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RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

 
UN TESTIMONE DEL RISORTO - SAN TOMMASO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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L'APOSTOLO TOMMASO »

TOMMASO NEL VANGELO DI GIOVANNI
Riporto e commento i quattro episodi in cui il Vangelo di Giovanni menziona l'apostolo Tommaso.
Da quei quattro eventi riportati traspare un percorso evolutivo del soggetto, dall'impulsivo emotivo, alla ricerca razionale e teologica, quindi, ai dubbi che frenano per mancanza di certezze, per arrivare, infine, al dono della fede.

1° episodio
Gesù era andato con i suoi apostoli e i suoi discepoli "al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava" (Giovanni 10,40) ove lo raggiunse un inviato dalle sorelle di Lazzaro di Betania che Gli dette la notizia "Signore, ecco, colui che tu ami è malato" (Giovanni 11,3).

Ed ecco il racconto del fatto in Giovanni 11,4-16: "All'udire questo, Gesù disse: Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato. Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: Andiamo di nuovo in Giudea! I discepoli gli dissero: Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? Gesù rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui. Disse queste cose e poi soggiunse loro: Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo. Gli dissero allora i discepoli: Signore, se si è addormentato, si salverà. Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui! Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: Andiamo anche noi a morire con lui!"

Gesù comunque si attarda a partire perché poi sia chiaro che la risurrezione che susciterà a Lazzaro non è un solo un rinvenire da un malore o da un coma, ma proprio il ritorno alla vita di un morto, nel caso specifico ormai di 4 giorni, quando ha ormai inizio la putrescenza della carne specie in zona dal clima che va dal temperato al tropicale come quello in Israele.
In tale occasione di ostilità da parte dei capi d'Israele appare chiaro come il nostro Tommaso sia del tutto razionale con quel suo dire: "Andiamo anche noi a morire con lui!"
Tommaso coglie, infatti, l'essenza della situazione, vale a dire, si rende conto come il credere di cui prima ha parlato Gesù con quel "affinché voi crediate", nel comportare l'aderirgli in pieno implica il morire con Lui, quindi, l'associare con Lui la propria esistenza fino a essergli completamente fratelli di sangue, il che poi, di fatto, varrà per tutti gli apostoli.
L'essere "didimo" diviene allora come essere un doppio di Cristo; del resto "...è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro". (Matteo 10,25; Luca 6,40)

In definitiva Tommaso come un profeta aveva intravisto chiaramente che col seguirlo si può verificare veramente divenire dei "didimi", ossia dei suoi doppi, applicando il senso che suggerisce il radicale ebraico di , di essere gemelli, in tal caso proprio di colui che sarà poi crocifisso , avere cioè col "Crocefisso unica madre o matrice " evento che poi profilerà lo stesso Vangelo di Giovanni 19,25-27 quando Gesù in croce ebbe a consegnare la propria madre al "discepolo che egli amava" e questi alla madre, come a dire che i suoi discepoli erano suoi fratelli del tutto simili a Lui, nati dalla stessa madre.
Poi, avverrà la risurrezione di Lazzaro, come racconta il Vangelo di Giovanni nel prosieguo del capitolo 11; questo sarà l'atto che a provocherà la decisione finale dei capi dei sommi sacerdoti e dei farisei di eliminare Gesù (11,47-53).

2° episodio
Il 2° episodio si verifica dopo "l'ultima cena".
Giuda Iscariota è ormai uscito dal Cenacolo e Gesù si attarda con gli 11 rimasti e pronuncia un lungo discorso, ricordato come il Suo "testamento spirituale", che dal 13,31 al 17,26 comprende ben 125 versetti.
Ivi, all'inizio del capitolo 14 in 1-7, c'è il passo in cui Gesù asserisce che va alla casa del Padre a preparare un posto per tutti loro.

Queste sono le Sue parole: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via. Gli disse Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via? Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto."

In tale occasione è evidente che Tommaso esprime il pensiero degli altri 10, ossia diviene l'interprete del loro dubbi.
A nome di tutti, infatti, esclama: "Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?"

Era vero, nessuno poteva conoscere dove Gesù intendesse indicare di andare!
Del resto, anche se potevano immaginare che volesse dire... dopo morto...
sapevano che quando si muore si va nello "Sheol", ma li non c'è il Padre.
Quello che Gesù definisce come il Padre, e dove sta, in effetti nessuno l'aveva mai visto, ma in quest'occasione Gesù in modo esplicito s'identifica con lo stesso Padre, di cui è l'immagine che Dio ha preparato per gli uomini.
Dice, infatti, con chiarezza: "Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto."
Ecco che con questo dire tutta la questione dell'accesso alla realtà divina si sposta a "conoscere" Gesù.

Sappiamo poi che in ambito biblico questo "conoscere" allude a un rapporto nella carne, a un matrimonio, quindi, a un'alleanza concreta, ossia a essere generati o rigenerati da Lui, insomma a un legame familiare, appunto nella carne, ossia far parte della Sua famiglia, un rapporto di sangue.
Grazie a questa domanda di Tommaso Gesù rivela:

  • "Io sono", ossia è lo stesso IHWH il Signore;
  • "la via", il cammino da percorrere;
  • "la verità", "'oemoet" "il primogenito dei morti " e "'amen" "origine della vita angelica ;
  • "e la vita", "chaiim", il datore della vita vera, quella eterna.
Ciò fu sentito da tutti i presenti.
Ciascuno, ovviamente a modo proprio, avrà memorizzato queste parole.
In quel momento, però, come poter intuire tutto quello che sarebbe poi accaduto a Gesù, ossia, la passione, la morte in croce, la prova con la Sua presenza di risorto della vittoria sulla morte e, soprattutto, come poter credere senza l'aiuto divino dello Spirito Santo che ha il potere di consigliare e sigillare nei cuori la certezza d'essere Figli di Dio, tanto che viene spontanea la risposta filiale, "abbà Padre"?
In definitiva, non si poteva pretendere che "credessero", occorreva una rivelazione del Risorto.
Questo è l'unico dei quattro episodi del Vangelo di Giovanni che riguardano l'apostolo Tommaso in cui dall'evangelista il nome di Tommaso non è stato associato all'aggettivo "Didimo"; del resto tutti gli altri erano concordi con lui per cui, di fatto, tutti dubitavano e non avevano ancora chiaro cosa intendesse dire Gesù con tutte quelle parole che per loro al momento rimasero in gran parte oscure.
I Vangeli sinottici non riportano questo lungo testamento di Gesù inserito nel Vangelo di Giovanni come a riprova che quelle parole tornarono alla mente della comunità cristiana dopo una lunga meditazione sulle vicende che in un primo tempo da tutti gli apostoli non erano state comprese a pieno.

3° episodio
Il terzo episodio si verifica dopo la risurrezione del Signore e si sviluppa in due tempi distanti tra loro 7 giorni corrispondenti al periodo che viene detto "l'ottava di Pasqua", ossia gli otto giorni della Pasqua cristiana, dalla domenica di risurrezione alla successiva domenica detta "in albis", come se fosse un unico giorno di cui si trova un embrione d'idea nell'ebraismo con la celebrazione degli Azzimi (Esodo 12,15.19).

Il Vangelo di Giovanni in 20,19-23 riporta che: "La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. A coloro cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro cui non perdonerete, non saranno perdonati."

I discepoli da Pietro avevano saputo della tomba vuota.
Maria di Magdala poi aveva detto loro che aveva visto Gesù risorto.
Gli apostoli, quindi, quella sera si riunirono nel cenacolo mossi da sentimenti contrastanti, la paura dei Giudei, lo sconforto per la passione e morte di Gesù, la disillusione di tutti i loro "sogni", sorpresi dalla scomparsa del corpo, uniti tutti nello sconcerto per le notizie ricevute.
In loro si agitano comprensibili dubbi, insomma in quel momento tutti, di fatto, hanno sentimenti doppi, perciò sotto tale aspetto sono tutti in se stessi divisi, quindi "didimi".
In questa situazione accade che mentre "erano chiuse le porte" del cenacolo Gesù stette in mezzo a loro.
Su tale questione farò qualche considerazione più avanti.

Ecco che le prime parole che il Risorto dice agli astanti sono quelle del tipico saluto ebraico, "Pace a voi" e dopo aver mostrato le ferite "le mani e il fianco", per la seconda volta ripete loro: "Pace a voi".
Mostrò loro le mani e il costato e questo ricorda la "tsela'" che Dio aprì ad Adamo per far uscire la sposa, la "costola", ossia la donna in Genesi 2,21-22 che il maschio della coppia Adamo, dopo il peccato chiamò Eva.

Ora, le mani e il costato pensate in ebraico sono e tali lettere suggeriscono questo messaggio: "fu per aiutare nell'esistenza dei viventi a riportarsi ; nel mondo scese potente alla vista ".

Il saluto in ebraico che diede loro fu "shalom a'leichem" e il significato usuale di quelle lettere, appunto è "la pace sia su di voi", ma nella fattispecie la ripetizione implica un segnale che impone di fare attenzione per procedere anche a una lettura non usuale di quelle lettere che ovviamente l'evangelista pensa in ebraico.
Queste alla luce dei fatti avvenuti assumono un significato speciale, come il seguente: "Ho fatto la pace con l'Altissimo anelata ()", in definitiva... siete salvati!

Gesù, quindi, soffia su di loro lo Spirito Santo, lo spirito dell'amore divino.
I discepoli, ora, sono stati messi in grado di prendere piena conoscenza di cosa sia il vero amore, quello che fino allora il mondo non aveva mai conosciuto, quello palesato da Gesù.
Questi, pur essendo Dio si è fatto uomo, e ne hanno avuto la prova con un fatto, la risurrezione, mai prima di allora avvenuto, di un vero morto tornato dal cimitero, che ha sofferto pur senza colpa alcuna il massimo delle pene proprio per amore degli uomini.
Chi accoglie quello Spirito, insomma, ha ormai la certezza che Dio c'è e lo ama.
La prima conseguenza è il perdono.
Loro di fatto sono i primi che ricevono la notizia di averlo ricevuto e sono invitati e da portarlo agli altri; infatti, Gesù nel versetto Giovanni 20,23 per quattro volte ripete il concetto "perdono".

A questo punto il racconto continua in Giovanni 20,24-25 con quanto segue: "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo."

Tommaso la domenica precedente si era dissociato dagli altri; aveva razionalmente concluso che la morte aveva messo la parola fine a tutta la vicenda in cui era entrato vincendo ogni ritrosia.
Aveva deciso che era ormai venuto inesorabilmente il tempo di dimenticare quel sogno, insomma di allontanarsi da quella dolorosa esperienza e da tutto ciò che la poteva ricordare ivi compresi i compagni d'avventura.
Gli altri che hanno visto il Signore lo ricercano ed ecco che accade che Tommaso, uomo razionale e sincero, palesa in modo chiaro i sentimenti di sconforto e la disillusione che certamente prima avevano provavano tutti gli apostoli, insomma a coloro che gli riferivano di aver visto il Signore risorto in pratica risponde che ora per credere ha bisogno di prove concrete, in quanto... di chiacchere ne ha ormai sentite tante, mentre i fatti erano quelli che erano stati e di una durezza estrema.
Tommaso d'altronde sapeva bene come i Romani trattavano i crocefissi e grazie ai racconti delle donne sotto la croce evidentemente aveva anche saputo dello squarcio aperto da un legionario con una lancia nel costato del morto, per cui la morte del rabbì Gesù era veramente certa.

In quei versetti se si guarda bene ci si rende conto che c'è una ripetizione che si poteva evitare, infatti, il testo per due volte propone il "segno dei chiodi" che in ebraico è "'ot lemiserim" ed sarebbe scritto come .

Ora, al riguardo abbiamo imparato che la ripetizione può essere un segnale per cui è da porre l'attenzione alle lettere ebraiche pur se il testo fu scritto in greco.
Queste lettere, in effetti, sono una sorpresa; paiono, infatti, proprio rivelare tutta la tensione provata dall'evangelista Giovanni e riferita in 19,25-27 con l'episodio che ho ricordato di Maria sotto la croce.

Nella parola "chiodi", "misemerim", , ecco che, e non credo che sia una semplice coincidenza, appaiono proprio le lettere di Miriam , ossia del nome di Maria, figura della Chiesa.
La parola "segno" "'ot" poi è allusiva del suo figlio "primogenito portato in croce ".
L'insieme di quelle lettere, allora, , lette tutte di seguito sostengono il pensiero che " dal primogenito portato in croce guizzò con l'acqua dal foro Maria ", ossia nacque la Chiesa.
In quel momento altre due parole pronuncia Tommaso che vale la pena di prendere in considerazione, "il mio dito", in ebraico "'oetsba'i" e "la mia mano" "iadi" .

Queste lettere ebraiche mi paiono rivelare che Tommaso, sentendosi assalito da forti dubbi, ma ricordando anche la dolcezza che aveva provato nell'affidarsi al suo rabbì, ha rivolto forti preghiere all'Unico per avere un aiuto e un chiarimento in questo frangente, in cui era in gioco tutta la propria vita in terra e futura e questa è da ritenere che fosse anche l'esperienza di tutti gli altri.
Le lettere ebraiche di quelle due parole, infatti, ci propongono con i loro significati grafici questi pensieri:
  • "'oetsba'i" "all'Unico salgono le preghiere ";
  • "iadi" "ci sia un aiuto per me ".
Ed ecco la conclusione, una settimana dopo al termine dell'ottava di Pasqua: "Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente! Gli rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!" (Giovanni 20,19-28)

In primo luogo a Tommaso è ora da ascrivere a suo merito la buona fede e la disposizione di apertura verso i suoi compagni, infatti, non si chiude in se stesso, ma intende dar loro soddisfazione e si riunisce a loro, e rivela nel suo palesato scetticismo di avere però nell'intimo ancora qualche speranza.
Del resto aveva dato vera fiducia al suo rabbì...
Come la domenica precedente è posto in evidenza che Gesù venne a "porte chiuse", ma la paura degli apostoli che di certo l'avevano non è il motivo che spiega il perché di questa informazione essendo normale che le porte in una riunione privata fossero chiuse.
Ci informa piuttosto su altre questioni:
  • non attendevano altre persone e ormai avevano chiuso;
  • non è detto che Gesù bussò, quindi, è da ritenere che il Risorto apparve carne e ossa nella sala tutto ad un tratto in modo prodigioso.
Se però si pensa che l'evangelista pur se scrive in greco è un ebreo è da considerare che i suoi pensieri più profondi erano in ebraico o aramaico.
Questi è convinto che Gesù è il Signore IHWH e tutti i giorni, mattina e sera, prega la preghiera detta dello "Shema'" che inizia con: "Ascolta Israele il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno solo" ove in ebraico quell'Uno solo, o Unico è definito come "'oechad" ove la grafia delle lettere fa pensare anche al fatto che possa apparire quel "Unico a chiuse porte ", il che spiega quella insistenza nel racconto sulle porte chiuse il perché di quel prodigio.
È da ricordare che il bi-letterale da solo sta per "acuto, aguzzo", quindi, per "apice o vertice" per cui chi è al vertice è "uno, uno solo, unico", "'oechad", vale a dire "inizia il vertice ", o "Uno al vertice ".
Un modo per dire "gioia" viene proprio dal radicale che si usa per "rallegrarsi, gioire e godere" e come rafforzativo di gioia "per colmare... di gioia", ossia essere al vertice all'acme della gioia, e si ha anche "choedah" e "chadvat" per "gioia, festeggiamento".
Ora la prima volta quando Gesù apparve nel cenacolo si trova l'annotazione delle porte chiuse dell'evangelista annota in 20,20 "i discepoli gioirono al vedere il Signore" e questo rivela il pensiero dell'evangelista nei riguardi del riconoscimento del Signore come incarnazione dell'Unico .
In quel termine di "'oechad", Unico, si trovano anche le lettere della parola fratello "'ach" e di mano , quindi, il pensiero va a "un fratello che aiuta ", e mostra la mano .

Tommaso riceve il "Pace a voi!" e diviene credente, ossia ha ricevuto lo Spirito Santo, come gli altri apostoli, infatti, vide e credette!


Caravaggio Gesù e Tommaso

Tutto era iniziato con un invito riassunto dal Battista con: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo" (Marco 1,15).
Gesù aveva poi iniziato il suo testamento spirituale con: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri." (Giovanni 13,34) ed ora gli apostoli dopo gli eventi della passione e la risurrezione sapevano come li aveva amati.
"Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati" è il succo finale della prima predicazione di Pietro in Atti 3,19 e il succo finale è vivere amando Dio e il prossimo alla luce dell'amore di Cristo, fino alla dimensione della croce.

Per l'evangelista Tommaso è il prototipo dell'incredulità che era di tutti gli apostoli; insomma Tommaso è anche gemello di ciascun fedele che è chiamato a divenire fratello gemello di Gesù mediante la fede.

Sant'Agostino (354-430), dottore della Chiesa nel Discorso 88 su tale fatto ha scritto: "La fede dei discepoli del Cristo era talmente vacillante che, pur vedendolo già risorto, per credere alla sua risurrezione, ritennero necessario anche di toccarlo. Non bastava che lo vedessero con gli occhi se non avessero accostato anche le mani alle sue membra e non avessero toccato anche le cicatrici delle ferite recenti; in tal modo il discepolo che dubitava, dopo aver toccato e riconosciuto le cicatrici, subito esclamò: Signore mio e Dio mio! Le cicatrici rendevano manifesto Colui che aveva guarito in altri tutte le ferite. Il Signore non poteva forse risorgere senza cicatrici? Sì, ma egli conosceva le ferite nel cuore dei discepoli, e al fine di guarirle egli aveva conservato le cicatrici nel suo corpo. E che rispose il Signore al discepolo che ormai dichiarava ed esclamava: Mio Signore e mio Dio? Tu hai creduto - disse - perché hai visto: beati quelli che credono senza vedere. Di chi parlava, fratelli, se non di noi? Non di noi soli, ma anche dei nostri posteri. In effetti, poco tempo dopo che si allontanò dagli occhi mortali perché fosse rafforzata la fede nei cuori, tutti quelli che han creduto l'hanno fatto senza vedere e la loro fede ha avuto un gran merito; per avere questa fede accostarono solo il cuore pieno di religioso rispetto verso Dio, ma non anche la mano per toccare."

La fede concreta che arriva a tale dimensione è un dono del Signore, perché comporta un incontro personale con Lui.

4° episodio
Nel Vangelo di Giovanni tre sono le manifestazioni agli apostoli riuniti da risorto da parte di Gesù.
Le prime due volte sono nel cenacolo; la prima nel giorno di Pasqua e la domenica successiva, presente Tommaso.
La terza volta avviene vicino a Tiberiade sul mare di Galilea come riferisce il capitolo 21 di quel Vangelo 21,14: "Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti."
Questo incontro corrisponde al 4° episodio in cui è menzionato il nome di Tommaso ed è la terza volta che questo Vangelo ricorda che tale apostolo è detto "Didimo".

Il capitolo 21 inizia in questo modo: "Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli dissero: Veniamo anche noi con te. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare? Gli risposero: No. Allora egli disse loro: Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore! Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti, lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: Portate un po' del pesce che avete preso ora. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di 153 grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: Venite a mangiare. E nessuno dei discepoli osava domandargli: Chi sei? perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce." (Giovanni 21,1-13)

La tradizione indica che questo episodio è avvenuto in località detta Tabga, dove poco sopra, sul monte, ci fu il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci narrata in Giovanni 6,1-15 e dove Gesù aveva camminato sul mare durante la notte come riferisce Giovanni 6,16-21.
(Vedi: "La grande pesca per il Regno dei Cieli")

Di mare, di pane, di pesci, parla anche questo brano ove Cristo risorto appare, ma ormai quegli apostoli sanno che non è un fantasma.
Il Vangelo di Giovanni, infatti, si chiude con la visione dell'attività degli apostoli dopo che avevano ricevuto dal Signore, con la certezza della Sua risurrezione, ogni conferma d'essere nel giusto cammino.
Questa visione li vede a "pescare".
D'altronde aveva detto Gesù: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". (Matteo 4,19)
Questa volta sono 7, numero che nella Bibbia indica una totalità che, presente Lui, Cristo, porta alla pienezza del n° 8 che allude all'eternità e all'infinito.
Sono presenti, infatti, 7 discepoli:
  • 1 Simon Pietro che l'aveva rinnegato tre volte;
  • 1 Tommaso e ricorda che era "Didimo";
  • 1 Natanaele di Galilea;
  • 2 Giacomo e Giovanni che volevano stare ai primi posti del Regno;
  • 2 discepoli, forse i due di Emmaus che l'avevano riconosciuto tardivamente.
Per questo fatto su San Tommaso Sua Santità Benedetto XVI nell'Udienza Generale di mercoledì 27 settembre 2006 tra l'altro ebbe a dire: "Un'ultima annotazione su Tommaso ci è conservata dal Quarto Vangelo, che lo presenta come testimone del Risorto nel successivo momento della pesca miracolosa sul Lago di Tiberiade (Giovanni 21,2). In quell'occasione egli è menzionato addirittura subito dopo Simon Pietro: segno evidente della notevole importanza di cui godeva nell'ambito delle prime comunità cristiane."

Il fatto che Tommaso fosse detto "Didimo" è qui segnalato solo come un ricordo per far comprendere come questi assieme agli altri di questo episodio sono stati cambiati e sono creature nuove.
Questi 7, ad esempio di tutti i veri discepoli di Cristo, hanno fatto con Lui un cammino e sono stati cambiati dalla "fede" e ora lavorano alacremente per il Regno dei Cieli.
Gesù, è il nuovo e vero Noè della situazione che ha preparato la salvezza per l'umanità.
In definitiva, sono 8 come gli usciti dall'Arca dopo il diluvio, pronti a preparare la generazione di una nuova creazione.
E qui da aprire una parentesi.

Il "venite e vedrete" che aveva detto Gesù ai suoi primi discepoli chiede di fare esperienza di Lui con tutto se stessi, con tutti i propri sensi, con gli occhi e le orecchie non solo del corpo, ma soprattutto dello spirito.
I sensi sono contingenti e solo temporali, perché vengono solo dalla terra, ma lo spirito viene dal "cielo".
Inizia una nuova creazione nell'uomo che dagli occhi e dalle orecchie fisiche assume come nuovi poteri, occhi veri dell'anima e orecchie del cuore.
Il Vangelo di Giovanni, infatti, dopo aver iniziato ricordando la pagina della creazione come nel libro della Genesi - primo giorno... secondo giorno... - (Giovanni 1,29; 1,35; 1,43; 2,1), nelle prime pagine continua a scandire il tempo, perché appunto con la venuta di Gesù, il Messia, il Cristo, si entra nella nuova creazione, che è un ricominciare un tempo nuovo per preparare l'uomo nuovo.

Il Vangelo di Matteo al proposito di questo tema riporta queste parole di Gesù: "In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele." (Matteo 19,28)

Questa nuova creazione, rigenerazione in latino e palingenesi in greco, comporta di accogliere un invito:
  • Proverbi 9,5-6 - "A chi è privo di senno essa (la Sapienza) dice: Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza".
  • Salmo 34,9 - "Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia."
La nuova creazione passa attraverso il mistero del cammino pasquale, in cui nutrimento è l'Eucaristia, il cibo dell'uomo nuovo.
Solo man mano crescono i nuovi sensi per vedere, udire, gustare... Dio.
Cristo, infatti, con la sua venuta, non solo si è fatto ascoltare e vedere, ma nutre i suoi seguaci col pane e col vino del sacramento per farli divenire suo corpo e suo sangue e far assumere così il passaggio alla dimensione divina.
Si tratta di mangiare di Lui.
Il cibo che viene da Lui dà la vita eterna.
Questo tema del mangiare risuona spesso in bocca del Signore nei Vangeli, con l'invito di assumerlo come cibo per il proprio spirito, lasciando quello che ci propone il demonio col peccato, il lievito dei farisei.

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