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LETTERE EBRAICHE E CODICE BIBBIA...

 
I PRIMI VAGITI DELLE LETTERE EBRAICHE NELLA BIBBIA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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LA SCRITTURA DONO DI DIO »

LE LETTERE EBRAICHE EVOCANO IMMAGINI COME I GEROGLIFICI
Queste poche righe con cui ho fatto esplodere alcune semplici parole ebraiche danno un cenno su quale pathos possa esservi attorno a parole chiave e come le singole lettere siano in grado di parlare ed evocare pagine e pagine di teologia rapidamente e concretamente molto più di libri e libri.
Nasce allora la domanda: quali segni sacri Dio può aver usato ed ha reso comprensibili ad un ebreo - egiziano che visse per 60 anni nella penisola Sinaitica, per farli trasmettere a gente uscita dall’Egitto?
La gente ebrea che Mosè portò fuori d’Egitto era "una gran massa di gente promiscua" (Es12,38), ma gli Israeliti, l'élite dei "seicentomila", considerava d’aver avuto origine fuori dall’Egitto da un popolo di pastori; infatti, la Genesi narra che nel XVII-XVIII sec. a. C. il primo nucleo (le famiglie dei figli di Giacobbe) era venuto da Canaan (ove il progenitore Abramo s’era trasferito dalla Mesopotamia nel XVIII-XIX sec. a. C.) in Egitto, 430 anni prima dell’esodo, e lì si moltiplicò (Es12,41).
La Bibbia afferma che Mosè conosceva bene la scrittura egiziana in quanto educato come figlio di Faraone.
Per dare attendibilità alla tradizione, la scrittura ebraica deve perciò affondare le radici in quell’egiziana che è la più antica forma di scrittura affacciatasi sul mediterraneo.
Tenuto conto che la scrittura ebraica non era ancora nata, - o per lo meno era in mens Dei - come avrebbe dovuto essere scritto il decalogo per essere compreso da un ebreo-egiziano?
La risposta deve essere congruente con questi dati.
Anche se la critica dei testi dice che la Torah, come c’è pervenuta, fu scritta solo molto più tardi, lei stessa afferma che è figlia della prima stesura, scritta da Mosè dopo che Dio diede le tavole della legge.
In effetti, essendo la scrittura dono di Dio, che s’era preparato anche a chi rivelarla, i segni sulle tavole dovevano essere comprensibili a Mosè, congruenti con la cultura di quel personaggio, perciò con segni semplificati della cultura egiziana veicolati nel sinaitico.
Non Toth, infatti, aveva provocato i geroglifici, essendo anche gli alfabeti delle scritture umane oggetto di creazione, ma Dio stesso (con riferimento al raccontino riportato da Gabriel Levy è da considerare che
alef e tau sono anche lettere dell’alfabeto egiziano).
La Bibbia stessa attesta perciò che quei segni usati da Dio furono conservati con sacralità, ed integro fu lasciato il messaggio grafico, se vi fosse stato, in quanto il prototipo delle lettere fu conservato con le tavole nell’arca dell’alleanza (Es 25,21; 40,20; 1Re 8,9).
Mi sono poi chiesto quale scrittura avrebbe usato Mosè, (se ha scritto qualcosa - Gesù, però, conferma la tradizione con … credendo a Mosè, credereste anche a me; perché di me ha scritto) depositario di cultura ebraica ed egiziana, nel XIII sec. a. C. per scrivere poi la Torah e la risposta non può essere che: usò le lettere consegnategli da Dio con le tavole.
Pur se esistono linee di pensiero sull’origine della scrittura da popoli dell’area babilonese per l’origine dei segni ebraici è da attenersi all’indicazione fornita dalla Bibbia che assicura che gli uomini, nati dopo il diluvio, avevano una sola lingua, quella che Noè parlava in famiglia con i suoi figli: Tutta la terra aveva una sola lingua ... (Gen 11,1)
La Bibbia fa concludere che la lingua di Eber, progenitore degli Ebrei, è inquadrabile tra le semitiche come quelle di Elam, Assur, Lidia e Aram e che è quella parlata da Noè conservatasi tra i discendenti, quella del bisnonno Enoch (che fu preso da Dio in cielo), del nonno Matusalemme, la stessa con cui parlava Dio ad Adamo ed Eva nell’Eden e che Lui stesso insegnò loro, con cui Adamo impose il nome agli animali e che con Eva insegnò ai figli.
Il libro della Genesi, infatti, assicura che c’è stato diretto passaggio della tradizione e d’una lingua di famiglia da Noè ad Eber e da questi ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.
Dal viaggio di Abramo in Egitto (Gen 12,10-20) si deduce che i patriarchi, ben prima delle vicende del vice faraone Giuseppe, erano a conoscenza della cultura egizia, tanto che Agar, schiava di Sara, da cui nacque Ismaele, figlio di Abramo, era egiziana; la Bibbia poi informa che Abramo, oltre alla lingua conservata per tradizione, parlava anche la cananea, ma si considerava straniero in quella terra.
La regione orientale tramite i figli cadetti di Abramo (la progenie di Ismaele e i figli di Chetura che Abramo sposò in vecchiaia inoltrata - Gen 25,1-6) è delineata quale area importante per la veicolazione di rapporti di lingua e di scrittura.
La Genesi ci tiene ad evidenziare che la lingua di Aram non influenzò il maturo Isacco che si stabilì a sud della Palestina e nelle steppe del Negheb, perché non voleva mischiarsi con gli abitanti della terra di Canaan più del necessario.
Anche se le matriarche, discendenti di Eber, prima di sposarsi ormai parlavano la lingua di Aram, i patriarchi parlavano quella di Eber e questa nei discendenti non fu influenzata più di tanto dalle lingue di Aram e dei Cananei; così informa la Bibbia!
Con Giuseppe, vice faraone, viene precisato che la cultura dei patriarchi fece un tuffo in quella egiziana e molti Ebrei, i più capaci, nominati sovrintendenti, avranno seguito corsi di scriba per conoscere i geroglifici, dovendo leggere e scrivere in Egiziano per tenere conteggi, fare contratti e relazioni.
Tutti gli entrati in Egitto, peraltro, avevano avuto l’iniziazione di Giacobbe - Israele collegabile a quella trasmessa da Noè ad Eber e dagli altri Patriarchi, di tipo cultuale, di lingua e di storia familiare.
I più capaci avranno parlato in egiziano, ma in famiglia avranno conservato il proprio idioma ed, entrati in possesso della scrittura Egiziana, avranno iniziato a trasferire tale strumento al lessico ed alla fonetica della propria lingua che fino all’ora non era scritta.
Il tempo di 430 anni in Egitto indicato dalla Bibbia è tempo sufficiente, perché con le capacità e le attitudini proprie, alcuni siano potuti arrivare a posizioni di potere presso le corti dei faraoni ed eccellere come scribi importanti in scrittura, costruzioni ed altro.
Il condottiero che dovrà condurre il popolo d’Israele fuori d’Egitto fu scelto nella tribù di Levi, ed i Leviti divennero in quell’occasione la chiave di volta dell’ebraismo.
Il Mosè di cui parla la Bibbia fu perciò in grado di competere col top della cultura egiziana (Negli Atti 7,22 S. Stefano dice: Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere.), perché educato dai maestri di corte sulla storia dei Faraoni, sui miti dei loro idoli, nonché sulle popolazioni vicine, compresi i Greci (così ritiene la tradizione ebraica) e sull’uso delle armi, ma continuò a frequentare la famiglia d'origine ove imparò la lingua, i racconti, le tradizioni ed il culto per il Dio dei padri.
Mosè trascorse vari decenni in Madian (nella penisola del Sinai, zona dei Mineo-Sabei, dai figli di Chetura e d’Abramo) e lì, con l'aiuto dalla rudimentale e sintetica cultura di quell’area, arricchì le proprie conoscenze (sede dei ritrovamenti delle iscrizioni rupestri sinaitiche) con tasselli utili per traslitterare la propria lingua e fissare i primi segni dell’ebraico antico.
Là può aver messo a punto una forma di scrittura efficace con la moglie, i figli e con fuoriusciti Ebrei, fuggiti dalle persecuzioni, e soprattutto col sapiente suocero e consigliere Ietro ("gli furono i segni in testa "; forse così è da interpretare la tradizione che la scrittura fu rivelata da Dio sul Sinai e la figura di Ietro indica l’accostamento di Mosè alla cultura sinaitica).
Mosè personifica il complesso degli autori della Torah del clan dei protagonisti dell'esodo e del cerchio dei costitutari; perciò, nel seguito parlando di Mosè quale autore degli scritti intendo la casta di scribi ebreo-egiziani, i Leviti, che un centinaio d’anni prima possono aver avuto influenza nella vicenda del faraone eretico Achenaton - Amenofi IV - che stravolse la teologia egizia col culto ad un dio unico, di cui l’astro solare era personificazione.
Dal pensiero degli autori della Torah traspare, infatti, la cultura egiziana che fornisce al testo plasticità delle scene descritte, pensate in termini d’immagini murali.
Il popolo d’Israele nasce con l’uscita dall’Egitto in quanto è nella vicenda pasquale dell'esodo, che va cercato l’atto di nascita d'Israele (nella Bibbia il termine Egitto ricorre 689 volte e Gerusalemme 664).
Siamo nel crogiolo delle civiltà d’origine mediterranea, agli inizi della formazione degli alfabeti moderni fatti risalire ai Fenici che associarono ideogrammi semplici ai suoni delle lingue.
L'invenzione della scrittura alfabetica fu una scoperta di fondamentale importanza nella storia dell'umanità, in quanto la vita sociale gradualmente poté subire un importante sviluppo, essendo stato divulgato un mezzo più semplice di quello esistente per trasmettere il pensiero, cui ebbero modo d’accedere fasce medie della popolazione, mentre sino allora era riservato a scribi e a nobili.
Questa scoperta, praticamente coeva e poco successiva al XIII sec. a. C., si diffuse a partire dai popoli della zona sud - orientale del Mediterraneo specialmente tramite i mercanti e le carovane.
Lo storico greco Erodoto nel V secolo scrive: "I Fenici che vennero in Grecia con Cadmo v’introdussero varie scienze e, tra le altre, la conoscenza delle lettere. Dal momento che erano stati i Fenici che per primi le avevano fatte conoscere ai Greci, questi giustamente le chiamarono lettere fenicie." (Storie V,58)
I Greci riconoscevano d’aver appreso l'alfabeto dai Fenici, che ne furono senz'altro i divulgatori, ma non per questo necessariamente gli inventori; infatti nel I sec. d. C. lo storico Tacito (Annali XI,58) scrive: Sono gli Egiziani che hanno inventato le lettere dell'alfabeto, i Fenici, che avevano il dominio del mare, le hanno portate in Grecia e in tal modo è stata attribuita loro la gloria di aver inventato ciò che essi avevano invece ricevuto. (Che gli Egiziani avevano un alfabeto è poco noto.)
Dietro tutto ciò però ci sono gli ebrei, popolo ponte tra Egitto -Sinai - Tiro e Sidone; e la scrittura con cui fu fissata la fonetica ebraica con la cultura sinaitica fu il primo passo per arrivare poi all’alfabeto fenicio in quanto si collocò in posizione intermedia semplificando i geroglifici egizi, ma dando ancora valenza all’aspetto grafico, cioè all’ideogramma, in pratica poi perduto dai successivi alfabeti.
Ora gli Israeliti che vivevano là ne furono certamente i primi beneficiari, e gli stessi scribi, usi alla scrittura ideografica, potrebbero aver inserito nella scrittura lineare anche, per proprio uso criptografico, una lettura per immagini; cioè spaccavano anche le parole e le trasformavano in lettere immagini.
Due fatti non fanno escludere la tesi del messaggio grafico nelle lettere che consentono poi di fornire il messaggio criptato:

- c'è stata una notte dei geroglifici per più di 1.500 anni (dal IV alla fine del XIX sec. d. C.), e la perdita di tale supporto ha avuto ed ha tuttora riflesso per perfetta comprensione della cultura formativa biblica;

- la forma quadrata liturgica della scrittura ebraica prima di tale perdita s’era già consolidata e la fedeltà assicurata dalla conservazione dalla scrittura quadrata rabbinica ha salvato il messaggio grafico di quelle 22 lettere conservando il pittogramma veicolato dall'egiziano, dal sinaitico e da scritture coeve, segni che poi, verso il I-II sec. a. C., furono stabilizzati nella forma espressiva che c’è arrivata e che fu sigillata nel I sec. d. C..

In quelle 22 lettere c’è, infatti, una voluta costruzione del disegno dal quale traspare la volontà di messaggi grafici.
Tra queste, 5 a fine parola mutano forma, ma non fu sempre così; fu un’innovazione introdotta con i segni di vocalizzazione.
Il carattere in uso, diverso dall’immediata precedente scrittura (rimasta nei testi samaritani) fu reintrodotto da Esdra al ritorno dall’esilio, ed opinione ebraiche corrente è che la forma delle lettere è assunta come originaria ed è sacra.
È anche ritenuto che le lettere in genere sono portatrici di messaggi basati sull’allitterazione dei loro nomi, e ciò è parzialmente vero per alcuni segni, ma non per tutti come possiamo vedere nelle schede delle lettere, di prossima pubblicazione in questa rubrica.

a.contipuorger@gmail.com


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