero ormai è stato superato, perché per agire il Figlio di Dio scese in terra e come Pastore ha recato la conoscenza completa del Padre Eterno.
Questa conoscenza è la luce dell'Agnello che illumina la città di Dio, infatti: "La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello." (Apocalisse 21,23)

APPENDICE - SALMO 49 - DECRIPTAZIONE
Si tratta di un Salmo di 21 versetti.
Per vari esegeti, l'autore del salmo 49 sarebbe stato scritto dopo il ritorno dall'esilio e l'autore apparterebbe alla fascia religiosa dei "poveri di IHWH" da cui derivarono poi Farisei ed Esseni che alla fine dei tempi ritenevano possibile la risurrezione.

Nel Salmo pur se non c'è l'affermazione della risurrezione questa pare il naturale sviluppo del versetto 16 che recita: "Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi."

Riporto il testo della traduzione C.E.I. del 2008.

Salmo 49,1 - Al maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo.

Salmo 49,2 - Ascoltate questo, popoli tutti, porgete l'orecchio, voi tutti abitanti del mondo,

Salmo 49,3 - voi, gente del popolo e nobili, ricchi e poveri insieme.

Salmo 49,4 - La mia bocca dice cose sapienti, il mio cuore medita con discernimento.

Salmo 49,5 - Porgerò l'orecchio a un proverbio, esporrò sulla cetra il mio enigma.

Salmo 49,6 - Perché dovrò temere nei giorni del male, quando mi circonda la malizia di quelli che mi fanno inciampare?

Salmo 49,7 - Essi confidano nella loro forza, si vantano della loro grande ricchezza.

Salmo 49,8 - Certo, l'uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo.

Salmo 49,9 - Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita: non sarà mai sufficiente

Salmo 49,10 - per vivere senza fine e non vedere la fossa.

Salmo 49,11 - Vedrai infatti morire i sapienti; periranno insieme lo stolto e l'insensato e lasceranno ad altri le loro ricchezze.

Salmo 49,12 - Il sepolcro sarà loro eterna dimora, loro tenda di generazione in generazione: eppure a terre hanno dato il proprio nome.

Salmo 49,13 - Ma nella prosperità l'uomo non dura: è simile alle bestie che muoiono.

Salmo 49,14 - Questa è la via di chi confida in se stesso, la fine di chi si compiace dei propri discorsi.

Salmo 49,15 - Come pecore sono destinati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà di loro ogni traccia, gli inferi saranno la loro dimora.

Salmo 49,16 - Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi.

Salmo 49,17 - Non temere se un uomo arricchisce, se aumenta la gloria della sua casa.

Salmo 49,18 - Quando muore, infatti, con sé non porta nulla né scende con lui la sua gloria.

Salmo 49,19 - Anche se da vivo benediceva se stesso: Si congratuleranno, perché ti è andata bene,

Salmo 49,20 - andrà con la generazione dei suoi padri, che non vedranno mai più la luce.

Salmo 49,21 - Nella prosperità l'uomo non comprende, è simile alle bestie che muoiono."

Presento la dimostrazione della decriptazione del versetto 11, poi la decriptazione tutta di seguito dell'intero Salmo.

Salmo 49,11 - Vedrai infatti morire i sapienti; periranno insieme lo stolto e l'insensato e lasceranno ad altri le loro ricchezze.




Salmo 49,11 - La rettitudine sarà la forza che dal corpo del primogenito uscirà . Nella tomba per la rettitudine rivivrà (quando) nei giorni i viventi lo porteranno in croce . Portato che sarà nella tomba , per l'aiuto della rettitudine che lo riempie risarà . Potente si riporterà a casa . Lo vedranno col corpo riportarsi . Il Padre l'aiuto gli avrà recato e la forza dentro gli avrà riportato . Il Potente fratello per il corpo sarà dei viventi che a chiudere sarà stato la potenza in un vivente .

Salmo 49,1 - Il serpente i viventi invia giù nelle tombe. Del Potente figli sono. Si piegherà per misericordia. Questi in un vivente si porterà nel corpo.

Salmo 49,2 - Accenderà un seno e Questi verrà dalla sposa. Per agire tra i viventi sarà nella matrice a entrare da primogenito di questa. Sarà un angelo a portarsi alla sposa. Sarà a illuminarla che dentro sarà a chiudersi per nascere.

Salmo 49,3 - Scorrerà nella madre dentro l'energia per essere uomo. Anche figlio sarà di un uomo. Fu di nascosto alla conoscenza, illuminata ne fu la testa - mente che si porterà padre; sarà a portargliela un angelo.

Salmo 49,4 - Il Verbo è che sarà per aiutare dentro un corpo a chiudersi. Da amo per la morte si porterà. Uscirà in cammino per portare la fine al serpente. Dal Tempio da dentro porterà l'energia; la recherà a tutti.

Salmo 49,5 - L'Unico, per amore, dal serpente salverà. Col rifiuto colpirà l'angelo (ribelle). Sarà per l'Unico il Verbo a finire le tombe. Dentro della rettitudine l'energia recherà nel corpo. A chi vive d'aiuto per tutti sarà.

Salmo 49,6 - Il serpente dai viventi uscirà con i guai che nei corpi dall'origine abitano. Nei giorni, il cattivo che col crimine agisce rovescerà da dentro le esistenze. Risarà la pienezza a recare, figli ri-saranno.

Salmo 49,7 - Entrerà dentro l'amore nella vita. In seno il vigore ci risarà. Il Potente la vita riporterà dentro i corpi. Dentro agendo brucerà il verme che c'è. Finita n'uscirà la potenza che il serpente recò.

Salmo 49,8 - Un fratello, del Potente ira, lo sbarrerà nel mondo. Sarà a riscattare gli uomini. Il 'no' ci sarà per il dragone del serpente maledetto. Sarà ai viventi il perdono a recare.

Salmo 49,9 - A recare sarà, versando dal corpo, il riscatto. L'angelo superbo che ai viventi portò la chiusura tirerà fuori per sempre.

Salmo 49,10 - E sarà nei viventi il peccare impedito. Del Potente l'energia scendendo l'ammalerà. Ricomincerà a stare nei corpi l'origine che uscì. Usciranno risorti dalle tombe alla fine.

Salmo 49,11 - La rettitudine sarà la forza che dal corpo del primogenito uscirà. Per la rettitudine nella tomba per la rettitudine rivivrà (quando) nei giorni i viventi lo porteranno in croce. Portato che sarà nella tomba, per l'aiuto della rettitudine che lo riempie risarà. Potente si riporterà a casa. Lo vedranno col corpo riportarsi. Il Padre l'aiuto gli avrà recato e la forza dentro gli avrà riportato. Il Potente fratello per il corpo sarà dei viventi che a chiudere sarà stato la potenza in un vivente.

Salmo 49,12 - Verserà dal corpo da dentro la vita. Da dentro la croce sarà la forza per recidere il peccare del serpente nei viventi. Per salvarli la rettitudine invierà dalla croce con la Madre che a nascere un corpo - popolo - Chiesa porterà. Le generazioni chiamerà. Porterà dentro che per la risurrezione dalla morte si rivive. In alto sarà l'uomo portato dal Crocifisso.

Salmo 49,13 - Riporterà l'umanità a casa. Sarà a versarvi le moltitudini di notte. Sarà ad inviarle tra gli angeli salvati. Con la potenza della rettitudine il bestiale avrà portato a finire con l'energia del sangue che avrà recato.

Salmo 49,14 - Per questi aprirà per via la piaga forata dal serpente, perché un'asta gliela avrà arrecata. Del fratello nel corpo saranno a entrare per vivere dentro al Verbo. Saranno a entrare i viventi a stargli nel corpo. Su li porterà; nei gironi del Potente entreranno.

Salmo 49,15 - Così saliranno per incontrare il Potente. Il Risorto Unigenito porterà al Potente i risorti vivi, ma morto sarà il cattivo che nei viventi si portò. Sarà stato dai corpi l'essere impuro che vi abitava tolto via. I corpi risaranno a vivere. La potenza dentro riverserà nei corpi e su si riporteranno. Del verme la potenza che dentro il serpente recò, finirà. La distruzione porterà al serpente nei viventi. Colpendolo alla consunzione lo porterà.

Salmo 49,16 - L'Unico affliggerà il serpente nel mondo. Nei giorni il Verbo a sbarrarlo uscirà. L'angelo superbo nei giorni sbarrerà. Con la risurrezione dei corpi la rettitudine ci risarà. Sarà riversata la grazia. Si riporterà la pienezza che per il serpente uscì.

Salmo 49,17 - La divinità del Crocifisso sarà nei corpi ad affliggerlo. Sarà a spazzarlo via. Con la risurrezione dei corpi gli uomini retti saranno. Saranno le moltitudini a uscire gloriose. A casa saranno dal Crocifisso portate.

Salmo 49,18 - Retti sarà al Potente Padre i viventi a recare il Crocifisso e saranno riversati nell'assemblea. Entrerà con la sposa dal Potente l'Unigenito che fu nel corpo di aiuto. I fratelli nel corpo sarà a recare; alla gloria li condurrà.

Salmo 49,19 - Così sarà per l'energia del Verbo a tornare la vita. Sarà riportata la forza dentro i corpi per la rettitudine che recherà. Saranno portati gli afflitti così a stare nel Crocifisso. Saranno nel cuore a stargli dentro per il cammino.

Salmo 49,20 - Il Crocifisso a casa porterà dell'Unico eterno le generazioni. Le porterà al Padre il Crocifisso. Saranno condotte all'eternità con gli angeli su nell'assemblea del potente Unico. Saranno a vederlo portati nella luce.

Salmo 49,21 - L'umanità a casa il diletto porterà. Il serpente nemico che opprimeva invierà vivo nel fuoco potente. Da dentro usciranno dalla morte per l'energia del sangue che avrà recato.


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