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LA FEDE NELLA "VITA ETERNA"
di Alessandro Conti Puorger

L'ATTESA ESCATOLOGICA
L'escatologia, dal greco "" "éskhatos", ossia "ultimo", è l'esito della risposta all'inevitabile interrogarsi dell'uomo sul proprio destino e sul mondo in cui vive.
Una tale investigazione porta in genere a concepire pensieri religiosi e spirituali che, implicando come possibile l'idea di un Creatore e di vita oltre la morte diversa da quella che conosciamo, vanno a far parte integrante della teologia.
Secondo la fede che ciascuno le attribuisce quelle idee possono essere in grado d'orientare comportamenti di singoli, di gruppi e d'interi popoli e far flettere la loro storia in un verso o in un altro, influenzando anche altri popoli.
Particolari visioni escatologiche, del resto, hanno attraversato varie civiltà antiche, come gli Egizi, i Maya e gli Aztechi e le tre religioni monoteistiche abramitiche, ebraica-cristiana-islamica con evidenti riflessi sulla storia mondiale.
Nell'ebraismo l'escatologia è detta "'acharit ha-yamim" traducibile come:
  • "gli ultimi giorni", 6 volte in Antico Testamento e 3 Nuovo Testamento;
  • "la fine dei giorni", 7 volte in Antico Testamento;
  • "finire dei giorni", 2 volte in Antico Testamento.
La parola ebraica "'acarit" , peraltro, vuol dire "futuro, avvenire", quindi, "'acarit ha-yamim" può essere preso in senso relativo come "futuro dei giorni" o "dopo che saranno finiti i giorni ", quindi, potenzialmente può stare a significare due diverse realtà.
Per contro il dire "ultimo giorno" si trova 7 volte e solo nei Vangeli, 6 volte in bocca a Gesù, e la 7° in Giovanni 7,37 riguarda l'ultimo giorno della festa delle Capanne o "Sukkot" che nella tradizione ebraica è corrispondente, quindi allusivo, del giorno in cui tutti i popoli verranno dal Signore.
Questa di "Sukkot" secondo i rabbini, infatti, è quella delle 3 feste di pellegrinaggio - Pesach, Pentecoste e Sukkot - che si rivolge anche ai pagani in quanto nel Tempio erano offerti in sacrificio 70 tori per le 70 nazioni del mondo onde ingraziarsi gli angeli che Dio aveva posto a loro protezione.
Nell'era messianica tutte le nazioni, infatti, secondo il profeta Isaia in 2,2-3 saliranno a Gerusalemme a celebrare "Sukkot" per affermare la loro fede nell'Unico Dio: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri".
La "fine dei giorni", qui citata in Isaia, pare alludere alla fine dei giorni della "creazione, ossia al "grande sabato" del Riposo del Signore, inizio di un nuovo ciclo di sette "giorni".
Ecco che il tema apocalittico esplode nella Bibbia e da un certo momento in poi, dal ritorno dall'esilio di Babilonia diviene il filo rosso essenziale del pensiero ebraico tanto che ai tempi di Gesù c'era una forte tensione apocalittica che San Paolo evidenzia quando parla della "pienezza del tempo o dei tempi" in Efesini1,10 e Galati 4,4 e che si trova anche in Ebrei 9,26.
Ora, l'uomo, per com'è stato creato secondo la Bibbia, in particolare per quanto dice Genesi 2,7 - "il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" - è un essere inscindibile, sintesi di un corpo senziente, polvere della terra plasmata ad hoc in cui Dio che ha infuso lo spirito vivificato dal soffio divino o "nishmat", il dono del respiro, detto in ebraico "noefoesh" o anima, e tutto ciò è l'uomo nella sua essenza e interezza.
Non è, quindi, lecito suddividere l'uomo in parti che non resterebbero vive.
Tale pensiero è proprio sia dell'ebraismo, sia del cristianesimo, ma sovente in entrambi i campi si rinvengono discorsi come se fosse possibile l'esistenza dell'anima separata dal corpo, forse nati dalle idee platoniche dell'immortalità dell'anima, ma sono da ritenere degli schemi semplicistici di un momento ignoto, perché la morte, invero, è un evento che taglia tutti i ponti con le dimensioni di questo mondo e fa entrare in una sfera incognita che per gli atei è il nulla e per i credenti è la vita con Dio, con un corpo speciale.
Il cristianesimo asserisce tale unita di - corpo, anima e spirito - dell'uomo con la fede "nella risurrezione della carne", cioè il risveglio in un "corpo glorioso", espressa nel Simbolo o Credo Apostolico.

Nel Credo o Simbolo Atanasiano "Quicumque vult" del IV secolo, scritto per combattere l'arianesimo, usato nel rito ambrosiano in luogo del Te Deum, la parte terminale su Cristo recita: "Uguale al Padre secondo la divinità: inferiore al Padre secondo l'umanità. E tuttavia, benché sia Dio e uomo, non è duplice ma è un solo Cristo. Uno solo, non per conversione della divinità in carne, ma per assunzione dell'umanità in Dio. Totalmente uno, non per confusione di sostanze, ma per l'unità della persona. Come, infatti, anima razionale e carne sono un solo uomo, così Dio e uomo sono un solo Cristo. Che patì per la nostra salvezza: discese agli inferi: il terzo giorno è risuscitato dai morti. È salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti. Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere con i loro corpi: e dovranno rendere conto delle proprie azioni. Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna: coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno. Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l'abbraccerà fedelmente e fermamente. Amen."

L'antico ebraismo e il giudaesimo, in effetti, ritengono che dopo la morte, l'uomo debba avere degna sepoltura sotto terra, per cui è opera di misericordia "dare sepoltura ai morti".
Il defunto si risveglia, nel ventre della terra, come un'ombra per corpo e con anima e spirito, si ritrova in un luogo particolare, chiamato lo "Sheol" (Filippesi 2,10; Atti 2,24; Efesini 4,9; Apocalisse 1,18), anche "Inferi" o "Ade".
È questo il soggiorno dei morti privi della visione di Dio (Salmo 6,6 e 88,11-13), luogo di silenzio e d'oblio, ove sono riuniti i defunti senza distinzione d'età e rango sociale; quindi, tutti risiedono nello stesso luogo, ricchi e poveri, vecchi e giovani, padroni e schiavi.
C'è però per gli ebrei e c'era anche per i cristiani, un'estremità dello "Sheol", un lembo, detto "Limbo", dal latino "limbus", in cui stavano i giusti, i pii, separati dagli empi, luogo che è detto il "seno di Abramo" nella parabola di "Lazzaro e del ricco epulone" (Luca 16,19-31), mentre gli empi erano nell'arsura in un luogo di tormenti, un "purgatorio".
Del resto, la separazione e la liberazione dei buoni era stata predetta da:
  • Osea 13,14 - "Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte? Dov'è, o morte, la tua peste? Dov'è, o inferi, il vostro sterminio?";
  • Zaccaria 9,11 - "Quanto a te, per il sangue dell'alleanza con te, estrarrò i tuoi prigionieri dal pozzo senz'acqua."
Per l'ebraismo, del resto, fino all'avvento del Messia, il Paradiso o le porte dei cieli sono chiuse e dopo la morte per l'uomo, vi sono tre possibili destinazioni nello Sheol, appunto, il Limbo, il Purgatorio o Geenna per essere purificato nel fuoco e l'Inferno con la seconda morte, "lo stagno di fuoco" di cui parla l'Apocalisse in 19,20 e 20,10.14s.
Proprio per l'idea del purgatorio è usanza nell'ebraismo fare offerta e pregare per i morti, per accelerare l'espiazione dei loro peccati, ma ciò nell'ebraismo è utile per il tempo massimo di un anno, mentre nel cristianesimo il "purgatorio" resta un tempo indefinito.
Nell'ebraismo non esiste l'idea di una pena eterna, ma come ogni anno c'è il "Jom Kippur", preceduto dal giudizio e perdono se ci sono stati pentimento e giuste opere riparatorie dei peccati fatti durante l'anno, cosi accade per il morto ebreo dopo 12 mesi dalla morte altrimenti, se ne ricorrono gli estremi, c'è l'annientamento della persona.
Gli ebrei, infatti, fanno il "Kaddish" per undici mesi, insomma, pregano e intercedono per il padre defunto, per quel tempo, poi o è in seno ad Abramo o non ha bisogno di altre preghiere, perché ormai morto per sempre.
Si trova, infatti, nel Talmud che:
  • "Il Santo - benedetto Egli sia - condanna i malvagi nella Geenna per 12 mesi. Prima li affligge col prurito, quindi col fuoco e infine con la neve. Dopo 12 mesi i loro corpi sono distrutti, le loro anime sono bruciate e sparpagliate dal vento sotto le piante dei piedi dei giusti..." (Sanh.29b; Tos.Sanh.13,4-5).
  • per gli ebrei la vita in questo mondo è un sessantesimo dell'esistenza dopo la morte (Berakhòth 57b), come se la vita dopo la morte possa non essere di durata eterna come ritiene il cristianesimo.
Il seno di Abramo, di fatto, è anche il limbo dei cristiani da cui alla risurrezione di Cristo, disceso agli inferi, com'è detto nel Simbolo Apostolico "...patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mori e fu sepolto; discese agli Inferi; il terzo giorno risuscitò da morte...", ha portato in cielo i giusti e i santi dell' Antico Testamento.
Per il cristianesimo Gesù ha aperto il cielo e ha assolto la promessa fatta al buon ladrone: "Oggi sarai con me in paradiso" (Luca 23,43).

Al riguardo, si trova nel:
  • Catechismo Romano "Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all'Inferno (gli inferi)."
  • Concilio di Toledo IV (625) "Gesù non è disceso agli Inferi per liberare i dannati, ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto."
In tale limbo si pensavano collocabili anche gli innocenti, ossia i bambini non battezzati e questa non era una verità dogmatica, ma un'ipotesi teologica.
Su tale questione c'è stato il pronunciamento della Congregazione per la dottrina della fede nel 2007, al tempo di Benedetto XVI, con cui ha precisato che i bimbi morti senza Battesimo sono affidati "alla misericordia di Dio... che vuole salvi tutti gli uomini".
Di fatto la "vita eterna" con lo stare "faccia a faccia" con Dio era in esclusivo potere di Dio e dei suoi angeli, ma l'uomo dopo la "cacciata" dal Paradiso Terrestre ove parlava faccia a faccia col suo Creatore aveva perso per sempre la propria occasione di godere di questo.
Nel Giudaismo attuale la concezione di "vita dopo la morte" si è avvicinata a quella cristiana e per cui alla venuta del Messia vi sarà la risurrezione di tutti gli esseri umani e dopo il Giudizio Finale chi se lo sarà meritato, sarà premiato "per sempre", ma su ciò è da capire quale sia il vero sentire e la sua evoluzione.
Sono tipici dell'escatologia ebraico-giudaica e cristiana i seguenti temi che nei due ambiti alcuni hanno importanti diversità, come poi vedremo:
  • messianismo;
  • vita oltre la morte;
  • risurrezione dei morti;
  • giorno del giudizio;
  • fine di questo mondo;
  • entrata in una nuova vita.
A detta degli stessi ebrei, in effetti, il sorgere del loro pensiero escatologico è frutto dell'evento degli esili, acuitosi e influenzato dalle persecuzioni di cui l'ultima, la più scottante e scellerata, fu il genocidio della "Shoà" ove oltre 1/3 dei circa 15.000.000 di ebrei del 1939 sono stati eliminati.
(Vedi: "Popolo in diaspora")

Dall'ebraismo quelle dolorose esperienze, infatti, sono state sempre valutate quali presagi di una redenzione finale in un tempo futuro in cui sarebbero terminati i dolori che opprimono l'umanità, ma non era ancora precisato se tale speranza riguardava una sorte ultraterrena o meno.

Il profeta Geremia 29,10s a tale riguardo del resto, infatti, aveva profetizzato: "Pertanto dice il Signore: Solamente quando saranno compiuti, riguardo a Babilonia, settanta anni, vi visiterò e realizzerò per voi la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo. Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo - dice il Signore - progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza."

E quel futuro per il momento fu il ritorno in patria, ma non ancora la libertà politica cui anelavano e tantomeno non c'era ancora nessuna apertura verso i Cieli come quella che chiaramente presentano ormai maturata con i Vangeli.
Ora, quel tempo di ritorno dall'esilio da Babilonia fu preceduto dall'avvento dell'imperatore dei Persiani, Ciro, un illuminato capo militare che, divenuto imperatore dei Medi, vinti gli Assiri, e poi Nabonide l'ultimo re dei Caldei, a Babilonia emise il suo famoso "editto", che consentì il rientro degli esiliati.
Ciro nel deutero-Isaia 45,1 fu definito dal Signore stesso come "Suo eletto", usando il termine ebraico di "mashiach" , quindi, di "unto", "un cristo", un'anteprima del Messia che gli Ebrei ancora attendono.
Del resto, il Signore Dio, Creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che esiste, elegge chiunque voglia per i piani di salvezza dell'umanità e il fatto di Ciro insegna che IHWH è il padrone che guida la storia di tutti i popoli e per i suoi scopi sceglie chi vuole, di qualsiasi nazione sia.
Gli Israeliti al tempo della dominazione romana attendevano il Messia che similmente alla figura di Ciro rivestisse la funzione di capo militare illuminato favorito da Dio essenzialmente per portare l'auspicata autonomia politica e ripristinare il regno di Davide.

Si trova, infatti, in Isaia 45,1: "Dice il Signore del suo eletto , di Ciro: Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso." e prosegue al versetto 4, "io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca".

Ora, il Ciro, che conosciamo dalla storia fu del tutto diverso dal messia riconosciuto dai cristiani, Gesù di Nazaret.
Eppure c'era anche la profezia del profeta Zaccaria 10,9: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina", ove il personaggio descritto calza bene, come ricordano i Vangeli, a Gesù di Nazaret, ma anche questo non bastò.
Per l'ebraismo le tappe degli ultimi tempi in successione sono:
  • il ritorno dalla diaspora del mondo nello Stato d'Israele (Daniele 9,24-27);
  • la ricostruzione del Terzo Tempio (Ezechiele 40);
  • la venuta del Messia della Casa di Davide;
  • il riconoscimento di tutte le Nazioni del Dio Unico d'Israele (Isaia 52,13 e 53,5);
  • la risurrezione dei morti (Isaia 11,2 ; 25,8; 26,19).
A questo punto è da precisare che per l'ebraismo attuale, dopo la scissione della "setta" dei cristiani, il Messia non avrebbe natura divina, ma solo umana, purtuttavia non è detto che questa sia stata da sempre la fede di tutto l'ebraismo, com'è invece appare ora nell'ebraismo residuale.
L'ebraismo, in effetti, oggi si scandalizza del termine Figlio di Dio, citato in tal modo nel deuteronomico Sapienza 2,18 e 18,13 e 44 volte nel Nuovo Testamento ed esclude una tale possibilità.
È però da considerare che non si tratta di generazione umana, ma divina, non di paternità ma di natura, e come dice il Simbolo Atanasiano "Uno solo, non per conversione della divinità in carne, ma per assunzione dell'umanità in Dio".
Del resto gli ebrei ammettono l'esistenza di angeli con natura non terrena e che possano presentarsi con un corpo terreno e almeno 60 volte nell' Antico Testamento sono le citazioni dell'angelo del Signore o di IHWH che si manifesta.
Per il cristianesimo invece il Messia oltre che essere figlio di Davide, Isaia 11,1, ossia che nasce tra i suoi discendenti, ha due nature, l'umana e la divina, quindi, è vero Dio e vero uomo, infatti:
  • eterno, Salmo 102,25-27; Isaia 9,5 e 48,16a; Michea 5,2c;
  • da prima della creazione, Proverbi 8,22-23;
  • il creatore di ogni cosa, Salmo 102,25-27b;
  • il Signore, Salmo 110,1a;
  • Dio, Salmo 45,6-7b; Isaia 7,14c; Isaia 40,3c; Zaccaria 11,10-13db;
  • il Santo dei Santi, Daniele 9,24b;
  • sia Dio che uomo, Isaia 9,6d; Zaccaria 12,10b e 13,7c;
  • Figlio di Dio, Salmo 2,7-12; 2Samuele 7,13-14; 1Cronache 17,13s; Isaia 9,6b;
  • Lui che avrebbe chiamato Dio suo Padre, Salmo 89,26.
Per il cristianesimo, in successione, dopo la morte in croce, la risurrezione e l'ascesa al cielo del Messia, vero Dio e vero uomo, Gesù di Nazaret, il servo sofferente, le tappe finali sono l'invio dello Spirito Santo, la nascita della Chiesa Sposa di Cristo che col "Battesimo" fa venire alla luce figli di Dio che portano avanti l'evangelizzazione nel mondo e costituiscono la Chiesa vigilante che attende il ritorno del Messia nella gloria.
Da tale momento le tappe finali fondamentali per ebraismo e cristianesimo sono del tutto formalmente simili:
  • il giorno del combattimento finale contro il male, battaglia dell'Armageddon (Gog e Magog, Ezechiele 38 e 39; Zaccaria 12 e 14 nonché Apocalisse 20,10);
  • la risurrezione dai morti e il giorno del giudizio;
  • la fine del mondo attuale;
  • un nuovo cielo e una nuova terra;
  • la fine dei tempi;
  • la vita nuova nella Nuova Gerusalemme che è Vita Eterna.
Per l'ebraismo le posizioni sono variegate, mentre per il cristianesimo, grazie alla rivelazione nei Vangeli successiva all'Antico Testamento, è certa la dissolvenza di questo mondo fisico con la fine dei tempi e l'inizio di una nuova creazione, che si sintetizza in una Gerusalemme celeste, la Città di Dio in cui l'umanità felice vivrà in una continua eucarestia assieme agli angeli del Cielo e godrà della presenza del Signore che vedrà faccia a faccia, quindi, attende un mondo nuovo del tutto "spirituale" in cui l'umanità redenta vivrà nella propria carne trasformata in "risorta" e "gloriosa".
La Tenak o Bibbia ebraica da sola non fornisce all'ebreo non cristiano la certezza di una tale pur possibile posizione come proiezione dello stesso Antico Testamento, quindi, l'ebreo con la prima rivelazione del Sinai aveva l'alternativa di poter pensare sia a una vita su una terra senza più il male, nel "Gan Eden" celeste o Paradiso ricostituito, quello di prima della cacciata quando gli animali addirittura erano in pace tra loro come nella visione idilliaca di Isaia al capitolo 11, o come hanno sviluppato i cristiani che provenivano dagli ebrei, come vita presso Dio nel "Gan Eden" o Paradiso celeste.
Del resto, se si cerca il termine "Vita Eterna", una tale dizione nella Bibbia (C.E.I. 1975) si trova tradotta in tal modo per 45 volte, di cui ben 43 nel Nuovo Testamento e solo 2 volte nell'Antico Testamento e di queste la:
  • prima nei libri dei Maccabei che sono tra i testi deuterocanonici, appunto non riconosciuti canonici dagli ebrei, precisamente in 2Maccabei 7,36;
  • seconda volta nel libro di Daniele che gli ebrei nella loro Bibbia o Tenak non pongono tra i profeti, ma tra gli altri scritti i "Ketuvim".
In Daniele 12,2, infatti, si trova: "Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna" e prosegue al versetto successivo con: "I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre."
Questa "vita eterna" nel testo di Daniele è la "chayey a'olam" , ma il termine "a'olam" o è molto ampio e riguarda un tempo della durata indefinita e incalcolabile che può essere del passato o del futuro e come aggettivo ha ampi significati, da "durevole", a "di un tempo", anche di "primigenio" e, infine, di "per sempre" e di "eterno".
Anche in questo mio articolo si troveranno interpretazioni di parole ebraiche con l'uso dei significati grafici delle 22 lettere di quel alfabeto e tale modo di operare apre la comprensione di aspetti non immediati.
Tali lettere, infatti, sono anche icone in grado di trasmettere messaggi; si vedano:
Tenendo presente tale peculiarità delle lettere ebraiche, si possono ottenere seconde facce d'interi versetti e capitoli, sempre relative al Messia, finalità nascosta di tutta la Sacra Scrittura giudaica, come si può trovare nei miei numerosi articoli tutti in questo mio Sito.
Dal punto di vista del significato grafico insito nelle lettere ebraiche si ha potenzialmente due possibilità, tornare al Paradiso Terrestre o andare nei Cieli spirituali ove vive il Creatore:
  • "vedersi portati - riportati col Potente a vivere ";
  • "vedere il Potente da vivi " e "in alto vivere ".
Ora, "l'uomo", essere intelligente legato alla dimensione "tempo", con una vita di durata limitata in questa terra, un bipede, della specie dei primati per la scienza, ha elaborato un concetto alto, quello del "divino" che vive in un'altra sfera di realtà, quella che si può definire "spirituale", le cui le dimensioni non hanno senso nello spazio-tempo, perché Dio opera nell'infinito e nell'eternità, concetti che pur se li travalicano, dall'uomo stesso non possono che essere immaginati come ampiezza e durata estremamente dilatati.
L'eternità, allora, diviene l'estrapolazione di un tempo lunghissimo, molto più lungo di ogni tempo conosciuto, quindi, razionalmente il più lungo tempo vissuto dall'uomo che, quindi, ha per dimensione massima di confronto possibile il periodo che s'immagina passato dalla porta del tempo, vale a dire dalle origini della creazione ad oggi, in quanto questa è la massima "durata dei tempi", diciamo "conosciuta", da cui si può estrapolare in modo pratico un tempo molto lungo e come limite la stessa idea astratta di "eternità".

Ecco che il termine ebraico che la definisce, "o'lam" = , risente di questo pensiero e spesso nella traduzione viene usata la dizione "per sempre".
Il "per sempre" però non chiarisce se s'intenda parlare del concetto di eternità nel senso "spirituale" della parola o di una lunga durata di tempo fisico.
Altro termine che definisce "eternità" o "per sempre" è "a'd" , ma anche per questo resta il dubbio che ho detto.
Del resto le lettere dicono "si vede la porta " e questa può essere sia la porta di entrata del tempo, l'origine, o la porta di uscita dal tempo, la fine dei tempi e l'inizio di una nuova dimensione.
Ora, se si cerca nella traduzione C.E.I. del 1975 l'espressione "per sempre", si trova che è usata 262, volte di cui solo 18 nel Nuovo Testamento mentre il termine "eternità" si trova così tradotto solo 13 volte di cui 3 nel Nuovo Testamento e 10 nell' Antico Testamento, ma se poi tra quelle nell'Antico Testamento si cerca tra le citazioni ben poche si riferiscono al tempo che deve venire, ma molte si riferiscono all'origine e ai "tempi" prima di questa.
Un versetto ha destato la mia curiosità ed è Qoelet 3,11 che recita:
  • secondo C.E.I. 2008: "Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine."
  • secondo C.E.I. 1975: "Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine."
Questo versetto serve bene a chiarire quanto andavo dicendo tanto che la stessa C.E.I. oscilla con traduzioni diverse che riflettono l'ambiguità del termine.
Questi pensieri nascondono a mio parere un fatto radicale proprio connesso all'idea dell'esilio e della diaspora che è stata per secoli la condizione esistenziale del popolo ebraico.
Il tempo che nei racconti in esilio ha assunto dimensioni mitiche da età dell'oro il regno di Davide e di Salomone, vissuto con nostalgia e desiderio per cui assume lo stesso aspetto del "Gan Eden" o Paradiso Terrestre da cui Adamo fu "esiliato" e in cui era "faccia a faccia" col Signore, quindi funge da paradigma della massima situazione godibile per l'uomo e di felicità immaginabile.
Tornare alle origini è l'aspirazione pratica, mentre l'idea di un Regno spirituale, non di questo mondo, non è esplicitata in modo palese nell'Antico Testamento.
"Il Regno dei Cieli", peraltro, citato 33 volte soltanto nel Nuovo Testamento, per l'ebreo dell'Antico Testamento, di fatto, evidentemente risultava essere un termine poco concreto rispetto alla vita sulla terra attesa che diventasse un "paradiso", quindi, è da concludere che il Regno dei Cieli è piuttosto una elaborazione apocalittica successiva alla Tenak.
Quella di una vita perfetta su questa terra, invece, è una posizione che fu nettamente superata dal cristianesimo e il Regno dei Cieli proposto dall'ebreo Gesù Cristo, che pure l'aggancia a idee bibliche non ha nulla di terrestre, ma è vissuto nella sua dimensione "spirituale" e trova sorpresi e impreparati non solo i pagani come Pilato, ma anche molti del suo tempo.
Quel versetto di Daniele 12,2 è come il forellino di una clessidra o il fuoco di una lente che quali punti di snodo fanno passare a un tempo diverso e a una visione nuova.
Certamente qualcosa del genere deve essere iniziato a maturare con i monaci Esseni prima del cristianesimo che attendevano appunto il Regno di Dio, il Regno dei Cieli.
Nell'ambito di quel capitolo 12 di Daniele c'è poi un versetto particolare che eccita particolarmente la ricerca di chi scruta le Sacre Scritture, perché fa intuire che vi sono delle verità da interpretare che potranno essere comprese solo se chi l'esaminerà si renderà conto di trovarsi nell'ambito di quel periodo di "fino al tempo della fine".
Qui Daniele è esplicito, parla di:
"fino tempo della fine" "a'd e't qets",
con il seguente invito che l'angelo del Signore propone nel seguente modo: "Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino ( "a'd") al tempo ( "e't") della fine ( "qets"): allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta." (Daniele 12,4)
Si parla di mettere sotto sigillo, cioè di scrivere in un modo particolare, non usuale, per cui la lettura sia possibile soltanto se si possiede una chiave di lettura da scoprire che deve essere rivelata.
Quelle lettere "fino tempo della fine" "a'd e't qets" suggeriscono anche altro:
  • "l'Eterno nel tempo si verserà giù ";
  • "vedrete la conoscenza con i segni della fine ".
Con ciò Daniele pone all'attenzione dei cultori della parola d'investigare in questo libro sul tema del tempo della venuta dell'Eterno vale a dire sul pieno compimento da parte di Dio dell'Alleanza, in ebraico "Berit" , che con i segni delle lettere sta a significare che per il pieno compimento dell'Alleanza stessa deve avvenire che "dentro al corpo sarà alla fine ", vale a dire che Lui, lo Sposo, per la completezza del patto scenderà dai Cieli ed apparirà nel tempo.
Quel versetto, così come tutto il libro di Daniele, dagli Esseni e dai farisei cultori della parola, come certamente da Gesù e dai primi discepoli cristiani, fu attentamente valutato.
Guardate ai segni del tempi è in pratica l'invito che Gesù rivolge agli ebrei del suo tempo, infatti, si trova in:
  • Matteo 16,1-4 - "I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose: Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona. E lasciatili, se ne andò."
  • Luca 12,54-56 - "Diceva ancora alle folle: Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?"
Quel versetto, come tutto il libro di Daniele, divenne la base scritturistica della profezia della fine del tempo di come lo considerano gli uomini e apre a una visione nuova, quella dell'eternità, quindi, della creazione di un mondo nuovo del tutto spirituale con una nuova "carne".
Viene quindi a prospettarsi una visione dei tempi completamente divaricante tra ebraismo e cristianesimo, ossia una visione:
  • ciclica ebraica, per cui ogni 6000 anni ci sarebbero i 1000 anni del settimo giorno di creazione e di riposo, lo Shabbat del Signore;
  • lineare cristiana, in cui la storia del mondo ha una direzione con un inizio e una fine, con cieli nuovi e terra nuova e la vita nei Cieli.
Tutto ciò, intravisto da Daniele, diviene del tutto concreto grazie alla rivelazione di Gesù Cristo attraverso i Vangeli, in cui Lui, il Cristo spesso usa le visioni apocalittiche di Daniele.
Nella Bibbia, del resto, i seguenti pensieri, salvo che per "fine dei tempi" in Siracide 48,25", si trovano essenzialmente nel Nuovo Testamento:
  • "fine del mondo", sempre in bocca a Gesù in Matteo 13,39.40.49; 24,3 e 28,12;
  • "nuova creazione", pure in bocca a Gesù in Matteo 19,28;
  • "fine dei tempi", 1Corinzi 10,11; Giuda 18;
  • "mondo futuro", Ebrei 2,5 e 6,5.
Per l'ebraismo a meno che, stante il pensiero escatologico della cultura egizia che credeva nell'immortalità per risurrezione dei suoi faraoni e poi di personaggi illustri rispettosi dell'ordine della dea Maat, da cui l'ebraismo è uscito, non si dia poi per scontata e implicita la fede nella vita eterna in base all'alleanza con Dio, in effetti, se si va a guardare bene solo questo ultimo oracolo di Daniele parla esplicitamente di vita eterna ed è comune alle due "rivelazioni" del Sinai e di Gesù Cristo.
La letteratura ebraica successiva certamente ad esempio commenta:
  • Talmud, Rabbi Katina, "Il mondo esisterà per 6000 anni, dopo sarà desolato";
  • Pirke di Rabbi Eliezer, "Sei eoni per andare e tornare, per guerra e pace. Il settimo eone è interamente Shabbat per sempre."
Ne discende che, stante il calendario ebraico, la fine del mondo avverrebbe attorno al 2240 d.C., ma più che essere la fine di come s'immagina ora come termine fisico della vita sulla terra e di un cataclisma cosmico o che implichi la fine dell'esistenza del nostro pianeta, pare piuttosto riguardare l'entrare in un'epoca di 1000 anni di pace, quelli di cui parla l'Apocalisse che però apre alla discesa o all'ascesa della Sposa alla Gerusalemme Celeste.

L'Apocalisse di San Giovanni in 20,2-8 cita i 1000 anni in questo modo: "Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po' di tempo. Poi vidi alcuni troni - a quelli che vi sedettero fu dato il potere di giudicare - e le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con lui per mille anni. Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg, e radunarle per la guerra..."

Nella pratica gli ebrei religiosi, vivendo tra le nazioni, per le idee filosofie platoniche e la filosofia aristotelica circolanti, pur se ormai entrati nel pessimismo per il presentarsi nelle loro vicende dei tanti, falsi messia, presentatisi tra cui il "Bar Kokhba", il "Figlio della stella" che li aveva portatati alla III guerra giudaica, 132-135 d.C., e alla diaspora totale, influenzati poi dal sentire cristiano che cresceva nell'Ecumene, credevano non solo nell'immortalità spirituale, ma conservavano la fede in un'epoca messianica con la resurrezione dei morti.

Nel XII secolo il Maimonide, "Moeses Maimonides" 1135-1204, ossia "Rabbi Mosheh ben Maymōn" detto il Rambam, importante filosofo ebraico nel suo "Pirush Hamishnayot", trattato Sanhedrin, capitolo 10, sentì di riassumere nei seguenti "13 principi" la sua fede ebraica:
  1. Esistenza e Provvidenza di Dio;
  2. Unità e Unicità di Dio;
  3. Spiritualità e incorporeità di Dio;
  4. Eternità di Dio;
  5. Adorazione riservata solo a Dio;
  6. Dio è onnisciente;
  7. La Torah di Mosè è verità;
  8. Mosè primo e maggiore tra i profeti;
  9. La Torah di Dio data sul Sinai viene dal Cielo;
  10. La Torah che non cambierà mai;
  11. Ricompensa per i giusti e punizione per i malvagi;
  12. Venuta del Messia;
  13. Risurrezione dei morti.
Gli scritti rabbinici che parlano di "O'lam Hab'a", il mondo a venire, invero si dividono in quanto alcuni pensano l'epoca messianica come un tempo della storia della terra, altri ad un regno puramente spirituale.
L'Ebraismo certamente non crede che la morte sia la conclusione dell'esistenza umana, ma essendo interessato più a norme per una vita "kosher", lascia spazio ai propri credenti d'immaginare in modo variegato la vita dopo la morte.
Nella Torah si possono cogliere quali indizi di fede nella vita oltre la morte i le notazioni della fine terrena della vita di vari patriarchi che fa dicendo "si riunì ai suoi antenati" o ai "suo parenti" come per, Abramo in Genesi 25,8, Ismaele in Genesi 25,17, Isacco in Genesi 35,29, Giacobbe in Genesi 48,33, Aronne in Numeri 20,24.26 e Deuteronomio 33,50 e per re Giosia in 2Re 22,20.
Quali allusioni di vita eterna l'interpreta lo stesso Gesù quando dice: "Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi". (Matteo 22,31s; Luca 20,37s)

L'ebraismo, insomma, s'interessa essenzialmente di una corretta vita terrena mentre sulla questione di ciò che può accadere dopo la morte non vi è un'unica fede per cui tra gli ebrei c'è chi crede per i giusti un posto simile a quello dei cristiani e l'attesa della resurrezione del Messia, ma si trovano anche chi crede nella reincarnazione e che i cattivi siano nei tormenti o cessino d'esistere.
Un punto fermo per l'ebraismo sulla questione lo pose nel XII secolo il Rambam, nel suo "Ma'amar Tehiyyat Hametim", "Il Trattato sulla Resurrezione" ove chiarì che la fede nella resurrezione è una verità fondamentale dell'Ebraismo e cita il versetto di Daniele 12,2 che ho già presentato e l'ultimo versetto nel canone ebraico del testo dello stesso Daniele, il 12,13 che chiude in questo modo: "Tu, va pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni."
San Paolo in 1Corinzi 15,42-44, sul tema della resurrezione della carne afferma: "Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale."

Quanto è seminato è l'uomo che è "carne" ossia nella propria condizione debole e mortale, ma avendo mangiato della carne del Risorto sarà risorta, perché i nostri "corpi mortali" (Romani 8,11) riprenderanno vita simile alla Sua, infatti, il Cristo ha detto: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno." (Giovanni 6,54).

Implicito con la risurrezione della carne è essere dotati di un corpo nuovo glorioso per essere inseriti in una nuova creazione ove comunque sarà salvaguardata l'individualità vissuta, vale a dire, ciascuno sarà riconosciuto e potrà riconoscere gli altri per vivere con Dio e vivere del Suo amore e dell'amore reciproco che legherà tra loro tutti i risorti.

DANIELE UN NOME "DAVIDICO"
Nel precedente paragrafo sul tema della "Vita Eterna" è emerso nella sua importanza un versetto del libro di Daniele, che il canone della Bibbia cristiana pone tra i profeti maggiori assieme a Isaia, Geremia ed Ezechiele, che fa da cerniera per svoltare dal pensiero ebraico rivolto essenzialmente a conseguire una ordinata vita terrena, all'attesa, dietro l'angolo di questa, di un futuro non noto, ma desiderato.
Di tale libro mi sono interessato in passato con l'articolo "I geroglifici ebraici del libro di Daniele" alla cui lettura ovviamente rimando, di cui ho presentato decriptate tutte le parti in ebraico e aramaico, precisamente:
La seconda dal capitolo 7 al 12, riguarda le visioni apocalittiche:
Tutto ciò secondo le regole di decriptazione del mio metodo di cui in "Parlano le lettere" e con i significati grafici delle singole lettere ebraiche che hanno proprietà di vere e proprie icone o mini geroglifici che ho indicati nelle 22 schede relative che s'ottengono cliccando sui loro simboli a destra delle pagine di questo mio Sito.
Sono tornato a guardare a tale libro perché le sue profezie messianiche, colte dagli Israeliti dei secolo 1°, avanti e dopo, provocarono una forte tensione apocalittica che certamente influì sulle sorti di quel popolo e non solo.
Trattandosi di profezie messianiche mi sono chiesto come tale personaggio, reale o fantastico, si possa connettere col Messia davidico, perché certamente un davidico avrebbe avuto un forte stimolo a investigare il cielo essendo particolarmente in attesa del compimento delle promesse fatte da Dio al padre Davide in 2Samuele 7,12-16; 1Cronache 17,11-14.
Davide, come sappiamo dai libri storici della Bibbia, ebbe molte mogli e concubine, da cui nacquero numerosi figli e figlie.

Delle mogli si conoscono 8 nomi: Mikal figlia di Saul, che non ebbe figli da Davide, Achinoam di Izreel, Abigail di Carmel già moglie di Nabot, Maacà figlia del re di Ghesur, Agghìt, Abital, Egla e Betzabea già moglie di Uria, da cui nacquero:
  • 6 figli maschi nei 7,5 anni che regnò a Ebron;
  • 13 figli maschi nei 33 anni che regnò a Gerusalemme.
Al riguardo, infatti, in 1Cronache 3,1-9 si legge: "Questi furono i figli che nacquero a Davide a Ebron: il primogenito Amnon, nato da Achinoam di Izreel; il secondo Daniele, nato da Abigail di Carmel; il terzo Assalonne, figlio di Maacà, figlia di Talmai, re di Ghesur; il quarto Adonia, figlio di Agghìt; il quinto Sefatia, nato da Abital; il sesto Itream, nato da sua moglie Egla. Sei gli nacquero a Ebron, dove egli regnò sette anni e sei mesi, mentre regnò trentatré anni a Gerusalemme. I seguenti gli nacquero a Gerusalemme: Simeà, Sobab, Natan e Salomone, ossia quattro figli natigli da Betsabea, figlia di Ammièl; inoltre Ibcar, Elisamà, Elifèlet, Noga, Nefeg, Iafìa, Elisamà, Eliadà ed Elifèlet, ossia nove figli. Tutti costoro furono figli di Davide, senza contare i figli delle sue concubine. Tamar era loro sorella."

A questo punto in ordine per la successione al trono di Davide si presentavano:
  • 1° da Achinoam, Amnon, da fede , "il Fedele"
  • 2° da Abigail, Daniele, "Il mio giudice è Dio ";
  • 3° da Maacà, Assalonne, "Il padre (è) in pace";
  • 4° da Agghìt, Adonia, "il Signore IH(WH).
Nell'elenco di 1Cronache 3,1-9 è nominata anche una figlia, Tamar, perché poi si viene a sapere che subì violenza dal fratellastro, il primogenito Amnon e per vendetta il terzogenito Assalonne, fratello di Tamar, lo uccise (2Samuele 13,21-29); poi lo stesso Assalonne, rivoltatosi al padre, fu ucciso da Ioab generale di Davide.
Ecco che, morti il 1° Amnon e il 3° Assalonne, Daniele, il secondogenito, risultava in "pole position" per il trono, ma inopinatamente di questi la Bibbia non parla più, forse anche lui perito nelle faide per il trono, mentre la Bibbia parla poi di Adonia, il 4°, fatto uccidere da re Salomone designato a regnare da Davide a seguito degli intrighi della moglie favorita, Betsabea e di Natan, il profeta di corte.
Quel Daniele in 2Samuele 3,3 è detto Chiliab , nome profetico di uno che è "tutto il Padre ", ma anche "un retto , rifiuto di casa ", quindi, un principe buono che sarebbe dovuto essere re, ma che, di fatto, non lo fu e forse fu spodestato per cui gli calza bene il nome Daniele visto che ricorda che Dio è giudice , pensiero di grande conforto per chi ha fede e subisce ingiustizie in questo mondo e, seguendo tale pensiero, viene alla mente la figura di un davidico, Gesù di Nazaret, certamente rifiutato dai suoi contemporanei per seguire le proposte rivoluzionari di violenti.

Quel secondogenito a Davide nacque dalla moglie "Abigail di Carmel", già moglie di Nabal (lo stolto) di cui al racconto in 1Samuele 25, la quale con il suo accorto comportamento riuscì a evitare che l'ira di Davide contro l'ingrato marito fosse a tradursi in una tragedia.

Abigail nell'incontro in cui recò a Davide i generi di conforto che il marito aveva negato ebbe a dire: "Ora, mio signore, per la vita del Signore e per la tua vita, poiché il Signore ti ha impedito di venire al sangue e farti giustizia con la tua mano, siano appunto come Nabal (lo stolto) i tuoi nemici e coloro che cercano di fare il male al mio signore." (1Samuele 25,26)

E Davide rivolto ad Abigail esclamò: "Benedetto il Signore, Dio d'Israele, che ti ha mandato oggi incontro a me. Benedetto il tuo senno e benedetta tu che mi hai impedito oggi di venire al sangue e di fare giustizia da me. Viva sempre il Signore, Dio d'Israele, che mi ha impedito di farti il male..." (1Samuele 25,32-34)

Questo, quindi, fu il motivo per cui Davide e Abigail d'accordo scelsero per il loro primo figlio il nome Daniele "Il mio giudice è Dio".
Quel nome, Daniele, quindi, è da ritenere che rimase in uso tra i discendenti di Davide e divenne anche un nome usato fuori dalla famiglia e fu il nome di un personaggio, con spirito profetico, che le cui gesta si trovano nel libro, appunto, del profeta Daniele.
Si trova poi un Daniele in Esdra 8,2 e in Neemia 10,6.
L'inimicizia tra fratelli, peraltro, è un tema ricorrente nel libro della Genesi, si pensi a Caino e Abele, a Esaù e Giacobbe, alla storia di Giuseppe venduto dai fratelli ed ecco che nel libro di Daniele la figura del protagonista presenta varie analogie con quella di Giuseppe figlio di Giacobbe - Israele, infatti, entrambi:
  • sono condotti in schiavitù;
  • sono cortigiani potenti di un re straniero;
  • sono di bell'aspetto, con una catena d'oro;
  • lo spirito di Dio è con loro;
  • interpretano sogni con l'aiuto di Dio;
  • Dio fa loro conoscere il futuro.
Quanto narrato in Daniele e in Genesi su Giuseppe prepara altri due parallelismi:
  • il ritorno del popolo ebraico nella terra promessa dall'Egitto o da Babilonia;
  • il regno di Davide per Giuseppe e del Figlio d'Uomo per Daniele.
Il parere degli studiosi è dibattuto, infatti, alcuni pensano che Daniele del libro omonimo sia un personaggio letterario, altri che sia storico per i molti particolari nel libro stesso.
Il testo del resto ha parti in ebraico, in aramaico e in greco come se scritto in più tempi e alcune parti rivelano una redazione tardiva rispetto agli altri racconti in particolare per i capitoli 7 e 11 su Antioco Epifane con dettagli che superano ogni credibilità di una eventuale possibilità profetica e presentano particolari storici riferibili alla guerra tra Seleucidi e Lagidi.
Gli esperti lo pensano edito nel II secolo a.C. attorno al tempo dei Maccabei, ove il quel libro pare menzionato in quanto 1Maccabei 2,60 ricorda gli episodi dei tre giovani nella fornace e di Daniele salvato dalla fossa dei leoni cui si riferisce pure la lettera agli Ebrei 11,33.
E scritto in tre lingue:
  • in ebraico i versetti da 1,1 al 2,4 e i capitoli 8-12;
  • in aramaico, la lingua della diaspora, i versetti dal 2,5 al 7,28;
  • in greco, ha l'inserimento al capitolo 3,24-90 dei Cantici "di Azaria nella fornace" e "dei tre giovani", nonché aggiunte e testo variato nei capitoli 4-6 e le appendici capitoli 13 e 14 della storia di Susanna e la storia di Bel e il drago.
Solo una parte del libro è scritta in prima persona 7,2-9,27; 10,2-12,12; come se parlasse il profeta stesso, mentre le altre sono in terza persona.

Nella parte in aramaico si fa distinzione tra gli "dèi", gli "'elahin" e gli "dèi santi" "'elahin qaddishin" che si trovano citati in 4,5-6.15 e 5,11.14 e sono gli "'Elohim" in ebraico della creazione.

È stato osservato che le parti relative al popolo ebraico sono scritte in ebraico, quelle sugli altri popoli in aramaico, lingua commerciale e diplomatica del tempo e le aggiunte postume in greco, anche se sono stati trovati di queste anche manoscritti in aramaico.
Le parti in greco non sono contenute nel canone ebraico, quindi, sono considerate "apocrife" dalle chiese protestanti; ma canoniche dalla chiesa ortodossa e cattolica, che le inserisce fra i testi deuterocanonici.

Daniele, in effetti, secondo i racconti del proprio libro fu contemporaneo del profeta Ezechiele, nato da famiglia sacerdotale nel 620 a.C. nel regno di Giuda, deportato a Babilonia nel 597 a.C. assieme al re Ioiachin vissuto nel villaggio di Tel Abib sul fiume Chebar ove ebbe delle visioni riportate nel libro omonimo scritto nel V secolo a.C. su oracoli di quel profeta.
I due però tra loro non si citano anche se Daniele si trovano espressioni che paiono riferimenti alle visioni sul fiume Chebar di Ezechiele e al carro di fuoco:
  • ha visioni su un fiume;
  • su un "figlio dell'uomo";
  • in 10,5.6 ha la visione di "uomo vestito di lino, con ai fianchi una cintura d'oro di Ufaz; il suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l'aspetto della folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e le sue gambe somigliavano a bronzo lucente e il suono delle sue parole pareva il clamore di una moltitudine";
  • ha la visione del trono di Dio in 7,9: La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente." di Ezechiele.
In Ezechiele, invero, si trova un "Daniele", ma non è il profeta che ci interessa; le tre volte, infatti, che vi è nominato è in 14,14.20 e al 28,3 ove Ezechiele si rivolge al principe di Tiro paragonandolo ironicamente a "Daniele" come figura proverbiale di un saggio, "Noè, Daniele e Giobbe, essi con la loro giustizia salverebbero solo se stessi, oracolo del Signore Dio" (14,14), quindi, essendo stato posto assieme a Noè e a Giobbe lo fa presumere personaggio antico di grande fama, da tempo noto anche fuori d'Israele.
Alcuni studiosi comunque non escludono che Ezechiele s'ispiri anche al Daniele biblico, ritenuto personaggio reale. (H.H.P. Dressler, "The Identification of the Ugaritic DNIL with the Daniel of Ezekiel", "Vetus Testamentum", 1979)

Questo, peraltro, nei testi più antichi della Tenak, si trova riportato scritto in ebraico senza la "yod" intermedia, e non .

A Ugarit in Fenicia presso Tiro in località Ras ash-shamrah, "collina del finocchio" si trovò un testo in caratteri cuneiformi del XIV secolo a.C. (ora al Musée du Louvre) su un antico mitico eroe detto Danel (senza la "yod"), saggio e giusto: "Ecco Danel, l'eroe che sana, si alza, si siede dinanzi alla porta, sotto l'albero magnifico, presso l'aia, presiede il processo della vedova e giudica il caso dell'orfano". (Leggenda di Aqat V, 1-10 ANET 151) della razza dei "Refa'im", un leggendario popolo pre-cananeo di uomini immortali, quasi semidei, popolo di alta statura (Genesi 14,5 e 15,20 nonché 2Samule 21,15) e nel libro apocrifo di Enoch si parla di un angelo Daniele che ha aspetti simili al saggio Daniele di quei testi.

Del resto "'El" era anche un dio cananeo, quindi, , "'El" "giudice" .

Di un Danel come suocero di Enoc parla l'apocrifo dell'Antico Testamento "Libro dei Giubilei" della fine del II secolo a.C. citato nel "Documento di Damasco" utilizzato dagli Esseni assieme ai libri apocalittici di Enoc del I secolo a.C., trovato a Qumran.
Su Enoc nel "Libro dei Giubilei" in 4,17-24 infatti, si legge:

Giubilei 4,17 - Egli fu il primo, fra gli uomini nati sulla terra, ad imparare la scrittura, la dottrina e la scienza...
Giubilei 4,18 - Egli fu il primo a scrivere le testimonianze e le fece ascoltare alla umanità...
Giubilei 4,19 - Egli vide il passato ed il futuro in visioni notturne, in sonno, e quel che accadrà all'umanità, alle sue generazioni, fino al giorno del giudizio...
Giubilei 4,20 - E nel dodicesimo giubileo, nel settimo settennio, prese in moglie una donna chiamata Edena, figlia di Danel... e costei... gli generò un figlio ed egli lo chiamò Matusalemme...
Giubilei 4,21 - e stette, poi, sei giubilei con gli Angeli di Dio e gli mostrarono tutto quel che era in terra e nei cieli...
...
Giubilei 4,23 - Ed egli fu preso di tra i figli dell'uomo e noi lo portammo, per la grandezza e la gloria, nel giardino di Eden ed eccolo, colà, a scrivere il giudizio e la condanna del mondo e tutta la malvagità dell'umanità.
Giubilei 4,24 - E (il Signore), a causa sua, mandò il diluvio su tutta la terra di Eden, poiché colà egli fu posto come segno per testimoniare contro tutti i figli dell'uomo (e) per dire tutte le azioni delle generazioni fino al giorno del giudizio".

Danele - Edena - Eden - Den mettono in evidenza un processo mentale in cui le lettere evocano altre parole e idee che collegano a profezie per il ritorno al giardino di delizie, il "Gan Eden" delle origini, al "Paradiso" tanto desiderato.

Il libro del profeta Daniele inizia raccontando in 1,1-7: "L'anno terzo del regno di Ioiakìm, re di Giuda, Nabucodònosor, re di Babilonia, marciò su Gerusalemme e la cinse d'assedio. Il Signore diede Ioiakìm, re di Giuda, nelle sue mani, insieme con una parte degli arredi del tempio di Dio, ed egli li trasportò nel paese di Sinar, nel tempio del suo dio, e li depositò nel tesoro del tempio del suo dio. Il re ordinò ad Asfenàz, capo dei suoi funzionari di corte, di condurgli giovani israeliti di stirpe regale o di famiglia nobile, senza difetti, di bell'aspetto, dotati di ogni sapienza, istruiti, intelligenti e tali da poter stare nella reggia, e di insegnare loro la scrittura e la lingua dei Caldei. Il re assegnò loro una razione giornaliera delle sue vivande e del vino che egli beveva; dovevano essere educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re. Fra loro vi erano alcuni Giudei: Daniele, Anania, Misaele e Azaria; però il capo dei funzionari di corte diede loro altri nomi, chiamando Daniele Baltassar, Anania Sadrac, Misaele Mesac e Azaria Abdènego."

Sono qui da segnalare alcune imprecisioni, come se l'autore seguisse una trasmissione orale il che pare confermare che il vero autore del testo di fatto è ignoto, infatti, Nabucodonosor divenne re di Babilonia nel 605 a.C. e regnò fino al 562 a.C., l'assedio di Gerusalemme per conto di Nabucodonosor ci fu nel 597 a.C., quando re non era Ioiachim, ma ormai da tre mesi suo figlio Ioiachin, e Daniele fu deportato a Babilonia nel 597.
Nel 598, infatti, il regno di Giuda dovette affrontare una coalizione di moabiti, ammoniti ed edomiti, mentre l'atteso aiuto egiziano non ci fu, e per di più morì il re Joiakim che lasciò il trono al figlio Joiachin, ma dopo tre mesi Nabucodonosor conquistò Gerusalemme, fece prigioniero il re, ne designò uno di sua scelta, fece un abbondante bottino che portò a Babilonia; era il 16 marzo 597 a.C..
Fra i deportati, oltre al re Joiachin e i notabili della città ci sarebbe stato il profeta Daniele, allora giovanissimo, direi tra i 13 e i 16 anni (Daniele 1,3).
Tra l'altro secondo Daniele - cap.4 "Visione dell'albero" - Nabucodonosor sarebbe stato assente da Babilonia per un tempo, come preso da pazzia, causata da una punizione divina, che si sarebbe conclusa con una specie di conversione al Dio del Cielo segnalata in 4,33s.

Nabucodonosor morì nel 562 a.C. e in 2Re 25,27 si legge: "Ora nell'anno trentasette della deportazione di Ioiachìn, re di Giuda, nel decimosecondo mese, il ventisette del mese, Evil-Merodach re di Babilonia, nell'anno in cui divenne re, fece grazia a Ioiachìn re di Giuda e lo fece uscire dalla prigione.", era il 560 a.C..

Al capitolo 5 del libro di Daniele il figlio Baldassar co-reggente del regno di Nabonide o Nabonedo genero di Nabucodonosor, subito prima della conquista persiana di Babilonia aveva profanato gli oggetti di culto del tempio di Gerusalemme, asportati decenni dal nonno Nabucodonosor, ma un dito aveva scritto sul muro della sala del banchetto una profezia (Daniele 5,25-28), "Mene, Tekel, Peres", che annunciava la fine dell'impero Babilonese:
  • "Mene: Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto fine";
  • "Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato insufficiente";
  • "Peres: il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani".
Ciro il Grande, re dei Persiani, nel 539 a.C. conquistò Babilonia senza combattere, ma con la propaganda sfruttando il fatto che, contrariamente al pensiero prevalente del popolo Nabonide aveva preferito al culto del dio Marduk, quello del dio della luna, Ciro si proclamò figlio di Marduk, il popolo allora cacciò l'ultimo discendente di Nabucodonosor e accolse Ciro come salvatore che nel 538 a.C. emise l'editto della fine esilio anche per gli ebrei e l'onore e l'impegno di ricostruire il tempio di Gerusalemme, certo con la mira di conseguire il controllo dell'area fenicio-palestinese.

Daniele significa "Il mio giudice è Dio".
Anania "IHWH è benigno".
Misaele: "Chi appartiene a Dio?".
Azaria: "IHWH ha aiutato".

Daniele ricevette anche il nome babilonese "Bal-atshu-usur", ripetuto 10 volte nel libro, "proteggi la tua vita" o meglio "Bel proteggi il re"; traslitterato in ebraico come "Beltsh'atzar" ove Bel ricorda il dio di Babilonia e di Nabucodonosor come commenta lo stesso re in 4,5: "Infine mi si presentò Daniele, chiamato Baltassàr dal nome del mio dio, un uomo in cui è lo spirito degli dei santi, e gli raccontai il sogno".

Quell'inciso "di stirpe reale" per Daniele, chiamato in persiano Baltassar (1,3), fa pensare che fosse un davidico, quindi, potenzialmente uno della famiglia "reale" e lo storico ebreo Giuseppe Flavio in "Antichità Giudaiche", X,X,1 asserisce che, appunto era della stirpe davidica, quindi, della stessa della famiglia di Ioiakim e di Ioiakin; della stessa opinione è Girolamo in "Commento a Daniele".
Per tre volte per Daniele nel suo libro si trova la qualifica di "uomo prediletto" in 9,23 e 10,11.19 per bocca dell'angelo Gabriele e della figura d'uomo simile a quella era nel carro di fuoco di Ezechiele 1, vestito di lino e cintura d'oro, di corpo simile a topazio, con viso splendente come folgore, occhi fiammeggianti, braccia e gambe come bronzo lucente e voce potente.
La Bibbia, nella parte in greco in 14,2 nel testo detto dei LXX ha la seguente aggiunta riferita a Daniele "C'era un uomo che era un sacerdote figlio di Abal, amico del re di Babilonia" che non è accettata dall'ebraismo.
Nel testo poi per 8 volte si trova anche il nome del re Baldassàr, "Belsh'atzar", ma questi non è il figlio di Nabucodonosor, bensì di Nabonide, che regnò dal 556 al 539 a.C.; forse il figlio ha co-regnato col padre in preparazione alla successione che non avvenne a seguito del subentro di Ciro a Babilonia.
Altra imprecisione storica si trova quando al capitolo 6 Daniele viene nominato uno dei tre funzionari a capo dei 120 satrapi dell'impero da "Dario il Medo" che "ricevette il regno, all'età di circa sessantadue anni"; ora la storia non conosce un Dario il Medo, e s'ipotizza che "Dario" non sia un nome proprio, ma un titolo reale iraniano e, allora, quegli sarebbe il nome di un governatore messo a capo a Babilonia mentre Ciro era impegnato in altre conquiste.
Daniele e tre suoi compagni alla corte di Nabucodonosor, insomma, furono istruiti e appresero la scrittura e tutta la sapienza dei Babilonesi, quindi, furono ammessi al servizio del re e fu loro affidato il comando della provincia di Babilonia tanto che Daniele sarebbe diventato un visir.
Dopo il crollo dell'impero babilonese, durante il regno dei persiani, ossia al tempo che il libro indica come di Baldassar, Daniele fu reintegrato nel suo incarico e ottenne quell'alta carica al servizio di "Dario il Medo", quindi, di Ciro.
Il fatto d'essere messo a sovraintendere 1/3 delle satrapie fa intendere che Daniele con gli esuli ebrei aveva assunto un potere reale al tempo di Ciro che poi portò all'editto del rientro; quindi presumibilmente furono tra quelli che brigarono per la venuta dei liberatori persiani.
Non sappiamo né quando, né come Daniele morì, ma a guidare la prima spedizione di rientro in Giuda nel 538 a.C. non fu lui, ma Zorobabele, un altro davidico, quindi parente di Daniele.

GLI ESSENI E DANIELE
Dal libro "Testi di Qumran" di Florentino Garcia Martinez (Ed. Paideia), che riporta brani dei testi ritrovati e altro, ho tratto le seguenti informazioni.
I monaci Esseni, di cui molti vissero nel deserto di Giuda fino all'anno 70 d.C. a Qumran - località sulla sponda occidentale del Mar Morto - erano molto attenti alle scritture apocalittiche, in particolare ai libri dei Giubilei e di Enoch pur se non sono poi stati introdotti nel canone della Tenak ebraica.
Ritenevano i sommi sacerdoti corrotti e comunque non legittimi discendenti di Aronne erano in disaccordo coll'ebraismo e i sacerdoti del Tempio, rifiutavano i sacrifici degli animali e non partecipavano a nessun culto in comune a Gerusalemme.
Dalla comunità di questi, a parere di vari biblisti, uscirono i discepoli del Battista, che battezzavano lungo il Giordano e rifiutavano il culto e i sacrifici del Tempio.
Gli Esseni ritenevano di far parte della comunità dei Figli della Luce, gli Eletti, guidati dallo spirito di "verità", sotto la protezione dell'arcangelo Michele, in contrapposizione a ebrei e gentili, potenziali Figli delle Tenebre, predestinati all'inferno, guidati Belial - Satana.
La parte malvagia sarebbe stata sconfitta nella Guerra della Fine dei Giorni e solamente i giusti sarebbero sopravvissuti (Ved. Rotolo della Guerra).
Ogni uomo potenzialmente poteva essere un eletto e la prova della propria elezione la dava con la propria vita, per cui se si univa alla loro comunità avrebbe fatto certamente parte degli Eletti, quindi, preservato da sofferenze e dai peccati.
In 11 grotte a Qumran, infatti, tra 1947 e 1956 sono stati rinvenuti numerosi reperti, rotoli e frammenti di Scritture Sacre, apocrifi e d'altro tipo in genere contenuti in orci e in giare.
Si sono trovati circa 800 documenti tra cui:
  • "Manoscritti biblici", circa 200 documenti, e "Testi deuterocanonici" tra cui tre copie aramaiche e una ebraica del "Libro di Tobia", più alcuni frammenti del Siracide o "Ecclesiastico" e brevi testi per "Tefillim e mezuzot" con alcuni "Targumim", traduzioni in aramaico del Levitico e di Giobbe, libri apocrifi delll' Antico Testamento e "Commentari biblici";
  • scritti della comunità, quali vari scritti liturgici, il "Rotolo o Regola del Tempio" 11QTem, dagli Esseni considerato il VI libro della "Torah" con le aggiunte da loro usate, "Regola della Comunità o Manuale di Disciplina" (QS), "Documento di Damasco" sulla vita e la storia della setta, tra cui "Lettera Halakika" (4QMMT) indirizzata dal Maestro di Giustizia alla classe sacerdotale di Gerusalemme, capeggiata dal Sacerdote "empio" ove sono elencate le differenze di rito dei due gruppi, dei giusti e degli empi con invito a conformarsi alle usanze proposte dalla setta di Qumran;
  • Testi escatologici di vario tipo, tra cui anche il "Rotolo della Guerra" (QM) e "Rotolo di rame", 3Q15.
    (Vedi: "Il segreto del Rotolo di Rame: profezie sul Messia")
Tra quei testi escatologici vi sono varie copie dei libri dei Giubilei e di Enoch e sulla Descrizione della Nuova Gerusalemme da cui si comprende che attendevano prossimo l'avvento di un evento risolutivo.
Di tali libri vi si trovano i seguenti reperti:

Giubilei
  • 1Q17 e18, ossia 1QJub.a. copie del libro;
  • 2Q19 e 20, ossia 2QJub.b, frammenti;
  • 3Q5, ossia 3QJub, frammenti;
  • 4Q176, 216-224, ossia 4QJub.a.b.c.d.e.f.g.h, copie intere e frammenti;
  • 11Q12, ossia 11Qjub, copia del libro;
Enoch
  • 4Q201e2; 204-207 e 212, ossia 4QEnoc.a.b.c.d.e.f.g, resti di varie parti.
Descrizione della Nuova Gerusalemme (sulla scia di Ezechiele);
  • 1Q32, ossia 1QJN, in aramaico;
  • 2Q242 ossia 2QJN;
  • 4Q232.554.555, in ebraico frammenti;
  • 5Q15 e 11Q18 in aramaico frammenti.
Sull'onda di tale tendenza ci si rende conto che il libro di Daniele ha avuto grande attenzione presso quei monaci, infatti, nelle caverne 1, 4 e 6 sono stati trovati rotoli e frammenti a quel libro riferibili:
  • 1Q71 ossia 1Q Dan a, un frammento con due colonne di Daniele;
  • 1Q72 ossia 1Q Dan b, copia frammentaria di Daniele;
  • 4Q112-116 ossia 4Q Dan a, b, c, d, e, testo pressoché completo;
  • 4Q242 ossia 4QprNabonedo, preghiera di Nabonedo;
  • 4Q243-246 ossia 4QpsDan a, b, c, d; pseudo-Daniele o "Apocalisse aramaica"
  • 4Q551 ossia 4Q Daniele-Susanna;
  • 4Q552.553 sui Quattro Regni (da porre in parallelo alla visione di Daniele 7);
  • 6Q7 ossia 6QDan, resti di copia Daniele.
Questi reperti testimoniano che le parti bilingue in aramaico e in ebraico nel testo esistevano già nel I secolo a.C. e che il libro era simile a quello attuale, ma non sono stati trovati frammenti delle sezioni pervenute solo in greco.
Quei monaci credevano in un Messia, Figlio di Dio come appare chiaramente da 4Q246, ossia 4QpsDan.d.:
  • colonna I, 2-9 - " [Allora Daniele si levò e disse]: 'O [r]e, perché sei così adirato; perché [digrigni] i denti? [Il g]rande [Dio] ti ha rivelato ciò che sta per avvenire]. Tutto questo dovrà avvenire, fino all'eternità. [Vi sarà violenza e gr]andi [mali]. Oppressione verrà sulla terra. [I] Popoli faranno guerra], e (le) battaglie si moltiplicheranno tra le nazioni, [fino a quando si leverà il Re del popoli di Dio. Egli diverrà] il Re di Siria e dell'[Eg]itto. [Tutti i popoli lo serviranno], ed egli diverrà [gr]ande sulla terra. [...Tutti far]anno [pace], e tutti [lo] serviranno Egli verrà chiamato [figlio del Gr]ande [Dio]; dal suo nome verrà designato."
  • colonna II,1-10 - "Sarà chiamato Figlio di Dio e lo chiameranno Figlio dell'Altissimo, come le comete della visione (i regni della Bestia), così sarà il loro regno; regneranno per anni sulla terra e distruggeranno ogni cosa; un popolo ne distruggerà e una provincia un'altra... finché sorgerà il popolo di Dio e tutti abbandoneranno la spada. Il suo regno sarà un regno eterno (Daniele 7,25) e tutte le sue vie saranno secondo verità. Giudicherà la terra secondo verità e tutti faranno la pace. La spada sparirà dalla terra e tutte le province gli renderanno omaggio. Il grande Dio gli verrà in aiuto facendo la guerra per lui; metterà i popoli in suo potere e tutti li getterà davanti a lui. Il suo governo sarà un governo eterno (Daniele 7,14)..."
Del resto dall'esame dei vari "manoscritti di Qumran" si sa che gli Esseni, si erano prefigurati e attendevano il tempo in cui sarebbe apparso il Messia tra il 10 a.C. e il 2 d.C. (studi di Wacholder e di Beckwith)
Base di questo calcolo è proprio la profezia delle 70 settimane che si trova al capitolo 9 di Daniele e che poi vedremo.
Al riguardo, in particolare nel documento 11 Q Melch(isedek), ossia l'11Q13, colonna II, 15-18 si legge: "Questo è il tempo della pa(ce, di cui) parlò (Dio con le parole di Isai)a il profeta, che disse: (Come) sono belli sui monti i piedi del messaggero di bene che annuncia la salvezza, dicendo a Sion: (Regna) il tuo Dio (Isaia 52,7) Interpretazione del passo: i monti sono i profeti, il messaggero è l'Unto (il Cristo, il Meshiah) dello spirito di cui parlò Daniele (fino a un Unto, a un Principe, sette settimane)".

C'era insomma un terreno di coltura favorevole alla nascita di quella che poi sarà la predicazione di Giovanni il Battista preparatori degli eventi connessi con la rivelazione di Gesù di Nazaret.
Nella grotta n° 4 il reperto 4Q521, che è un'apocalisse messianica, parla di resurrezione con parole che si trovano nei Vangeli in bocca al Battista; infatti:

colonna II: "[i cie]li e la terra ascolteranno il suo Messia [e tutto ci]ò che è in essi non devierà dai precetti dei santi. Rinforzatevi voi che cercate il Signore nel suo servizio... Forse non troverete in ciò il Signore [voi] tutti che aspettate nel loro cuore? Perché il Signore osserverà i pii e chiamerà per nome i giusti e poserà il suo spirito sugli umili, e con la sua forza rinnoverà i fedeli, perché onorerà i pii su un trono di regalità eterna, liberando i prigionieri, rendendo la vista ai ciechi, raddrizzando i piegati. Per [sem]pre mi attaccherò a quelli che aspettano e nella sua misericordia... e il frutto di un'[ope]ra buona non sarà procrastinato a nessuno e il Signore farà azioni gloriose che non ci sono mai state, come ho det[to], perché curerà i feriti e farà rivivere i morti e darà l'annuncio agli umili, colmerà i [pove]ri, guiderà gli espulsi e arricchirà gli affamati e gli istr[uiti...] e tutti loro come san[ti...]"

Da segnalare sono anche i seguenti reperti:
  • 4Q414 su Liturgia battesimale con acqua, che riporta un rituale di battesimo con preghiere da recitare durante il rito che fanno ricordare il battesimo praticato dal Battista;
  • 4Q525, testo sapienziale con Beatitudini che ripete, "Beati quelli... Beati... Beati" pur con contenuti diversi, ma con ritmo simile alle beatitudini in Matteo.
LA PRIMA VISIONE DI DANIELE
Gesù, nel Vangelo di Giovanni dichiara di giudicare per conto del Padre, quindi, in pratica d'essere anche Lui un vero "Daniele" : "il giudice sono di Dio ".
La fede in Lui porta a superare il giudizio finale e Lui reca la risurrezione.

Tutto ciò lo asserisce con forza ripetendo per tre volte "In verità, in verità io vi dico" come s'evince dal seguente brano 5,18-30: "...i Giudei cercavano... di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse loro: In verità, in verità io vi dico... Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre... In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l'ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato."

Questo discorso di Gesù in cui sostiene che ha il potere di giudicare perché lo ha avuto dal Padre in quanto "è Figlio dell'uomo" pare proprio essere ispirato dal racconto nel libro di Daniele al capitolo 7, dopo i primi 6 capitoli storici, ove inizia l'esposizione delle visioni con quella delle "quattro bestie".
Questo capitolo ai versetti 1-8 presenta, infatti, la visione delle seguenti quattro differenti figure d'animali che salgono dal mare, regno dei mostri marini, sede del Leviatano re di tutte le creature marine che per la tradizione ebraica è incarnazione di Sammaele il principe del male che sarà distrutto nel "mondo a venire":
  • leone con ali d'aquila, gli Assiri di Nabucodonosor, poi senza ali i Babilonesi;
  • orso con tre costole tra i denti, Medi, Persiani e Babilonia;
  • leopardo con quattro ali e quattro teste, quindi, 4 regni, Alessandro Magno e sui 3 generali che si divisero l' impero;
  • bestia non definita, con denti di ferro, dieci corna che si riducono a 7 e un corno piccolo con occhi e "bocca che proferiva parole arroganti" e rappresenta il potere che si oppone al popolo di Dio, quindi comprende i regni che si oppongono alla vittoria del bene sul male a partire da Antioco Epifane, come poi saranno i Romani, e al susseguirsi di altri poteri terreni nemici, fino alla fine vittoriosa del Messia sull'anticristo, il piccolo corno, che si opporrà fino al giorno del giudizio, al popolo dei "santi dell'altissimo" che dovevano possedere il regno (7,22).
Questi regni terreni si succederanno fino al regno del Messia universale ed eterno, infatti, ecco la profezia": "Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai e il suo regno non sarà mai distrutto ". (Daniele 7,13-14)

In quella visione notturna, Daniele vide proprio il Cristo, un uomo assunto in cielo, che "giunse fino al vegliardo" e fu rivestito d'eternità.
A questo punto la lettera agli Ebrei in 7,26 parla di Lui quando dice "Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli."

Quell'uomo con potere eterno pare proprio far riferimento al Messia, quindi, per i cristiani profetizza proprio la venuta di Gesù di Nazaret che, poi, come vedremo, al capitolo 9 lo stesso Daniele precisa che questo "unto", in greco "Cristo" e in ebraico "Meshiach", sarebbe stato ucciso.

Gesù stesso al sinedrio asserì che era proprio il personaggio profetizzato da Daniele citando le sue parole, quando: "Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te? Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto? Gesù rispose: Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo." (Matteo 14,60-62)

Già prima Gesù, come riporta il Vangelo di Marco nel capitolo 13 aveva fatto un discorso escatologico annunciando il tempo dell'inizio dei dolori, la tribolazione di Gerusalemme e la manifestazione nella gloria del Figlio dell'uomo, ossia del Messia affermando: "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo." (Marco 13,26s)

LA VENUTA DEL REGNO DEL MESSIA
Nel libro della Genesi al capitolo 49 ove ci sono le benedizioni di Giacobbe ai suoi figli, nei riguardi del figlio Giuda si trova: "Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa ; chi lo farà alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale ("Shilu" ) esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a una vite scelta il figlio della sua asina, lava nel vino la sua veste e nel sangue dell'uva il suo manto; scuri ha gli occhi più del vino e bianchi i denti più del latte." (Genesi 49,9-12)

Questa profezia è chiara; a un discendente di Giuda obbediranno tutti i popoli, sarà il Re Messia. "Shilu" ossia "colui al quale", di quel brano per l'ebraismo è divenuto uno dei vari nomi che usano per definire il Messia.
Di fatto, però dopo Ioiachin finì il potere reale dei davidici.
Zorobabele fu l'ultimo dei davidici che ebbe un reale potere politico in Giuda, pur se subordinato, come Governatore, e fu lui che ricostruì il Tempio che era stato fondato dal suo progenitore Salomone, figlio di Davide.

Sulla storia successiva ai fatti accaduti agli ebrei e in particolare ai giudei riporto questa sintesi di Riccardo di Segni, Rabbino capo di Roma: "Nel 332 Alessandro conquistò la regione, che quindi passò sotto il dominio dei Tolomei e poi dei Seleucidi; nel 174 con la rivolta dei Maccabei la Giudea iniziò ad avere una relativa indipendenza, che avrebbe progressivamente perduto con l'arrivo dei Romani. Nel 70 dell'era volgare il Tempio di Gerusalemme venne distrutto da Tito; nel 135 l'ultima rivolta giudaica contro i Romani fu definitivamente domata nella repressione più brutale. Da allora gli ebrei non ebbero più unità statale, e si dispersero progressivamente per il mondo. In verità la Diaspora, la dispersione degli ebrei, era già una realtà nel primo secolo prima dell'era volgare, ma con la distruzione del Tempio e la perdita dell'indipendenza politica ebraica divenne una condizione negativa e inevitabile, senza tutela giuridica e quindi sempre più contrassegnata da discriminazioni, sofferenze e persecuzioni."

Come si concilia per gli ebrei allora quella profezia di Genesi 49 sul Messia, visto che Giuda ha perduto ogni potere e il bastone di comando è stato tolto dai suoi piedi con la fine delle istituzioni del Sinedrio e dell'Esilarca?
Eppure, un ebreo, un davidico, Gesù di Nazaret, ritenuto il Cristo dai cristiani, anche se gli ebrei non lo ricordano, ha il titolo di Cristo Re e ha riportato il suo scettro con potere efficace su imperi e regni anche terreni da dopo Costantino IV secolo d.C., tanto che ebbero anche potere politico su Gerusalemme dal 1099-1187 e c'è tuttora un piccolo regno in Roma quello dello Stato del Vaticano retto dal vicario religioso di Cristo in terra che ha a Gerusalemme un proprio Nunzio.
A questo punto dobbiamo andare al libro del profeta Daniele che al capitolo 9 nei versetti 24-27 riporta la famosa profezia detta delle "70 settimane".
C'è chi ha presupposto una tardiva redazione di tale libro, ma Daniele come lo conosciamo, come abbiamo visto in altro paragrafo, è stato confermato dai ritrovamenti di Qumran; infatti, manoscritti di quel testo sono stati rinvenuti nelle caverne, la 1, 4 e 6 con il bilinguismo ebraico-aramaico tipico del libro.
Il più antico trovato a Qumran è il 4QDan che risale al II secolo a.C., forse del 120-130, ma essendo come Isaia e il Pentateuco uno dei rotoli più popolari di quei monaci, è probabile che la sua redazione viste le attese di quei monaci avesse una datazione più antica.

La profezia inizia con la seguente ambientazione: "Nell'anno primo di Dario, figlio di Serse, della progenie dei Medi, il quale era stato costituito re sopra il regno dei Caldei, nel primo anno del suo regno io, Daniele, tentavo di comprendere nei libri il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia e che si dovevano compiere per le rovine di Gerusalemme, cioè settant'anni." (Daniele 9,1s)

Ora, "l'anno primo di Dario, figlio di Serse" era il 485 a.C. e mentre Daniele pregava l'angelo Gabriele, in visione gli disse ai versetti 9,24-27:
  • Daniele 9,24 - "Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città per mettere fine all'empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l'iniquità, stabilire una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi.
  • Daniele 9,25 - Sappi e intendi bene: da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato, vi saranno sette settimane. Durante sessantadue settimane saranno restaurati, riedificati piazze e fossati, e ciò in tempi angosciosi.
  • Daniele 9,26 - Dopo sessantadue settimane, un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui. Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine sarà un'inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all'ultimo.
  • Daniele 9,27 - Egli stringerà una solida alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l'offerta; sull'ala del tempio porrà l'abominio devastante, finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore."
Ho evidenziato con colori i seguenti termini particolari in ebraico:
  • consacrato è "mashiach" ;
  • guerra è "milchamah" ;
  • inondazione è "noechartset" ;
  • desolazioni è "shomemot" ;
  • abominio devastante è "shiqqutsim meshomem" ;
  • devastatore è "shomem" .
È da dire che le 70 settimane comunque non sono di giorni, ma almeno di anni e in tal caso parrebbe che il 70x7 possa alludere a un 490.
Dal punto di vista numerico il testo complessivamente cita al versetto:
  • Daniele 9,24 - un 70 settimane;
  • Daniele 9,25 - un 7 settimane, 62 settimane;
  • Daniele 9,26 - ripete un 62 settimane;
  • Daniele 9,27 - cita 1 settimana e 1 di settimana, e pur non si contasse la ripetizione del 62 si sforerebbe il tempo le 70 settimane e mancherebbe ancora il tempo per il decreto di rovina che si deve riversare sul devastatore.
Il versetto 24 avvisa che per "stabilire una giustizia eterna" occorreranno 70 settimane, non dice ancora a partire da quando.
Si deve stare attenti, in quanto, quel dire implica anche dei tempi dilatati rispetto a quelli storici ricadendovi giorni particolari di combattimento e di giudizio del Signore "finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore" e sappiamo che "per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo" (2Pietro 3,8), quindi, qualcuno di quei tempi può essere non di un anno, per cui la profezia può non riguardare 490, ma di più.

Il testo poi parla di un consacrato un unto "mashiach" sia al versetto 25, sia al 26, ma sono due consacrati diversi.
Il secondo sarà ucciso, ossia "ikkarit" dal radicale di "recidere tagliare", termine che pare proprio alludere e riferirsi a chi ha "tagliato l'alleanza" "karet berit" , ossia a IHWH.
Quel "Consacrato" quindi, è il Messia atteso, il frutto dell'alleanza che Lui, IHWH ha stretto col popolo d'Israele.
L'Unto di IHWH sarà, quindi, ucciso, poi il popolo di un principe "verrà distruggerà la città e il santuario".
Guardando alla storia si va con la mente all'imperatore romano Tito e alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, fatti avvenuti poi nel 70 d.C e come evento successivo sappiamo che ci fu la rivolta di Bar Kokhba del 135 d.C. con la diaspora definitiva degli ebrei.
A questo punto i tempi si dilatano "...la sua fine sarà un'inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all'ultimo".

Ecco che subito dopo il testo parla d'alleanza, ma questa volta è quella negativa degli empi, evidentemente di tutti i popoli nemici del popolo dei Santi.
All'inizio il versetto 27, dice "Egli stringerà una solida alleanza con molti" e quel soggetto è il "gebir" "il padrone, il signore", colui che a tenere "alta () è la testa ", senz'altro il principe del male che fa guerra ai Santi di Dio che farà alleanza con molti popoli per il combattimento finale escatologico di Gog e Magog.
La profezia dell'angelo a Daniele poi prosegue: "Sappi e intendi bene: da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato, vi saranno sette settimane." (Daniele 9,25a)

Sette settimane di anni sono 49 anni.
Questa prima parte di sette settimane non rientra nelle settanta settimane, e questo principe consacrato chi è?
Ora, "quando uscì la parola sul ritorno", veramente "Parola" di Dio, fu proprio l'Editto di Ciro che implicava la ricostruzione del Tempio era il 538 a.C..
Con quei 49 anni si perviene, 538-49, al 489 a.C..
A questo punto ci si domanda chi è questo "principe consacrato" di cui si può parlare nel 489 a.C. in Giudea.
Certamente era il davidico Zorobabele.
Il nonno di Zorobabele era il re Ioiakin che nel 597 a.C. quando fu portato in esilio a Babilonia aveva solo 18 anni e a 55 anni fu graziato da Nabucodonosor pur rimanendo in esilio.
La data di nascita di Zorobabele è, quindi, da porre attorno al 560 - 565 a.C., per cui nel 489 a.C. avrebbe avuto circa 75 anni.
Del resto, era stato governatore, nominato dal Gran Re di Babilonia, quindi, di fatto, era un re sia pure vassallo.
Ormai anziano forse era stato acclamato e unto a titolo onorifico nel nuovo Tempio a modo dei predecessori re davidici, poi forse morì di morte naturale.
C'è anche l'ipotesi che gli avversari fecero pressioni in Persia, ove per timore di tentativi di autonomia politica, anche per l'età lo tolsero dalla scena e i sacerdoti per rimanere in buoni rapporti con l'amministrazione centrale persiana, che durò fino al dominio di Alessandro Magno, non registrarono il fatto sui testi biblici, sigillati come sono oggi proprio nel V secolo a.C..
In Giudea era sentito un impulso contrastante, di rifiuto per i comportamenti dei precedenti re, e il desiderio di rivalsa con un re che riportasse in auge il popolo come ai tempi davidici, per cui per evitare ripetersi di eccessi, i Giudei pensavano di dirimere la questione dividendo il potere tra un Re, Zorobabele, e un Sacerdote, Giosuè.

Il profeta Zaccaria, il cui libro inizia ricordando che si era attorno all'anno 520 a.C., per cui pretende di conoscere bene quel tempo, certamente con riferimento a quella situazione di Zorobabele e Giosuè, i due consacrati, scrive: "L'angelo che mi parlava venne a destarmi, come si desta uno dal sonno e mi disse: Che cosa vedi? Risposi: Vedo un candelabro tutto d'oro; in cima ha una coppa con sette lucerne e sette beccucci per ognuna delle lucerne. Due olivi gli stanno vicino, uno a destra della coppa e uno a sinistra. Allora domandai all'angelo che mi parlava: Che cosa significano, mio signore, queste cose? Egli mi rispose: Non comprendi dunque il loro significato? E io: No, mio signore. Egli mi rispose: Questa è la parola del Signore a Zorobabele: Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito", dice il Signore degli eserciti! Chi sei tu, o grande monte? Davanti a Zorobabele diventa pianura! Egli estrarrà la pietra di vertice, mentre si acclamerà: Quanto è bella! Mi fu rivolta questa parola del Signore: Le mani di Zorobabele hanno fondato questa casa: le sue mani la compiranno e voi saprete che il Signore degli eserciti mi ha inviato a voi. Chi oserà disprezzare il giorno di così modesti inizi? Si gioirà vedendo il filo a piombo in mano a Zorobabele. Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra. Quindi gli domandai: Che cosa significano quei due olivi a destra e a sinistra del candelabro? E aggiunsi: Quei due rami d'olivo che sono a fianco dei due canaletti d'oro, che vi stillano oro dentro? Mi rispose: Non comprendi dunque il significato di queste cose? E io: No, mio signore. Questi - soggiunse - sono i due consacrati con olio che assistono il dominatore di tutta la terra." (Zaccaria 4)

Il Capitolo 5 di Esdra ricorda i profeti Zaccaria e Aggeo che sollecitavano il completamento della ricostruzione del Tempio e Zorobabele e Giosuè che riprendono i lavori, ma inopinatamente il libro di Esdra non lo nomina più e al capitolo 7 racconta la missione avuta da Esdra stesso nel 459 a.C. di portare in Giudea il secondo contingente di Ebrei dall'esilio babilonese.
Il re diviene attesa escatologica dell'era messianica che incarnerà in perfetto accordo le due unzioni di Giosuè e di Zorobabele.
Al libro di Daniele i monaci di Qumran, Giovanni Battista, Gesù nei Vangeli e l'Apocalisse di Giovanni vi fanno cenno come pure Giuseppe Flavio.
Questo spiega la forte attesa apocalittica del Messia ai tempi di Gesù.
La pienezza dei tempi... il tempo è compiuto...

In quella profezia di Daniele c'è pure un altro tempo da contare, quello della "Parola" de "la ricostruzione di Gerusalemme", il cui sblocco, come possibilità di attuazione ci fu secondo Neemia 2,1-8 nel 20° anno di regno di Artaserse che iniziò a regnare nel 464 a.C., per cui si era nel 464-20 = 444 a.C. cui è da aggiungere il tempo di attuazione.
Poi Daniele 9,25b dice: "Durante sessantadue settimane saranno restaurati, riedificati piazze e fossati, e ciò in tempi angosciosi", e queste sono 62 settimane vere, per i lavori di edificazione, i 52 giorni, tempo troppo breve, che dice Neemia in 6,15, che in effetti secondo Daniele sarebbero 62 settimane, il fatidico "1 tempo, 2 tempi e la metà di un tempo", un anno = 52 settimane, 2 mesi = 8 settimane e 15 giorni circa 2 settimane, pari appunto a 62 settimane cui è da sommare il tempo del viaggio e i preparativi per cui complessivamente 3-4 anni, per cui, in definitiva la "Parola" di Dio sulla ricostruzione ebbe la sua conclusione nel 441-440 a.C. e questa sarebbe la data di partenza da contare per il resto della profezia.

Subito dopo il libro di Daniele al 9,26 ripete: "Dopo sessantadue settimane" e queste sono 62 settimane delle 70.
Da questo punto inizia la vera profezia delle 70 settimane di anni e accadrà che: "Dopo sessantadue settimane, un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui." (Daniele 9,26a)

Queste sessantadue settimane in anni sono anni ossia 62x7= 434 e si perviene al 7-6 a.C. quando nascerà un nuovo e ultimo consacrato che poi sarà ucciso, pur se innocente; e così avvenne con Gesù di Nazaret, il Cristo che sappiamo fu crocefisso nel 30 d.C..
A questo punto dal 30 d.C. inizia il tempo apocalittico le ultime 8 settimane, e il numero 8 al riguardo è significativo come a indicare una nuova creazione di sette giorni con l'apertura finale dei cieli nell'ottava era.
In definitiva, si entra in un altro tempo, quello del combattimento finale, infatti: "Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine sarà un'inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all'ultimo. Egli stringerà una solida alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l'offerta; sull'ala del tempio porrà l'abominio devastante, finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore." (Daniele 9,25b-27)

Dalla risurrezione di Cristo del 30 d.C. partono le 8 settimane e fino alla fine delle guerra giudaiche 74 d.C., conclusasi con la diaspora degli ebrei, passano 6 settimane di anni, quindi, 42 anni; si perviene così al 72 d.C.., poi restano 2 settimane che si dilatano in 2 millenni in cui per l'Apocalisse opererà la Donna con l'annuncio dei Vangeli e la nascita di figli di Dio, il combattimento finale con la vittoria sul male - Gog e Magog - e ci sarà il ritorno del Messia nella gloria.
Il libro del profeta Daniele da alcuni è ritenuto scritto ai tempi dell'editto di Ciro e altri a metà del II secolo a.C., ma di certo precede la nascita di Cristo e tanto più la successiva distruzione di Gerusalemme da parte dei romani.
Ora la distruzione del tempio e della città avvenuta per mano dei romani nel 70 d.C., epilogo della guerra romano-giudaica del 67-74 d.C., proprio una settimana di anni, è l'evento che calza con questa profezia.
Secondo lo storico Giuseppe Flavio in "Antichità giudaiche", Daniele apparteneva alla stirpe regale davidica e riconobbe l'evento della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani come evento profetizzato da Daniele:
  • in "Guerra Giudaica" VI,2 "Chi ignora ciò che fu scritto dagli antichi profeti l'oracolo che incombe su questa misera città e che sta ormai per avverarsi?"
  • in Antichità Giudaiche X, parlando di Daniele afferma "i libri che scrisse e lasciò da noi si leggono anche adesso, e da essi ci convinciamo che Daniele parlava con Dio, perché non soltanto preannunciava le cose future come gli altri profeti, ma segnò anche il tempo nel quale sarebbero avvenute" e aggiunse in X,7 "Allo stesso modo Daniele scrisse anche a proposito dell'impero dei Romani, che Gerusalemme sarebbe stata presa da loro e il tempio distrutto. Tutte queste cose rivelategli da Dio, egli tramandò per iscritto, sicché quanti le leggono e osservano come esse accaddero, si stupiscono dell'onore fatto da Dio a Daniele."
  • "Guerra giudaica", VI 5,4 "Quello che maggiormente li incitò alla guerra (parla degli ebrei) fu un'ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle sacre scritture, secondo cui in quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo" e tale "ambigua profezia" riguarda l'attesa del Messia che gli ebrei di allora interpretarono erroneamente come capo militare tanto che i Vangeli sottolineano, scelsero Barabba.
A questo punto riporto il testo della decriptazione che feci tanti anni fa della profezia Daniele 9,24-27 di cui in "I geroglifici ebraici del libro di Daniele".

Daniele 9,24 - Il settimo (giorno della creazione) sarà a liberare per le preghiere i viventi che l'angelo (ribelle) chiuse nell'oppressione. Dall'alto vedrà una piaga portarsi in azione il serpente. Vedrà stare in un corpo la santità che con la rettitudine del Potente; la prigione aprirà del superbo. Dai corpi per strappare dai viventi il peccato si portò. In croce lo porterà il serpente. Espiò l'iniquità recata dal serpente al mondo. In una casa/famiglia fu il primogenito d'un giusto ("...Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla...": Matteo 1,19), da fanciullo fu circonciso. Sigillato nel petto si portò il Figlio, dentro vi fu l'Unigenito. Portò il Potente il Messia santo; santi saranno i viventi.

Daniele 9,25 - E alla fine sbarrerà il peccare, lo finirà col fuoco della rettitudine, perché invierà ai viventi giù l'Unico in aiuto il Figlio che al Potente aprirà il ritorno portandoli nel cuore ad abitare alla fine. Fu in un povero del Potente in un vivente ad agire nel sangue il dono della grazia. In cammino sarà ad aiutare con la risurrezione per le preghiere dei viventi. Di settimo (il sabato dei giorni della creazione secondo il libro del Genesi) al mondo portato per la perversità bruciare, in una casa alla vista fu dei viventi la luce dell'esistenza. Una Madre portò alla luce un angelo che sarà i morti a risorgere e a casa li riporterà. Per l'energia che dentro invierà dalla croce uscirà dai corpi chi li rende colpevoli, e dalle tombe i corpi porterà a rialzarsi riportandoli dal fango e li verserà fuori dal tempo per starvi a vivere.

Daniele 9,26 - E l'Unigenito chiuso nel corpo fu al mondo, il settimo (giorno della creazione) fu dai viventi. Il sesto (giorno della creazione, in cui fu creato Adamo) li tolse via l'angelo, fu nei viventi la forza della rettitudine dei corpi a finire. Il Messia si portò. Per annullarlo il serpente con bastoni lo portò fuori Città ed in campo aperto l'abbatté; una porta di marmo sulla tomba fu del Crocefisso. Si rivide vivo, nello splendore fu a rientrare a casa. L'Unigenito si riporterà alla fine per portare dentro la risurrezione. Dal cuore il soffio porterà in azione, verserà giù della vita il vigore. Di vivi n'uscirà un fiume. Si rialzeranno tutti risorti i viventi dalla morte.

Daniele 9,27 - E fuori in cammino dalla rocca del Tempio le moltitudini saranno dal Crocefisso a guizzare con i corpi dentro. Saranno i viventi risorti dentro, li condurrà a vedere l'Uno/l'Unico. Li porterà dalle tombe su, saranno a entrare risorti a casa portati a vedere n dono. Dentro saranno nel Crocefisso, da vittima portò ai viventi l'energia per chiudere la perversità con azione potente retta. L'angelo superbo ad abbattere - rovesciare porterà giù nelle acque bollenti infuocate. I viventi a vivere porterà all'Eterno. La sposa porterà dagli angeli, chiusa nel corpo su entrerà nel Crocifisso, tutti retti innalzerà i risorti vivi dal Vivente. (Secondo quanto disse Gesù in Giovanni 12,32: "E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me)"

Da Adamo fu estratta dal costato la donna, e dal Crocifisso alla fine, quale nuovo Adamo uscirà l'umanità risorta. Di questo versetto Daniele 9,27 fornisco di seguito la dimostrazione in base il testo ebraico relativo della decriptazione che ho presentato:

Daniele 9,27 - Egli stringerà una solida alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l'offerta; sull'ala del tempio porrà l'abominio devastante, finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore.





Daniele 9,27 - E fuori in cammino dalla rocca del Tempio () dentro il corpo saranno del Crocefisso a guizzare con i corpi dentro (le moltitudini). Saranno i viventi risorti dentro , li condurrà a vedere l'Uno - l'Unico . Li porterà dalle tombe su , saranno a entrare risorti a casa portati a vedere in dono . Dentro saranno nel Crocefisso da vittima portò ai viventi l'energia per chiudere la perversità () con azione potente retta . L'angelo superbo ad abbattere - rovesciare porterà giù nelle acque bollenti infuocate . I viventi a vivere porterà all'Eterno . La sposa porterà dagli angeli , chiusa nel corpo su entrerà nel Crocifisso , tutti retti innalzerà () i risorti vivi dal Vivente .

LE PROFEZIE DI DANIELE E GESÙ
Gesù nel Vangelo di Matteo 24,15 cita esplicitamente Daniele e lo definisce "profeta", il che spiega perché dal cristianesimo il libro di Daniele è posto tra i profeti, mentre l'ebraismo lo inserisce tra gli altri scritti della Tenak.

Le parole esatte di Gesù in Matteo 24,15-18 sono: "Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l'abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele - chi legge, comprenda - allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello."
Ciò lo fa quando profetizza la distruzione del Tempio, l'inizio dei dolori e la tribolazione di Gerusalemme ricordando la profezia delle settanta settimane e brani successivi di Daniele:
  • Daniele 9,27 - "Egli stringerà una solida alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l'offerta; sull'ala del tempio porrà l'abominio devastante, finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore".
  • Daniele 11,31 - "Forze da lui armate si muoveranno a profanare il santuario della cittadella, aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l'abominio devastante."
  • Daniele 12,11 - "Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l'abominio devastante, passeranno mille duecento novanta giorni."
A prescindere dall'identità dei singoli personaggi storici, chi produrrà tutto ciò, vero autore e motore, è quel "Egli" di Daniele 9,27, lo stesso di Daniele 9,26, ossia il "principe" di questo mondo, Satana, Lucifero, Sammaele, l'angelo del male, quello che si incarnò nel serpente delle origini che fa guerra al principe del popolo d'Israele, l'arcangelo Michele e che sarà vinto dal Messia, la Parola di Dio, secondo l'Apocalisse e secondo il pensiero Esseno.

Nel Vangelo di Giovanni 12,20-36 c'è il seguente brano che si chiarisce bene proprio alla luce della profezia delle settanta settimane di Daniele: "Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli domandarono: Signore, vogliamo vedere Gesù. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e lo glorificherò ancora! La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: Un angelo gli ha parlato. Disse Gesù: Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. Allora la folla gli rispose: Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come puoi dire che il Figlio dell'uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell'uomo? Allora Gesù disse loro: Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce. Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro."

Dopo la risurrezione di Lazzaro e l'entrata trionfale a Gerusalemme accolto come Messia, ecco che s'attendono che attui le attese promesse, per cui quel "vogliamo vedere Gesù" che in pratica sta significando "vogliamo vedere la salvezza" provoca la risposta di Gesù che pare sorprendente, invece è strettamente conseguente in quanto conclude è:"È venuta l'ora".
Ormai il sentiero da percorrere per Gesù è preciso, è venuta la sua ora.
Lui, di fatto, è un principe davidico.
È Lui che i sommi sacerdoti e i potenti del tempo stanno cercando d'incolpare per farlo morire ingiustamente.
È stato accolto come Messia, l'unto, quindi è il consacrato che deve morire senza colpa, quello della profezia di Daniele 9,26, "un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui."
Subito dopo conferma che sta leggendo mentalmente quella profezia aggiungendo è l'ora che "Figlio dell'uomo sia glorificato".
Questo figlio dell'uomo deve essere innalzato fino al cielo secondo la profezia in Daniele 7,13-14: "Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai e il suo regno non sarà mai distrutto". (Daniele 7,13-14)

Per Gesù questo innalzamento si disegna in modo pratico si presenta con un primo passo evidente; sarà innalzato sulla croce!
Quello sarà il modo di morire e la croce con Lui sopra sarà una spiga di grano nata da Lui, e allora il "chicco di grano, caduto in terra" morendo, "produce molto frutto".
Secondo la profezia delle settanta settimane il Suo innalzamento e l'entrata nei cieli provocherà la vittoria sul principe devastatore; quindi, Gesù dice "il principe di questo mondo sarà gettato fuori".
Lui, il Crocefisso, sarà la via per cui tutta l'umanità sarà salvata e potrà essere accolta con Lui in seno al Padre ed ecco che esclama: "E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" e con Lui, alla sua destra, staranno tutti, i Figli della luce coloro che credono in Lui.
Le settanta settimane con quel 70x7 fa ricordare la risposta di Gesù a Pietro quando gli chiese "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette." (Matteo 18,21s) il che suggerisce che quel tempo di settanta settimane alludeva proprio al perdono di Dio verso il suo popolo e all'intera umanità che si sarebbe realizzato con la Sua venuta che fu annunciata a Maria proprio dall'angelo Gabriele.
Lo stesso Gesù nei Vangeli ricordò l'oracolo di Daniele annunciando l'imminente distruzione del Tempio e di Gerusalemme (Matteo. 23,38-39; 24,1-2; 24,15-25) e annunciò, come abbiamo visto secondo da profezia di Daniele, la propria uccisione - da consacrato Messia - e la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (Luca 19,41-44; 21,22) e citò le parole del libro di Daniele (Luca 21,24 e Matteo 21,22), s'identificò con il "Figlio dell'uomo" di Daniele (Luca 21,27), e su Gerusalemme ricordò, come visto, in Matteo 24,15-16 la profezia delle "Settanta settimane" come prossima a realizzarsi.
L'Apocalisse di Giovanni, poi, ha tanti riferimenti al libro di Daniele, motore diffuso in quelle visioni e senza pretesa d'essere esaustivo segnalo i seguenti:
  • dei primi 6 capitoli di Daniele in Apocalisse almeno sei volte: Daniele 1,12 in Apocalisse 2,10, di 2,28 in 4,1, di 3,5-7 in 13,15, di 4,31in 4,9, di 5,4 in 9,20 e di 6,10 in 12,4.
  • del capitolo 7 di Daniele, precisamente: Daniele 7,13 in Apocalisse 1,7 e 1,13, di 7,9 in 1,14, di 7,10 in 5,11, di 7,25 in 11,3 e 12,14, di 7,21 in 11,7 di 7,14.27 in 11,15, vari sulla "bestia" nel capitolo 13 di Apocalisse, poi 7,13 in 14,14, indi 7,24 in 17,11, ancora 7,11 in 19,20, 7,22 in 20,4 e 7,10 in 20,12.
  • degli altri capitoli 8-12 di Daniele, 8,18 e 10,15.19 in 1,17, di 8,26 e 10,4.9 in 10,4, di 12,7 in 10,5, di 10,13 e 12,1 sulle tribolazioni in 7,14 e in 12,7, di 12,1 in 16,18, di 8,26 in 21,5 e 22,6, infine di 12,10 in 22,10.
La "inondazione" di cui dice la profezia di Daniele 9,26 si trova nella profezia di Apocalisse 12 relativa alla "Donna vestita di sole": "Quando il drago si vide precipitato sulla terra, si mise a perseguitare la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, perché volasse nel deserto verso il proprio rifugio, dove viene nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo, lontano dal serpente. Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d'acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in soccorso alla donna: aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca. Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a fare guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù." (Apocalisse 12,13-17)

I figli della Donna sono salvati dalle acque come Mosè ed escono "risorti" dalle acque del Battesimo.
Il popolo dei "salvati", uomini di ogni popolo, è ora ancora anche lui tra due acque, non più tra Eufrate e Nilo, ma tra le acque del battesimo e quelle spirituali dell'energia che esce dal costato di Cristo, che illuminati e risorti, bevono spiritualmente dal fiume che sgorga dalla sorgente del Suo costato.

A sostenere tale confronto viene in soccorso San Giovanni Crisostomo con questa "Catechesi" su Mosè e Cristo: «I Giudei videro dei miracoli. Anche tu ne vedrai di maggiori e di più famosi di quelli che essi videro all'uscita dall'Egitto. Tu non hai visto il faraone sommerso con il suo esercito, ma hai visto il diavolo affondare con le sue schiere. I Giudei attraversarono il mare, tu hai sorpassato la morte. Essi furono liberati dagli Egiziani, tu dai demoni. Essi lasciarono una schiavitù barbara, tu la schiavitù molto più triste del peccato. Osserva come tu sei stato favorito con doni più grandi. I Giudei non poterono allora contemplare il volto splendente di Mosè, benché fosse ebreo e schiavo come loro. Tu invece hai visto il volto di Cristo nella sua gloria. Anche Paolo esclama: "Noi a viso aperto contempliamo la gloria del Signore" (2Corinzi 3,18). I Giudei erano seguiti dal Cristo, ora invece egli segue noi in modo più vero. Essi dopo l'Egitto trovarono il deserto, mentre tu dopo la morte troverai il cielo. Essi avevano come guida e capo Mosè, noi invece un altro Mosè, lo stesso Dio che ci guida e comanda. Quale fu la caratteristica del primo Mosè? Mosè, dice la Scrittura, "era l'uomo più mite della terra" (Numeri 12,3). Questa caratteristica si può senz'altro attribuirla al nostro Mosè, che era assistito dal dolcissimo e a lui consustanziale Spirito. Mosè levava le mani al cielo facendone scendere la manna, pane degli angeli. Il nostro Mosè leva le mani al cielo e ci procura un cibo eterno. Il primo percosse la pietra, facendone scaturire torrenti d'acqua. Questi tocca la mensa, percuote la mistica tavola e fa sgorgare le fonti dello Spirito. Ecco il motivo per il quale la mensa è posta al centro, come una sorgente, perché i greggi accorrano da tutte le parti a essa e si dissetino alle sue acque salutari. Possedendo pertanto una simile sorgente, una tale fontana di vita, una mensa così carica di beni e così ridondante di favori spirituali, accostiamoci con cuore sincero e coscienza pura per ottenere grazia e perdono nel tempo opportuno.»

Secondo la "Lettera a Diogneto", scritto attribuito al II secolo d.C., i cristiani, di fatto, sono un popolo in diaspora, infatti: "Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera." (V,5)

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