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VANGELI E PROTOVANGELI...

 
IL PIÙ UMILE DEGLI UOMINI

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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ESSERE UMILE E MITE »
L'UMILE MOSÈ »
DOVE MOSÈ RIVELA LA PROPRIA UMILTÀ »

L'UOMO CHE FU ESALTATO
I Vangeli annunciano che l'Unigenito, il Verbo di Dio, è venuto tra noi.
Si è fatto uomo in Gesù di Nazaret.
È sceso dai cieli e si è incarnato nel seno della Vergine Maria.
Lui, che era Dio, si abbassò in modo totale.
Preferì scendere in terra e umiliarsi svuotandosi della divinità e assumendo la nostra umanità per amore dell'uomo, per servirlo e salvarlo tutta l'umanità dei figli di Adamo, dalla schiavitù del peccato e della morte.
L'uomo per risposta l'esaltò, innalzandolo sulla croce, ove morì, ma il Padre lo glorificò con la risurrezione e l'esaltò veramente portandolo in cielo col suo corpo trafitto e ora quel uomo che è anche Dio siede alla destra di Dio Padre.

San Paolo nella lettera ai Filippesi in 2,5-11 coglie queste verità con il seguente inno detto della "Kenosi" o "svuotamento": "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò (, "ekénōse" o "kenosi") se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre." (Filippesi 2,5-11)

Gesù si abbassò da sua condizione oggettivamente elevata, in modo radicale, rinunciando a tutte le proprie prerogative per vivere la condizione dell'uomo nel peccato pur essendo senza colpa alcuna.

La filosofia contemporanea invero considerava la divinità imperturbabile, non suscettibile di sofferenza alcuna, come riassume Achille nell'Iliade XXIV, 525-6 quando dice: "Questo destino hanno dato gli dei ai mortali infelici, vivere afflitti, ma loro sono immuni da pena" eppure, Gesù dalla Sua condizione divina, mosso da amore pieno e gratuito, quindi dalla carità, fece ciò che era inatteso e incomprensibile all'uomo ... scese in terra, si fece integralmente uomo e prese sulle proprie spalle tutti i lati sfavorevoli dell'umanità, subendo sofferenze e morte, atroci e ignominiose.
Servì gli uomini fino alla fine, come atto di grande umiltà, lavò i piedi agli apostoli e perdonò i suoi uccisori, quindi, tutta l'umanità.
Quanto gli accadde coincide in modo impressionante con l'intuizione filosofica di Platone, tanto che ci si domanda se Platone non avesse letto Isaia e i Canti del Servo del Signore, infatti, dice "...il giusto sarà flagellato, sarà torturato, posto in ceppi sarà, gli si bruceranno gli occhi, da ultimo, sottoposto a ignominia estrema, sarà impalato." (Platone, La Repubblica)

Di questo giusto scrive, infatti, Isaia: "Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti." (Isaia 53,3-5)

Ne consegue che "carità" e "umiltà" sono due facce della stessa medaglia.
La carità è umile e l'umiltà è caritatevole!
Amica stretta dell'umiltà è la semplicità, quindi, carità, umiltà e semplicità vanno a braccetto.
A tale riguardo basta pensare che l'umiltà da spazio al prossimo.

Scrive san Paolo nel famoso inno in 1Corinzi 13: "la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse..."

L'invito che fa San Paolo "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:" comporta un abbassamento da una posizione "negativa", vale a dire da una altezza falsa ove ci siamo innalzati per orgoglio e vanità, facendo una discesa necessaria per rinnegare qualcosa di cattivo che c'è in noi.

La raccomandazione che l'apostolo delle genti fa poco prima di questo inno è: "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso..." (Filippesi 2,3)

Il Vangelo di Matteo 11,28-30 riferisce che Gesù ebbe a dire di sé: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero."

È vero, se uno dice di sé "sono umile" pare proprio non essere umile!
Quel dire di Gesù però è pura verità e tale auto-dichiarazione va contestualizzata.
Gesù intendeva ricordare quanto la Torah aveva detto di Mosè in Numeri 12,3.

In Deuteronomio 18,15s, poi, c'è questa profezia: "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia." Che Gesù intende ricordare ricordando che è come Mosè, mite e umile di cuore, e che Dio come con Mosè parla faccia a faccia.

Gesù, infatti era oggetto di contestazioni come falso profeta da molti farisei, scribi e dottori della legge.
Poco prima ai versetti 11,3-6 aveva detto agli apostoli di Giovanni, ormai in carcere, che gli mandava a chiedere, "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?", ossia sei proprio tu lo "Shilu" della profezia di Genesi 49,10 che la tradizione attribuisce a Mosè, il che rivela come anche loro s'interrogavano visto che i sapienti non riuscivano a cogliere quanto in effetti avrebbero dovuto attendere e sperare.

Gesù in tale occasione rispose loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! " vale a dire si stanno realizzando tutte le profezie che si trovano nelle Sacre Scritture anche se molti si scandalizzano.

Quindi proseguendo il discorso con i contemporanei e come dicesse non siate ciechi credete al vostro maestro.
Il Signore stava ricordando Mosè che, come abbiamo visto, la Torah in Numeri 12,3 definisce come il più umile degli uomini, a cui i suoi interlocutori, a parole erano tanto ossequiosi e rispettosi; del resto per gli Ebrei Mosè è "rabbenu" vale a dire il "nostro maestro", il primo e più importante.

Al proposito in Matteo 23,1-12 Gesù rivolto alla folla e ai suoi discepoli poi dirà: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano, infatti, fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbi" dalla gente."

Questi in tal modo già hanno avuto la loro ricompensa (Matteo 6,3.5.16) e lì prosegue con: "Ma voi non fatevi chiamare "rabbi", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida (Maestro), il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato."

Gesù pronunciò quella frase con cui dichiarava di essere umile e mite proseguendo un paragone con il profeta Mosè che era malamente interpretato ed esaltato, mentre Lui era contestato dalla sua generazione di fratelli ebrei, ciechi di fronte alle profezie che si stavano attuando davanti ai loro occhi e che dicevano di essere fedeli a Mosè e a IHWH e al giogo della Torah, ma invero lo rifiutavano pur se era inviato dal Padre.

Gesù, appunto, ricorda il fatto del "giogo" che allude proprio alla Torah, in quanto la recitazione del primo versetto della preghiera dello "Shemà" che l'ebreo osservante deve fare mattina e sera è detta "l'accettazione del giogo della regalità di Dio" "kabalat ol malchut shamayim" - Mishnah "Berachot" 2,5.

La stessa conclusione: "chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato" si trova in un altro episodio, narrato dal Vangelo di Luca che serve a sottolineare cosa Gesù intendesse con umiltà.

Questo è il racconto: "Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no guarire di sabato? Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato? E non potevano rispondere nulla a queste parole. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e chi ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va a metterti all'ultimo posto, perché quando viene chi ti ha invitato ti dica: Amico, vieni più avanti! Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato."

La stessa frase si ritrova anche in Luca 18,14 nella parabola del fariseo e del pubblicano esposta in Luca 18,10-14 che riporto: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato."

Il Vangelo sottolinea l'esaltarsi anche in modo fisico con quello "stando in piedi" del fariseo, il suo farsi alto, ossia il vedersi innalzare come dicono le lettere dello "astuto" serpente in Genesi 3,1.
Il riconoscersi peccatore in definitiva per l'uomo è il fondamento dell'umiltà.
C'è poi un proverbio che recita: "La superbia va a cavallo e torna a piedi" e questo pensiero esprime in modo popolare proprio qualcosa di simile all'evangelico "chi si esalta sarà umiliato".

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