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NELLE SACRE SCRITTURE GIUDEO-CRISTIANE »
LA TORAH, VIA VERSO LA LIBERTÀ
Le prime parole che Dio dice a Mosè al roveto ardente sono un attestato di volontà di liberazione, infatti, Dio disse: "...Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell'Egitto
" (Esodo 3,7s)"
Poi, nei cosiddetti 10 comandamenti o 10 parole Dio si presenta come Colui che compie ciò che promette, e si autodefinisce come Colui "che ti ha fatto uscire dall'Egitto, dalla terra della schiavitù" (Esodo 20,2).
In definitiva "...gli Israeliti sono miei servi; essi sono servi miei, che ho fatto uscire dalla terra d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio." (Levitico 25,55)
In effetti, proprio nel dare quelle 10 parole è usata anche un'altra parola che fa aleggiare l'idea di "cherut"
che nell'ebraismo serve per definire la libertà.
Questa però non si trova mai usata con tale vocalizzazione nella Torah e negli altri scritti della Tenak.
Nel Seder di Pesach, l'ordinamento della celebrazione ebraica familiare della Pasqua, festa madre di tutte le liberazioni, nell'"haggaddah" o racconto, però, è decantato che "Dio ci ha condotti dalla schiavitù alla libertà" ed è scritto "mea'vdut lecherut"
",
perché, appunto, gli ebrei sostengono che quello della Pasqua è il prototipo e memoriale della libertà, ossia "il tempo della nostra libertà", "zman cherutenu"
.
Quelle quattro lettere
,
comunque, si trovano con altra altro significato, in Esodo 32,16 quando là sono descritte le due tavole della legge: "Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita
sulle tavole."
Precisamente viene solitamente tradotta con "scolpita" e nei testi ebraici come "registrata", "sigillata" "charut"
.
Si trova scritto dai saggi d'Israele: " Non leggere scolpita 'cherut', ma libertà 'charut', perché non esiste uomo libero se non chi si impegna nello studio della Torah." (Avot 6,2)
Il perché
voglia dire libertà lo spiego con le lettere in questo modo:
"dalle strette/della prigione
del corpo
si porta
la fine
".
Tra l'altro "chor"
è "foro, buco, caverna", quindi, con
finalmente si vede la fine del tunnel; "del foro/caverna
si porta
la fine
".
Per quanto riguarda "charut" con l'accezione di "registrata", "sigillata", è da tenere presente che la parola "choeroet"
,
scritta con in finale la lettera tet
,
è parola che significa scalpello, che serve per incidere iscrizioni sulla roccia, od anche stilo, forse perché è come se "nascondesse
il corpo
una gemma
",
gemma capace di far nascere figure e parole.
Nel Nuovo Testamento nella lettera di Giacomo si trovano questi versetti: "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla." (Giacomo 1,22-25)
Quella "legge della libertà" pare proprio essere una riprova di ciò che si diceva per quel "charut" e/o "cherut" nella descrizione delle tavole e come quella idea sia stata elaborata già in tempi antichi.
Aggiungo che quella "legge perfetta", tenuto conto che "rendere perfetto" in ebraico ha il radicale radicale
da cui viene sposa, "kallah"
,
colei che ti completa, e porta al pensiero che quelle tavole sono proprio la "Ketubah", l'atto scritto consegnato per il patto di alleanza matrimoniale da Dio al suo popolo.
Quella considerazione della parola nascosta "libertà" scritta con quelle lettere in ebraico che apre la consegna delle Tavole porta come conseguenza che quelle 10 parole sulle Tavole stesse, e poi tutto quanto prescrive nei successivi capitoli il Signore, non vanno presi come costrizioni, bensì sono parole di libertà, cioè indicano un cammino che porta alla vera libertà.
Scrivevo per introduzione nell'articolo
"Dalle lettere ebraiche balbettii su Dio" sui 22 segni delle lettere ebraiche:
"Provo a sondare l'idea di Dio, non con metodi filosofici, ontologici, metafisici e/o teologici, ma col potente strumento della lettura delle parole importanti ricavate da alcuni versetti fondamentali dell'Antico Testamento con i significati grafici delle lettere ebraiche in linea coi criteri che porto avanti in questo mio Sito.
Negli scritti ebraici dell'Antico Testamento non solo conta ogni parola, ma ogni lettera; infatti, queste con la loro espressiva e voluta grafica evocano precise immagini e leggerò parole e versetti secondo i significati e le regole, sempre da me rispettati.
(Vedi: "Parlano le lettere" e "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche")
Ne nascono idee, conferme e sviluppi interessanti perché in quelle parole con la lettura dei segni si svela il seme, in cui tutto è già perfetto, da cui poi s'è sviluppato l'albero delle Sacre Scritture, infatti, quella forma di lettura, che comporta di vedere ogni parola come un rebus, cioè una strip di immagini, tante quante sono le lettere da vedere nel loro ordine e correttamente da interpretare, è capace di denudare l'essenza facendo esplodere tutta una sfaccettatura di concetti latenti e connessi nei testi e fanno apparire un testo sottostante o di secondo livello.
Ognuno di quei segni delle lettere va dunque interpretato secondo il detto Voltali e rivoltali perché in loro è tutto (Pirkè Avot) ritengo, infatti, che le immagini di quelle parole semplici dell'ebraico antico, sedimentate per la meditazione da parte di spiritualisti ebrei del passato, sono state capaci di provocare approfondimenti, considerazioni, collegamenti, racconti, accrescimenti e sviluppi che hanno portato alla formazione dei testi biblici. Il metodo che propongo è spontaneo, il classico uovo di Colombo, e riporta alla luce un criterio antico dimenticato col dilagante uso di testi dell'Antico Testamento 'tradotti' in greco, in latino e poi nelle altre lingue moderne."
Vera libertà è così il pieno accoglimento della volontà di Dio.
Il profeta Isaia (44,1-21) pone queste parole in bocca a Dio stesso: "Ora ascolta, Giacobbe mio servo, Israele da me eletto... Ricorda tali cose, o Giacobbe, o Israele, poiché sei mio servo. Io ti ho formato, mio servo sei tu; Israele, non sarai dimenticato da me."
(In "Tentazioni del figlio di Adamo, figlio di Dio, il Carpentiere", tra l'altro, ho presentato decriptato il capitolo Isaia 44)