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Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraicheRacconti a sfondo biblico - Clicca qui per consultareParlano le lettere

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IL CRISTIANESIMO DI FRONTE AD UNA BIBBIA SEGRETA
di Alessandro Conti Puorger

Come fatto con "Tensione dell’ebraismo ad una Bibbia segreta", proseguo sulla via tracciata dall’introduzione generale sul tema di quanto esposto in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche", per sondare le attese dei primi tempi del cristianesimo di profezie sul Cristo, e verificare se risentivano anche dell’aspettativa ebraica inerente i testi biblici con segni originari.

Cerco cioè l’esistenza di cenni iniziali d’esegesi particolari, sia nella Chiesa di Gerusalemme che nella Grande Chiesa, per verificare se nella ricerca di profezie avesse avuto qualche spazio l’esame delle lettere, prima che, abbandonata la Bibbia ebraica, vennero, di fatto, escluse letture che non trovassero fondamento in quella letterale delle traduzioni detta "dei Settanta" e poi della Vulgata.
Sviluppo i seguenti punti:

Profezie che sono e non ci sono.
La Chiesa di Gerusalemme e la Grande Chiesa.
Esegesi dei giudeo-cristiani.

PROFEZIE CHE CI SONO E NON CI SONO
Premetto che lo scrutare con i segni, cioè leggere non le parole, ma le lettere ebraiche, supera la lingua e rientra nell’universale delle immagini, ma per evitare una decriptazione troppo trita alcune volte è opportuno accoppiare più lettere e leggerle sulla scorta di un dizionario (uso F. Scerbo - Firenze 1912), pur senza conoscere grammatica e sintassi ebraica né la pronuncia delle parole, in quanto le vocali non c’erano.
Col metodo che è descritto in "Parlano le lettere" di "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" leggo profezie e messaggi continui che in altro modo non si ricavano dai testi bagaglio di tradizioni ebraiche; gli autori biblici pare proprio che abbiano inserito nella redazione del testo messaggi, leggibili con il criterio dei segni, che aumentano la sacralità del testo stesso fornendo un senso di mistero capace di rendere il lettore attento e curioso.

Ad esempio, poiché l’indicazione di Ger. 23,29 in "Il Giudaismo e la Torah orale" quasi a fine paragrafo mi incuriosì, sono andato a scrutare quella pericope di Geremia e ne riporto la decriptazione a maggior chiarimento di quanto vado dicendo.

Il Capitolo 23 di Geremia nei versetti 1-8 fornisce una chiara profezia sul Messia figlio di Davide, poi condanna i falsi profeti e qui "sogno" è ripetuto più volte e sogno è il modo in cui si rivela ai profeti; ciò porta a far pensare che in quel brano di Geremia si trovi una visione, vale a dire una lettura di secondo livello - tra l’altro la parola "sogno" spezzata dice: "di nascosto il Potente si porta ai viventi ."

Dio, infatti, non ha nulla contro i sogni in quanto in Nm. 12,6 "il Signore disse: Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò a lui", (ad esempio, a Giuseppe del Genesi ed a Giuseppe padre putativo di Gesù nel vangelo di Matteo parla nei sogni), ma la sua ira è con chi riporta sogni falsi e parole false.

Inizio dal versetto 28 (con dimostrazione della decriptazione) perché c’è "oracolo del Signore" e continuo fino al 33 perché tutti quei versetti riportano la stessa espressione.

Ger. 23,28 "Il profeta che ha avuto un sogno racconti il suo sogno; chi ha udito la mia parola annunzi fedelmente la mia parola. Che cosa ha in comune la paglia con il grano? Oracolo del Signore."




"Entrò nei profeti per primi ad illuminare le menti/teste , che veniva () a portarsi per l’ammalare () che portavano i viventi che sarebbe stato in pienezza il Verbo nel corpo a chiudere la potenza da portare ai viventi . Porterà l’Unigenito a scappare da dentro i corpi la forza che fu all’origine a segnarli portandosi a starvi insinuandosi () nei corpi ; sarà l’Unigenito un uomo per recidere alla fine a casa l’angelo (ribelle) che venne dentro i corpi . Per l’angelo l’Unigenito in un vivente sarà una calamità !"

Ger. 23,29 "La mia perla non è forse come il fuoco - oracolo del Signore - e come un martello ne spacca la roccia."

Decriptato: "Al mondo la potenza porterà l’Unigenito della rettitudine ad entrare insinuata in un corpo; (questa) sarà ad affliggere da fuoco l’angelo che originò nei viventi la forza della perversità portando della rettitudine a soffiare nei cuori l’essenza, che sarà a liberare, giù lo getterà l’azione."

Ger. 23,30 "Perciò, eccomi contro i profeti - oracolo del Signore - i quali si rubano gli uni gli altri le mie parole."

Decriptato: "Uscirà l’angelo tra i lamenti per l’azione potente entrata; l’energia dentro dell’Unico sarà a rivivere per l’angelo che dall’origine vi viveva. La forza della perversità della vita nel giardino dentro fu ad insinuarsi nel corpo; fu nell’uomo a vivere venne il cattivo con la perversità."

Ger. 23,31 "Eccomi contro i profeti - oracolo del Signore - che muovono la lingua per dare oracoli."

Decriptato: "Uscirono per l’angelo lamenti in alto dal mondo (onde) invierà dentro l’Unico dalla destra l’Unigenito tra i viventi. Il Signore entrerà nel mondo dal serpente per rovesciarlo. Chiusa sarà in un vivente la potenza della risurrezione che riporterà energia ai viventi e ad essere belli i viventi riporterà, per l’energia ricominceranno a vivere."

Ger. 23,32 "Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri - dice il Signore - che li raccontano e che traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine; essi non gioveranno affatto a questo popolo - parola del Signore."

Decriptato: "Al mondo angeli inviati furono dall’alto ai profeti, che saranno dalle tombe dal Potente dalla morte risorti versarono nelle menti, oracoli del Signore portarono, furono negli scritti a portarli ai viventi .E sarà la fine del peccare a venire. Per l’azione dai viventi sarà da dentro il mentitore che v’è ad uscire .Ai viventi recherà dentro il soffio nel petto riportando la purezza e l’Unigenito ad uccidere sarà il serpente .L’Unigenito risusciterà con potenza dalle tombe tutti. Sarà nei viventi a portargli il rifiuto, giù porterà la forza per finirlo .I viventi porteranno alla perversità che v’agiva del serpente il rifiuto, (in quanto) era a portargli rovine e il serpente che agisce nei viventi uscirà da questi - oracolo del Signore ! Saranno i viventi a portare alla perversità che agisce nell’esistenza per il serpente il rifiuto, (in quanto) è a portare rovine; la potenza che portò che agisce nei viventi uscirà da questi fuori - oracolo del Signore!"

Ger. 23,33 "Quando dunque questo popolo o un profeta o un sacerdote ti domanderà: Qual è il peso del messaggio del Signore?, tu riferirai loro: Voi siete il peso del Signore! Io vi rigetterò. Parola del Signore."

Decriptato: "E bruciature saranno per la risurrezione al maledetto che lo spengeranno, lo vedranno i viventi uscire colpito .Nel mondo, dell’Unigenito portarono ad uscire i profeti il desiderare la rettitudine, che entrando finisse l’origine dell’amarezza che nei viventi entrò, salvandoli .Che dall’Unico sarà nel mondo a portarsi ad entrare dicevano indicando che Dio sarà nel mondo a vivere che verrà in un vivente ad entrare per salvarli. La malvagità nei cuori brucerà in tutti, saranno a venire retti i viventi - oracolo del Signore!"

Il discorso è continuo e congruente e ciò che trovo non sarei in grado di produrlo senza il testo ebraico e senza il metodo che uso. Quanto ricavato, essendo nato dal testo e risultando con questo in stretta biunivoca corrispondenza è vera e propria decriptazione.

Ritengo che la conoscenza d’una lettura del genere si sia conservata tra i profeti, sapienti e i sacerdoti, anche se in forma sempre più rarefatta, diradandosi poi fino al solo sapere che c'era, ma non fino a ricordare com'era in modo totale; col metodo dei segni, nella Legge, nei Profeti e nei Salmi, trovo, infatti profezie sul Messia, che Gesù nei Vangeli cita, ma che poi spesso non si trovano nelle Scritture con la normale lettura.

Per chiarire, una profezia nei Vangeli, leggibile in modo normale è quella in Matteo (1,22ss), che propone la profezia d’Isaia (7,14) della ‘almàh = fanciulla nubile (vergine) che partorirà un figlio:

"Tutto questo avvenne perché s’adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta." (tradurre ’almah in vergine è indicare uno stato solo presumibile d’una fanciulla nubile; vedi Giustino, Dialogo con Trifone 67,1).

Vi sono però dei casi, come negli annunci della passione di Gesù agli apostoli, in cui i riferimenti alle Scritture da Lui asseriti, non si trovano con la sola lettura usuale della Bibbia, anche se l'autorità di Lui afferma che ci sono e capita di cercare nelle Bibbie commentate riferimenti, ma le note tacciono ed i riferimenti di Gesù alle profezie od alle promesse compiute restano velati.

Al riguardo riporto di seguito una serie di versetti che ho raccolto:

Mt. 22,29 - Mc. 12,24 - Gesù rispose: Siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio.
Mt. 26,56 - Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture…
Mc. 14,49 - Ogni giorno ero in mezzo a voi ad insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!
Gv. 7,38 - Colui che crede in me, come dice la Scrittura: Dal suo seno sgorgheranno fiumi d’acqua viva.
Gv. 17,12 - Quando ero con loro, io li ho conservati nel tuo Nome che mi hai dato e li ho custoditi e nessuno è andato perduto, eccetto il figlio della perdizione, onde si adempisse la Scrittura.
At. 1,16 - Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di David riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù.
1Cor. 15,3.4 - Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati "secondo le Scritture", e che fu sepolto e risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture.

"Secondo le Scritture"! Quali Scritture?
I commentatori tacciono.
Queste scritture non erano certo i Vangeli, appena coevi e anche più tardivi della 1° Corinzi, scritta nel 57 d.C..
Graf Reventlow Henning "Storia dell’interpretazione biblica" (Piemme) a proposito di 1 Cor. 15,3-5 osserva: "Questa asserzione contenuta nella citazione paolina, ha suscitato negli esegeti non pochi problemi… Il riferimento non è un passo specifico - si parla delle Scritture al plurale -,ma a tutto il canone vetero testamentario, che è chiamato in causa come testimone della morte di Gesù e del suo risuscitamento. In questo modo si chiarisce un punto determinante: la giovane Chiesa è decisa a non lasciare al giudaismo le Sacre Scritture tramandate, ma ad interpretarle rapportandole all’evento Cristo."

Ai "discepoli d’Emmaus" (Lc. 24,27) è Cristo stesso che spezza le profezie che Lo riguardano: "E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro quanto lo riguardava in tutte le Scritture."; ed i discepoli d’Emmaus commentano: "...Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture?"

Se ne ricava che nel ministero pubblico, importante è stata l’attività di Gesù per iniziare gli apostoli ed i discepoli alle profezie della risurrezione, ma la mancanza ancora dell'evento pasquale - "Non avevano infatti ancora capito la Scrittura: che egli cioè doveva risuscitare dai morti." (Gv. 20,9) - lasciava l’insegnamento inefficace.

Il Vangelo di Luca (24,44ss) accenna all’attività del Risorto con gli apostoli nel tempo tra la Pasqua e la Pentecoste del 30 d.C. per rendere palesi le profezie che lo riguardano, soprattutto quelle relative alla risurrezione, che altrimenti, pur se esistenti nelle Scritture erano di fatto velate:

"Poi disse loro: Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture disse: …Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme";

parole riprese da San Paolo (1Cor. 15,3.4) con: "morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture."

Allora, dove si trovano queste profezie così complete e compatte?
Le profezie dei "canti del Servo di Iahwèh" ed i brani biblici riferibili al Cristo non esautorano il tema, ed i commentatori non forniscono riferimenti esaurienti per individuare le specifiche profezie evocate da Gesù con tanta sicurezza, ma la certezza con cui Gesù asserisce sull'esatto compimento della Legge e dei Profeti apre il varco ad ipotizzare l’uso d’una forma particolare per scrutare i testi sacri canonici.
Per chi conosce le Scritture quest’attività dello scrutare ha bisogno d’una breve iniziazione, in quanto comporta aver visto un quid senza il quale non si può leggere ed a tale riguardo, il Vangelo di Giovanni (2,22) osserva: "Perciò quando risuscitò dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alle parole che aveva pronunciato Gesù."

Sembra cogliersi che credettero a "come" Gesù leggeva le Scritture: "Non avevano infatti ancora capito la Scrittura: che egli cioè doveva risuscitare dai morti." (Gv. 20,9)

Non le avevano capite, ma allora le avevano lette!

La nota della Bibbia di Gerusalemme a tale versetto dice: "L’evangelista non cita alcun testo, vuole sottolineare lo stato di impreparazione dei discepoli circa la rivelazione pasquale, nonostante le Scritture."

però poi il commentatore non indica alcuna scrittura tra le Scritture.

Anche nell'episodio della conversione di San Paolo c’è una incomprensione e poi una comprensione delle Scritture.
Lui, com'è noto, persecutore dei Cristiani che riteneva eretici, era anche un fariseo studioso della Torah e dei Profeti già della scuola del Rabban Gamaliele (Atti 22,3), nipote del grande Hillel e maestro di Johanan ben Zakkai (che riorganizzò il giudaismo dopo il 70 d.C.).
Gamaliele, però, "fariseo, dottore della legge, stimato presso tutto il popolo", nell'intervento in Sinedrio (At. 5,34-41) non contestò per Gesù e per la sua dottrina un’incompatibilità con le profezie ad essere il Messia, ma auspicò solo una meditata sospensione di giudizio dei convenuti, perché "non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio."

Se le profezie non ci fossero state nella Torah e nei Profeti, o fossero state lette in modo scorretto, sarebbero state da lui ritenute infondate ed il giudizio sarebbe stato severo.
(Cosa rara, la tradizione ha conservato tre sue lettere - Tosefta Sanhedrin II,6-11b-18d, Ma’aser Sheni 56c, che furono dettate ad un segretario sulla scala del Tempio, il che fa pensare che riunisse i suoi discepoli all’aperto; tant’é che gli Atti 22,2 affermano che Paolo era stato istruito "ai piedi di Gamaliele nella conoscenza esatta della legge dei nostri padri" il che ci riporta proprio a quella scalinata. Là pare che Gamaliele ordinò di murare un targum di Giobbe, per lo scrupolo di non conferire autorità alla traduzione rispetto all’originale ed a quanto doveva restare orale. Vedi Hillel di Mirelle Hadas-Lebel, Portalupi Editore.)

In "Recogniziones di Pseudo Clemente" Cap I, a proposito di Gamaliele, con evidente riferimento ad At. 5,35-39 si legge:

65 - Gamaliele - capo del popolo - che in incognito era fratello nostro nella fede, ma per nostro suggerimento rimaneva tra essi …
67 - Io Gamaliele, non ho vergogna né della mia istruzione, né della mia vecchiaia, e sono disposto ad imparare qualcosa anche dai bambini e dagli incolti se questo dovesse portarmi utilità e salvezza.
68 - Dopo il discorso di Gamaliele Caifa: pregò Giacomo, primo tra i vescovi, che di Cristo si parlasse unicamente sulla base delle Scritture per sapere - disse - se è proprio Gesù, il Cristo, oppure no.
69 - Il nostro Giacomo cominciò allora a dimostrare che anche i profeti, nel parlare hanno attinto alla Legge o hanno detto cose consone alla Legge. Ma si fermò alquanto sui Libri dei Re per spiegare come e quando e da chi erano stati scritti e come bisogna servirsene. La parte più ampia del suo discorso fu comunque sulla Legge, e con cristallina esposizione mise in luce tutti i passi che riguardano il Cristo dimostrando con abbondantissime prove che Gesù è il Cristo e che in lui si sono adempiute tutte quante le predizioni fatte riguardo al suo umile avvento. Disse che infatti due sono le sue venute preannunciate: la prima nel nascondimento, già avvenuta, e l’altra nella gloria che è ancora oggetto di speranza.
73 - Giacomo, ritto sulla scalinata aveva dimostrato a tutto il popolo per sette giorni di seguito attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo

Aldilà della contestazione dell’attribuzione a Clemente, successore di Pietro a Roma, del testo di Ricognitionesi, dal testo sul tema che interessa ricavo che c’era un’evidente tensione sin dai primi tempi (la critica attribuisce il testo ad origine Siriaca-Transgiordana del 220-230 d.C. Bousset, Heintze, Shmidt e Cullmann, contro Harnack e Waitz che pensano invece a Roma anche con buoni argomenti) per recepire da parte dei primi cristiani la stretta conseguenza dalle Scritture di Gesù-Messia e dell’evento risurrezione in quanto, dalla traduzione greca o latina dei testi biblici dell’A.T. non poteva evidenziarsi a pieno.
Saulo di Tarso, perché fariseo e studioso della parola, credeva alla risurrezione ed attendeva il Messia, però non era pronto ad accettare che potesse aver preso in Gesù di Nazaret la condizione del servo che si lascia uccidere, anche se gli erano noti i "canti del Servo di Iahwèh" d’Isaia e il Salmo 16,8-11 ed Os. 6,2 ma riteneva che la fede in Gesù fosse una pericolosa aberrazione in quei tempi delicati in cui occorreva la compattezza dell'ebraismo nei riguardi dei romani; combatteva, perciò la setta e la perseguitava con zelo e purezza di cuore.

Dalla pagina degli Atti (9,17-20) si ricava che Gesù sbarrò la via per Damasco a Saulo, l’abbagliò e lo fece cadere letteralmente folgorato: "Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: Saulo fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo. E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono, poi rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio."
Paolo fu battezzato, perché perfettamente iniziato ed illuminato dal Signore, e subito, nelle sinagoghe, quindi appoggiandosi alle Scritture, proclamava Gesù Figlio di Dio (siamo nel 36 d.C.); cioè aveva ora riferito a Gesù di Nazaret un corpus di profezie riferibili al Cristo ed alla sua passione morte e risurrezione presenti e leggibili in qualche modo nella Legge e nei Profeti altrimenti non avrebbe detto: "Vi ho dunque trasmesso, anzitutto, quello che ho ricevuto, che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto e risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture."
Di fatto, diceva: è proprio Lui quello di cui si legge nelle Scritture, nella grande epopea del Cristo; quelle profezie sono vere, non sono una favola, non è un racconto d’ubriachi che leggono vedendoci doppio, come avessero bevuto vino! (vedi: "Chi legge doppio è brillo" di "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche").

Gesù, chiama i contemporanei a scrutare le scritture per trovarvi testimonianze sulla propria persona (Gv. 5,39 e Gv. 5,46s):

- Voi scrutate le Scritture, credendo di avere in esse la vita eterna: ebbene sono proprio esse che mi rendono testimonianza.
- Se credeste, infatti, a Mosè, credereste anche a me; perché di me ha scritto. … Ma se non credete ai suoi scritti, come potete credere alle mie parole?

Gesù, come nell’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc. 24,13-35), evidenzia che alcuni ebrei non "credevano" (Lc. 24,25s) agli scritti di Mosè, eppure erano anche molto ligi e zelanti; se ne ricava che non credevano in un particolare modo di indagare la Torah e li chiamava a cercarlo con la "scrutatio", cioè a leggere riferendo a Lui quanto è scritto in quel modo che calzerà alla sua storia; questo è il sigillo da aprire per la lettura che altrimenti resta enigmatica, cioè quanto scritto da Mosè è da leggere con un modo particolare.

Dopo la folgorazione ricevuta, Paolo credette ed il costatare l’attuazione in Gesù delle profezie nascoste sul Cristo gli tolse la cecità.
San Paolo ha provato nella carne la cecità sulle Scritture, infatti, con quel gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista parla d’una propria esperienza nel dire degli Ebrei: "Ma le loro menti furono accecate infatti, fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sui loro cuori; ma quando ci sarà la conversione al Signore quel velo sarà tolto." (2 Cor. 3,14.15).
In Paolo prima c'era la conoscenza delle Scritture e ne sapeva leggere il diritto ed il rovescio, ma il rovescio rimaneva evidentemente a livello d’epopea, però venuta la fede, alla rilettura, l'epopea fu profezia attuata che testimoniava in Gesù il Cristo e Saulo era pronto ad accettarle non essendo un sadduceo e credeva nella risurrezione, com’è riferito negli Atti (26) ove San Paolo racconta al re Agrippa che (26,6) "era in prigione a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri … Perché è inconcepibile fra voi che Dio resusciti i morti?"
Come prima aveva osteggiato i seguaci di Gesù, appena questi gli apparve si convertì ed iniziò a fare proseliti ai quali: "Null’altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiarano che doveva accadere, cioè che il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani." (At. 26,22b.23)

Analogo comportamento si trova in Apollo su cui gli Atti (18,14-28) danno testimonianza; questi era un Giudeo nativo d’Alessandria: "...colto versato nelle scritture. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni" e dopo una breve istruzione come nel caso di Paolo (ma senz’alcuna apparizione o particolare riferita rivelazione) "confutava vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le scritture che Gesù è il Cristo."

Tutto ciò era necessario perché le profezie non erano così palesi!
Per contro i sadducei, che accettavano solo quanto strettamente deducibile dalla teologia esterna dell’A. T. (Torah scritta letterale), furono poco suscettibili a convertirsi al cristianesimo.
Prendono così consistenza le domande:

- da dove originava nei farisei la fede nella risurrezione?
- perché non era accettata dai sadducei che non ritenevano probanti i pochi riferimenti in Ezechiele, Daniele e Giobbe?
- i farisei avevano altre fonti?
- la deducevano con particolare esegesi dei testi dell'A.T.?

Nel "Diz. Unterman", si trova: "Farisei" (in ebraico "perushim" che significa separati o interpreti) Membri di un gruppo interno all’ebraismo alla fine del secondo Tempio che si opponeva al letteralismo biblico dei più aristocratici sacerdoti sadducei e all’ascetismo degli Esseni. Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dell’era volgare, gli ultimi due gruppi praticamente scomparvero e fu l’insegnamento orale dei farisei a modellare il giudaismo rabbinico quale emerse dal consiglio dei saggi di Yabneh …Il nome del gruppo è stato spiegato come se significasse o "quelli che si sono tenuti separati" dalla contaminazione rituale o quelli "che hanno interpretato" il testo scritto della Torah, sviluppando così la tradizione rabbinica.

La tesi è che i farisei fossero lettori dei testi interni, mentre i sadducei solo degli esterni, in quanto chi accetta la Torah orale può ammettere anche un testo nascosto (I sadducei in un certo senso sopravvivono con quell'ebraismo, detto "riformato", che rifiuta il credo sulla risurrezione; questa fede invece è conservata dall'ebraismo ortodosso che accetta la Torah orale e la lettura non solo letterale della Bibbia. Le profezie d’Ezechiele, versetto 37, e le apocalittiche di Daniele, Capitolo 12, che parlano di resurrezione alla fine dei tempi, sono considerate dai sadducei e poi dagli ebrei riformati allegoria legata al ritorno dall’esilio.)

In Daniele, circa la profezia e i tempi d’attuazione, è detto ... queste parole sono nascoste e sigillate fino alla fine (Dn. 12,9); cioè quelle parole si trovano nei testi sacri ebraici sciogliendo i sigilli, decriptando.

San Pietro, in occasione del secondo Kerigma afferma:
- "Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto." (At. 3,18)
- "Tutti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in seguito, annunziarono questi giorni." (At. 3,24)

Anche i Rabbini convengono che: "Tutti i Profeti hanno profetizzato esclusivamente sui giorni messianici" (Berachot 34 b)

Eppure con la lettura esplicita non troviamo vere queste asserzioni, mentre, effettivamente, tutti i profeti e Samuele (come ho verificato) parlano in tal senso con la criptatura che consente d’attingere all'origine di tradizioni di cui s’era persa traccia.
Gershom Scholem nel libro "Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio" (Adelphi '98) afferma: "Per i cabbalisti la mistica del linguaggio è però anche, nello stesso tempo, una mistica della scrittura." e si è anche visto nella cabbalà, che il movimento con cui s’attua la creazione è un movimento linguistico per la concezione simbolica delle lettere, come segnature segrete del divino presenti in tutte le sfere e in tutti i gradi del processo della creazione e dallo stesso libro di Scholem si ricava che:

"La parola ebraica 'ot non significa soltanto lettera, ma anche, precisamente, segno, segnatura. Al plurale la forma 'otot indica i segni divini nel senso di prodigi, segni miracolosi, mentre la forma 'otiyyot indica i segni alfabetici in quanto specifici segni grafici.
Così almeno i primi cabbalisti hanno interpretato questa differenza nella formazione del plurale.
Nello stesso tempo Isacco il Cieco (Commento Sefer ha-Bahir al Sefer Yesirah il più antico documento della mistica cabbalistica del linguaggio)…1200 d.C. ... (anche David ben Zimra in Magen David Circa 1540 d.C) … interpreta la parola ebraica 'ot derivandola dal verbo 'atah "venire", e le lettere sono per lui quei segni che "provengono dalle loro cause", che rinviano cioè a quelle cause nascoste da cui esse, come segnature presenti in ogni cosa derivano. Inoltre il plurale 'otiyyot poteva essere inteso nel senso di "ciò che viene o ciò che verrà" (Is. 41,23): alle lettere era così attribuita anche una qualità profetica rivolta al futuro, cioè all'ambito messianico."

Latente nel pensiero ebraico, perciò è che, scrutando le lettere, si può scrutare il senso della storia che Dio sviluppa con l'uomo per averne chiarezza sull'epilogo, insito già nei segni che provocarono la formazione o creazione del creato, alla stregua che dal tessuto di un individuo si può ricavarne il suo DNA.

È da ricordare che la venuta di Gesù Cristo fu in pieno periodo apocalittico in cui era importante il Libro di Enoch (un apocrifo del II sec. a C, dell’epoca dei Maccabei: descrive i viaggi in cielo e le rivelazioni sui destini d’Israele e dell’umanità. Nel 1773 l’esploratore scozzese Bruce scoprì il libro in una versione etiopica ad Addis Abeba, dove era considerato un libro canonico dalla Chiesa Etiope; anche in un paio di versetti della lettera di Giuda (14-15) si trova una citazione tratta da quel libro di Enoch.) e l’apocalittica è il complesso di opere, con motivi dall’aggadah e dei midrash, che contengono rivelazioni in forma di visione relative agli insegnamenti segreti di Dio sugli angeli, sul Messia, sulla fine dei giorni e sul giudizio finale, cioè sull’escatologia.

Tra i rotoli del Mar Morto vi sono molti scritti apocalittici; là a Qumran vivevano gli Esseni, attivi dal II sec. a C. al 68 d.C., setta ascetica che adottava la comunione di beni, vestivano abiti di lino bianco simbolo di purezza ed erano in opposizione all’idea nazionalista dei Farisei ed alla classe sacerdotale che ritenevano corrotta, perciò stavano lontani dal Tempio di Gerusalemme e c'era tutto un fervore ascetico per l’attesa dei tempi finali (da alcuni è ipotizzato che Giovanni Battista ed alcuni discepoli, poi di Gesù, avessero radici in quella comunità).

Enoch (nacque 622 anni dopo Adamo, visse 365 anni) antenato di Noè, padre di Matusalemme, evidentemente eccitò la ricerca per il versetto: "Poi Enoch camminò con Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso." (Gn. 5,24), in quanto della generazione degli uomini fu il settimo della linea dei primogeniti: Adamo, Set, Enos, Kenan, Maalaleèl, Iared e Enoch ma fu il primo a sparire dalla terra (nell’anno assoluto 987, dopo 57 anni che morì Adamo; tutti questi sono numeri si ricavano dal libro della Genesi - Cap. 11).
Mentre gli altri morirono per Enoch non ci fu quella fine come commenta la Bibbia e suo figlio Matusalemme, nato quando il padre aveva 65 anni, ebbe la vita più lunga di tutti i patriarchi (979 anni).
Essendo quello di Enoch il primo caso in cui si può pensare ad una vittoria sulla morte, quei versetti del Genesi (5,21-24) che ne parlavano costituirono un jolly dei farisei e degli esseni per dimostrare che la vita nell’aldilà e la risurrezione erano sostenibili e venne l’idea di scrutare l’interno di quei versetti, peraltro, il nome di Enoch , spezzato con i segni: "grazia gli portò per la rettitudine " apre ad un trattamento preferenziale.
Ho perciò letto con i segni quei versetti in quanto gli antichi, trovando quel cenno dell’apertura da parte di Dio nel muro della morte, possono aver pensato che là vi fossero tracce per arrivare a profezie nascoste, e raccolta di seguito si trova proprio in Enoch, che tanto attirò l'attenzione degli "apocalittici - uno spaccato di profezie sul Messia con embrioni di sulla vita di Cristo ed annunci della:

-Gn. 5,21 - Incarnazione
E sarà chiusa dall'Essere la grazia in un vaso.
Si chiuderà la Luce in un vivente.
La Luce sarà per illuminare i viventi.
La Luce degli angeli al mondo si porterà.
Si porterà in cammino l'Unigenito, segno che i morti si reca a risorgere con potenza dalle tombe.

- Gn. 5,22 - Risurrezione
E sarà finalmente nel mondo in cammino la grazia portata della rettitudine.
Inizierà il segno nel mondo che Dio è uscito da Madre.
L'Unigenito in una grotta sarà.
Per la perversità dei potenti, in cui c'è l'essere impuro, verrà tra i morti, ma dopo tre giorni risorgerà con potenza dalla tomba.
Per l'angelo una calamità sarà.
Per sbarrare il serpente dal Figlio sarà la Madre portata.
Da casa gli apostoli recherà il Crocefisso.

- Gn. 5,23 - La grazia ha recato dal costato
E sarà al mondo una forza dal maligno con l'acqua ad esistere.
La grazia porterà a coppe dalla quinta costola.
La porterà alla luce in dono.
Per la seconda volta al mondo si riporterà per bruciare il serpente
risorgendo i viventi.
L'Unigenito si porterà a finire col fuoco l'angelo ribelle dal mondo.

- Gn. 5,24 - Il ritorno con potenza
E risarà il Crocifisso al mondo dal serpente con vigore.
Cogli angeli si porterà ad affliggerlo.
Alla fine riuscirà l'Unigenito con potenza al mondo.
Risarà dai viventi, si porterà ad annullare l'angelo ribelle.
E così sarà con potenza a rovesciare le tombe.
Dell'Unico a finire porterà la maledizione che c'era per i viventi.


La criptatura corrisponde alla base dell'iceberg; ciò che appare in superficie alla lettura diretta è solo una minima parte, il più è sommerso e da questa parte sommersa emerge l’attesa del Messia.


Il processo della criptatura pare costituire il basamento della visione profetica biblica; da questa emergono le isole che sono le non frequenti visioni esplicite sul testo esterno, vi sono poi le convergenze come nel caso di Enoch e sono le sponde delle isole che emergono.
Il sottile spirito profetico alimenta cosi le radici del testo esterno che esce dall'oceano delle paure dell'uomo con atolli di speranza costituiti dalle profezie che si leggevano al popolo; c'è così una risposta alle tante questioni che alimentano le tradizioni ebraiche, da dove possono aver trovato le origini ora perdute, sul dove hanno sede tutte quelle idee sulla vita beata dei tempi primordiali, la cacciata degli angeli ribelli ecc., tradizioni orali che erano incontrollabili.
I messaggi profetici palesati al popolo nel testo ebraico formale, infatti, sono relativamente pochi, punte d’una materia che si stava elaborando, sviluppando i più antichi messaggi che attendevano il manifestarsi nella carne del Dio degli eserciti per guidare il popolo.
Da tutta questa materia antica, accresciuta gradualmente con cautela, ma con continuità dagli scritti profetici che registravano e proiettavano la spiritualità e la fede del popolo provocata da Iahwèh, derivano, quelle profezie che il popolo poteva leggere in pochi versetti od elaborati in forma allegorica o in forma poetica e che erano poi tenute accese e sostenute con autorità da giudici, profeti, pastori e rabbini che le leggevano in forma estesa.
Che la crittografia potesse risultare necessaria si può spiegare con la considerazione che grande era la posta e che l'attesa doveva esserci, ma restare contenuta, perché temerarie sarebbero state le profezie se proposte in modo palese a tutti o troppo grande sarebbe stata la tensione del popolo che avrebbe potuto degenerare e/o decadere.
Sono rientrato in quel percorso procedendo con la traduzione dei segni di testi di libri completi ricavando una struttura costruita come un ricamo in cui c'è un tessuto solido di base, con trama ed ordito ben compatti, costituito dai racconti salienti e fondanti della storia d'Israele e sull’incarnazione, morte risurrezione e ritorno nella gloria del Cristo che si ottengono con chiarezza solare dalla lettura con i segni, mentre nel testo ebraico ufficiale di prima lettura ci sono immagini di sgargianti colori riportate dallo stesso autore sul tessuto.
Questi libri, nella trama e nell'ordito, contengono, forti profezie sul Messia tutte congruenti con i Vangeli e con le tradizioni ebraiche, riguardanti i tempi a venire e la stessa epopea è raccontata da ogni autore, e dallo stesso anche più volte, con varianti solo formali e con considerazioni profonde che allargano ogni volta il tema come se fossero esercitazioni d’una scuola.
I testi hanno origine da approfondita ricerca spirituale e le due parti, palese e nascosta, nascono in contemporanea e sono tra loro in corrispondenza; cioè non ci potrebbe essere la prima senza la seconda e viceversa e nella produzione del testo c’è la stessa tensione di ricerca e di meditazione usata dal monachesimo orientale nella produzione delle icone e da quell’occidentale nei codici miniati.
Dai testi criptati ci si rende conto dei desideri invocati ed attesi d’una promessa incarnazione della sostanza di Dio e della venuta del Cristo, preparati da un millennio degli scritti più nobili d’un popolo.
Non è da escludere che il declino di una lettura con i segni possa essere avvenuto in più tempi:

- con i due re empi, Manasse e Amon in Giuda (687-640 a.C.), onde la Torah fu dimenticata fino al regno del re Giosia (622 a.C.);
- con la distruzione del Tempio (586 a.C.) e l'esilio a Babilonia, sì che solo i profeti e cultori della parola ed i sacerdoti che tornarono (538 a.C. editto di Ciro) n’avevano cognizione;
- definitiva, con la gran diaspora, I sec. d.C., dopo la guerra giudaica, quando l'ebraismo iniziò a concentrare e a riversare l'energia sulla tradizione orale talmudica, ecc. e parti consistenti del sapere ebraico originario su una lettura del genere rimasero relegate in cerchie sempre più ristrette sino alla perdita.

Il desiderio e l'esigenza d’una lettura del genere riapparvero nel giudaismo verso il XII sec. d.C. con ricerche di letture segrete.

LA CHIESA DI GERUSALEMME E LA GRANDE CHIESA
Il seguente rapido escursus degli sviluppi della Chiesa alle origini fa capire come e perché ci fu il graduale abbandono dell’esegesi biblica ebraica e dell’uso dei libri dell’A.T. in ebraico nella Grande Chiesa rispetto a quanto usava la Chiesa di Gerusalemme.
Una questione, infatti, dibattuta nel Concilio Vaticano II fu la definizione dei giudeo-cristiani e del loro numero.
Nella sessione del 28.10.1965 fu accettato il concetto che si trova al n.4, lin. 10 ss "Recordatur etiam ex populo iudaico natos esse … plurimus illos primos discepulos, qui Evangelium Cristi mundo nuntiaverunt"; e veniva ammessa l’esistenza d’una Chiesa ex circumcisione, numerosa e forte, parallela a quella ex gentibus, detta Grande Chiesa, prendendo così atto delle scoperte archeologiche dello Studium Biblicum Francescanum di Gerusalemme in città ed in Galilea con gli scavi del Dominus Flevit, di Nazaret, di Khirbet Kilkish e degli studi di J.Daniélou sulla teologia giudeo-cristiana, che mutavano i pensieri sulla Chiesa primitiva.
Giudeo-cristiane sono le comunità della Chiesa antica, reclutate tra i giudei, di Palestina o della diaspora, che intendevano coniugare la fede in Gesù-Messia con le prescrizioni della Torah, la maggior parte cioè, degli evangelizzati dalla prima comunità di Gerusalemme.
La predicazione di Gesù di Nazaret attuata essenzialmente in Palestina, a Tiro e Sidone e nella Traconide, terra dei Gadareni, raccolse i 12 apostoli, ma anche numerosi discepoli e simpatizzanti.
Nell’inviare i dodici in missione li istruì: "Non andate tra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani: rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele." (Mt. 10 5b); tra i Samaritani andrà lui Gv. 4, poi vi predicò il diacono Filippo, Pietro e Giovanni.
Anche alla Cananea, alla quale guarì la figlia, disse: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa d’Israele." (Mt. 15,24)

Questi cenni dei Vangeli riflettono un atteggiamento proprio del giudaismo nato dopo la distruzione del 1° Tempio (586 d.C.), definita "Ombroso particolarismo ed entusiastico universalismo sono i due aspetti fondamentali del monoteismo israelitico: il giudaismo sarà continuativamente attratto, nel corso dei secoli seguenti, verso queste due opposte direzioni. Questa tensione è in effetti la caratteristica dominante della sua storia." da Simon e Benoit in "Giudaismo e Cristianesimo" (Biblioteca universale Laterza 1985).

La predicazione, morte e risurrezione di Gesù furono capaci di raccogliere a Gerusalemme per la prima Pentecoste un nucleo di fedelissimi "il numero delle persone radunate era circa 120."(At. 1,14.15 ) da cui nacque la Comunità di Gerusalemme, essenzialmente di Ebrei.
Gli Atti degli Apostoli indicano il gran numero (3.000) di convertiti nella Pentecoste del 30 d.C. (At. 2,41e 2,48), arrivato a 5.000 (dei soli uomini - At. 4,4), cresciuto (At. 5,14 e 19,20) fino a raggiungere molte migliaia (At. 21,20) nell’epoca relativa a tali Atti (30-60 d.C.); infatti, la Chiesa di Gerusalemme "cresceva moltiplicandosi in modo sorprendente grazie a Giacomo, che il Signore aveva ordinato vescovo e che la governava amministrandola in modo più che retto." (Recogniziones di Pseudo Clemente I 44)
La Chiesa di Gerusalemme dei convertiti raggruppatisi attorno alle "colonne" Giacomo, Cefa e Giovanni (Gal 2,9), era costituita di:

- ebrei poveri e bisognosi (At. 6,1);
- uomini "gelosamente attaccati alla legge" mosaica (At. 21,20);
- alcuni farisei (At. 15,5);
- vari ellenisti (At. 6,1) e numerosi erano gli ebrei della diaspora;
- vari sacerdoti (At. 6,7).

Una disposizione ufficiale, risalente a Cesare, assicurava ai giudei della diaspora ed a quelli di Palestina di poter praticare il proprio culto, che lo Stato romano rispettava ("religio licita" - le monete erano senza immagini umane, gli stranieri non potevano entrare nel Tempio) per l’antichità dei riti, e li dispensava dai doveri civici incompatibili con quella fede e dai riti del culto imperiale e la maggior parte dei giudei della diaspora che s’era abituata a vivere tra i pagani, non poteva sottrarsi del tutto alla loro influenza, ignorava in genere l’ebraico, parlava latino o greco.
Questi non s’associarono alle rivolte del 67-70 e del 132-135 d.C. anche se riconoscevano Gerusalemme come la città santa e vi facevano un pellegrinaggio almeno una volta nella vita, riconoscevano l’autorità del Sinedrio e del Patriarca e pagavano l’imposta annuale del Tempio.
Molti ebrei, non solo in Egitto e nelle altre nazioni, ma anche nella stessa Palestina avevano imparato il greco alla perfezione in quanto apriva a posizioni influenti, l’élite frequentava i ginnasi e manteneva la fede d’Israele.

La traduzione in greco della Bibbia detta dei Settanta fu invero effettuata per soddisfare il desiderio della colonia giudaica di lingua greca d’Alessandria d’avere un testo d’uso corrente. (Nella lettera d’Aristea 150-100 a.C. c’è il racconto, di come Tolomeo II -285-247 a.C. fece tradurre la Torah in greco da 72 scribi fatti appositamente venire da Gerusalemme, processo che poi si estese anche agli altri libri e si concluse sulla fine del II sec. a.C.)
La Bibbia dei Settanta, fu poi respinta dal giudaismo rabbinico che dichiarò vincolante il testo ebraico, mentre i cristiani proseguirono con tale testo in greco che fu sempre più interpretato sotto quel punto di vista. (Ad esempio, il Tetragramma fu sostituito con il Signore, come si pronunciava per rispetto. L’influenza greca si sentì pesantemente in quella traduzione, come nel caso di "Io sono colui che sono" con "Io sono l’esistente" o "Io sono colui che è." Graf Reventlow Henning, in "Storia dell’interpretazione biblica" - Piemme 99, al riguardo dice: "Soprattutto l’idea della risurrezione dei morti e della vita eterna, che affiora soltanto ai margini dell’Antico Testamento in scritti tardivi come Dn. 12,1-3 e Is. 26,19, viene inserita nei Settanta in diversi passi come Sal. 1,5, Is. 38,16 e Gb. 19,26. Nella composizione poetica ebraica di Gb, il Giobbe sofferente esprimeva la convinzione che, prima ancora della sua dipartita, avrebbe visto la propria giustificazione davanti a Dio, da lui tanto attesa.")

La traduzione dei Settanta pur se spesso si discosta dalla lettera del testo ebraico masoretico fu adottata anche nella liturgia di sinagoghe della diaspora e venne a portata di mano anche dei pagani e fu così un’efficace propaganda religiosa, ma "Essa testimonia però anche l’influsso di categorie del pensiero greco sul giudaismo della diaspora; tende ad eliminare o attenuare ciò che poteva urtare un pagano colto, riduce gli antroporfismi del testo ebraico, spiritualizza l’immagine divina, traduce espressioni e nozioni tipicamente semitiche in termini e concetti derivanti dalle scuole filosofiche greche." ("Giudaismo e Cristianesimo" di Simon e Benoit-Bib, Universale Laterza 1985)
I rabbini palestinesi, infatti, dichiararono che il giorno della traduzione della Bibbia dei Settanta fu nefasto come quello del vitello d’oro, sì che le tenebre offuscarono il mondo per trenta giorni.
Quei testi però aprirono la via portata avanti Filone con l’interpretazione allegorica dei testi sacri (ripresa poi sotto alcuni aspetti da San Paolo) per una sintesi dei fondamenti della rivelazione biblica e dei principi più avanzata della filosofia di quei tempi.

Filone, che nacque da facoltosa famiglia ebrea d’Alessandria nel 20 a.C. (risulta che fece parte di una legazione di giudei d’Alessandria a Roma presso Caligola nel 39-40 d.C.) godette d’ampia formazione greca e di filosofia ellenistica, nel cui ambito fu fondamentalmente un Platonico, conobbe bene la Sacra Scrittura nella traduzione dei Settanta (che nel giudaismo ellenistico era considerato testo ispirato come l’originale ebraico) e sosteneva che nella Bibbia c’è la verità, ma nascosta in allegorie valide anche per il mondo greco, estrapolabili in quanto i Greci certamente hanno mutuata la loro filosofia da Mosè (De mutatione nominum).
Questo metodo d’interpretazione, che alcuni pagani avevano applicato alle opere d’Omero, aldilà dei miti e dei racconti, tende a trovare la quintessenza spirituale che vuole essere trasmessa.
Di questa, s’era già servita la già accennata "Lettera d’Aristea o pseudo-Aristea" per giustificare i divieti alimentari della Torah.
Ciò nonostante la sinagoga della diaspora, pur se aperta ai pagani simpatizzanti (Vedi Mt. 23,15; At. 2,11; 6,5; 13,43), non riusciva col proprio legalismo ad attrarre i pagani, sensibili al problema della salvezza e dei culti misterici, come invece fece il Cristianesimo col fresco annuncio cristiano della Chiesa nascente del Salvatore incarnato, morto e risorto.
Il metodo allegorico ebbe grande influenza nella Chiesa che nasceva tra le nazioni, dopo la prima persecuzione di Erode Agrippa (42-44 d.C.), epoca in cui molti convertiti portarono il Vangelo a Roma e sulle costa fenicia. In Svetonio-Claudius 25 si trova: "I Giudei che tumultuavano continuamente per istigazione di Cresto, egli (Claudio) li scacciò da Roma"; notizia ripresa da Dione Cassio che sembra rettificare: …egli (Claudio) non li scacciò ma ordinò di non tenere riunioni, pur continuando nel loro tradizionale stile di vita. (Hist. 60,6,6 - siamo al 41 d.C., morto l’imperatore Caligola).
Da Giuseppe Flavio Bell. 2.80 s’apprende che a Roma ai tempi di Gesù c’era già una consistente comunità ebraica: "Nel frattempo Archelao dovette affrontare a Roma un altro giudizio contro alcuni giudei, che erano stati inviati prima della rivolta col permesso di Varo (governatore della Siria) per trattare del problema dell’indipendenza nazionale. Erano arrivati in 50, ma li appoggiavano più di 8000 giudei che vivevano a Roma."
Gli ebrei della diaspora avevano i privilegi d’"isopoliteia" (Ant. 12,119-124) concessi da Giulio Cesare (vedi Giuseppe Flavio Ant. 14,185-216), con piena libertà di culto, esentati dal venerare la statua dell’imperatore e dal servire nell’esercito (l’isopoliteia fu però di fatto negata ai cristiani, prova sono le "persecuzioni" e i Romani che in genere non s’interessavano di beghe religiose quella volta presero atto e sancirono di fatto che i Cristiani non erano più una setta ebraica.)
I primi cristiani di Gerusalemme, non avevano intenzione di separarsi dal giudaismo, di cui osservano le prescrizioni e molti si limitano ad assegnare un nome al Messia atteso dalla fede giudaica; cioè, allora, la Chiesa nascente era solo una delle sue sette e l’annuncio cristiano s’innestava su preesistenti idee religiose producendo varie sfumature nelle sette dell’ebraismo d’allora, le cui principali erano:

- scribi e farisei rispettosi con rigore della Legge e della tradizione;
- sadducei, (il loro nome sembra modellato su quello di Sadoq, grande sacerdote all’epoca di Salomone. Essi escono di scena nel 70 d.C. dopo la distruzione del Tempio) provenivano essenzialmente dall’aristocrazia sacerdotale, conservatori, in quanto s’attenevano all’interpretazione letterale delle Scritture canoniche e non accettavano la Torah orale e la fede nella risurrezione, la vita futura e l’angelogia che con le dottrine dell’aldilà sembravano un’innovazione rispetto alla fede prima dell’esilio;
- esseni, disgustati dal rigorismo legale e che si opponevano alle gerarchie e ai sacrifici del Tempio e, come i farisei, professavano la fede nell’aldilà ed erano rigorosi nelle pratiche rituali e nello zelo;
- seguaci di Giovanni Battista;
- samaritani, che avevano costruito un tempio (che fu distrutto da Giovanni Ircano nel 129 a.C.) rivale di quello di Gerusalemme;
- zeloti, estremisti, pronti alla guerra santa contro l’occupazione dei romani, considerati questi espressione del regno di satana;
- ebrei della diaspora più o meno ellenizzati;
- stranieri proseliti.

Tra i Romani occupanti ed i loro simpatizzanti, tra i mercanti greci, fenici e arabi e la congerie di stranieri (At. 2,9-11) circolavano anche le idee del paganesimo razionalizzate con spiegazioni filosofiche che intendevano offrire un senso cosmologico alle sue favole religiose.
Con l’acquisizione alla Chiesa di giudei ed ellenizzanti si convertivano, infatti, un gran numero di pagani in quanto al seguito dei commercianti e delle loro carovane viaggiava la fede cristiana.
A tutto ciò s’univano fantasiose speculazioni, fatalismi di oroscopi astrologici ed mitologie connesse all’influenza dello Zoroastrismo della Media e della Persia (religione salvifica e dualistica. Dio con i suoi Santi immortali s’oppone allo Spirito cattivo e ai corrispondenti Antisanti Demoni ed ha un suo proprio libro sacro l’Avesta. L’uomo ha il libero arbitrio ed è aiutato dalla religione a vivere nel campo buono. Alla morte tre giudici pesano le azioni e si va in un paradiso o inferno provvisorio, poi ci sarà una fine dei tempi, i corpi risusciteranno, tutto sarà purificato dal fuoco e le anime dei puri saranno immuni e i cattivi saranno purificati nel fuoco. Questa religione, che si espanse anche in India - Parsi - fu predicata nel VI-VII sec. a.C. da Zarathustra e fu fonte di tante eresie - nestoriane - non fu distrutta dall’Islam, fiorì nella letteratura e se ne trova traccia tra gli sciti.)
In questa sfaccettata realtà con attiva evangelizzazione nascevano le prime comunità, mentre circolavano anche religioni misteriche che offrivano agli uomini la conoscenza delle realtà prime ed ultime ed un sistema etico per liberare l’anima dalla prigionia del corpo e del mondo assicurando la felicità futura, idee che influivano nello gnosticismo giudaizzante che iniziò a serpeggiare, causa poi d’eresie.
È anche da considerare che taluni tra quelli che procedevano all’annuncio non sempre erano in piena sintonia nella predicazione con quella che poi fu definita l’ortodossia, ad esempio:

- un Apollo, che non conosce che il battesimo di Giovanni (At. 18,25s);
- falsi o superapostoli (2 Cor. 11,5 e 13 Ap. 2,2);
- esorcisti ambulanti (At. 19,13);
- già farisei, che volevano la circoncisione dei convertiti (At. 15 1 e5);
- discepoli di Giovanni che lo ritengono il Messia (Lc. 7,26-29);
- culto degli angeli di tipo essenico (Col. 2,18);
- Cerinto, che insegna che Gesù è solo un uomo.

Con la predicazione sempre più numerosi furono gli ascoltatori ed i convertiti e si distinguevano due principali rami:

- ebrei, anche della diaspora, alcuni pagani semitizzati e proseliti ellenisti che conservarono le categorie ebraiche midrashiche e simboliche nell’esegesi biblica, (Girolamo) e la teologia (vari Padri della scuola antiochiena Origene, Epifanio).
- ebrei della diaspora e simpatizzanti, proseliti ellenisti ad Antiochia, in Galazia, a Corinto e pagani (Gal. 2,1ss; 1Cor. 1,13) che preferirono l’universalismo di Paolo;

Col nascere delle comunità cominciava a svilupparsi un pensiero teologico che solo gradualmente poté dare una risposta organizzata ed "ortodossa" ai vari aspetti delle filosofie, religioni, miti e credenze incontrate negli ascoltatori della predicazione, avvisaglia delle prime storture, radice di quelle che poi furono catalogate in eresia.

Tra i convertiti del secondo gruppo si riconoscevano:

- nazirei cattolici, ebrei nei riti (sabato, circoncisione, ecc.);
- ebioniti, solo alcuni non eretici (Cristo profeta, Messia dal battesimo);
- gnostici e samaritani, questi ultimi seguaci di Simon Mago (At. 8);
- correnti encratiche che vivevano in povertà, verginità e in austerità, paralleli cristiani ai monaci esseni di Qumran.

La prima problematica fu l’osservanza o meno dell’intera legge di Mosè per i convertiti provenienti dal paganesimo, che si risolse con il primo Concilio di Gerusalemme, ma che portò un cambiamento reale di mentalità solo dopo alcuni secoli .
La maggior parte dei giudei cristiani propendevano per Giacomo, ed i gentili-cristiani per Pietro pur se in Palestina, soprattutto in Galilea esisteva, una prevalenza petrina come dimostrano gli scavi a Cafarnao, ed a Gerusalemme tenevano il luogo Dormitio Mariae; l’autore anonimo delle "Costituzioni Apostoliche" (PG 1,1085-6) registra una parità di primato tra Gerusalemme e Roma e cita anche Antiochia tra le sedi principali della Chiesa d’allora pur se in secondo piano.
È stato stimato che nel 70 d.C. i cristiani ed i catecumeni erano sui 35-40.000 e che nel 100 d.C crebbero di 8 volte superando il numero di 300.000 (Il grande atlante della Bibbia, edizione Reader’s Digest 86 curata da Gianfranco Ravasi) su tutto il territorio dell’impero romano e di questi circa 80.000 erano in Asia Minore.
Ireneo, vescovo di Lione in Gallia nel 185 d.C. accenna quale era l’espansione nell’Asia Minore, a Roma ad Alessandria, a Cartagine, in Spagna ed anche a nord fino a Colonia, nella valle del Reno.
Tertulliano alla fine del II secolo scrive: "Siamo appena nati ieri eppure abbiamo già oltrepassato i limiti del vostro impero: le vostre città, isole, fortezze, assemblee, accampamenti, palazzi, senato, foro, tutti sono gremiti di Cristiani."
Da questa rapida espansione risultò l’impossibilità pratica per la Grande Chiesa di procedere col catecumenato all’insegnamento della Torah in ebraico, della cultura Biblica e della completa tradizione e fu data sempre maggiore importanza alla teologia della grazia di cui era stato assertore Paolo rispetto al rigorismo della Legge farisaica ("A Mosè sono state rivelate 613 prescrizioni, 365 proibizioni, corrispondenti all’anno solare e 248 comandamenti, corrispondenti alle ossa dell’uomo." - Makkot 23b)
Paolo, anche se fece molti viaggi, in quei decenni di grande evangelizzazione ebbe giocoforza influenza limitata al settore geografico d’alcuni centri dell’Asia Minore e della Grecia; a Roma v’arrivò che la predicazione c’era già stata (non da parte di Pietro, su ciò non concorda Eusebio - l’espulsione da parte di Claudio nel 49 d.C. rivela che c’era già una comunità cristiana, anche la lettera ai Romani del 58d.C. non parla di Pietro).
Al riguardo nella "Nouvelle histoire de l’Eglise" di J.Daniélou e H.I.Marrou - Paris 1963 si legge questa sintesi: "Per Paolo che pensa ai pagano-cristiani, è essenziale liberare il cristianesimo dalle aderenze giudaiche. Pietro, invece, teme defezioni da parte dei giudei-cristiani che, sotto la pressione del nazionalismo giudaico, rischiano di tornare al giudaismo; e perciò vuole mantenerli nella nuova fede mostrando loro che è possibile essere fedeli, nello stesso tempo, alla fede cristiana e alla legge Giudaica."

Il crescere d’importanza della teologia di Paolo, confermata dall’orientamento della Chiesa che inserì le lettere di Paolo nel canone del Nuovo Testamento, portò ad emarginare e ridurre d’importanza chi si collegava alla teologia dei meriti, rispetto a quella della grazia; sta di fatto però che i giudeo-cristiani continuarono per almeno tre secoli ad osservare le prescrizioni della Legge fin quando il Canone del NT fu completamente definito (Decreto Damasi 382 d.C.).
Bellarmino Bagatti in "Alle origini della Chiesa" scrive: "La più intensa occupazione romana della Palestina in seguito alla seconda guerra del 135, aveva reso più facile il contatto tra i cristiani dei due ceppi, giudeo e gentile, sia per la residenza che gli etnico-cristiani potevano prendere sul suolo già ebraico, sia per i pellegrinaggi che potevano intraprendere senza difficoltà. Così si conobbero meglio, ma se ciò per alcuni, fu un allargamento d’idee, per altri fu un motivo di iniziare una lotta religiosa. Infatti qualche gentilo-cristiano non poteva sopportare che i suoi correligionari perpetuassero, dopo più di un secolo dalla morte del Salvatore, quei riti ebrei che egli, avvezzo alla lettura di S. Paolo, credeva giuridicamente aboliti. I cristiani di ceppo giudaico, invece pensavano che era un male lasciare quei riti, perché né N. Signore, né gli Apostoli, ad eccezione di Paolo, li avevano aboliti."

Tra le posizioni estreme c’è la posizione moderata di Giustino in Dialogo con Trifone che sostiene il concetto che ognuno, sulla questione del rispetto dei principali precetti della Torah, faccia come vuole senza pretendere che l’altro si adegui o non si adegui perché la salvezza viene dal Cristo e non da quei precetti e ciò non sia motivo di litigi, ma vivano in comunione.
Di tale opinione è pure l’autore delle "Costituzioni Apostoliche" (PGI, 979-82) che critica chi pensa che dalla donna nei giorni del proprio ciclo s’allontanerebbe lo Spirito Santo e se morisse in quello stato non sarebbe salva e dice: "Non il lutto degli uomini, né le ossa dei morti, né i sepolcri, né i cibi, né le polluzioni notturne, possono macchiare l’anima dell’uomo."

Autori antichi, tra cui lo stesso S. Ignazio di Antiochia, che si nutriva di cultura ebraica, l’anonimo della Lettera di Barnaba (IX) e quello della lettera a Diogneto (IV,1) dissuadono i fedeli dal praticare costumanze che erano in contrasto con la grande Chiesa.
Già attorno alla fine del II sec., poi, le idee sugli scritti canonici, comunque erano già abbastanza chiare come risulta dal Frammento del Muratori (testo latino mutile della parte iniziale, ove evidentemente parlava dei Vangeli di Matteo e Marco e della fine, databile al più tardi al 200 d.C. - in quanto parla anche del Pastore d’Erma fratello di lui il Vescovo Pio che era allora sulla cattedra di Roma - testo scoperto da Ludovico Antonio Muratori nel 1740 nella Biblioteca Ambrosiana) che tra i testi sicuri cita:

- ..., Luca, Giovanni;
- Atti degli apostoli;
- Lettere di Paolo ai (I e II) Corinzi, Efesini, Filippesi, Colossesi, Galati, (I e II) Tessalonicesi, Romani, a Filemone, Tito, (due) Timoteo, (non indica la Lettera agli Ebrei);
- Lettera di Giuda, (due e non tre) di Giovanni, (non indica le due di Pietro e quella di Giacomo);
- (La sapienza di Salomone scritta da Filone !?)
- L’Apocalisse di Giovanni, l’apocalisse di Pietro (ma avverte che alcuni non l’accettano; poi esclusa dal canone definitivo)

Con Ireneo e con Origene la grande Chiesa iniziò a trattare alcuni giudeo-cristiani come una setta eretica (In Jon. 1,1 di questi Origene dice che si considerano gli eletti d’Israele, ma non ne raggiungono nemmeno il numero di 144.000 dell’Apocalisse); in particolare gli ebioniti (poveri) e/o nazareni che praticano le prescrizioni della Legge compresa la circoncisione, si volgono verso Gerusalemme nelle preghiere, sono ostili a Paolo considerato apostata, accettano solo il Vangelo apocrifo detto degli Ebrei (che considerano di Matteo).
Tra questi, in effetti c’erano alcuni per cui Gesù non era che un gran profeta su cui lo spirito di Dio scese al momento del battesimo e quest’eresia ha poi avuto gran peso sulla formazione del credo dell’Islam (Sull’influenza del giudeo-cristianesimo sull’Islam vedi W Rudolph, "Die Abhàngigkeit des Korans von Judentum und Christentum", Stuttgart 1922), altri consideravano che Gesù fosse stato innalzato allo stato divino al appunto al momento del battesimo, unendosi all’eone Cristo, identificato da alcun con lo Spirito Santo e da altri con l’angelo che s’incarnò in Adamo (echeggia l’idea dell’Adam Kadmon che circolò nella Cabbalà).

"Recogniziones di Pseudo Clemente III" e Ireneo Apol. 1,26,56 riferiscono dell’eresia di Simon Mago:
"Dio è la Potenza suprema che ha come corrispondente femminile il proprio pensiero - l’Ennoia che uscita dal padre come Minerva da Giove crea gli angeli ed il mondo, ma gli angeli l’imprigionarono in un corpo femminile che s’incarna di donna in donna, mentre la Potenza suprema si manifestò ai Giudei con il Figlio Gesù, ai samaritani come Padre, in lui Simon Mago, e in altri luoghi come Spirito Santo."

Quest’eresia circolava tra i samaritani che, riferisce Giustino, ai tempi d’Antonino Pio (138-161 d.C.) erano tutti seguaci di Simone, ma che un secolo dopo Origene - "Contra Celsum" 1,57- dice che non superavano ormai il numero di trenta.
Fu nel II sec. che le avvisaglie di crisi per disparità di sintesi teologica, causate dalla gnosi e dalle sue sette, con elucubrazioni ed inserimento di miti traendone miti e credenze arrivarono a situazioni da controbattere, e tra queste alcune procedevano pure con criteri pseudo giudaici sulle scritture; la scelta del giorno della ricorrenza della Pasqua fu poi elemento d’ulteriore divisione.
Ai Valentiniani, Perati, Cainiti, Ofiti … s’opposero Giustino, Ireneo, Ippolito, Epifanio; è di quel periodo una pletora di scritti inseriti poi tra gli apocrifi che nel III e IV sec. vieppiù si moltiplicarono (Nel 1945 a Nag-Hammadi si trovò una giara del V sec. con una biblioteca gnostica con 51 trattati).

Non può però farsi astrazione storicamente da tali testi che tramandano le credenze di primi cristiani trattandosi di materiale che apre spaccati antichi utili per comprendere la maieutica teologica.
Alcuni articoli di fede, infatti, trovano in quegli scritti conferme, come la Verginità di Maria, la discesa di Cristo agli inferi, l’assunzione al cielo di Maria (Vedi apocrifi sulla dormizio), come pure varie convinzioni consolidate, ad esempio i nomi dei genitori di Maria (Gioacchino e Anna), la presentazione di Maria al Tempio, la nascita di Gesù in una grotta e la presenza del bue e dell’asino, che i re Magi erano tre, con i loro nomi, il nome del centurione Longino, la storia della Veronica. (Vedi Apocrifi del N. T. a cura di Luigi Moraldi, TEA 91).

La gnosi sfociò nel dualismo e quindi nel manicheismo e s’arrivò con il marcionismo perfino al rifiuto dell’A. T. a cui però fu opposto un netto rifiuto; l’influenza di questa Chiesa giudeo-cristiana si fece così sentire per lungo tempo, e la Grande Chiesa, anche grazie a quella, non ha mai rinunciato a considerare a base del credo le Scritture; "L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata." (Catechismo della Chiesa Cattolica n° 121)

I primi scritti a base del Vangelo di Matteo, sarebbero stati redatti proprio in ebraico, secondo Eusebio di Cesarea nel sua "Historia Ecclesiastica", (III, 39.16) che riporta di Papia di Gerapoli (II sec d.C.), la "Esposizione degli oracoli del Signore", la quale sostiene: "Di Matteo invece riferisce questo: Matteo raccolse i detti (di Gesù) nella lingua degli ebrei, riducendoli ognuno come poteva.", confermato anche da Ireneo di Lione (135-200d.C), pure citato da Eusebio: "Matteo pubblicò tra gli Ebrei, nella loro lingua, anche un Vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo predicavano a Roma e vi fondavano la Chiesa" ("Adversus Haereses", III, I,1 in Eusebio, "Historia Ecclesiastica" V,8.2).
Lo stesso Eusebio in "Historia Ecclesiastica" III, 25 sostiene che: "Alcuni pongono in questa categoria (tra i libri apocrifi) anche il Vangelo degli Ebrei, il Vangelo, cioè caro soprattutto ai giudei cristiani.", perché (Historia Ecclesiastica III, 27,1-6) era usato specie dagli Ebioniti (tra cui c’erano molti eretici).

Un’eco della teologia giudeo-cristiana è nella lettera di Giacomo.
I primi scritti della Chiesa di Roma ascrivibili più alla tradizione giudeo-cristiana che alla tradizione Filone-Paolina sono, anche se non fanno parte del canone, "La lettera di Clemente - vescovo Roma - ai Corinzi" ed "Il Pastore d’Erma" (scritto a Roma nel II sec.)
È nell’Apocalisse che lo schema giudaico apocalittico è evidente, mentre il Vangelo di Giovanni, pur presentando alcune affinità con scritti del Mar Morto, con il Prologo, riguardante la concezione del Cristo-Logos, palesa una corrente che riflette la linea Filone-Paolina che così fu tappa fondamentale nello sviluppo della cristologia.

Fu la Chiesa "ex circumcisione" molto progredita nella teologia basata sulla cristologia e sull’ecclesiologia in quanto usava forme letterarie e midrashiche avendo nelle sue fila tanti sacerdoti, farisei e rabbini e come diceva Egesippo, "i più nobili della nazione" (Eusebio 2,23).
Vari Padri - i Santi Gerolamo, Ignazio d’Antiochia, Giustino, Cirillo di Gerusalemme, Epifanio - guardarono con simpatia a questa Chiesa ebreo-giudaica basata sul rispetto delle tradizioni locali e bibliche.
In particolare S. Epifanio e S. Efrem osteggiavano l’invasione nella chiesa della filosofia greca e S. Eusebio e S. Girolamo, secondo Bellarmino Bagatti, in "Alle origini della Chiesa": "...non si peritarono di togliere dal deposito giudeo-cristiano delle spiegazioni bibliche e soprattutto le varianti delle versioni per comprendere meglio il testo biblico. Ciò li condusse ad avere una mentalità sui giudei-cristiani più equanime di altri cristiani."
Pur tuttavia, nel IV secolo, dopo la vittoria sul paganesimo, si ebbe un riordinamento della chiesa e a Nicea per il Concilio nel 325 d.C. si riunirono 318 vescovi, di cui 18 della Palestina, tutti di ceppo gentile e di città costiere, e questo divario senza dialogo con la chiesa giudeo-cristiana si allargò sempre di più.
In tale occasione fu rinnovata la decisione di celebrare la Pasqua di Domenica, ma le usanze Giudeo cristiane furono definitivamente proibite nel concilio di Antiochia (341 d.C.) decretando che il sabato non si riposa e non si partecipa ai digiuni dei giudei né ai riti in sinagoga pena la scomunica per i disobbedienti.
S. Giovanni Nisseno nel 379 e S. Giovanni Crisostomo con alcune omelie nel 386 palesano che i giudei-cristiani non s’erano adeguati.
Questa chiesa resistette fino all’VIII sec. d.C. poi fu assorbita dalla Grande Chiesa e gli eretici confluirono nell’impero mussulmano passando alla nuova religione come convertiti (i mawali) e diventarono la casta dei Kutab, o scrivani, che introdussero nel Corano elementi cristologici e mariologici connessi all’A.T.

ESEGESI DEI GIUDEO-CRISTIANI
Dopo l'evento Pasquale (aprile del 30 d.C.) un’attività importante dei più colti discepoli della prima ora provenienti dall'ebraismo alla luce della realtà del Risorto fu di rendere palesi le profezie relative a Cristo ed alla sua vita, alla nascita, all’infanzia del divin bambino ed alla risurrezione che, pur se esistenti in qualche modo nelle Scritture, erano di fatto velate e non comprensibili.
Puech Charles-Henri, in "Storia delle religioni" (Laterza) scrive: "…i missionari dovettero trasformarsi in teologi ed apologeti, ripiegarsi sui testi biblici, definire la loro fede di fronte alle diverse tendenze del giudaismo: si trattava di uno sforzo intenso di riflessione... riuscì in capo a mezzo secolo a imporre le proprie convinzioni teologiche ed ecclesiologiche in gran parte grazie a una serie di circostanze esterne; essa, infatti, era stata costretta dall’irrigidirsi del giudaismo, dopo la caduta di Gerusalemme nel 70, a prendere coscienza della propria indipendenza nei confronti della religione sorella."
Circa quell’irrigidirsi basta ricordare l’uccisione del Vescovo Giacomo e del diacono Stefano tanto che sulla distruzione di Gerusalemme Eusebio (XXIII 19) concorda, col parere di Giuseppe Flavio il quale non dubitò che "Tutto ciò avvenne perché fosse vendicato Giacomo, il Giusto: egli era fratello di Gesù, chiamato il Cristo, e, sebbene giustissimo, i Giudei l’uccisero." (estratto da Ant. Giud. XX, 197, 199, 203 - Eusebio XXIII 19)
L’ebraismo in quegli anni fu scosso, infatti, dalla figura di Gesù di Nazaret; di lui l’ebreo Flavio Giuseppe (37-103 d.C.), testimone autorevole di quel I secolo, dice: "In quel tempo visse Gesù, uomo sapiente - se lo si può dire uomo (anche se il testo può essere stato oggetto di manomissioni). Egli operò azioni degne di ammirazione e fu maestro di coloro che accolgono con gioia la verità. Attrasse a sé molti Giudei e pagani. E quando su accusa di molti dei nostri notabili, Pilato lo condannò alla morte di croce, quelli che lo avevano amato non fuggirono, e la loro stirpe, che da lui trae il nome di cristiani, non è venuta meno fino ai nostri giorni." ("Antichità giudaiche", XVIII 3,3)

La messianicità del Cristo fu l’oggetto della predicazione come risulta dai ripetuti richiami negli Atti degli Apostoli (2,36; 3,18-20; 5,42; 8,5.12; 9,22; 17,3; 18,28; 24,24; 26,23), sempre con riferimento alle scritture e ciò era fatto con più intensità nei riguardi degli ebrei, dei più sapienti e di chi doveva proseguire la corretta tradizione.
Riporto ad esempio quanto in "Recognitiones di Pseudo Clemente" (Cap. I 74) ove San Pietro dice a Clemente, che sarà poi suo successore a Roma:
"Ti ho anche aperto la mente al significato più nascosto di tutta la Legge scritta, capitolo per capitolo, quando c’era bisogno di farlo, senza tenerti nascosti i vantaggi della tradizione."

C’è, poi, tutta una tensione ed un alone profetico sui giorni dalla nascita di Gesù fino al suo battesimo con episodi che si trovano soltanto in Matteo ed in Luca con testi che non hanno quella concordanza assoluta usuale dei sinottici.
Al riguardo nella sua "Storia dell’interpretazione biblica" (Piemme 99) Graf Reventlow Henning osserva: "Il prologo del Vangelo di Matteo, con i racconti dell’infanzia di Gesù, ha sollevato per l’indagine scientifica non pochi enigmi. Poiché di nessuno degli episodi narrati si può dimostrare la storicità, e poiché lo stile è leggendario, occorre postulare dietro ad essi un’interpretazione teologica di Matteo, oppure la comunità cristiana, qualora Matteo abbia preso questi racconti dalla tradizione orale."
E sul come in tali brani evangelici l’evangelista tratta le citazioni che inserisce nel testo: "Gli esegeti sono sconcertati… 'Sarà detto Nazareno'. A quanto pare nemmeno Matteo sapeva da dove proveniva la frase, poiché qui parla al plurale: 'Quanto è stato detto dai profeti'. Da confrontare con questo passo sono i versetti 21,4s e 27,9, due citazioni del libro di Zaccaria, una delle quali è introdotta senza indicazione del nome del profeta…"

Questi Vangeli raccontano fatti che tendono a dimostrare come tali eventi, così come si sono svolti, avevano stretta connessione con le attese promanate dalle Scritture, mentre Marco che va al sodo per l’annuncio ai pagani, inizia il proprio Vangelo dal battesimo di Gesù.
Attraverso, però, la lettura col metodo dei segni dei brani dell'A.T. che i Vangeli stessi riportano in concomitanza agli eventi che raccontano, quegli episodi risultano invece profetizzati con particolari.
Gli ebrei non ritenevano Gesù il Messia, perché non aveva liberato Israele dai romani, né aveva ricevuto l’unzione con l’olio sacro dei re o dei sacerdoti, quindi per loro era un privato cittadino crocifisso dai Romani e che portava ad insegnamenti non ortodossi.
Una prova che fosse il Messia poteva esserci solo se i segni da lui compiuti fossero profetizzati nella Torah e nelle Sacre Scritture; da qui la necessità di approfondita ricerca in queste e la scelta del racconto nei Vangeli di episodi precipui collegabili a profezie.
La perduta cognizione d’una lettura per decriptazione, di cui ho detto, alla lunga può essere stata una causa d’incomunicabilità tra ebraismo e cristianesimo, pur se provenienti dalle stesse Scritture; infatti, il solo testo esterno non fu in grado di rispondere all’insieme del sentire, ed i primi, in esilio si strinsero in rigida differenziazione dalla setta cristiana, in quanto il trapelare di profezie dal testo esterno del Canone non risultava da solo sufficiente, mentre, l’estese profezie interne, se lette almeno con il metodo "al tikrei" non avrebbero retto alla realtà del compimento della promessa in Gesù di Nazaret.
Per contro, in campo Cristiano nel I sec. d.C. i cultori della parola provenienti dall'ebraismo della chiesa "ex circumcisione" che potevano avere tali nozioni le hanno riversate nei Vangeli, ma poi il successo tra i pagani, con l'afflusso delle masse di catecumeni ed il concomitante uso del greco, del latino e delle lingue locali, rese possibile che il metodo cadesse in dimenticanza nella Grande Chiesa.
I pagani erano interessati all’annuncio degli apostoli della risurrezione del Cristo e non era più essenziale convincerli del compimento di tutte le profezie ebraiche e poi, praticamente impossibile era far loro compiere l'intera iniziazione alle scritture sul tema del Messia e sulla rivelazione tutta intera.
Questo metodo è da ritenere che nel I-II sec d.C. sia rimasto nella ristretta cerchia dei più sapienti delle comunità giudeo-cristiane, comunità, sempre più marginali nella realtà ecclesiale cristiana.
Ireneo (Adv. Haer. 1,7, 4.) ed Origene (S Chr 147,245.275) ne difesero il simbolismo delle lettere, dei numeri, della croce, del Nome.
Vari furono gli elementi del simbolismo giudeo-cristiano (Emanuele Testa, "La fede della Chiesa madre di Gerusalemme" - Ed Dehoniane):

- l’uso della "lingua sacra";
- "numeri sacri";
- l’impressione di sigilli, detti "sfhragis" (alberi, aratri, barche) per indicare che il segnato apparteneva al proprio gruppo;
- la frequenza di "nomina sacra", di Dio e di Cristo;
- il rispetto del "mistero", nascondendo ad altri i simboli.

Nell’applicare tali elementi furono usate regole note anche ai rabbini, quali:

- del "notarikon" in cui ogni lettera di una parola è iniziale di altre (esempio: IXTYS Iesous Xristos Teous Yios Soter);
- della "gimatria";
- dell’"isopsephia", con cui è dato un identico valore numerico a due o a più parole segrete (come il caso del vino e del segreto, vedi: "Chi legge doppio è brillo" di "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche");
- l’"anagramma".

Dice Emanuele Testa: "I Giudei convertiti al cristianesimo fecero germogliare questi semi biblici già fecondati nella mistica rabbinica. Per questo si studiò la natura delle singole lettere (Ps. Tom. 6,3), la loro forma, i loro angoli, i loro segmenti (Ps. Mt 31,2) e si scrissero veri trattati sull’intero alfabeto … ebraico." (Vedi Eusebio in Praep. Ev. 10,5; Esichio, o Attanasio, o Ephraim - De Titul. Ps. 144; Girolamo, Epist. XXX, Ad Paulam; Giuseppe, Hypomnestikon 1,26).

S. Girolamo nella lettera 30 spiega a Paola la sacralità dell’alfabeto ebraico (PL 22,441-5) e, per consolare Eustachio della morte della madre, si accinge a tradurre le lettere mistiche di Pacomio (PL 23,66-106).
Leggo in Bagatti nel libro "All’origine della Chiesa" (III.6) che S. Girolamo: "per fare il lavoro di traduzione aveva approfittato dell’occasione che gli si presentava di avere fra mano non solo le lettere inviategli da Silvano prete di Alessandria, ma anche di trovare un aiuto nel sacerdote Leonzio che le portava, probabilmente esperto in questo genere di linguaggio… Pacomio ed i suoi intimi ritenevano queste lettere come una rivelazione angelica, ma comunque erano dei mezzi mnemonici giudicati adatti a raggiungere l’unione con Dio."

Eusebio riporta discussioni basate su parole ebraiche:

- quella sul valore e significato delle lettere riferito nella "Praeparatio evangelica" (PG 21, 787-90);
- sulle 4 lettere che compongono il nome di Dio (PG 22, 387s e 677s);
- sulla spiegazione su "iah" applicata a Cristo secondo il salmo 67 (PG 23, 685s);
- nel salmo 108,10 (1331s) sulla frase "Moab è il bacino per lavarmi" dice "Mi ricordo d’aver ascoltato un ebreo che mi dette questa spiegazione sotto segreto: che cioè si doveva capire misticamente la generazione di Cristo secondo la carne".

Ho allora voluto vedere bene quel versetto:

Sal. 108,10 - "Moab è il catino per lavarmi, sull’iIdumea getterò i miei sandali, sulla Filistea canterò vittoria."



"Tra i viventi lo portò il Padre in pienezza . Si lanciò () in un corpo a chiudersi giù . Fu dall’alto in un uomo . In una donna () il Potente fu la rettitudine ad inviare . Dall’alto fu dell’Altissimo il soffio potente ad accenderla completamente . Venne () nel corpo a portarsi in vista di agire ."

"Tra i viventi lo portò il Padre in pienezza.
Si lanciò in un corpo a chiudersi giù.
Fu dall’alto in un uomo.
In una donna il Potente fu la rettitudine ad inviare.
Dall’alto fu dell’Altissimo il soffio potente ad accenderla, completamente
Venne nel corpo a portarsi in vista di agire."


Queste è un’ulteriore prove a favore della lettura con i segni.

Nel Cristianesimo dei primi secoli si trova l’affermazione che la Legge, i Profeti e i Salmi contengono il mistero del Cristo in:

Kerygma Petri: "Noi aprimmo i libri dei profeti che avevamo; i quali nominano Gesù Cristo in parte mediante parabole, in parte mediante enigmi, in parte in maniera garantita e con parole chiare; vi trovammo la sua venuta, la morte e la croce e tutte le altre pene che gli infissero i Giudei, e la risurrezione e l’ascensione al cielo, prima della restaurazione a Gerusalemme, come tutte cose erano state scritte, che cosa egli doveva patire e che cosa dopo di lui doveva accadere." (Clem. Al. Strom VI 15, 128, 1).
Il che conferma essere poche le profezie che si leggono direttamente dal testo esterno in parte in maniera garantita e con parole chiare mentre le altre s’ottengono mediante parabole ed enigmi; e negli enigmi entra la traduzione coi segni.

Epistola di Barnaba: Secondo cui le Scritture contengono misteri e parabole (6,10), prevedono gli accadimenti del Cristo in figure che sono state scritte, ma nello Spirito (13,5). In altri brani riporta che nelle Sacre Scritture si debbono guardare i "tipi" ed al riguardo dice Graf Reventlow: "Sebbene Barnaba in questo contesto utilizzi più volte il termine 'tipo' (7,3.7.10.11; confr. anche 8,1; 12,2.5.6.9; 13,5), questo metodo s’avvicina maggiormente all’allegoria. Si parla di tipologia quando i tipi hanno anch’essi un loro significato storico, e non è questo il caso."
Cioè la parola "tipo" non ha in Barnaba il senso esclusivo dato successivamente dagli esegeti sulla base di quanto era loro noto; gli esegeti, infatti, non hanno mai pensato d’utilizzare "tipi" nel senso stretto della parola, cioè di lettura per lettere, come poi evidenzierò per altri successivi testi e quindi l’idea d’una lettura per decriptazione non è loro venuta in mente.

Pistis Sophia: Dichiara che la forza operante nei profeti dell’Antico Testamento aveva parlato con tipi e misteri; ma quella forza era lo spirito di Cristo, che nel Signore risorto offre ora con parole chiare la soluzione degli enigmi del passato. (A.Krugerud, "Die Hymnen der Pistis Sophia", Oslo 1967)

Giustino: Per quest’autore il disegno di Dio è stato rivelato nelle scritture in modo oscuro, per volontà stessa dei profeti, che hanno fatto intenzionalmente ricorso a parabole e tipi. (Dial XC 2)
Velato era soprattutto l’annuncio del mistero di Cristo mostrato in parabole e annunciato in forma segreta (Dial CXV 1) e asserisce che: noi Cristiani non potremmo comprendere le rivelazioni contenute nelle Scritture, se per volere di Colui che ha voluto quelle rivelazioni non avessimo ricevuto la grazia di comprendere. (Dial CXIX 1)

Ippolito: Per quest’autore vale quanto detto per Giustino.

Per la parola "tipi" usano t u p o i V quindi non solo i "tipi" come avvicinamenti a due personaggi o a due situazioni per una comune proprietà, ma anche lettere in senso stretto che sono appunto il mezzo da seguire per arrivare alla profezia, garantite dalla parola di Gesù che dice: "In verità vi dico: finché non sia passato il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno della legge.(Mt. 5,18) e" scrutate le Scritture... ebbene sono proprio esse che mi rendono testimonianza. (Gv. 5,39)

Manlio Simonetti ed Emanuela Prinzivalli nel testo "Storia della letteratura cristiana antica" (Piemme 99), circa "il Dialogo col giudeo Trifone" (forse un rabbino), evidenziano in Giustino una "distinzione tra typoi e logoi che implica un importante criterio ermeneutico per l’interpretazione allegorica della Scrittura: le parti narrative della scrittura sono; secondo lui typoi, cioè trattano di fatti realmente accaduti che, a un secondo livello di lettura, contengono la prefigurazione di fatti futuri, i logoi, invece sono le profezie il cui unico livello di lettura e cristologico perché si compiono appunto in Cristo."

Anche per Ippolito (martirizzato nel 235 d.C.) è fatto lo stesso discorso: "Nelle parti storiche narrative i typoi si sovrappongono come secondo livello di lettura, senza negare la validità della lettera, nelle parti profetiche invece il livello interpretativo è unico e cristologico, perché Ippolito non ammette l’inveramento delle profezie su Israele."

Evidentemente qui gli autori intendono "typoi" in modo simile all’interpretazione allegorica (che ho accennato per Barnaba) - come ad esempio Adamo è "il tipo, la figura di colui che doveva venire" (Rm. 5,14) e non in senso stretto, perché non immaginano fino in fondo cosa nasconde il mondo di un "secondo livello di lettura" e, così facendo non appare loro che gli antichi e primi scrutatori giudeo-cristiani facessero decriptazioni dei segni ebraici.

Solo con i giudei era possibile, infatti, parlare di ciò, mentre quell’uso non era possibile con la maggior parte dei primi cristiani soprattutto quelli provenienti dai proseliti di lingua greca (Eusebio, Praep. Ev. 10,5; Isidoro di Siviglia, Etymol 9,1 3) e latina.
(Nella costituzione Dei Verbum del 18.11.1965 del Concilio Vaticano II si raccomanda agli studiosi d’avvalersi di tutti gli strumenti di ricerca che storia, archeologia - anche i geroglifici dico io - le critica letteraria mettono a disposizione per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, tenendo conto dei modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo.)

L’intero alfabeto fu usato per simboleggiare la potenza di Cristo; già nell’Apocalisse (21,6 e 21,13) sono riferite a Cristo le parole "Io sono l’alfa e l’omega, principio e fine"; quindi = uno, inizio, principio e = fine, e nel libro "Alle origini della Chiesa" (Libreria Editrice Vaticana 1981) di Bellarmino Bagatti è riportato un episodio su Gesù mandato a scuola e che confonde il maestro, estratto dalla "Lettera agli apostoli" (160 d.C.) e dal "Vangelo dell’Infanzia" dello pseudo Tommaso che dice: "Il precettore cominciò ad insegnargli l’alfabeto e Gesù gli disse: 'Prima dammi una spiegazione dell’Alef ', ma quegli non seppe dargliela; ciò viene così a sottolineare, come dice il Bagatti, che "si deve attribuire a Gesù una dottrina ermetica sul valore delle lettere".

Che agli inizi vi fossero tentativi d’esegesi oggi non considerati risulta chiaro dalla considerazione d’Ireneo contro gli gnostici: "Ed essi cercano di addurre prove non soltanto dai vangeli e dagli scritti dell’Apostolo (Paolo), travisandone di sana pianta l’interpretazione e dando spiegazioni false, ma anche dalla Legge e dai Profeti. Infatti, poiché molte cose sono dette in parabole e allegorie e possono essere forzata in molte direzioni diverse, con la loro interpretazione essi le adattano alle loro invenzioni e per giunta lo fanno in maniera ingannevole." (I,3.6) dal quale sembra uscire un cenno di critica ad una prassi contemporanea o pregressa, oggi desueta e/o non nota, quando eseguita con mentalità volutamente distorta.
Il testo della Scrittura poi costituiva un problema notevole.

I manoscritti. ad esempio, che aveva a disposizione Origene (185-254 d.C.) - i codici dei Settanta usati nella sua Chiesa - erano in parte lacunosi e il loro senso era spesso oscuro e volle confrontarli con il testo originale ebraico "apprese la lingua ebraica" (Eusebio HE VI,16) ed i metodi esegetici dei rabbini da un ebreo palestinese passato al cristianesimo ed emigrato ad Alessandria e racconta (PG 13,800), ad esempio, che per sincerarsi del significato della lettera Tau= aveva interrogato tre ebrei di cui uno "che credeva in Cristo" che gli dette la risposta aspettata, cioè che il Tau= simboleggia la croce; più tardi diede avvio ad un’opera con la quale fondò in pratica la critica testuale della Bibbia.
Accostò sinotticamente in quattro colonne (la "Tetrapla") il testo originale ebraico dell’A.T. (trascritto in lettere greche), la Settanta e altre due traduzioni greche (più tardi furono aggiunte altre due colonne con altre due traduzioni in greco - la "Hexapla").
L’obiettivo però era solo il miglioramento della Settanta nella cui colonna segnò aggiunte ed omissioni rispetto al testo originario.

Origene dice: "Il Primo e l’Ultimo è il Salvatore … Perché ci sono le lettere di Dio, come vi sono realmente - i santi conoscendole affermano di leggerle nelle Tavole celesti - sono (lettere) nozionali, divise in parti minute cioè alfa e così di seguito fino ad omega, che è il Figlio di Dio. Il quale è anche Principio e Fine." (PG 14,82s) e Bagatti nel libro "All’origine della Chiesa" (VIII. 1) asserisce: "Per esprimere il concetto di Gesù inizio e fine di tutte le cose, invece di restringersi alle sole due lettere estreme si può scrivere anche l’alfabeto completo o almeno l’inizio, perché nella mente degli antichi ogni lettera aveva il suo valore intrinseco."
(Ho trovato sulla rivista ebraica Shabbat Shalom N°131/2004 questo pensiero tratto dal libro "365 meditations of the Rebbe" che riporta sulla lettera ‘Alef la stessa tensione che abbiamo evocato: "La condizione del mondo attuale si chiama 'golah', mentre la condizione in cui si troverà presto si chiama 'gheulah'. Le due parole sono uguali, ma in mezzo a gheulah c’è una 'alef'. Alef significa padrone ma anche uno. Perché la golah diventi gheulah, dobbiamo solo rivelare la Alèf, il solo padrone dell’universo che si cela nelle creazioni del nostro mondo attuale. … Non siamo noi a dover essere portati fuori dall’esilio; piuttosto, è l’esilio a dover essere portato fuori di noi.")

Gli esegeti, del II e III sec. non potevano applicare il metodo delle lettere anche ai testi tradotti della Bibbia dei Settanta e poi alla Vulgata, gli unici usati, in quanto, com’è ovvio, quei testi non potevano dare i frutti che si conseguono coll’originale con i segni ebraici; invero al riguardo in Bagatti, in "Alle origini della Chiesa" (III.6) ho trovato: "Secondo alcuni studiosi, ma negato da altri, il vescovo Melitone di Sardi in Asia Minore, sarebbe venuto a Gerusalemme per procurarsi delle Bibbie traslitterate, cioè ebraiche con lettere greche, per la lettura nelle chiese. Se lo fu in realtà, tale lavoro doveva essere stato fatto dai giudeo-cristiani."
L’attività relativa fu poi giocoforza più portata sul piano omiletico in quanto le tematiche fondanti erano da estendere ad una massa incolta; perciò i tentativi dei primi secoli si rivolsero più ai numeri sacri (Vedi ad esempio lettere di Pacomio e scritti di Ireneo da Marco il Diacono, in Ireneo Advr. Haer. 1,15) e la ricerca della lettura dei segni venne a cessare.

Anche Girolamo (331-420 d.C.) prese lezioni d’ebraico da un convertito e dopo un periodo tra i monaci ascetici del deserto della Calcide intraprese la traduzione del testo ebraico onde arrivare ad un testo (Vulgata) in latino, ma rimase sempre un convinto assertore dell’"hebraica veritas", cioè del testo originale ebraico.
Girolamo mosse obiezioni sulla Settanta (che non fu una traduzione profetica nelle 72 celle separate, ma in una unica sala - Apologia contro Rufino II, 25) e propose l’idea d’adottare il testo originale ebraico; ciò trovò un portavoce in Agostino, timoroso che la Vulgata potesse essere accolta come divisione tra Oriente ed occidente (Vedi: Lettere 28=56 di Girolamo e 71=104 in Girolamo).
Girolamo, che "faticò per imparare una lingua straniera affinché gli ebrei la smettano di attaccare la Chiesa sulla base della scorrettezza dei suoi scritti", fece notare come le citazioni dei Vangeli provengono prevalentemente dal testo ebraico, "che anche il Signore usa e dal quale i discepoli attingono esempi" e ciò conforta e dà sostegno ulteriore all’idea sviluppata in altra parte del mio lavoro di decriptare quei versetti richiamati nei Vangeli.
Nel tempo pur tuttavia la sua Vulgata s’affermò in quanto per la prima volta la Chiesa disponeva d’un testo incomparabilmente più vicino alla traduzione tradizionale del testo ebraico rispetto alla Settanta tanto che nel Concilio di Trento fu riconosciuta come Bibbia ufficiale del Cattolicesimo. (Nel contempo Lutero aveva prodotto dal testo ebraico la sua traduzione in tedesco e ironia della sorte la Volgata rappresentò la traduzione ecclesiastica irrigidita alla stregua che la Settanta così appariva a Girolamo che produsse la Vulgata.)

Nel Dei Verbum 21 del Concilio Vaticano II leggo: "…i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere", che sembra conservare traccia dell’antico pensiero.
Sant’Agostino in "Enarratio in Psalmos" (103,4,1): "Ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che si sviluppa in tutta la Sacra Scrittura ed uno solo è il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli scrittori santi, il quale essendo in principio Dio presso Dio, non conosce sillabazione perché è fuori dal tempo."
Cioè pur non sapendo ormai perché tutto però è miracolosamente rimasto perché si dia la dovuta importanza alle lettere originali!
Più ci s’allontana dall’origine, più si perde traccia di questo tipo d’investigazione basata sull’attento esame delle lettere del testo canonico ebraico in quanto la Chiesa si stava portando su un tipo d’esegesi più consono per la massa dei nuovi adepti.

Perciò, per la ricerca in campo Cristiano, non resta che cercare nell’ambito dei primi scritti canonici ed anche se ciò sembra impossibile perché nessun testo è stato scritto con segni ebraici, c’è però la possibilità di decriptare i passi ebraici delle citazioni dell’A.T. in essi riportate e queste in genere ampliano e arricchiscono o rendono palesi a pieno le profezie anche quando prese da sole il testo non sembra parlare in modo esplicito.
Di ciò parleremo prossimamente in "Vangeli, profezie attuate dal Cristo".

a.contipuorger@gmail.com

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