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RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

 
CANTICO E TEMPIO DI SALOMONE:
INNI AL NOME INEFFABILE

di Alessandro Conti Puorger
 

PREMESSE
Nella lettura esterna del testo del Cantico dei Cantici ("che è di Salomone", come asserisce il primo versetto di quel libro della Bibbia - Ct. 1,1) in cui molti vi hanno visto solo un canto d’amore terreno alla stregua di quanto più o meno reperibile in altre letterature, riscontro continue allegorie ed allusioni al nome di Iahwèh, come se le quattro lettere ebraiche formative di quella parola avessero ispirato il poeta a compilare un inno sul Nome ineffabile espresso dal Tetragamma sacro .

L’idea è che le scene, i fondali e le quinte di quel cantico sacro sono proprio le lettere del suo Nome che sono nella mente dell’autore e che trapelano dalla descrizione.
L’amato e l’amata del Cantico si cercano e si rincorrono per intrecciare la loro storia di passione travolgente tra quei segni che rappresentano l’essenza dell’esistenza di Iahwèh, colui "che era, che è, che sarà".
E che si tratti d’un amore eterno è detto nell’epilogo quando la sposa conclude:

"Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi e la passione, le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo." (Ct 8,6b.7a)

Promessa d’amore eterno e di vittoria sulla morte!

Il balsamo di cui parla Salomone è Lui, il Dio d’Israele.
Lui è il diletto e l’amata è chi lo cerca con cuore sincero.

L’amata, trascorso l’inverno esistenziale, in cui la bellezza della vita vera è nascosta agli occhi tentati da tante esperienze da fare, sente una chiamata:
"Ora parla il mio diletto e mi dice: Alzati amica mia, mia bella, e vieni!" (Ct 2,10)
e questa s’inoltra ad esplorare a fondo gli aspetti esistenziali del suo Nome e ne scopre una realtà inattesa che la porta ad una tensione in cui tutta se stessa acquista esperienza e perizia nell’arte dell’amore per arrivare al livello dello sposo.

Anche il Tempio di Salomone, che poi fu d’ispirazione al secondo Tempio, presenta una continua allegoria al Nome sacro.

Tra l’altro nel Tempio, davanti alla porta, com’è ai più è noto, erano state poste due colonne di bronzo, chiamate quella di destra Jachin e Booz quella di sinistra (1Re 7,15-22).
Attorno a queste due colonne molto è stato scritto, ma i due nomi restano oscuri e si ritiene a "essa è solida" e "con forza" (es. nota della Bibbia di Gerusalemme a quei versetti di 1 Re).
Con la decriptazione (vedi "Parlano le lettere"), pensando all’idea dell’acqua che esce dalla parte destra del tempio della visione del profeta Ezechiele (in Ez. 47,1), a cui evidentemente allude l’evangelista Giovanni con l’acqua che esce dalla parte destra del costato di Cristo, nuovo Tempio, colpito in croce da una lancia, si ricava che i nomi,
delle colonne hanno un senso ermetico:
"sarà a versare acqua-vita da dentro con forza ".
Potenza delle lettere e capacità di queste d’evocare immagini!

Tempio di Salomone Lo stesso Tempio in pianta era in pratica una replica del Tetragramma sacro.
Si aveva il fabbricato monumentale che conteneva il Santo dei Santi in cui risiedeva l'Essere cioè la lettera iod , i due cortili che essendo spazi aperti rappresentano le due lettere he con un passaggio tra i due, attraverso cui ci si porta, cioè la lettera waw così in pratica è aver scritto Iahwèh .

L'interno stesso del fabbricato del Santo dei Santi nel primo Tempio aveva lo stesso criterio con l'atrio , si passava alla navata e si entrava nel Santo dei Santi .

Gli antichi da quei segni sacri traevano vere storie perché le lettere secondo antiche credenze comuni a vari i popoli, erano doni divini; Iahwèh, secondo la tradizione ebraica, aveva le lettere, con le quali aveva creato il mondo, incise sul trono.
Ora, le colonne vicine alla porta inducono all’idea della lettera "he" ;
infatti, colonna e porta + che come forma danno luogo ad (vedi schede delle lettere [dalet] dalet e [he] he).

Chi si portava nel Tempio, in cui all’interno c’era l’Essere , passava tra le due colonne dalla porta che indicavano le due ; perciò, di fatto invocava il Tetragramma senza pronunciarlo ed i salmi confortano quest’idea:

- "Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria" (Sal. 24,7).
- "Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode, lodatelo benedite il suo Nome" (Sal. 100,4).

Nello stesso modo, se si pensa a Dio che esce dal Tempio, si ha:

"Il Signore () dalla porta esce ",

ma con ciò si pronunciava la parola Giuda ; che è il Tetragramma con all’interno la lettera .

Insito nella parola Giuda ci sono perciò i concetti:

"Iahweh in maestà uscirà ";
"Iahwèh () protegge/aiuta nel mondo "

Queste sono di fatto profezie della venuta del Messia da Giuda!

La parte emergente di tale sensazione, cioè che nel testo esterno del "Cantico dei Cantici" c’è una continua allegoria ed allusione al nome di Iahwèh, pur essendo quota significativa delle allusioni, non supera la possibilità d’una prova definitiva perché non solo quello, ma molteplici sono i temi toccati dal Canto stesso.
Quanto captato può però essere sottoposto al vaglio dello spirito dell'uomo, perché, appunto, è alla sua sensibilità che le sottili allusioni di quel canto fanno appello.
Man mano che mi si è presentato il tema mi ha particolarmente incuriosito l’interrogativo di come nacque la scrittura adottata da Mosè alla scuola del Sinai.
Del lungo tempo, infatti, vissuto da Mosè in Madian prima del’episodio del roveto ardente e di come abbia prodotto la scrittura che la tradizione gli attribuisce, non si sa infatti in sostanza nulla.
Ho perciò raccolto in forma di colloquio fantastico, tipo "midrash" - cioè una ricerca a forma di parabola - alcune idee sul tema della scrittura del Nome sacro, altrimenti non esprimibili, unito al discorso del "Cantico dei Cantici".

Ho preso spunto dall’incontro tra Mosè, Ietro e Zippora che avvenne realmente, come racconta Mosè nel libro dell’Esodo (si trova in Es. 18,1-12), ma il colloquio è immaginario.
Immagino così un incitamento discorsivo di Mosè al suocero Ietro per portarlo alla fede nel Dio Unico e per far ciò Mosè spezza la parola Iahwèh e gliene illustra i segni con l’arte della maieutica socratica.
Nel far ciò, a porre l’accento sui punti salienti delle conclusioni del dialogo, appare la figura di Salomone che cita versetti del "Cantico dei Cantici".

Il lettore è chiamato perciò a verificare così la congruenza all’idea di partenza.
Ietro è infatti un personaggio importante nel libro dell’Esodo e rappresenta la sapienza dei popoli medio orientali, cuscinetto tra i Cananei e l’Egitto, in cui si ebbe quella felice miscela che portò dai geroglifici complessi e dai segni dall’alfabeto Egiziano a quelli ebraici e ai fenici.

Nel nome con i segni ebraici del nome Ietro c’è, infatti, insita l’idea che a Mosè "fu i segni nella mente a portare ".

PERSONAGGI
Zippora riporta il resoconto del colloquio a cui era presente presso il monte Horeba dopo la vittoria contro Amalek, tra il padre Ietro e Mosè suo marito, ma non partecipa al colloquio.
Il dialogo è tra i seguenti personaggi indicati sinteticamente con le sigle indicate:

- (M) Mosè, marito di Zippora e genero di Ietro;
- (I) Ietro, padre di Zippora e suocero di Mosè;
- (S) Salomone, figlio di David, terzo re d’Israele.

Quanto è messo in bocca a Salomone sono sue parole (riportate in neretto), tratte dal "Cantico dei Cantici, che è di Salomone" (Ct. 1,1).
Salomone però non partecipò all’incontro, perché avvenne oltre 250 anni prima che lo stesso nascesse, ma poiché la Bibbia, per chi crede, ha in sé concetti eterni, quando si parla di Dio possono essere avvicinati tra loro pensieri, anche se espressi in epoche differenti.

DIALOGO IMMAGINARIO TRA MOSÈ E IETRO DAVANTI A SALOMONE
MOSÈ: Ietro, te l’ho detto, Dio, Benedetto sia il Suo Nome, vuole farsi conoscere da te!
È Lui, infatti, che ti suscita il desiderio di conoscere come lo scriviamo noi ebrei, con i segni che abbiamo visto assieme.
Pensa che già il fatto che il Suo Nome, che non può essere pronunciato e lo leggiamo solo con gli occhi e poi si dice "Adonai", cioè il Signore, è sua traccia e già da come è scritto quel nome ci vengono messaggi su di Lui.
È come un avvertimento che dà, perché Lui non ha celato la via da seguire per trovarlo, ma gli uomini spesso vogliono essere ciechi.
E così, Lui ci dice che si deve stare bene attenti con gli occhi fisici, del cuore e della mente al suo operare.

Guarda! Devi procedere da destra a sinistra
Inoltre, non devi dare nulla per scontato, ma avanzare come farebbe un essere minuscolo, da formica, perché siamo di fronte a Lui.
Pur facendoci piccoli è da dilatare al massimo possibile gli organi di ricezione.

IETRO: Eppure quella mi sembra una parola barricata. Non lo vedi anche tu?
Te l’ho detto altre volte, per me è ostica ed impenetrabile.
Vista dall’esterno, nel senso del procedere che tu dai alla scrittura, è parola munita di mura che ne sbarrano l’accesso; è quasi turrita!

MOSÈ: Corri troppo! Comincia per ordine da ciò che vedi prima.
Quella non è una parola qualsiasi e non va giudicata in base alle apparenze, ma con l’esperienza che man mano si ha di Lui.
Al momento, come tutti, vedi gli effetti della Sua esistenza, quella che chiami la Sua forza, il Suo pugno, la Sua mano, cioè solo la prima lettera, la Iod del Suo Nome. Vedi cioè tracce della sua forza nel mondo, ma Lui non lo capisci!



IETRO: Invece ho capito! È proprio vero Mosè, vedo gli effetti del dito di Dio, della Sua mano, vedo solo la tua lettera Iod, ma non riesco a penetrare di più nella Sua conoscenza.

MOSÈ: Adonai, Benedetto Egli sia, ha posto nell’uomo la propria impronta; questi ha in sé il Suo soffio vitale che proviene dall’Essere , perché il Santo, ha creato tutto proprio per l’uomo, affinché in libertà si elevi dallo stato di semplice creatura.
Come dice Salomone che definisce questa elevazione con sorella mia, sposa! Procedi allora oltre, verso la seconda lettera: che vedi?

IETRO: Ma, anche così il Nome rimane sbarrato!
Io, pur con ogni buona volontà vedo soltanto un muro verticale e non so cosa ci sia dietro.
Da fuori, considerato il Nome come una cittadella, la lettera che mi pare vedere potrebbe essere una lettera chiusa perché intravedo come un tetto, come la , eguale al concetto di chiuso.

MOSÈ: Ma hai provato a vedere se ciò che pensi è vero o se ti inganni?
Quello che vedi potrebbe essere anche una o una , o addirittura una…, ma non corriamo!

SALOMONE: "Sono venuto nel mio giardino, sorella, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi, o cari" (Ct 5,1).

MOSÈ: Si, proprio come dice Salomone con sorella mia, sposa forse lì dietro c’è il paradiso e ci sono già altri che sono entrati; gli amici.
Procedi senza timore, fidati di Lui, va oltre verso la seconda lettera: che cosa vedi?

IETRO: Provo a bussare.

MOSÈ: Lo vedi che fai già dei grandi passi.
È vero Salomone che anche se sembrano mura non sono mura, possono sembrare mura, però si aprono?
Allora sei ora propenso a pensare ad una porta!
Con quel segno, ricordi, te ne abbiamo parlato con Zippora, che a te sembra , indichiamo una porta, che noi ebrei chiamiamo dalet.
Sulle porte nelle case più ricche in Egitto mettevamo un batocchio a forma di pugno per bussare; è lo iod che batte alla dalet , come ciò che ti sembra di vedere.

SALOMONE: "Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa: Aprimi, sorella mia, amica mia, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne" (Ct. 5,2).

MOSÈ: Hai sentito? In effetti anche se sei tu che bussi è di fatto Lui che bussa.

IETRO: Concediamo pure, vedo una porta. Ma la porta è chiusa. Come aprirla?

MOSÈ: Mettiamo che tu abbia la chiave la useresti? Hai coraggio d’aprirla?

IETRO: Mi posso avvicinare alla porta, ma ho paura ad aprire una porta sull’ignoto!

MOSÈ: Hai centrato il problema. La paura fa star fermi finché la vita che è in te e la storia che ti lavora, ti spingono ad aprire.
Lui, Il Nome Santo, vuole che liberamente si faccia il primo passo.

SALOMONE: "Mi sono tolta la veste come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi, come ancora sporcarli?" (Ct. 5,3).

MOSÈ: Hai sentito? Salomone parla da sapiente e da poeta assieme.
Suggerisce che è il peccato di voler essere come Dio e di fare a meno di Lui, che ha fatto nascere in tutti da Adamo in poi la paura della morte, che fa sentire nudi e l’orgoglio di non cercarLo ci fai dire che sul discorso non vogliamo tornare, come se ci fossimo purificati una volta per tutte da quel pensiero per dormirci sopra.

IETRO: Allora, mi dite che è la stessa esistenza che convince ad aprire la porta!

MOSÈ: Si, se l’uomo guarda alla propria storia, preso atto delle sconfitte, spesso si rende conto che anela all’Origine e nasce il desiderio d’aprire la porta.

SALOMONE: "Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta" (Ct. 5,4).

MOSÈ: Allora, Ietro, lasci il tuo idolo che non parla e non ti ascolta per tornare da Lui? Non ti rendi conto che Lui parteggia per te e armeggia vicino a quella porta come dice Salomone?

IETRO: Si! Prendo la mia esistenza e l’avvicino alla porta, sento che non debbo più aspettare.

MOSÈ: Bene; ed ora non vedi?
In ebraico, non leggi Iad = mano?
Ora Dio da "porta" per te è diventata una mano.
Se tu allunghi la mano, Lui che è padre ti dà la Sua.
È come se attraverso quello spiraglio di cui parla Salomone, lo spiraglio che Lui ha aperto nel tuo cuore, ti dia la mano per portarti avanti nella ricerca.
Se l’uomo supera l’orgoglio di credersi autore della propria storia e smette di operare come se Lui non esistesse Adonai (Iahwèh) gli regala una mano giusta per aprire la porta e trovarLo.

IETRO: Che cosa accade ora? Aiutatemi!

MOSÈ: Io ti posso aiutare solo un poco presentandoti come ho scritto il Suo Nome, ma poi tu e lo Sposo, come direbbe Salomone, che vi dovete conoscere.

SALOMONE: "Mi sono alzata, per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, mirra fluidissima dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello" (Ct. 5,5).

MOSÈ: Salomone sta dicendo che chi va ad aprire è carico di tutta la propria umanità. Per noi ebrei la mirra Mwr è "l’amara" per antonomasia, vale a dire si è ancora pieni dell’amarezza accumulata nella propria storia e occorre ancora molto cammino per riconciliarsi con la vita.
Ora se tu apri puoi vedere oltre la porta e guardare indietro.
Così, e ti puoi accorgere che quella che tu credevi una porta, una dalet, in effetti è una , cioè un campo aperto; la porta l’avevi messa tu e l’avevi chiusa tu, come aveva fatto la sposa di cui parla Salomone; insomma ti eri imprigionato da solo.

IETRO: Ma la tua Mosè non è quella lettera che gli egiziani disegnano così e determina un campo, la campagna o un giardino recintato, ma aperto?
E allora Lo dovrei vedere! Ma Lui dov’è?

SALOMONE: "Mi sono alzata per aprire al mio diletto, ma il mio diletto già se ne era andato, era scomparso. Io venni meno per la Sua scomparsa" (Ct. 5,6a).

MOSÈ: Lui lo sa. Vorremmo tutti sederci. È fuggito perché tu faccia un altro balzo nella ricerca e tenti di raggiungerlo. È vero Salomone?

SALOMONE: "Fuggi, mio diletto, simile a gazzella o ad un cerbiatto, sopra i monti degli aromi!" (Ct. 8,14).

MOSÈ: Guarda un attimo caro Ietro e domandati cosa già hai acquisito di Lui con la ricerca fin qui condotta.

IETRO: Beh, finora, nell’addentrarmi nella conoscenza del nome di Adonai, come dici, ma così come l’hai scritto tu, mi sono apparse, anche se non tutte vere, le seguenti lettere: la e poi una che però è diventata .

MOSÈ: Riordiniamole secondo il mio modo di scrivere, così vedi: e con i miei significati: essere, a mani, aperte.
Ti ricordo che IDH in ebraico vuol dire: esaltare, lodare, ringraziare, celebrare, confessare; ossia se vuoi conoscerlo di più dona quello che hai ricevuto da Lui fino a quel momento, esaltaLo e ringraziaLo, confessaLo fuori nel suo giardino, il mondo e celebraLo, mettendo in comune le esperienze su di Lui con gli altri uomini che di Lui hanno esperienza.
Occorre lodarLo: Dio è nella lode.

SALOMONE: "L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto" (Ct. 5,6b).

IETRO: Beh! Mettetevi d’accordo. Si trova o no così?

MOSÈ: Lo segui, ma non lo vedi ancora faccia a faccia. Non è così Salomone?

SALOMONE: "Tu che abiti nei giardini i compagni stanno in ascolto fammi sentire la Tua voce" (Ct. 8,13).

MOSÈ: Non ti ricordi Ietro di quei disegni incisi sulle rupi della montagna del Horeba? Per la mia trovavamo disegnato ; cioè nei giardini e nei campi di Dio ci sono i fratelli che Lo lodano.
Poi nella Torah ho scritto: "Mia forza e canto è Ia H" (Es. 15,2).
Ho proprio scritto così Ia H; dove forza, è la mano a pugno , e canto è la , l’uomo che pregando innalza il suo canto; infatti, quando ho scritto quel pezzo l’idea m’è venuta dalla lettera che disegnavo appunto così e poi Ia H è calzante con il nostro grido in battaglia: Yah, Yah!
E quello lo possiamo pronunciare con forza!

IETRO: Sento che hai ragione; ed il resto del nome?

MOSÈ: Vedi arrivare ed acquisire veramente la seconda lettera del Nome Santo significa aver preso coscienza della propria vita, cioè aver accettato la propria storia ed essere diventati semplici ed umili.
Con le lettere è facile, non ti pare?
Tu mi insegni infatti che in egiziano I H è umile, misero.
Occorre mettere la propria vita nelle Sue mani ed entrare interamente nella lode cioè IDH; ci vuole tempo, molto tempo.
In definitiva è necessaria la conversione, cioè guardare da umile il resto della vita e della parola e poi guardare avanti senza scordarsi del cammino percorso; un poco con un occhio avanti ed un poco con un occhio indietro, così:



IETRO: Allora, il cammino mentale che ho percorso con le lettere è stato IHD , ma se ruoto un poco le lettere può voler dire anche "farsi Giudeo" .
Mi sta forse dicendo di farmi giudeo?
E poi ora davanti vedo un altro sbarramento; devo pensare che anche questa è una o un’altra lettera?

MOSÈ: Bravo! Sei un buon allievo ed impari rapidamente, ma ora hai fatto di più di quanto ti avrei detto.
Certo è che se uno è arrivato a quel punto del Nome è senz’altro Giudeo nello spirito; però non è questo che attiene a quel punto del tetragramma, perché quello che dici di fatto deve essere già accaduto.

SALOMONE: "Mi han trovata le guardie che perlustrano la città, mi han percossa mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura" (Ct. 5,7).

MOSÈ: Hai sentito cosa suggerisce l’esperienza del nostro sapiente Salomone?
Sapeva che si potevano vedere delle mura, parla di guardie e di percosse.
Le guardie di solito stanno ai lati delle porte; e alle porte del paradiso Dio mise due angeli con la spada fiammeggiante.

SALOMONE: "Fuse (Salomone) due colonne di bronzo, ognuna alta 18 cubiti e 12 di circonferenza…" (1Re 10 15)

MOSÈ: Finora è stato tutto molto calzante quello che ha detto.
Poi, ha parlato di percosse e chi percuote ha un bastone.
E le guardie come le ha chiamate? HS"MRYM
Dividi la parola HS"M "Il Nome" RYM alto, cioè coloro che - tengono alto "Il Nome" -.
Sono come colonne che tengono alto i frontali delle porte nei palazzi dei re.
Potrebbero essere i bastoncini interni delle .
È una immagine figurata per dire che la parola di chi tiene alto il Suo Nome ti deve investire con potenza.
Ed ora Ietro noi ora dove siamo, dove stiamo andando e soprattutto chi ci guida?

IETRO: Io sto venendo con te e tu hai un bastone che dici ti ha dato Dio con il quale hai percosso il Nilo, il Mare di canne e la roccia ed è un fatto che il tuo popolo è uscito dall’Egitto. "Benedetto sia il Signore che vi ha liberato dalla mano degli egiziani... Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dei" (Es. 18,10s).
Ed ora siamo qui presso la montagna di Dio ed Israele ha appena vinto Amalek; inoltre, dici che per conto di Dio ci guidi verso una terra dove scorre latte e miele.

SALOMONE: "Sono venuto nel mio giardino, sorella, mia sposa... mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte" (Ct. 5,1a).

IETRO: Salomone, questo l’hai già detto, ma non riguardava il giardino di prima?

MOSÈ: In effetti Salomone l’ha ridetto per ricordarti e confermarti la traccia che stai seguendo come l’aveva detto all’inizio dell'incontro per indicarti dove si trova "lo Sposo" .E poi forse non c’è solo un giardino.
Lui sta sempre nei giardini è vero Salomone?

SALOMONE: "Il mio diletto era sceso nel suo giardino tra le aiuole del balsamo" (Ct. 6,2a).

MOSÈ: Ora Ietro, per Dio il campo è il mondo, il mondo è il suo giardino; non ti ho raccontato la storia del paradiso terrestre; Lui era in un giardino con l’uomo!
Non ti ricordi l’hai detto tu che gli egiziani l’ la disegnano così e descrive un campo, la campagna o un giardino recintato, ma aperto?
Hai sentito Salomone, il Suo diletto DWDY, se lo spezzi è DWD l’amato e poi Y l’iniziale di IHWH, L’Esistente in assoluto è nel suo giardino tra le aiuole del balsamo.
Ti conferma dove è il Suo giardino, tra le aiuole del balsamo.
E le aiole dove sono?
E il balsamo è BS"M.
Cioè sta dicendo di guardare dentro al Nome .
Ormai devi aver capito B è il luogo, "dentro" il Nome S"M ed allora le aiole del nome sono le due del Nome.
Guarda ora ti faccio un disegno che dice molto di più di tante parole.

L’Esistente

l’Amato (David)

Ti conduce da una porta all’altra.
Poi quelle che sembrano porte di fatto sono delle .

Il Nome

IETRO: Mi stai dicendo che il Nome è abitato dall’Esistente e Lui si trova comunque nel giardino e che seguendo il bastone, la Parola di Dio Lo troverò.

MOSÈ: Stai leggendo bene questo è il "cammino".
Stare nel giardino Suo , cioè l' che stai già percorrendo seguendo il Suo bastone , cioè la Sua Parola che ci porta verso di Lui nella parte di giardino a Lui preferita.



E poi il nostro Dio è un innamorato geloso, è bramosia è amore passionale, che in ebraico diciamo hawwà .

Dio è amore;

SALOMONE: "a pascolare il gregge tra i giardini e a cogliere i gigli" (Ct. 6,2).

IETRO: Mosè ti voglio bene perché sei mio genero e poi sei un uomo Dio un vero nabia’ (profeta), ma non ti vedo pascolare il gregge tra i giardini e a cogliere i gigli.

MOSÈ Hai ragione, anch’io sono vecchio e Adonai prepara sempre cose nuove, ma ti ricordo le parole di Salomone: "Tu che abiti nei giardini i compagni stanno in ascolto fammi sentire la Tua voce" (Ct 8,13).

E Mosè profetò:
I gigli sono e dentro c’è ripetuto due volte il segno di risurrezione e di luce:
- ci darà la gioia di Figli , simili () al risorto figlio .

Mosè udì una voce dal cielo:

"Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire" (Gv. 3,29.30)

MOSÈ Ah! Ecco, viene Giosuè , te lo presento.

IETRO: Se ho capito bene anche questo è un nome profetico in quanto con Giosuè ( = a Gesù) di Adonai (Iahwèh ) la luce si vedrà .

a.contipuorger@gmail.com


									

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