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DECRIPTAZIONE BIBBIA...

 
LA FEDE NELLA "VITA ETERNA"

di Alessandro Conti Puorger
 
 

L'ATTESA ESCATOLOGICA
L'escatologia, dal greco "" "éskhatos", ossia "ultimo", è l'esito della risposta all'inevitabile interrogarsi dell'uomo sul proprio destino e sul mondo in cui vive.
Una tale investigazione porta in genere a concepire pensieri religiosi e spirituali che, implicando come possibile l'idea di un Creatore e di vita oltre la morte diversa da quella che conosciamo, vanno a far parte integrante della teologia.
Secondo la fede che ciascuno le attribuisce quelle idee possono essere in grado d'orientare comportamenti di singoli, di gruppi e d'interi popoli e far flettere la loro storia in un verso o in un altro, influenzando anche altri popoli.
Particolari visioni escatologiche, del resto, hanno attraversato varie civiltà antiche, come gli Egizi, i Maya e gli Aztechi e le tre religioni monoteistiche abramitiche, ebraica-cristiana-islamica con evidenti riflessi sulla storia mondiale.
Nell'ebraismo l'escatologia è detta "'acharit ha-yamim" traducibile come:
  • "gli ultimi giorni", 6 volte in Antico Testamento e 3 Nuovo Testamento;
  • "la fine dei giorni", 7 volte in Antico Testamento;
  • "finire dei giorni", 2 volte in Antico Testamento.
La parola ebraica "'acarit" , peraltro, vuol dire "futuro, avvenire", quindi, "'acarit ha-yamim" può essere preso in senso relativo come "futuro dei giorni" o "dopo che saranno finiti i giorni ", quindi, potenzialmente può stare a significare due diverse realtà.
Per contro il dire "ultimo giorno" si trova 7 volte e solo nei Vangeli, 6 volte in bocca a Gesù, e la 7° in Giovanni 7,37 riguarda l'ultimo giorno della festa delle Capanne o "Sukkot" che nella tradizione ebraica è corrispondente, quindi allusivo, del giorno in cui tutti i popoli verranno dal Signore.
Questa di "Sukkot" secondo i rabbini, infatti, è quella delle 3 feste di pellegrinaggio - Pesach, Pentecoste e Sukkot - che si rivolge anche ai pagani in quanto nel Tempio erano offerti in sacrificio 70 tori per le 70 nazioni del mondo onde ingraziarsi gli angeli che Dio aveva posto a loro protezione.
Nell'era messianica tutte le nazioni, infatti, secondo il profeta Isaia in 2,2-3 saliranno a Gerusalemme a celebrare "Sukkot" per affermare la loro fede nell'Unico Dio: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri".
La "fine dei giorni", qui citata in Isaia, pare alludere alla fine dei giorni della "creazione, ossia al "grande sabato" del Riposo del Signore, inizio di un nuovo ciclo di sette "giorni".
Ecco che il tema apocalittico esplode nella Bibbia e da un certo momento in poi, dal ritorno dall'esilio di Babilonia diviene il filo rosso essenziale del pensiero ebraico tanto che ai tempi di Gesù c'era una forte tensione apocalittica che San Paolo evidenzia quando parla della "pienezza del tempo o dei tempi" in Efesini1,10 e Galati 4,4 e che si trova anche in Ebrei 9,26.
Ora, l'uomo, per com'è stato creato secondo la Bibbia, in particolare per quanto dice Genesi 2,7 - "il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" - è un essere inscindibile, sintesi di un corpo senziente, polvere della terra plasmata ad hoc in cui Dio che ha infuso lo spirito vivificato dal soffio divino o "nishmat", il dono del respiro, detto in ebraico "noefoesh" o anima, e tutto ciò è l'uomo nella sua essenza e interezza.
Non è, quindi, lecito suddividere l'uomo in parti che non resterebbero vive.
Tale pensiero è proprio sia dell'ebraismo, sia del cristianesimo, ma sovente in entrambi i campi si rinvengono discorsi come se fosse possibile l'esistenza dell'anima separata dal corpo, forse nati dalle idee platoniche dell'immortalità dell'anima, ma sono da ritenere degli schemi semplicistici di un momento ignoto, perché la morte, invero, è un evento che taglia tutti i ponti con le dimensioni di questo mondo e fa entrare in una sfera incognita che per gli atei è il nulla e per i credenti è la vita con Dio, con un corpo speciale.
Il cristianesimo asserisce tale unita di - corpo, anima e spirito - dell'uomo con la fede "nella risurrezione della carne", cioè il risveglio in un "corpo glorioso", espressa nel Simbolo o Credo Apostolico.

Nel Credo o Simbolo Atanasiano "Quicumque vult" del IV secolo, scritto per combattere l'arianesimo, usato nel rito ambrosiano in luogo del Te Deum, la parte terminale su Cristo recita: "Uguale al Padre secondo la divinità: inferiore al Padre secondo l'umanità. E tuttavia, benché sia Dio e uomo, non è duplice ma è un solo Cristo. Uno solo, non per conversione della divinità in carne, ma per assunzione dell'umanità in Dio. Totalmente uno, non per confusione di sostanze, ma per l'unità della persona. Come, infatti, anima razionale e carne sono un solo uomo, così Dio e uomo sono un solo Cristo. Che patì per la nostra salvezza: discese agli inferi: il terzo giorno è risuscitato dai morti. È salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti. Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere con i loro corpi: e dovranno rendere conto delle proprie azioni. Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna: coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno. Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l'abbraccerà fedelmente e fermamente. Amen."

L'antico ebraismo e il giudaesimo, in effetti, ritengono che dopo la morte, l'uomo debba avere degna sepoltura sotto terra, per cui è opera di misericordia "dare sepoltura ai morti".
Il defunto si risveglia, nel ventre della terra, come un'ombra per corpo e con anima e spirito, si ritrova in un luogo particolare, chiamato lo "Sheol" (Filippesi 2,10; Atti 2,24; Efesini 4,9; Apocalisse 1,18), anche "Inferi" o "Ade".
È questo il soggiorno dei morti privi della visione di Dio (Salmo 6,6 e 88,11-13), luogo di silenzio e d'oblio, ove sono riuniti i defunti senza distinzione d'età e rango sociale; quindi, tutti risiedono nello stesso luogo, ricchi e poveri, vecchi e giovani, padroni e schiavi.
C'è però per gli ebrei e c'era anche per i cristiani, un'estremità dello "Sheol", un lembo, detto "Limbo", dal latino "limbus", in cui stavano i giusti, i pii, separati dagli empi, luogo che è detto il "seno di Abramo" nella parabola di "Lazzaro e del ricco epulone" (Luca 16,19-31), mentre gli empi erano nell'arsura in un luogo di tormenti, un "purgatorio".
Del resto, la separazione e la liberazione dei buoni era stata predetta da:
  • Osea 13,14 - "Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte? Dov'è, o morte, la tua peste? Dov'è, o inferi, il vostro sterminio?";
  • Zaccaria 9,11 - "Quanto a te, per il sangue dell'alleanza con te, estrarrò i tuoi prigionieri dal pozzo senz'acqua."
Per l'ebraismo, del resto, fino all'avvento del Messia, il Paradiso o le porte dei cieli sono chiuse e dopo la morte per l'uomo, vi sono tre possibili destinazioni nello Sheol, appunto, il Limbo, il Purgatorio o Geenna per essere purificato nel fuoco e l'Inferno con la seconda morte, "lo stagno di fuoco" di cui parla l'Apocalisse in 19,20 e 20,10.14s.
Proprio per l'idea del purgatorio è usanza nell'ebraismo fare offerta e pregare per i morti, per accelerare l'espiazione dei loro peccati, ma ciò nell'ebraismo è utile per il tempo massimo di un anno, mentre nel cristianesimo il "purgatorio" resta un tempo indefinito.
Nell'ebraismo non esiste l'idea di una pena eterna, ma come ogni anno c'è il "Jom Kippur", preceduto dal giudizio e perdono se ci sono stati pentimento e giuste opere riparatorie dei peccati fatti durante l'anno, cosi accade per il morto ebreo dopo 12 mesi dalla morte altrimenti, se ne ricorrono gli estremi, c'è l'annientamento della persona.
Gli ebrei, infatti, fanno il "Kaddish" per undici mesi, insomma, pregano e intercedono per il padre defunto, per quel tempo, poi o è in seno ad Abramo o non ha bisogno di altre preghiere, perché ormai morto per sempre.
Si trova, infatti, nel Talmud che:
  • "Il Santo - benedetto Egli sia - condanna i malvagi nella Geenna per 12 mesi. Prima li affligge col prurito, quindi col fuoco e infine con la neve. Dopo 12 mesi i loro corpi sono distrutti, le loro anime sono bruciate e sparpagliate dal vento sotto le piante dei piedi dei giusti..." (Sanh.29b; Tos.Sanh.13,4-5).
  • per gli ebrei la vita in questo mondo è un sessantesimo dell'esistenza dopo la morte (Berakhòth 57b), come se la vita dopo la morte possa non essere di durata eterna come ritiene il cristianesimo.
Il seno di Abramo, di fatto, è anche il limbo dei cristiani da cui alla risurrezione di Cristo, disceso agli inferi, com'è detto nel Simbolo Apostolico "...patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mori e fu sepolto; discese agli Inferi; il terzo giorno risuscitò da morte...", ha portato in cielo i giusti e i santi dell' Antico Testamento.
Per il cristianesimo Gesù ha aperto il cielo e ha assolto la promessa fatta al buon ladrone: "Oggi sarai con me in paradiso" (Luca 23,43).

Al riguardo, si trova nel:
  • Catechismo Romano "Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all'Inferno (gli inferi)."
  • Concilio di Toledo IV (625) "Gesù non è disceso agli Inferi per liberare i dannati, ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto."
In tale limbo si pensavano collocabili anche gli innocenti, ossia i bambini non battezzati e questa non era una verità dogmatica, ma un'ipotesi teologica.
Su tale questione c'è stato il pronunciamento della Congregazione per la dottrina della fede nel 2007, al tempo di Benedetto XVI, con cui ha precisato che i bimbi morti senza Battesimo sono affidati "alla misericordia di Dio... che vuole salvi tutti gli uomini".
Di fatto la "vita eterna" con lo stare "faccia a faccia" con Dio era in esclusivo potere di Dio e dei suoi angeli, ma l'uomo dopo la "cacciata" dal Paradiso Terrestre ove parlava faccia a faccia col suo Creatore aveva perso per sempre la propria occasione di godere di questo.
Nel Giudaismo attuale la concezione di "vita dopo la morte" si è avvicinata a quella cristiana e per cui alla venuta del Messia vi sarà la risurrezione di tutti gli esseri umani e dopo il Giudizio Finale chi se lo sarà meritato, sarà premiato "per sempre", ma su ciò è da capire quale sia il vero sentire e la sua evoluzione.
Sono tipici dell'escatologia ebraico-giudaica e cristiana i seguenti temi che nei due ambiti alcuni hanno importanti diversità, come poi vedremo:
  • messianismo;
  • vita oltre la morte;
  • risurrezione dei morti;
  • giorno del giudizio;
  • fine di questo mondo;
  • entrata in una nuova vita.
A detta degli stessi ebrei, in effetti, il sorgere del loro pensiero escatologico è frutto dell'evento degli esili, acuitosi e influenzato dalle persecuzioni di cui l'ultima, la più scottante e scellerata, fu il genocidio della "Shoà" ove oltre 1/3 dei circa 15.000.000 di ebrei del 1939 sono stati eliminati.
(Vedi: "Popolo in diaspora")

Dall'ebraismo quelle dolorose esperienze, infatti, sono state sempre valutate quali presagi di una redenzione finale in un tempo futuro in cui sarebbero terminati i dolori che opprimono l'umanità, ma non era ancora precisato se tale speranza riguardava una sorte ultraterrena o meno.

Il profeta Geremia 29,10s a tale riguardo del resto, infatti, aveva profetizzato: "Pertanto dice il Signore: Solamente quando saranno compiuti, riguardo a Babilonia, settanta anni, vi visiterò e realizzerò per voi la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo. Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo - dice il Signore - progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza."

E quel futuro per il momento fu il ritorno in patria, ma non ancora la libertà politica cui anelavano e tantomeno non c'era ancora nessuna apertura verso i Cieli come quella che chiaramente presentano ormai maturata con i Vangeli.
Ora, quel tempo di ritorno dall'esilio da Babilonia fu preceduto dall'avvento dell'imperatore dei Persiani, Ciro, un illuminato capo militare che, divenuto imperatore dei Medi, vinti gli Assiri, e poi Nabonide l'ultimo re dei Caldei, a Babilonia emise il suo famoso "editto", che consentì il rientro degli esiliati.
Ciro nel deutero-Isaia 45,1 fu definito dal Signore stesso come "Suo eletto", usando il termine ebraico di "mashiach" , quindi, di "unto", "un cristo", un'anteprima del Messia che gli Ebrei ancora attendono.
Del resto, il Signore Dio, Creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che esiste, elegge chiunque voglia per i piani di salvezza dell'umanità e il fatto di Ciro insegna che IHWH è il padrone che guida la storia di tutti i popoli e per i suoi scopi sceglie chi vuole, di qualsiasi nazione sia.
Gli Israeliti al tempo della dominazione romana attendevano il Messia che similmente alla figura di Ciro rivestisse la funzione di capo militare illuminato favorito da Dio essenzialmente per portare l'auspicata autonomia politica e ripristinare il regno di Davide.

Si trova, infatti, in Isaia 45,1: "Dice il Signore del suo eletto , di Ciro: Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso." e prosegue al versetto 4, "io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca".

Ora, il Ciro, che conosciamo dalla storia fu del tutto diverso dal messia riconosciuto dai cristiani, Gesù di Nazaret.
Eppure c'era anche la profezia del profeta Zaccaria 10,9: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina", ove il personaggio descritto calza bene, come ricordano i Vangeli, a Gesù di Nazaret, ma anche questo non bastò.
Per l'ebraismo le tappe degli ultimi tempi in successione sono:
  • il ritorno dalla diaspora del mondo nello Stato d'Israele (Daniele 9,24-27);
  • la ricostruzione del Terzo Tempio (Ezechiele 40);
  • la venuta del Messia della Casa di Davide;
  • il riconoscimento di tutte le Nazioni del Dio Unico d'Israele (Isaia 52,13 e 53,5);
  • la risurrezione dei morti (Isaia 11,2 ; 25,8; 26,19).
A questo punto è da precisare che per l'ebraismo attuale, dopo la scissione della "setta" dei cristiani, il Messia non avrebbe natura divina, ma solo umana, purtuttavia non è detto che questa sia stata da sempre la fede di tutto l'ebraismo, com'è invece appare ora nell'ebraismo residuale.
L'ebraismo, in effetti, oggi si scandalizza del termine Figlio di Dio, citato in tal modo nel deuteronomico Sapienza 2,18 e 18,13 e 44 volte nel Nuovo Testamento ed esclude una tale possibilità.
È però da considerare che non si tratta di generazione umana, ma divina, non di paternità ma di natura, e come dice il Simbolo Atanasiano "Uno solo, non per conversione della divinità in carne, ma per assunzione dell'umanità in Dio".
Del resto gli ebrei ammettono l'esistenza di angeli con natura non terrena e che possano presentarsi con un corpo terreno e almeno 60 volte nell' Antico Testamento sono le citazioni dell'angelo del Signore o di IHWH che si manifesta.
Per il cristianesimo invece il Messia oltre che essere figlio di Davide, Isaia 11,1, ossia che nasce tra i suoi discendenti, ha due nature, l'umana e la divina, quindi, è vero Dio e vero uomo, infatti:
  • eterno, Salmo 102,25-27; Isaia 9,5 e 48,16a; Michea 5,2c;
  • da prima della creazione, Proverbi 8,22-23;
  • il creatore di ogni cosa, Salmo 102,25-27b;
  • il Signore, Salmo 110,1a;
  • Dio, Salmo 45,6-7b; Isaia 7,14c; Isaia 40,3c; Zaccaria 11,10-13db;
  • il Santo dei Santi, Daniele 9,24b;
  • sia Dio che uomo, Isaia 9,6d; Zaccaria 12,10b e 13,7c;
  • Figlio di Dio, Salmo 2,7-12; 2Samuele 7,13-14; 1Cronache 17,13s; Isaia 9,6b;
  • Lui che avrebbe chiamato Dio suo Padre, Salmo 89,26.
Per il cristianesimo, in successione, dopo la morte in croce, la risurrezione e l'ascesa al cielo del Messia, vero Dio e vero uomo, Gesù di Nazaret, il servo sofferente, le tappe finali sono l'invio dello Spirito Santo, la nascita della Chiesa Sposa di Cristo che col "Battesimo" fa venire alla luce figli di Dio che portano avanti l'evangelizzazione nel mondo e costituiscono la Chiesa vigilante che attende il ritorno del Messia nella gloria.
Da tale momento le tappe finali fondamentali per ebraismo e cristianesimo sono del tutto formalmente simili:
  • il giorno del combattimento finale contro il male, battaglia dell'Armageddon (Gog e Magog, Ezechiele 38 e 39; Zaccaria 12 e 14 nonché Apocalisse 20,10);
  • la risurrezione dai morti e il giorno del giudizio;
  • la fine del mondo attuale;
  • un nuovo cielo e una nuova terra;
  • la fine dei tempi;
  • la vita nuova nella Nuova Gerusalemme che è Vita Eterna.
Per l'ebraismo le posizioni sono variegate, mentre per il cristianesimo, grazie alla rivelazione nei Vangeli successiva all'Antico Testamento, è certa la dissolvenza di questo mondo fisico con la fine dei tempi e l'inizio di una nuova creazione, che si sintetizza in una Gerusalemme celeste, la Città di Dio in cui l'umanità felice vivrà in una continua eucarestia assieme agli angeli del Cielo e godrà della presenza del Signore che vedrà faccia a faccia, quindi, attende un mondo nuovo del tutto "spirituale" in cui l'umanità redenta vivrà nella propria carne trasformata in "risorta" e "gloriosa".
La Tenak o Bibbia ebraica da sola non fornisce all'ebreo non cristiano la certezza di una tale pur possibile posizione come proiezione dello stesso Antico Testamento, quindi, l'ebreo con la prima rivelazione del Sinai aveva l'alternativa di poter pensare sia a una vita su una terra senza più il male, nel "Gan Eden" celeste o Paradiso ricostituito, quello di prima della cacciata quando gli animali addirittura erano in pace tra loro come nella visione idilliaca di Isaia al capitolo 11, o come hanno sviluppato i cristiani che provenivano dagli ebrei, come vita presso Dio nel "Gan Eden" o Paradiso celeste.
Del resto, se si cerca il termine "Vita Eterna", una tale dizione nella Bibbia (C.E.I. 1975) si trova tradotta in tal modo per 45 volte, di cui ben 43 nel Nuovo Testamento e solo 2 volte nell'Antico Testamento e di queste la:
  • prima nei libri dei Maccabei che sono tra i testi deuterocanonici, appunto non riconosciuti canonici dagli ebrei, precisamente in 2Maccabei 7,36;
  • seconda volta nel libro di Daniele che gli ebrei nella loro Bibbia o Tenak non pongono tra i profeti, ma tra gli altri scritti i "Ketuvim".
In Daniele 12,2, infatti, si trova: "Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna" e prosegue al versetto successivo con: "I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre."
Questa "vita eterna" nel testo di Daniele è la "chayey a'olam" , ma il termine "a'olam" o è molto ampio e riguarda un tempo della durata indefinita e incalcolabile che può essere del passato o del futuro e come aggettivo ha ampi significati, da "durevole", a "di un tempo", anche di "primigenio" e, infine, di "per sempre" e di "eterno".
Anche in questo mio articolo si troveranno interpretazioni di parole ebraiche con l'uso dei significati grafici delle 22 lettere di quel alfabeto e tale modo di operare apre la comprensione di aspetti non immediati.
Tali lettere, infatti, sono anche icone in grado di trasmettere messaggi; si vedano:
Tenendo presente tale peculiarità delle lettere ebraiche, si possono ottenere seconde facce d'interi versetti e capitoli, sempre relative al Messia, finalità nascosta di tutta la Sacra Scrittura giudaica, come si può trovare nei miei numerosi articoli tutti in questo mio Sito.
Dal punto di vista del significato grafico insito nelle lettere ebraiche si ha potenzialmente due possibilità, tornare al Paradiso Terrestre o andare nei Cieli spirituali ove vive il Creatore:
  • "vedersi portati - riportati col Potente a vivere ";
  • "vedere il Potente da vivi " e "in alto vivere ".
Ora, "l'uomo", essere intelligente legato alla dimensione "tempo", con una vita di durata limitata in questa terra, un bipede, della specie dei primati per la scienza, ha elaborato un concetto alto, quello del "divino" che vive in un'altra sfera di realtà, quella che si può definire "spirituale", le cui le dimensioni non hanno senso nello spazio-tempo, perché Dio opera nell'infinito e nell'eternità, concetti che pur se li travalicano, dall'uomo stesso non possono che essere immaginati come ampiezza e durata estremamente dilatati.
L'eternità, allora, diviene l'estrapolazione di un tempo lunghissimo, molto più lungo di ogni tempo conosciuto, quindi, razionalmente il più lungo tempo vissuto dall'uomo che, quindi, ha per dimensione massima di confronto possibile il periodo che s'immagina passato dalla porta del tempo, vale a dire dalle origini della creazione ad oggi, in quanto questa è la massima "durata dei tempi", diciamo "conosciuta", da cui si può estrapolare in modo pratico un tempo molto lungo e come limite la stessa idea astratta di "eternità".

Ecco che il termine ebraico che la definisce, "o'lam" = , risente di questo pensiero e spesso nella traduzione viene usata la dizione "per sempre".
Il "per sempre" però non chiarisce se s'intenda parlare del concetto di eternità nel senso "spirituale" della parola o di una lunga durata di tempo fisico.
Altro termine che definisce "eternità" o "per sempre" è "a'd" , ma anche per questo resta il dubbio che ho detto.
Del resto le lettere dicono "si vede la porta " e questa può essere sia la porta di entrata del tempo, l'origine, o la porta di uscita dal tempo, la fine dei tempi e l'inizio di una nuova dimensione.
Ora, se si cerca nella traduzione C.E.I. del 1975 l'espressione "per sempre", si trova che è usata 262, volte di cui solo 18 nel Nuovo Testamento mentre il termine "eternità" si trova così tradotto solo 13 volte di cui 3 nel Nuovo Testamento e 10 nell' Antico Testamento, ma se poi tra quelle nell'Antico Testamento si cerca tra le citazioni ben poche si riferiscono al tempo che deve venire, ma molte si riferiscono all'origine e ai "tempi" prima di questa.
Un versetto ha destato la mia curiosità ed è Qoelet 3,11 che recita:
  • secondo C.E.I. 2008: "Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine."
  • secondo C.E.I. 1975: "Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine."
Questo versetto serve bene a chiarire quanto andavo dicendo tanto che la stessa C.E.I. oscilla con traduzioni diverse che riflettono l'ambiguità del termine.
Questi pensieri nascondono a mio parere un fatto radicale proprio connesso all'idea dell'esilio e della diaspora che è stata per secoli la condizione esistenziale del popolo ebraico.
Il tempo che nei racconti in esilio ha assunto dimensioni mitiche da età dell'oro il regno di Davide e di Salomone, vissuto con nostalgia e desiderio per cui assume lo stesso aspetto del "Gan Eden" o Paradiso Terrestre da cui Adamo fu "esiliato" e in cui era "faccia a faccia" col Signore, quindi funge da paradigma della massima situazione godibile per l'uomo e di felicità immaginabile.
Tornare alle origini è l'aspirazione pratica, mentre l'idea di un Regno spirituale, non di questo mondo, non è esplicitata in modo palese nell'Antico Testamento.
"Il Regno dei Cieli", peraltro, citato 33 volte soltanto nel Nuovo Testamento, per l'ebreo dell'Antico Testamento, di fatto, evidentemente risultava essere un termine poco concreto rispetto alla vita sulla terra attesa che diventasse un "paradiso", quindi, è da concludere che il Regno dei Cieli è piuttosto una elaborazione apocalittica successiva alla Tenak.
Quella di una vita perfetta su questa terra, invece, è una posizione che fu nettamente superata dal cristianesimo e il Regno dei Cieli proposto dall'ebreo Gesù Cristo, che pure l'aggancia a idee bibliche non ha nulla di terrestre, ma è vissuto nella sua dimensione "spirituale" e trova sorpresi e impreparati non solo i pagani come Pilato, ma anche molti del suo tempo.
Quel versetto di Daniele 12,2 è come il forellino di una clessidra o il fuoco di una lente che quali punti di snodo fanno passare a un tempo diverso e a una visione nuova.
Certamente qualcosa del genere deve essere iniziato a maturare con i monaci Esseni prima del cristianesimo che attendevano appunto il Regno di Dio, il Regno dei Cieli.
Nell'ambito di quel capitolo 12 di Daniele c'è poi un versetto particolare che eccita particolarmente la ricerca di chi scruta le Sacre Scritture, perché fa intuire che vi sono delle verità da interpretare che potranno essere comprese solo se chi l'esaminerà si renderà conto di trovarsi nell'ambito di quel periodo di "fino al tempo della fine".
Qui Daniele è esplicito, parla di:
"fino tempo della fine" "a'd e't qets",
con il seguente invito che l'angelo del Signore propone nel seguente modo: "Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino ( "a'd") al tempo ( "e't") della fine ( "qets"): allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta." (Daniele 12,4)
Si parla di mettere sotto sigillo, cioè di scrivere in un modo particolare, non usuale, per cui la lettura sia possibile soltanto se si possiede una chiave di lettura da scoprire che deve essere rivelata.
Quelle lettere "fino tempo della fine" "a'd e't qets" suggeriscono anche altro:
  • "l'Eterno nel tempo si verserà giù ";
  • "vedrete la conoscenza con i segni della fine ".
Con ciò Daniele pone all'attenzione dei cultori della parola d'investigare in questo libro sul tema del tempo della venuta dell'Eterno vale a dire sul pieno compimento da parte di Dio dell'Alleanza, in ebraico "Berit" , che con i segni delle lettere sta a significare che per il pieno compimento dell'Alleanza stessa deve avvenire che "dentro al corpo sarà alla fine ", vale a dire che Lui, lo Sposo, per la completezza del patto scenderà dai Cieli ed apparirà nel tempo.
Quel versetto, così come tutto il libro di Daniele, dagli Esseni e dai farisei cultori della parola, come certamente da Gesù e dai primi discepoli cristiani, fu attentamente valutato.
Guardate ai segni del tempi è in pratica l'invito che Gesù rivolge agli ebrei del suo tempo, infatti, si trova in:
  • Matteo 16,1-4 - "I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose: Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona. E lasciatili, se ne andò."
  • Luca 12,54-56 - "Diceva ancora alle folle: Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?"
Quel versetto, come tutto il libro di Daniele, divenne la base scritturistica della profezia della fine del tempo di come lo considerano gli uomini e apre a una visione nuova, quella dell'eternità, quindi, della creazione di un mondo nuovo del tutto spirituale con una nuova "carne".
Viene quindi a prospettarsi una visione dei tempi completamente divaricante tra ebraismo e cristianesimo, ossia una visione:
  • ciclica ebraica, per cui ogni 6000 anni ci sarebbero i 1000 anni del settimo giorno di creazione e di riposo, lo Shabbat del Signore;
  • lineare cristiana, in cui la storia del mondo ha una direzione con un inizio e una fine, con cieli nuovi e terra nuova e la vita nei Cieli.
Tutto ciò, intravisto da Daniele, diviene del tutto concreto grazie alla rivelazione di Gesù Cristo attraverso i Vangeli, in cui Lui, il Cristo spesso usa le visioni apocalittiche di Daniele.
Nella Bibbia, del resto, i seguenti pensieri, salvo che per "fine dei tempi" in Siracide 48,25", si trovano essenzialmente nel Nuovo Testamento:
  • "fine del mondo", sempre in bocca a Gesù in Matteo 13,39.40.49; 24,3 e 28,12;
  • "nuova creazione", pure in bocca a Gesù in Matteo 19,28;
  • "fine dei tempi", 1Corinzi 10,11; Giuda 18;
  • "mondo futuro", Ebrei 2,5 e 6,5.
Per l'ebraismo a meno che, stante il pensiero escatologico della cultura egizia che credeva nell'immortalità per risurrezione dei suoi faraoni e poi di personaggi illustri rispettosi dell'ordine della dea Maat, da cui l'ebraismo è uscito, non si dia poi per scontata e implicita la fede nella vita eterna in base all'alleanza con Dio, in effetti, se si va a guardare bene solo questo ultimo oracolo di Daniele parla esplicitamente di vita eterna ed è comune alle due "rivelazioni" del Sinai e di Gesù Cristo.
La letteratura ebraica successiva certamente ad esempio commenta:
  • Talmud, Rabbi Katina, "Il mondo esisterà per 6000 anni, dopo sarà desolato";
  • Pirke di Rabbi Eliezer, "Sei eoni per andare e tornare, per guerra e pace. Il settimo eone è interamente Shabbat per sempre."
Ne discende che, stante il calendario ebraico, la fine del mondo avverrebbe attorno al 2240 d.C., ma più che essere la fine di come s'immagina ora come termine fisico della vita sulla terra e di un cataclisma cosmico o che implichi la fine dell'esistenza del nostro pianeta, pare piuttosto riguardare l'entrare in un'epoca di 1000 anni di pace, quelli di cui parla l'Apocalisse che però apre alla discesa o all'ascesa della Sposa alla Gerusalemme Celeste.

L'Apocalisse di San Giovanni in 20,2-8 cita i 1000 anni in questo modo: "Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po' di tempo. Poi vidi alcuni troni - a quelli che vi sedettero fu dato il potere di giudicare - e le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con lui per mille anni. Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg, e radunarle per la guerra..."

Nella pratica gli ebrei religiosi, vivendo tra le nazioni, per le idee filosofie platoniche e la filosofia aristotelica circolanti, pur se ormai entrati nel pessimismo per il presentarsi nelle loro vicende dei tanti, falsi messia, presentatisi tra cui il "Bar Kokhba", il "Figlio della stella" che li aveva portatati alla III guerra giudaica, 132-135 d.C., e alla diaspora totale, influenzati poi dal sentire cristiano che cresceva nell'Ecumene, credevano non solo nell'immortalità spirituale, ma conservavano la fede in un'epoca messianica con la resurrezione dei morti.

Nel XII secolo il Maimonide, "Moeses Maimonides" 1135-1204, ossia "Rabbi Mosheh ben Maymōn" detto il Rambam, importante filosofo ebraico nel suo "Pirush Hamishnayot", trattato Sanhedrin, capitolo 10, sentì di riassumere nei seguenti "13 principi" la sua fede ebraica:
  1. Esistenza e Provvidenza di Dio;
  2. Unità e Unicità di Dio;
  3. Spiritualità e incorporeità di Dio;
  4. Eternità di Dio;
  5. Adorazione riservata solo a Dio;
  6. Dio è onnisciente;
  7. La Torah di Mosè è verità;
  8. Mosè primo e maggiore tra i profeti;
  9. La Torah di Dio data sul Sinai viene dal Cielo;
  10. La Torah che non cambierà mai;
  11. Ricompensa per i giusti e punizione per i malvagi;
  12. Venuta del Messia;
  13. Risurrezione dei morti.
Gli scritti rabbinici che parlano di "O'lam Hab'a", il mondo a venire, invero si dividono in quanto alcuni pensano l'epoca messianica come un tempo della storia della terra, altri ad un regno puramente spirituale.
L'Ebraismo certamente non crede che la morte sia la conclusione dell'esistenza umana, ma essendo interessato più a norme per una vita "kosher", lascia spazio ai propri credenti d'immaginare in modo variegato la vita dopo la morte.
Nella Torah si possono cogliere quali indizi di fede nella vita oltre la morte i le notazioni della fine terrena della vita di vari patriarchi che fa dicendo "si riunì ai suoi antenati" o ai "suo parenti" come per, Abramo in Genesi 25,8, Ismaele in Genesi 25,17, Isacco in Genesi 35,29, Giacobbe in Genesi 48,33, Aronne in Numeri 20,24.26 e Deuteronomio 33,50 e per re Giosia in 2Re 22,20.
Quali allusioni di vita eterna l'interpreta lo stesso Gesù quando dice: "Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi". (Matteo 22,31s; Luca 20,37s)

L'ebraismo, insomma, s'interessa essenzialmente di una corretta vita terrena mentre sulla questione di ciò che può accadere dopo la morte non vi è un'unica fede per cui tra gli ebrei c'è chi crede per i giusti un posto simile a quello dei cristiani e l'attesa della resurrezione del Messia, ma si trovano anche chi crede nella reincarnazione e che i cattivi siano nei tormenti o cessino d'esistere.
Un punto fermo per l'ebraismo sulla questione lo pose nel XII secolo il Rambam, nel suo "Ma'amar Tehiyyat Hametim", "Il Trattato sulla Resurrezione" ove chiarì che la fede nella resurrezione è una verità fondamentale dell'Ebraismo e cita il versetto di Daniele 12,2 che ho già presentato e l'ultimo versetto nel canone ebraico del testo dello stesso Daniele, il 12,13 che chiude in questo modo: "Tu, va pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni."
San Paolo in 1Corinzi 15,42-44, sul tema della resurrezione della carne afferma: "Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale."

Quanto è seminato è l'uomo che è "carne" ossia nella propria condizione debole e mortale, ma avendo mangiato della carne del Risorto sarà risorta, perché i nostri "corpi mortali" (Romani 8,11) riprenderanno vita simile alla Sua, infatti, il Cristo ha detto: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno." (Giovanni 6,54).

Implicito con la risurrezione della carne è essere dotati di un corpo nuovo glorioso per essere inseriti in una nuova creazione ove comunque sarà salvaguardata l'individualità vissuta, vale a dire, ciascuno sarà riconosciuto e potrà riconoscere gli altri per vivere con Dio e vivere del Suo amore e dell'amore reciproco che legherà tra loro tutti i risorti.

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