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ATTESA DEL MESSIA...

 
L'ELEZIONE DI DIO PASSA PER LA MADRE

di Alessandro Conti Puorger
 
 

LA PRECOGNIZIONE DELLE MAMME
Si dice che i genitori non dovrebbero fare preferenze tra i propri figli, se ne hanno più di uno, il che sostanzialmente è vero.
Nella pratica ciò non è sempre evitabile che accada e non è detto non sia necessario fare dovute differenze.
Del resto ogni figlio è speciale e il genitore illuminato sa come vanno trattati dando tutto il proprio amore nel modo migliore che possa ricevere ciascuno e in modo ottimale perché portino in loro frutto e vi sia armonia evitando possibili gelosie tra di loro.
Vanno certamente escluse preferenze "uterine" o di "pancia", magari causate da somiglianze o per il solo fatto che fosse il primogenito o tanto meno per le doti che manifesta se simili a quelle del genitore stesso che per qualche motivo c'entra in qualche misura o geneticamente o tramite gli insegnamenti nei primi anni di vita.
Del resto la "parabola dei talenti" insegna che questi non sono distribuiti in modo eguale; ognuno ne ha una propria misura.
Solo genitori accorti se ne rendono conto e prima lo fanno prima ne viene bene ai figli e alla società, oltre che ai genitori stessi.
Vivendo in comune nello stretto contatto familiare giornaliero il padre e la madre sono i più titolati a esprimere valutazioni su di loro essendo stati messi in grado di conoscere le reali possibilità dei propri rampolli e avuto modo di soppesarle.
Ora, per tali conoscenze possono cercare di aiutarli a migliorare lati negativi, in quanto intimamente ne sanno le debolezze e i punti di forza, ma tutto questo non da luogo a motivi per dare meno amore, che invece va dato sempre con la stessa intensità per tutti, anche se mirato in modo diverso.
Ciascuno dei due genitori fa intime valutazioni di merito dei vari aspetti e sui difetti che dai figli, purtroppo, alcune volte vengono a trasparire e, in occasione delle decisioni familiari importanti di cui sono responsabili, in comune accordo, necessariamente, fanno la scelta d'appoggiarsi all'uno o all'altro, il che pur se ha alle radici una buona intenzione, può apparire una preferenza.
A tale riguardo si deve proprio costatare che le madri sono come dotate di un sesto senso, perché nel fare certe scelte di solito hanno la vista molto lunga, spesso molto più dei papà.
Del resto portano in seno il figlio per nove mesi, mentre i padri ne prendono atto concretamente nella maggior parte dei casi con le prime moine, di sovente dopo l'allattamento.
I papà spesso, infatti, sono miopi, soprattutto sui figli maschi, più presi nei primi anni di vita e di adolescenza dal loro modo di affrontare lo sport e le prove di coraggio, retaggio dei secoli passati e non s'accorgono d'avvisaglie di negatività che stanno venendo fuori.
Può così accadere che non abbiano avuto modo di soppesare doti importanti che veramente serviranno nella vita, mentre le madri hanno potuto valutare il tutto con maggiore ponderatezza essendo state in genere più in contatto con loro quando erano nella tenera età, quindi, conoscono bene le vere attitudini dei propri marmocchi che poi si portano appresso spesso anche da uomini adulti. Come ciò avviene per le cose di questo mondo, la Bibbia propone che qualcosa del genere si verificò anche in campo spirituale.
Intendo con ciò parlare dell'illuminazione provvidenziale che ebbe la matriarca Rebecca, sposa del patriarca Isacco, nei riguardi del figlio Giacobbe, rispetto al padre che preferiva Esaù; eppure i due erano gemelli e i due genitori entrambi Santi.

Prima di entrare nel vivo dell'articolo è necessaria una particolare introduzione.
A scenario di quando andrò dicendo sui quei due fratelli rimando alla lettura di "Vino nella Bibbia: causa d'incesti e segno del Messia" al paragrafo " Esaù e Giacobbe-(Genesi capitolo 25)".

Avverto poi il lettore, che forse s'imbatte per la prima volta nei miei personali commenti, studi e meditazioni sulle Sacre Scritture, che per far ciò uso anche un personale strumento per me di grande aiuto, un mio metodo di regole di decriptazione per ottenere pagine di 2° livello sull'epopea del Messia di cui è detto in "Parlano le lettere" e in "Le 22 sacre lettere, appunti di un qabalista cristiano" e ciò in base ai significati grafici delle lettere ebraiche riportati sulle schede che s'ottengono cliccando sui loro simboli indicati nella colonna a destra delle pagine di questo mio Sito.

Al riguardo, perché utili sull'argomento, segnalo anche:
Il libro del Genesi, il primo della Torah, porta chi lo scruta ai momenti iniziali della "creazione" e con il "midrash" di Genesi 3 a prendere atto che l'umanità aveva scelto di vivere senza Dio.
Dopo un lungo tempo di errori in cui si era dibattuta, intervenne la decisione di Dio di farsi presente per evitare la catastrofe dell'umanità e il Creatore con quanto definito come "il diluvio" inviò un'inondazione di grazia, intesa come intenzione almeno da parte Sua di far in modo che finisse lo stato venutosi a determinare di un'umanità separata da Lui.
Con il "diluvio" il Creatore affermava l'intenzione di intervenire da alleato dell'uomo per vincere lo spirito del male che ormai lo stava schiavizzando e opprimendo e fu così che Dio iniziò a intervenire concretamente, ossia in modo captabile dall'uomo.
Venne a esistere come una nuova umanità discesa da un uomo, un nocchiero Noè, "Noach" (nome che viene dal radicale di "guidare" ) profezia di chi in futuro, il Messia, sarebbe venuto a guidarla per la conclusione dei tempi.
Tra i discendenti di Noè il Signore Dio scelse poi Abramo in cui accese il dono della fede in Lui; da questi in modo concreto sarebbe partita una nuova storia dei rapporti tra Dio e l'uomo che avrebbe recato alla redenzione.
Dio provò Abramo in tanti modi e da questi, ormai centenario e dalla moglie Sara, sterile e novantenne, quindi in un modo prodigioso, fece nascere Isacco, il figlio della promessa, un unico figlio cui era affidato tutto il disegno divino per il futuro salvifico per l'uomo, figura del Messia; eppure lo stesso Dio chiese ad Abramo di sacrificargli proprio questo figlio amato e desiderato, nato dopo tante attese e peripezie.

Tutto ciò è raccontato in Genesi 22 nell'episodio detto del "sacrificio di Isacco", in cui lo stesso angelo di Dio però fermò la mano di Abramo armata di coltello pronta a sacrificare il figlio sulla catasta di legno già approntata per l'olocausto.

Subito dopo, il capitolo Genesi 23 inizia in questo modo: "Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla."

Morì Sara, aveva 127 anni, Isacco 37, Abramo 137; non è detto, ma è implicito, che ciò accadde subito dopo il ritorno da quel sacrificio.
Evidentemente ciò lascia pensare che Sara in tale occasione aveva avuto una grande paura di perdere il figlio.
Vari commentatori, infatti, collegano i due fatti e suggeriscono che Sara sia morta a seguito dello shock al cuore provato.

Il capitolo precedente, il 22 del Genesi, però si conclude al versetto 22,23 con l'annuncio della nascita di Rebecca, che sarà la moglie del figlio Isacco. La nascita di questa, insomma, è annunciata prima della scomparsa di Sara da cui ecco la conclusione cui perviene il pensiero ebraico al riguardo.

Scrive Sforno in Ba'al Hatturim che un giusto non viene mai portato via dal mondo prima che nasca un successore, come insegna il versetto Qoelet 1,5 "Il sole sorge e il sole tramonta."; quindi, se Sara moriva, nasceva però un'altra giusta, Rebecca.
D'altronde l'errore del peccato originale doveva trovare redenzione attraverso una Donna santa che avesse prodotto una stirpe santa che schiacciasse la testa al serpente, anche questi se la tenterà al calcagno, quindi, vi sarà una fila di Sante matriarche e di donne dell'Antico Testamento che preparerà la venuta della Donna Santissima, madre del Messia.

Rebecca, la sposa di Isacco, figlio di Abramo, era la figlia del nipote di questi, l'arameo Betel , figlio di Nacor, fratello di Abramo e il nome Rebecca, "Rivqah", , è fatto derivare dalla radice verbale semitica, "r-b-q", avente il significato di "unire", "legare", "catturare", quindi, elemento di connessione, vale a dire "corda", "fune" e starebbe indicare "che avvince con la sua bellezza", "molti si piegano - inchinano alla (sua) uscita ".
Betuel, , ha in sé le lettere di "bet" di casa e - o figlia e di Dio "'El" .

Cosi, infatti, in Genesi 24,24 si presentò Rebecca al servo Elizier che Abramo aveva mandato nel paese dei due fiumi, alla città di Nacor: "Io sono figlia di Betuel, , il figlio che Milca partorì a Nacor".

Tirando le somme dell'Antico e Nuovo Testamento, sappiamo bene che dopo circa XX secoli da discendenti di Rebecca nascerà Maria di Nazaret, definita con il titolo cristiano di "Madre di Dio", in greco "Theotokos", , in latino "Dei Genitrix", Madre di Cristo, Madre della Chiesa, in base al dogma mariano stabilito il 22 giugno dell'anno 431 nel Concilio di Efeso.

Ecco che quei due nomi a posteriori appaiono veramente profetici:
  • una figlia di Betel della casa scelta per portare Dio ;
  • "Rivqah", , "il corpo dentro verserà nel mondo ".
Proseguiamo però con ordine.

Il capitolo Genesi 23, nel trattare della morte di Sara, riferisce della tomba dei patriarchi che Abramo acquisto dagli Hittiti a Ebron, la grotta in Macpela di fronte a Mamre, nel campo di Efron.

Tutto il capitolo Genesi 24 poi riguarda il viaggio del servo di Abramo in Armenia a Paddam Aram per trovare una moglie per figlio Isacco presso i parenti di Abramo.
Dopo varie vicende in cui s'intravede che si sta realizzando il disegno divino, i familiari di Rebecca acconsentirono e "...essi lasciarono partire Rebecca con la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini." (Genesi 24,59)

Questa nutrice si chiamava Debora, come si apprende dal versetto Genesi 35,8 a lei dedicato quando morì e fu sepolta da Giacobbe a Betel, infatti, dice: "Allora morì Debora, la nutrice di Rebecca, e fu sepolta al di sotto di Betel, ai piedi della quercia. Così essa prese il nome di Quercia del Pianto", quindi Debora è un personaggio che ha avuto certamente un ruolo importante nella storia di Rebecca e di Giacobbe.

El Betel si chiamava Luz, si trovava a 19 chilometri a nord di Gerusalemme ove Abramo costruì un altare e vi tornò (Genesi 12,8; 13,3).

In effetti, come dice Genesi 28,19, fu proprio Giacobbe a chiamarla Betel, "casa di Dio" (Genesi 28,19; 31,13; 48,3) quando fuggiva da Esaù, perché Dio si rivelò in sogno come vedremo.

Dopo il ritorno da Labano, Giacobbe vi abitò e vi fece un altare (Genesi 35,1-8.16).

Secondo alcuni commentatori pare più giusto dire al plurale "Quercia dei Pianti" e pensano che stia ad alludere la commemorazione anche della morte di Rebecca, forse avvenuta prima in un tempo indeterminato.
Del pari, nulla si dice di un incontro da parte di Giacobbe col padre Isacco né delle sue proprietà; forse c'era stato qualche cambiamento che non viene detto ad opera degli Ittiti nel comando della zona.

Torniamo al racconto del capitolo Genesi 24; questo non si sofferma sul viaggio di ritorno, ma presenta l'incontro con Rebecca da parte di Isacco che risiedeva nelle steppe del Negev e precisa "Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli." (Genesi 24,63)

L'ho segnalato per evidenziare quella tendenza di Isacco a vagare per la "campagna", in effetti, dice il testo ebraico "steppa", "sadoeh" , proprio "sul far della sera", in luoghi che sono associati allo "shad" demonio o spirito maligno, ove secondo l'immaginario vivevano gli "Jinn" entità maligne e demoniache.

La C.E.I. traduce "svagarsi" quanto ebraico è scritto "sucha" , termine usato solo in quel versetto che però con la lettera "shin" anziché "sin" da luogo a scendere, degradare e a fossa, insomma indice di luoghi pericolosi fisicamente e spiritualmente in cui Isacco, il giusto, passava indenne, ma sta ad avvertire e a preparare che quel patriarca amava la natura e gli svaghi relativi, tendenza che poi diverrà esasperata nel primo figlio maschio.

In Genesi 25,20 finalmente si legge: "Isacco aveva quarant'anni quando si prese in moglie Rebecca, figlia di Betuel l'Arameo, da Paddan-Aram, e sorella di Labano, l'Arameo".

Rebecca però, come si comprende dai fatti e dal testo, non poteva avere figli. Abramo non vedendo ancora una discendenza da Isacco nel frattempo aveva pensato di provvedere e sposò "Ketura", come riporta Genesi 25,1-18.

Accadde che "Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché ella era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta." (Genesi 25,21), ma tra il matrimonio e il concepimento di Rebecca passano ben 20 anni, come si deduce da Genesi 25,26 in quanto ormai Isacco a quel tempo aveva sessanta anni.

Nel frattempo Abramo aveva raggiunto i 160 anni e siccome complessivamente visse 175 anni (Genesi 25,7) poté conoscere i nipoti Esaù e Giacobbe e morì che avevano circa 15 anni.

È da evidenziare che tutte e tre le matriarche Sara, Rebecca e poi Rachele erano sterili, il che fa proprio ritenere che la nascita di Israele, come fu poi dal Signore chiamato Giacobbe, fu proprio un dono voluto con precisa determinazione e scelta da parte del Signore!
Rebecca si accorse di essere incinta e avverti sensazioni e dolori che le altre donne che le stavano attorno evidentemente non riconobbero come usuali in una gestante.
Rebecca s'informò, forse, proprio dalla sua nutrice Debora che era venuta con lei da Paddan Aram che le profilò l'eventualità di un parto plurimo, forse dei gemelli.
Rebecca poi nella preghiera in Genesi 25,22 riporta il fatto in questo modo: "Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella sclamò: Se è così, che cosa mi sta accadendo? Andò a consultare il Signore."

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