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RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

 
IL MARE DELLA VITA

di Alessandro Conti Puorger
 
 

L'ALLEGORIA DELLA VITA E DEL MARE
L'argomento che questa volta ho scelto è di meditare, aiutato dalle Sacre Scritture giudeo - cristiane, sul mistero della vita terrena che si articola tra due momenti essenziali, nascita e morte, ma guardato sotto una particolare angolatura che coinvolge l'idea del mare, almeno, così come ce la presenta la Bibbia.
Questo modo di vedere, in effetti, apre a una nota allegoria che, trafilata attraverso le lettere ebraiche, a mio parere, assume una particolare freschezza densa di significati.
Rivolgo, infatti, nelle ore del tempo libero i miei pensieri su argomenti che m'interessano per farmi coinvolgere, come al solito, per un mese su un aspetto specifico atto ad elevare lo spirito e la meditazione, man mano che la sviluppo la trasformo in un articolo che porto poi a conoscenza in Internet sperando che anche altri vi trovino utilità.
Ciò premesso entro nel tema.

Senza avere scelto di vivere, eppure, in qualche modo viviamo, ma ben sappiamo che dobbiamo morire.
La nascita e la morte sono due porte che ineluttabilmente ogni uomo di questo mondo deve passare.
Lo stesso di Dio, qualora s'incarnasse o si fosse incarnato, deve passare attraverso la nascita e la morte fisica, e vi è passato, come professa il cristianesimo.
Quelle porte marcano uno spazio di tempo che il soggetto non può sapere quanto sia lungo e sono come le rive di partenza e di approdo della vita umana, soltanto durante la quale si può operare.
C'è ovviamente una grande differenza tra il vivere e l'esistere.
Ogni uomo per vivere deve nascere, quindi, uscire dalla "porta" della madre.
La lettera ebraica che riguarda il vivere, cioè lo stare in vita in questo mondo, è perciò proprio la "mem" = , lettera specificativa dell'essere madre "'am" , ma anche dell'acqua "maim" , onde "vita, vivere, vivente, acqua e madre" sono concetti tutti sottesi dalla stessa icona della lettera "mem".
(Vedi: schede delle 22 lettere ebraiche cliccando sulle immagini relative della colonna a destra della home di questo mio Sito)

L'essere, l'esistere, è molto di più del semplice vivere, perché non ha confini.
Questo è un concetto che viene colto dall'ebraico in quanto il verbo relativo all'esistere è espresso dal radicale in cui la lettera "iod", appunto del "Essere", iniziale di IHWH, si trova da due lettere "he" = che indicano spazio aperto, nessun confine, onde l'Essere, di fatto. implica il non essere limitato.
Il "vivere", invece, in ebraico è e rispetto all'esistere si differenzia per la presenza della lettera "chet" = la cui icona rispetto alla he = presenta una chiusura, infatti, la icona della "chet" = indica, chiuso stretto quindi imprigionato, per cui per viene il pensiero che è "limitata l'esistenza nel mondo .

Al riguardo è significativo che appena in Genesi 3 avviene la caduta della prima coppia la reazione della parte maschile è di contrapposizione a quella femminile e "L'uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi." (Genesi 3,20)
La chiamò Eva ossia in ebraico "Chavvah" , come a dire alla moglie che aveva contribuito alla caduta della coppia, "una limitazione hai portato nel mondo " al nostro esistere che prima era aperto.
"Vita", infatti, per ogni vivente di questo mondo da quel momento, secondo l'autore della Genesi, ineluttabilmente subisce quella limitazione, infatti si scrive e si dice in ebraico "chai" o anche "chaiim" .

In quella lingua, potendosi lasciare il verbo "essere" sottinteso, si può pensare "chaiim" così diviso: + , considerato che l'ebraico si legge da destra a sinistra ed essendo il bi-letterale "iam" usato per definire il "mare", ossia "forti acque ", ne discende il pensiero che "chaiim" "la vita (è) un mare ", quindi, la vita è come il mare; il mare della vita!

Tanto per ricordare alcune proprietà del mare, questo è vasto, ma presenta anche degli stretti, è instabile, soggetto a venti d'ogni tipo per direzione e intensità che provocano il moto ondoso e le calme piatte, bufere e tempeste, correnti, maree, maremoti per eventi sotterranei, gorghi e sorprese d'ogni tipo, è subdolo con scogli e iceberg, ha un fondale alcune volte limpido e trasparente, altre volte cupo e misterioso ed è pieno di sorprese non escluso i mostri marini del pari è la vita.

Guardando com'è la parola di "chaiim", si può notare che la forma della prima lettera, la "chet" , l'ottava dell'alfabeto, come abbiamo già notato, pare simile a un'altra lettera ebraica, la "he" , la quinta dello stesso alfabeto e tra tali due lettere l'unica differenza è che la chiude lo spazio che la lascia aperto.
C'è poi la "iod" che ha la forma di un pugno e sembra dire sono la più piccola, sono quasi insignificante rispetto alle altre lettere, ma sono la più forte, anzi sono Essenziale!
A questo punto si può pensare a "chaiim" come è "chiusa la forza del mare " idea che porta la mente al seguente passo del libro di Giobbe, quando quel personaggio, in mezzo ad un uragano, si sente dire da Dio con cui discuteva:

"Chi ha chiuso tra due porte il mare ("iam" ), quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde?" (Giobbe 38,8-11)

Il vivere è caratterizzato dal respiro o anima, ma anche dal desiderio, termini tutti che in ebraico sono definiti da "noefoesh", in cui esiste un'energia per cui si emana dalla bocca calore - fuoco , ma essendo "fesh" "arroganza, orgoglio o insolenza" onde il libro di Giobbe in quel versetto parla di orgoglio che s'infrange al limite del mare e di due porte, quindi, allegoria propria della vita dell'uomo su questa terra che desidera continuamente e che smania, ma secondo quel testo lo può fare, solo entro limiti precisi, decisi e fissati da chi ha voluto che vivesse.
Sussiste, quindi, sin dall'antico ebraismo il parallelo tra i due fatti del nascere e del morire con le sponde di partenza e di arrivo del mare della vita.
La vita è un passaggio, è una Pasqua come accadde agli Israeliti cui si aprì il mare ed ebbero una nuova vita con Dio.
Ciascuno non sa quanto sia largo il proprio mare, ma in un modo o nell'altro non può che attraversarlo o affogarvi, che in definitiva è la stessa cosa che arrivare alla fine del percorso, perché in tale evenienza la porta finale gli è come venuta incontro.
Ecco che, in ciascun individuo che sta vivendo, almeno che non dorma, presto nascono queste due domande imperative e incombenti:
  • la seconda porta si apre sul nulla o su che altro?
  • qual è lo scopo della mia vita?
Il filosofo Seneca del I Secolo d.C. affermava: "La vita, senza una meta, è vagabondaggio".
La conclusione è vagare inutilmente o scegliere una direzione il che equivale nel proprio vivere di ritenere di avere uno scopo e di perseguirlo.
Il ritenere di avere uno scopo e averlo veramente sono due posizioni la cui differenza tra loro non è da poco, in quanto, tra esse c'è la stessa alternativa tra l'illusione, ed allora il risultato è pari al "dormire" o "vagabondare", e la realtà.

Un'altra domanda poi che a molti può apparire pleonastica è: è bene che la vita sia lunga o sia breve?
La paura della morte ossia della seconda porta ci fa sperare una lunga vita, ma una vita lunga comporta più dolori e problemi e, in genere, è preferito il certo piuttosto che l'incerto per lo meno finché non si siano superati certi limiti entro cui un vivere sia ancora possibile.
Più diviene lungo il percorso, più nel corso di questo si ha possibilità di provare se quanto già scelto era utile o meno e di mutare le proprie convinzioni e l'indirizzo; ma attenzione, perché il gomitolo della vita può finire.
L'impresa è ardua perché il percorso è ignoto e le forze col tempo per incidenti di percorso, malattie e vecchiaia le diminuiscono; è, quindi, buona precauzione prepararsi comunque per un lungo percorso cercando un aiuto adeguato.
Guardandosi attorno i comportamenti degli uomini rivelano lo scopo per cui vivono.
Prima sono da risolvere i bisogni primari come il riparo, il cibo, il vestirsi, poi, appena superati subentra la ricerca della comodità e del piacere, del denaro, quindi la spinta alla carriera, al comandare, al successo, e via via verso il potere, la gloria, la fama, la ricerca dell'abbondanza e del lusso.
I motori del vivere quindi partono da spinte semplici, ma forti e sempre più complesse con inizio dai sentimenti, per passare a forme più solide, positive e negative, quali l'amore, l'amicizia, l'odio, la vendetta, faide familiari, la libertà, rivendicazioni sociali, nazionalismi, ideologie, filosofie, religioni e, infine, il vivere per la famiglia o per un'altra persona o perdersi nella ricerca di una falsa e irraggiungibile onnipotenza.
Comunque la meta finale è la felicità che pare un mito irraggiungibile!

Sempre Seneca al riguardo della felicità disse: "Nessuno lontano dalla verità può dirsi felice".
Il cammino quindi pare doversi condurre verso la ricerca della Verità.
Epicuro (IV-III secolo a.C.) nella "Lettera sulla felicità" a Meneceo sostiene che non c'è età per conoscere la felicità: non si è mai né vecchi né giovani per occuparsi del benessere dell'anima.
Lo stesso filosofo poi riteneva "Il male, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi.", ma prima della morte ci può essere tanta sofferenza e questa sì che fa comunque paura.
Vi sono alcuni aforismi sulla vita del grande scienziato Albert Einstein che evidentemente uno scopo nella vita aveva meditato e scelto, aforismi che paiono ritenere lo scopo della vita fuori dall'egocentrismo:
  • "Ci sono due modi di vivere la tua vita. Una è pensare che niente è un miracolo. L'altra è pensare che ogni cosa è un miracolo."
  • "Soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere."
  • "Chiunque consideri la propria e l'altrui vita come priva di significato è non soltanto infelice, ma appena degno di vivere."
Non tutti debbono essere scienziati, ma ognuno deve trovare il proprio scopo. Einstein disse di sé: "Da bambino ho ricevuto un'istruzione sia sul Talmud che sulla Bibbia. Sono un ebreo, ma sono affascinato dalla figura luminosa del Nazareno", e in pratica non si può definire ateo, perché credeva in un Dio mente suprema: "La mia religione consiste in una umile ammirazione dello spirito superiore e infinito il quale si rivela nei dettagli minuti che riusciamo a percepire con le nostre menti fragili e deboli. Ecco la mia idea di Dio, la convinzione profondamente emotiva della presenza di una razionalità suprema che si rivela..."

Appare così anche nella mente di un uomo del tutto razionale la dimensione della trascendenza, quindi un assoluto che in un modo o nell'altro entrando come possibilità non può venire trascurato, perché è il polo magnetico cui indirizzare il vivere... oltre la seconda porta di cui parlavo e che non è il "nulla".

In definitiva, volendo o no, prima o poi, all'orizzonte del mare della vita appare l'idea del trascendente che interroga l'uomo dal più semplice al più raffinato.
Per il matematico, fisico, filosofo e teologo francese del XVII secolo Blaise Pascal secondo cui il "pensar bene: questo è il principio della morale" (Pensieri 139) cui assieme a Fermat è attribuita la nascita del concetto moderno di "probabilità" "l'uomo è costretto a scegliere tra il vivere come se Dio ci fosse e il vivere come se Dio non ci fosse, e nessuno può rifiutarsi di prendere una posizione, poiché il non voler scegliere è già una scelta negativa".

Questa, a mio parere è posizione, pragmatica e cinica.
Per motivare una scelta coerente, essendo in gioco anche qualcosa di estremo per la ragione, ossia il trascendente, occorre più della sola ragione per arrivare a una scelta seriamente motivata che non cada nell'illusione o nel gioco della scommessa e della probabilità, altrimenti il dubbio impedisce il movimento o lo rende falso, mentre il dubbio autentico e sincero sveglia la curiosità e, gradualmente svelato, può divenire motore della vita.
Questo aiuto non ce lo si può procurare da soli, ma è come l'accensione di un turbocompressore che rende possibile prestazioni che al normale motore non sono concesse e che è da ricercare presso rivenditori specializzati, ossia testimoni sicuri.

Il Santo Giovanni Paolo II aprì la sua enciclica "Fides et Ratio" proponendo "La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso"; insomma occorre respirare con entrambi i polmoni!

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