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L'AMICO LAZZARO E IL RIPOSO DI BETANIA
di Alessandro Conti Puorger

PERCHÉ QUESTO ARTICOLO
Di recente, tra l'altro, mi sono interessato del rapporto d'amicizia tra David e Gionata, da cui il mio racconto a sfondo biblico "L'amico della colomba".
L'amicizia per David da parte di Gionata il figlio di Saul è disarmante.
Quel legame supera, infatti, ogni interesse e salva la vita di Davide facendolo fuggire dalle mani di Saul.
Sorprende che nemmeno un'ombra di gelosia vi sia da parte di Gionata per Davide che poi sarà re in luogo di Saul, regno che in definitiva sarebbe spettato proprio a Gionata.
Pare quasi che Gionata manifesti a Davide un sentimento che supera la normale comprensione e la sfera di interessi in cui è coinvolta la natura umana.
Il nome Gionata in ebraico si trova con due varianti:
  • Ionatan "è stato portato in dono ";
  • Ihonatan "Iahwèh () ha donato ".
Il primo modo, contratto, in cui si possono anche trovare le lettere della parola "colomba", "Ionah" è nel primo libro di Samuele fino al capitolo 14 compreso, mentre, appena tra David e Gionata nasce il loro rapporto d'amicizia, cioè dal capitolo 18 di quel libro, il nome di Gionata appare scritto nel secondo modo come a significare almeno due pensieri, che:
  • quel sentimento nobilitava Gionata tanto che appare nel suo nome il Nome di Iahwèh;
  • quel rapporto era voluto dal Signore che con ciò esprimeva una speciale protezione nei confronti di Davide.
Così, infatti, inizia il capitolo 18 di 1Samuele "Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, l'anima di Giònata s'era già talmente legata all'anima di Davide, che Giònata lo amò come se stesso."
In questo versetto anima "noefoesh" , in effetti, è ripetuta tre volte, perché per dire "Lo amò come se stesso" (1Samuele 18,1), sia pure con diversa vocalizzazione, è scritto così: "e amò lui Gionata come l'anima sua."
Di questo capitolo 18 di 1Samuele, 30 versetti in tutto, più sotto fornirò l'intera decriptazione secondo il mio metodo presentato in "Parlano le lettere" perché è particolarmente pregnante, in quanto già il testo ripete più volte il verbo amare.
Come si può leggere in quel capitolo 18, infatti, non solo Gionata amava David (18,1-3), ma lo amò tutto Israele e Giuda (18,17) assieme ai i ministri (18,22) di Saul suo padre e anche sua sorella Mical figlia di Saul prima s'invaghì (18,20) e poi s'innamorò di David (18,28).
Egualmente al capitolo 20 di 1Samuele si legge "Giònata volle ancor giurare a Davide, perché gli voleva bene e lo amava come se stesso." (1Samuele 20,17)

Questo profondo sentimento che coinvolgeva tutto se stesso era pienamente corrisposto, infatti, poi in 2Samuele, dopo la vittoria degli Amaleciti sull'esercito d'Israele, Davide intonò un lamento per Saul e Gionata, morti sul campo, ove tra l'altro esaltò i propri sentimenti per Gionata in modo reciproco a quanto in 1Samuele 18.

"Una grande pena ho per te, fratello mio, Giònata!
Tu mi eri molto caro;
la tua amicizia era per me preziosa,
più che amore di donna." (2 Samuele 1,26)

Provo a tradurlo in modo letterale:
"Angoscia per me altissima per te
fratello mio Gionata
caro per me molto
prezioso il tuo amore per me
(più) di amore di donna "

Questo versetto è una perla.
La parola che il traduttore C.E.I. traduce dal testo della Tenak o Bibbia ebraica una volta amicizia ed una volta amore è la stessa "'ahbat" .
Del resto anche in latino amicus etimologicamente viene dal verbo amare.
Un amore dell'anima, non carnale.
Amore e amicizia, così, sono sentimenti che vanno a braccetto.

Un'interessante pensiero sulle parole amore e amare è quello di considerarle composte da una lettera A, usata come alfa, privativo greco, atto a negare la parola che segue la quale è simile a morte, "mors" in latino.
Amare, amore, quindi, A-Mors opposto a morte e a morire, quasi un togliere dalla morte... questa definizione è nell'opera "LIfe against Death" di Norman Brown, il filosofo che piaceva agli hippies.
Pur se non è pienamente soddisfacente dal punto di vista dei latinisti è talmente espressiva e reale che mi piace considerarla accettabile e trova un autorevole riscontro biblico nel Cantico dei Cantici:

"Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio." (Cantico dei Cantici 8,6-7)

L'amore sconfigge la morte.
È l'unica forza in grado di sconfiggere la morte perchè dà la vita.
L'amore è immagine della divinità, perché "Dio è amore" (1Giovanni 4,8).

Nel nome di Gionata, infatti, appera inizia l'amore amicizia per Davide appare il nome di Iahwèh e Iahwèh aveva prescelto David.
Viene da pensare a quanto dice Gesù nel Vangelo di Matteo: "In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro." (Matteo 18,19s)
Tra due che si amano appare Iahwèh.
Dio che ama il suo popolo è un amico e chi ama Dio è amico di Dio.
È un sentimento che supera il cameratismo e l'essere compagni, ma costituisce un rapporto speciale.
Da qui questo mio approfondimento sull'amicizia secondo Dio e come si esplicita concretamente per gli uomini attraverso Gesù.
Seguendo questa traccia si arriva all'amicizia di Gesù per Lazzaro.

GLI "AMICI" DI DIO
Se si va alla ricerca nella Bibbia cristiana del termine "amico di Dio", l'unico riferimento si trova nella lettera di Giacomo ove si legge: "Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio." (Giacomo 2,21-23)
Evidentemente Giacomo si riferisce al passo del libro del profeta Isaia che dice: "Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramo mio amico..." (Isaia 41,8)
In questo versetto nella Bibbia ebraica o Tenak per "mio amico" è usata la parola "'ahbaì" dal radicale di amare , quindi, anche "amore mio", "mio amore".
Simile al rapporto che ci sarà poi fra David e Gionata.
Abramo mise tutta la sua vita a disposizione di Dio, ma Dio del pari rispose ad Abramo in modo concreto.
Se Abramo è amico di Dio, Dio fu amico di Abramo e vediamo come.
Il primo segno di amicizia fu il dono della familiarità con Lui.
Molti, infatti, sono i colloqui, in visione, del patriarca Abramo col Signore lungo tutto il cammino della sua lunga vita dal momento della chiamata.
Abramo poi seguì sempre, con fede, tutti i suoi comandi.
Dio per contro rispose a tutti i desideri di Abramo.
Dopo la vittoria contro i re che erano venuti ad assalire la terra promessa e dopo la benedizione di Melkisedek, re di Salem, "Questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande. Rispose Abram: Mio Signore Dio, che mi darai ? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco." (Genesi 15,1s)
Appena si parla di dono: che mi darai? Abramo, che allora si chiamava Abram, in quanto Dio non gli aveva ancora cambiato nome, parla di Eliezer.
Questo Eliezer di fatto non era solo un suo servo fedele era stato proprio un dono del Signore.
Il nome Eliezer "'Elioezoer" è tutto un programma di "Dio è aiuto ".
Si pensi che uno dei due figli di Mosè, avuti dalla moglie Zippora, si chiamerà Eliezer e il libro dell'Esodo spiega il nome "Eliezer, perché Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone". (Esodo 18,4)
È proprio ciò che è accaduto anche ad Abramo con Eliezer.

Nella guerra contro quei 4 re venuti contro i re della valle ombrosa di Siddim, ora il Mar Morto, perché avevano preso prigioniero suo nipote Lot, Abram "...organizzò i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di 318, e si diede all'inseguimento fino a Dan." (Genesi 14,14)
Di fatto quel numero 318 non è lì a caso.
Se ad ogni lettera ebraica del nome Eliezer si sostituisce il valore numerico corrispondente, infatti, si ha proprio quel 318.

= ( = 200) + ( = 7) + ( = 70) + ( = 10) + ( = 30) + ( = 1) = 318

Questo Eliezier, essendo uno schiavo evidentemente affrancato e nato nella sua casa, come dice il testo per quei 318, certamente fu circonciso quando lo fu anche Ismaele, il figlio della schiava egiziana Agar, come uno nato in casa secondo il patto della circoncisione richiesto da Dio, di cui al capitolo 17 del libro della Genesi (versetto 23).
Eliezer era veramente di grande aiuto per Abram!
Abramo desiderava un figlio altrimenti, era proprio la sua intenzione, avrebbe lasciato tutto a questo Eliezer anche se aveva comunque un nipote, Lot, quindi di fatto Abramo considerava Eliezer quasi come un figlio.
Abramo perciò non era solo, Dio lo accompagnava concretizzandosi con l'aiuto di Eliezer che fu per Abramo proprio un dono, come accennavo.
Dio accontentò Abramo in ogni cosa e gli donò la discendenza che desiderava e grandi ricchezze, servi, serve, animali e ogni sorta di beni.
Abramo rispondeva con la fede.
La lettera agli Ebrei (11,8-12) quando elogia la fede degli antenati, infatti, ricorda Abramo e Sara sua moglie per la loro grande fede, perché:
  • Chiamato da Dio, senza sapere dove andava, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità.
  • Soggiornò come straniero e pellegrino nella Terra promessa.
  • Sara ricevette la possibilità di concepire il figlio della promessa.
  • Offrirono in sacrificio il loro unico figlio.
Abramo ebbe parenti, alleati e, di fatto, un grande amico, questo Eliezer.
La stessa discendenza di Abramo, quella che gli verrà da Isacco fu a concretizzarsi proprio ad opera dello stesso Eliezer.
Si legge, infatti (Genesi 24,1-4): "Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: ...andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco".
Abramo non voleva infatti mogli cananee per suo figlio Isacco.
Eliezer fu veramente efficiente e fedele, portò a compimento l'incarico, andò in Anatolia e tornò con Rebecca, figlia di Betuel e sorella di Labano, di cui Abramo era prozio, e Rebecca sposò Isacco.
L'amicizia particolare unica e speciale di Dio per Abramo passò con la promessa a Isacco e poi a Giacobbe e ai figli nella fede di Abramo.
Analogo discorso sull'amicizia/amore di Dio per Abramo si trova nella preghiera di Giosafat in 2Cronache 20,5-7: "Giosafat stette in piedi in mezzo all'assemblea di Giuda e di Gerusalemme nel tempio, di fronte al nuovo cortile. Egli disse: "Signore, Dio dei nostri padri, non sei forse tu il Dio che è in cielo? Tu domini su tutti i regni dei popoli. Nelle tue mani sono la forza e la potenza; nessuno può opporsi a te. "Non hai scacciato tu, nostro Dio, gli abitanti di questa regione di fronte al tuo popolo Israele e non hai consegnato il paese per sempre alla discendenza del tuo amico Abramo?"

Egualmente in questo passo per tuo amico viene usato .
Abramo quindi è il padre nella fede e il capostipite a cui si rifà la prima elezione di Dio di tutti coloro che credono in lui secondo la rivelazione data attraverso le Sacre Scritture ebraiche della Tenak.
Ciò vale par tutti coloro che si rifanno alla fede di Abramo e non solo a quelli che sui rifanno alla Legge di Mosè.
San Paolo, infatti, nella lettera ai Romani sostiene:
  • "Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede; poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa. La legge infatti provoca l'ira; al contrario, dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione. Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi." (Romani 4,13-16)
  • Abramo s'affidò a Dio e: "credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono" (Romani 4,17), credette cioè in Dio creatore, che risorge dai morti e nella sua promessa, infatti: "Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio". (Romani 4,20)
  • L'eredità della promessa viene come giustizia anche ai figli nella fede: "noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione." (Romani 4,24s)
    Molto sinteticamente, ma in modo del tutto espressivo la lettera ai Galati conclude: "E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa." (Galati 3,29)
    Grazie alla fede, quindi, abbiamo Abramo quale nostro padre ed entriamo a far parte degli amici di Dio.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna:
"Con la sua rivelazione, Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé. La risposta adeguata a questo invito è la fede." (142)
Abramo perciò è padre di tutti i credenti.
Parole dolci dice il Signore e ci chiama suoi amanti, amici diletti :
  • Salmo 118,6s: "Innàlzati, Dio, sopra i cieli, su tutta la terra la tua gloria. Perché siano liberati i tuoi amici ."
  • Salmo 127,2: "Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno."
IL PROSSIMO VA TRATTATO DA AMICO
Dice il libro del Levitico, il centrale della Torah: "Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore." (Levitico 19,18)
Il termine ebraico "re'a" può voler dire prossimo, compagno o amico.
Tutto però è sostenuto dal verbo "amare", quindi quel "re'a" assume il massimo dei tre valori, non prossimo e compagno, ma proprio di amico.
Si il prossimo va considerato comunque "amico".
Nella Torah anche nei comandamenti di Esodo 20 e di Deuteronomio 5 viene usato lo stesso termine ebraico "re'a" per "prossimo".
Nella ultima traduzione CEI si trova 47 volte:
  • 15 in Esodo;
  • 15 in Levitico;
  • 17 in Deuteronomio.
Ciò che viene tradotto con la parola prossimo sarebbe così da tradurre con amico, quindi "Ama il tuo amico come te stesso."
Perché non usa il participio dal radicale amare ebraico "amato" come nel versetto: "discendente di Abramo mio amico ..."? (Isaia 41,8)
Così avrebbe fatto nascere dubbi; infatti, non tutti purtroppo sono ritenuti amici perché il comandamento è dato agli uomini che non sono come Dio che ama tutti, ma a chi in genere ama solo se stesso, appunto per questo c'è poi quel confronto nel comandamento con "come te stesso".
Rabbi Akiva grande maestro nel Talmud dice: Questa è una grande regola complessiva nella Toràh.
Con "regola complessiva" intende dire che tutti gli altri 612 precetti della Toràh, con tutti gli scritti che vi sono, sono un commento e un'esemplificazione su come si debba amare l'altro... come te stesso.
Un proselito si presentò davanti al grande Rabbì Hillèl e gli disse: Insegnami tutta la Torah finché io mi reggo su una gamba sola. Ed Hillèl rispose: Non fare al tuo amico ciò che odi, e tutto il resto significa: vai e studia. (Talmud, Shabbat 31)
"Vai e studia" onde tutto il resto della Toràh è l'interpretazione di quel unico precetto, dato che questa la regola "Ama il tuo amico come te stesso" non è portata a compimento se non si rispettano tutti gli altri comandamenti.
Certo, a cornice di quel comandamento e quel "re'a" pare esservi quei "figli del tuo popolo" e può essere un'attenuante all'interpretazione restrittiva di una parola molto più generale da parte di un popolo in costante guerra per la conquista e/o il mantenimento della terra promessa.
Tutti sono prossimo o solo i figli del tuo popolo?
Interpretasi in generale da parte dell'ebraismo tuo amico o prossimo come appartenente alla nazione d'Israele.

Nel Vangelo di Luca, infatti, si legge quanto segue su quel comandamento.
Inizia proprio con la nostra questione e chiarisce chi è il prossimo.

"Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi? Costui rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù: Hai risposto bene; fa' questo e vivrai. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? Gesù riprese: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Quegli rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù gli disse: Va' e anche tu fa' lo stesso." (Luca 10,25-37)

Il prossimo di quell'uomo malcapitato pestato dai briganti non è stato né un sacerdote né un levita ebreo.
Chi considera come un amico uno che nemmeno è del proprio popolo?
Un samaritano!
Implicitamente Gesù per chi con la domanda "E chi è il mio prossimo?" di fatto implicava riduzioni alla parola prossimo pare proprio dare una risposta che allarga il concetto a tutto il potenziale della Torah e il suo contenuto su tutti i popoli.
Grazie a Lui questo insegnamento pare riappropiarsi del suo carattere di legge universale e non solo ebraica.

L'amore per l'amico poi segue regole non scritte, ma è radicale, chiede addirittura di dare la precedenza ai bisogni dei nostri amici rispetto ai nostri.

Nelle regole della schiavitù di chi pur ebreo per debiti era costretto a cedersi in uso a servizio a quelli del suo popolo, quel servizio, non potrà durare più di sei anni.

"Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai via da te libero. Quando lo lascerai andare via libero, non lo rimanderai a mani vuote; gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto; ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato; perciò io ti do oggi questo comando. Ma se egli ti dice: Non voglio andarmene da te, perché ama te e la tua casa e sta bene presso di te, allora prenderai una lesina, gli forerai l'orecchio contro la porta ed egli ti sarà schiavo per sempre. Lo stesso farai per la tua schiava." (Deuteronomio 15,13-17)

Diventa per il padrone di casa come una mezzuzah ossia un contenitore che racchiude una pergamena viva che gli porterà sempre alla memoria le prime due parti dello Shema, preghiera fondamentale della religione ebraica. "Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro, il Signore è uno" e gli obblighi del rispetto delle "mitzvot", e l'obbligo del loro insegnamento ai figli.
Se vuole continuare a far parte della tua casa, allora è certamente "prossimo" quindi "amico" perché ti ama, e così ti considera e tu dovresti dargli il contraccambio.
C'è allora questo esempio se uno ha per caso un solo cuscino e non lo dà al suo servo, non rispetta il precetto incluso nel termine del comandamento "sta bene presso di te", dal momento che quello resta sdraiato a terra. ("Tosfot; Ierushalmi-Kidushin" pagina 20)

Dio quanto fa per noi lo fa perché ci ama non perché poi noi gli possiamo essere riconoscenti.
Noi, peraltro, non possiamo contraccambiare, perché di nulla Lui è carente.
L'unico contraccambio che possiamo dare è nel campo dell'amore e non tanto nell'amare Lui, che non vediamo, ma per estenzione amando coloro che Lui ama, cioè tutti gli altri uomini anche quelli che consideriamo "i peggiori".
Anche un assassino ha comunque una potenzialità interiore che potrebbe esplicare e che Dio non gli preclude lasciandolo vivere.
Dice infatti il libro di Giobbe "L'uomo stolto mette giudizio e da ònagro indomito diventa docile." (Giobbe 11,12)
Tutti noi nasciamo selvaggi, si pensi al neonato, il suo istinto è di pensare solo a se stesso, poi ci si affina col crescere e assumiamo le leggi umane e i rapporti sociali, ma questi mitigano solo alcuni aspetti dell'egoismo che possono ledere gli interessi altrui, poi c'è chi si sente chiamato a prendere il giogo del Signore e a ricevere riceve il Suo Spirito di natura nuova, l'amore per il prossimo.
Tutto ciò che e fuori dall'uomo, infatti, all'uomo sembra irreale.
Così Dio e così l'amore, così la gratuità nell'amare.
Tutto l'istinto ci porta a avere rapporti a noi utili.
L'amare il prossimo come se stesso ci porta a uscire dalla nostra realtà chiusa e farci capire come non possiamo essere solo filantropi per hobby e cercare aiuto per farci superare l'insito egoismo.
Se uno ha un amico e ha un solo cuscino in casa non può dormirci lui, ma lo deve dare all'amico che è a casa sua.
Dico questo per far capire che tutti dovrebbero essere amici in tal modo.
Non possiamo, perciò, nasconderci, siamo tutti in difetto.
È da prenderne atto e non incolparci a vicenda facendo i giustizialisti.
Occorre che ognuno cerchi di superare l'istinto e rendersi conto che è da "condividere" l'esistenza se non si vuole restare soli per sempre.
Ogni essere umani è garante l'uno dell'altro, ed ogni individuo può causare con le proprie azioni il merito o il debito del mondo intero.
Sebbene ci sono dai tempi antichi nella Toràh due ambiti di comandamenti fondamentali, quelli che riguardano i rapporti tra l'uomo e Dio e tra un individuo e individuo, entrambi hanno un medesimo obiettivo, condurre la creatura alla meta finale all'Adesione col Creatore.
Nella pratica se tali precetti si compiono senza ricavarvi alcun beneficio personale non v'è alcuna differenza è comunque "lavoro spirituale" sia che lo si fa per amore del prossimo, sia che lo si fa per amore a Dio.
È infatti il superamento comunque di una legge naturale che ha ogni creatura che tutto ciò che esiste di là dal proprio corpo è come una cosa vuota e che si fa tutto per un ritorno di utilità.
Azioni buone che comunque sono pur sempre un bene per l'altro non possono essere denominate "amore per il prossimo" se c'è un ritorno anche di soddisfazione personale o di riconoscimento da parte dell'altro o di apprezzamento da parte degli altri.
Proprio per non ingannarci tutto ciò dovrebbe essere fatto in segreto, altrimenti potrebbe essere un inganno per chi lo fa, perché s'illude così di amare.
Se invece lo si fa con atto "religioso", chi lo compie crede in Dio anche se non lo ammette.

DARE LA VITA PER UN AMICO
Fatto questo inciso, torniamo alla vita di Abramo.
Vi sono due momenti cruciali della vita di Abramo, la chiamata e il sacrificio del figlio che era tutta la sua vita:
  • "Il Signore disse ad Abram: Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò." (Genesi 12,1)
  • "Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose: Eccomi! Riprese: Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò (dirò)". (Genesi 22,1-2)
Solo la fede poté farlo entrare nella totale precarietà ed accettare quel "io ti indicherò o io ti dirò" così generico.
"Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato." (Genesi 22,3)
Due servi accompagnano il figlio Isacco, figura di Gesù, al sacrificio.
Uno dei due sarà stato senz'altro il buon Eliezer.
Il figlio, peraltro, non era più un giovinetto, era in età di comprendere ed anche grande fu la sua fede.
Nessuno poi parla mai di quale sofferenza avrà avuto Sara sua madre quando avrà saputo della decisione del marito.
Che pensare Abramo così corretto l'avrà a lei rivelato, per lei fu un colpo e forse non si riebbe troppo era stato il dolore.
Alla fine del racconto del sacrificio di Isacco, infattim, il capitolo 23 del libro della Genesi inizia informando "Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì..." (Genesi 23,1-2)
Il Talmud per questo ritiene che avendo Sara avuto il figlio Isacco a 90 anni, questi al momento del suo sacrificio sul monte Moria avrebbe avuto 37 anni... l'età del Cristo (nato il 7 a.C. e morto il 30 d.C.) sulla croce.
Isacco ebbe l'occasione di stare solo col padre quando: "...Abramo disse ai suoi servi: Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi. Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme." (Genesi 22,5-6)
Isacco fu caricato del legno come Gesù della croce.
Il racconto fa trapelare che il figlio comprese cosa gli stava per capitare, perciò: "Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: Padre mio! Rispose: Eccomi, figlio mio. Riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto? Abramo rispose: Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!". (Genesi 22,7-8a)
E come nell'orto del Getzemani quando Gesù prega il Padre di allontanare da Lui quel calice amaro, ma conclude... fai secondo quello che è giusto fare.
"Proseguirono tutt'e due insieme..." (Genesi 22,8b) il figlio fu condiscendente.
Poi: "Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna..." (Genesi 22,9)
Fissò il figlio sul legno come Gesù fu fissato sulla croce.
Questo legamento o "Aqedah" va accostato al pensiero di "Proseguirono tutt'e due insieme... di Genesi 22,8b e il maestro Rashi conviene che Isacco allora capì che stava per essere ucciso e accettò la propria morte... e proseguirono con cuore unito decisi entrambi che ciò che facevano era proprio conveniente venisse fatto.
In "Bereshit Rabbah" 56,4 "Isacco tremò e si scossero le sue membra, perché comprese il pensiero del padre suo; e non riusciva a parlare. Tuttavia si fece forza e disse al padre suo: Se è vero che il Santo, benedetto Egli sia, mi ha scelto, allora la mia anima è donata a Lui! E Isacco accettò con pace la propria morte, per adempiere il precetto del suo Creatore. Secondo il "Midrash" al Salmo 116,6 fu anzi lui stesso a legarsi all'altare perché il sacrificio fosse perfetto.
Un canto intitolato Akedah del Cammino Neocatecumenale mette appunto in bocca ad Isacco queste parole: "Legami, legami forte, padre mio, non sia che per paura io resista, e non sia valido il tuo sacrificio, e tutti e due siamo rifiutati."

Solo una forte fede di entrambi nella risurrezione può spiegare la situazione.
Abramo è figura del padre di una comunità basata sulla fede e Isacco è figura del figlio che consente che ciò avvenga.
La comunità figlia, perché tutti dai lombi di Abramo nasceranno, la prima, quella che sta per diventare popolo al momento dell'uscita dall'Egitto, si trovò davanti alle stesse richieste da parte di Dio che parlava per bocca di Mosè e di Aronne: "Mosè e Aronne andarono e adunarono tutti gli anziani degli Israeliti. Aronne parlò al popolo, riferendo tutte le parole che il Signore aveva dette a Mosè, e compì i segni davanti agli occhi del popolo. Allora il popolo credette. Essi intesero che il Signore aveva visitato gli Israeliti e che aveva visto la loro afflizione; si inginocchiarono e si prostrarono." (Esodo 4,29-31)
Mosè ed Aronna in definitiva proposero di uscire dall'Egitto, lasciando tutte le loro sicurezze, come Dio aveva proposto ad Abramo di uscire da Ur dei Caldei.
Poi ci fu una richiesta: "Il Signore disse a Mosè: Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli Israeliti, di uomini o di animali: esso appartiene a me." (Esodo 13,1-2) come Dio chiese ad Abramo l'unico figlio il primogenito nato da Sara sua moglie, il figlio che amava.
Ogni Isrelita, per fede, secondo la Torah consacra il proprio primogenito a Dio, lo consegna a Lui, perché di fatto è suo e ciò ricorda il sacrificio d'Isacco.

Alcuni anni fa appoggiandomi a più decriptazioni di pagine della Torah con l'articolo "La risurrezione dei primogeniti" ho delineato e supportato la tesi che il popolo d'Israele in quel frangente, cioè al conclamato momento fondante la sua nascita, nell'episodio del famoso miracolo del mare, fu costretto, appoggiandosi solo alla fede, ad una scelta molto dolorosa che comportava una grande fede da parte del consiglio degli anziani.
Stando al testo doveva uscire dall'Egitto assieme a Israele una congerie di genti raccogliticce.
Oltre agli uomini abili evidentemente c'erano fanciulli, donne, vecchi, e animali d'ogni genere e il passo che potevano tenere sarebbe stato quello dei più lenti.
Da Mosè, per gli accenni ricevuti di Dio, uscì una strategia.
I primogeniti di Israele, almeno tutti i giovani atti alle armi, guidati dai primogeniti delle tribù egizie discendenti di Giuseppe che fu vice faraone, cioè di Manasse e di Efraim, ben armati, avrebbero dovuto formare un contingente, farsi notare come in fuga onde gli egiziani avrebbero creduto che fosse la totalità della comunità d'Israele e avrebbero concentrato tutte le forze per inseguirli.
Ciò avrebbe favorito i padri, le madri, i fratelli e i loro anziani, israeliti e le altre genti che si accodavano onde potessero sfilare per altra via.
I primogeniti, più veloci, con a capo Mosè, avrebbero preso la via corta, lungo il mare per farsi notare e il grosso, lento, sotto la guida di Aronne e Maria, sarebbe invece passato per la via del deserto fino alle paludi salmastre a sud dello odierno stretto di Suez, i laghi amari, ove non ci sarebbero stati controlli.
La decriptazione del versetto Genesi 32,29, veramente illuminante, conferma l'idea: "E furono prima (d'andare) agli Amari degli Egiziani i primogeniti ad essere in vista. Si versano dentro forti uniti alle acque di Ra. Ed alla porta si accese una strage forte, ma d'Israele la coppa è superstite. Agì alle acque Dio. Aperte furono le acque."
Il gruppo dei primogeniti, evidentemente, uscì dalle proprie case, ciascuno salutò la propria famiglia.
Queste li consegnarono in mano a Dio e a Mosè poi:
  • uscirono all'inizio della notte del 14 di Nisan in cui passò l'angelo sterminatore per gli egiziani;
  • il 14 di Nisan fu giorno di scorribanda dei primogeniti nel paese per farsi rincorrere dagli Egiziani, alla sera s'accamparono a Pi-Akirot;
  • il 15 di Nisan (Numeri 33,3), partenza del popolo per gli Amari, scontro dei primogeniti con gli Egiziani che credevano fosse tutta la carovana e apertura del Mare di canne in favore dei soli primogeniti, il popolo non si accorse di nulla camminava su un altro percorso (se il popolo intero fosse stato spettatore del miracolo del mare, infatti, non si spiegherebbero poi tanti dubbi e reticenze);
  • il 16 di Nisan, giorno di cammino per andare agli Amari;
  • incontro dei primogeniti salvati, come risorti dopo tre giorni, col gruppo di Aronne e dei congiunti alle acque amare.
Questa sarebbe la radice di tutte le profezie del risuscitare dopo tre giorni, il tempo cioè che i primogeniti sono stati "davanti a Dio", lontani dai familiari, dati per morti, ma tornati vivi nonostante il potente nemico.
Si comprende così il pathos attribuito a tale numero, con i tre giorni passati da Giona nella balena e, infine, da Gesù Cristo nella tomba.
Il fatto che la radice dei tre giorni stia proprio nel momento dell'apertura del mare, cioè nell'evento pasquale fondante l'ebraismo, è garanzia d'autenticità.
Tutte le altre profezie di tale circostanza, dovunque vengano tratte, prendono origine da questo brano che è il più antico.
Dal decriptato del versetto Genesi 32,25 abbiamo trovato:"E sono stati dai padri versati all'Unico per essere di salvezza delle vite portandosi alla vista degli Egiziani".
Gesù si legge in trasparenza.
I primogeniti sono come Gesù e Gesù è la salvezza.
Se i padri ebrei, come fece il padre Abramo, per fede hanno "consacrato a Dio i primogeniti" per la salvezza di tutti, Dio Padre come non consacrerà il proprio figlio Unigenito per la salvezza di tutti gli uomini?
Se i primogeniti sono stati disposti a dare la vita per coloro che amavano i fratelli, gli amici, i congiunti, come il Figlio, il Cristo, il Messia non darà la sua vita per tutti noi?
La fede in Dio di Abramo e del figlio Isacco ha portato frutto.
Dio Padre risponderà da amico all'amicizia di Abramo.
Il Cristo risponderà da amico all'amicizia di Isacco.
I due Abramo e Isacco procedettero insieme uniti dallo stesso Spirito Santo che risponderà da amico ai loro discendenti.
Ugualmente il Padre e il Figlio suo Gesù Cristo proseguirono uniti con lo Spirito Santo al sacrificio della croce, morì un uomo ma c'era in lui la pienezza della divinità.
Tutti i padri Ebrei allora, in occasione del miracolo del mare, hanno consacrato, come Abramo fece con Isacco, i propri primogeniti al Signore, disposti a sacrificarli.
Un popolo per nascere libero alla fede di Iahwèh è stato disposto a sacrificare i propri figli migliori e Lui ha risposto aprendo le acque!
La risposta di Dio alla fede del popolo d'Israele, di cui quella di Abramo è figura, è auspicata ed è attesa; viene scritta in forma criptata nell'Esodo poi trasformata in profezie, in frasi, in midrash nella Genesi, piccoli accenni sempre più intensi, ma Dio è l'ispiratore di questa fede e risponderà con l'incarnazione del Figlio Unigenito piegandosi alle speranze del popolo.
A questo punto è chiaro che lo stesso sacrificio di Isacco può essere figura, midrash, di questo sacrificio nella fede da parte di un intero popolo.
Il racconto del sacrificio d'Isacco sembra illuminare la legge del riscatto - sostituzione prescritta (Esodo13,13 e 34,20).
La decriptazione del racconto del sacrificio di Isacco in Genesi 22, almeno per i primi 14 versetti, fu un primo brano competo che presentai al mio esordio in Internet "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche", brano che conferma e sostiene questo episodio dei primogeniti al momento dell'apertura del mare e alla cui lettura rimando.
Abramo credette nel Cristo e nella risurrezione del figlio.
È quanto sostiene lo stesso Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò". (Giovanni 8,56)
Abramo vide il segno di Cristo, della sua corona di spine, della legno della croce quando vide l'ariete impigliato nel roveto pronto ad essere sacrificato in luogo di Isacco: "Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo: Il Signore provvede, perciò oggi si dice: Sul monte il Signore provvede." (Genesi 22,13s)
Vide altresì il segno della risurrezione quandò ebbe Isacco come redivivo, in pratica risorto, avendolo lui nel suo cuore già dato per morto e consegnato a Dio Padre.
Comprese cioè la profezia del sacrificio del Figlio amato da parte del Padre nei cieli in favore di tutti gli uomini.
Intravide così la storia e la missione del Messia.
Del pari Isacco vide la risurrezione come pure i primogeniti nell'episodio dell'apertura del mare e credettero nella risurrezione e nel Messia quando si aprì il mare, mentre il popolo lontano ai laghi Amari poco aveva visto e l'aveva solo sentito raccontare.
Grazie alla fede nel Messia, quindi, abbiamo Abramo per nostro padre ed entriamo a far parte degli amici di Dio.
È chiaro, perciò, che è "Gesù, autore e perfezionatore della fede", come dice la lettera agli Ebrei (12,2), perché motore e finalità di tutta la storia di salvezza preparata da Lui che appunto va letta e interpretata in vista di Lui che prepara un mondo nuovo per i risorti.
Lui, infatti, prepara un regno e una nuova creazione a cui tutti siamo chiamati ad entrare, come ricorda con la similitudine del padrone che chiama gli operai a lavorare a tutte le ore (Matteo 20,1-16).
Questa parabola seguì, infatti, un discorso fatto ai dodici "E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione... (Matteo 19,28)

MALTRATTATO DA CHI AMA
Un salmo di Davide che Gesù certamente ha cantato quando dalla Galilea e dalla Samaria saliva a Gerusalemme, sia quando vi andava da fanciullo con i suoi genitori (Luca 3,41-51), sia quando vi sarà andato da solo e o con i suoi discepoli è il Salmo 122 detto appunto "shir hamm'elot", "Canto delle ascensioni" o della salita.
Questo canto è molto breve e nella traduzione in Italiano si presenta così:

Salmo 122,1 - Canto delle ascensioni. Di Davide. Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore.

Salmo 122,2 - E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!

Salmo 122,3 - Gerusalemme è costruita come città salda e compatta.

Salmo 122,4 - Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore.

Salmo 122,5 - Là sono posti i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide.

Salmo 122,6 - Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano,

Salmo 122,7 - sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi.

Salmo 122,8 - Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: Su di te sia pace!

Salmo 122,9 - Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene.

Se ci si porta a ricordare la passione che dovrà subire a Gerusalemme, questo canto in bocca a Gesù di Nazaret è denso di significati.
Lui stesso domanda pace a coloro che amano Gerusalemme, per i fratelli e gli amici, nel caso specifico i compagni.
Eppure nel Vangelo di Matteo lo stesso Gesù ebbe a dire "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada." (Matteo 10,34)
Non "shalom" , ma una spada "ha choeroeb" .
La prima volta che si trova spada nella Bibbia è nel libro della Genesi alla fine del capitolo 3 alla cacciata dal Gan Eden dei nostri progenitori.
Lì sono usate queste parole: "Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita." (Genesi 3,24)
I progenitori avevano scelto un altro amico con cui stare, ma questo, proprio come un serpente una volta ottenuto ciò che voleva li aveva resi incapaci d'amare.
Non erano più in grado di essere amici di nessuno.
La vera amicizia disinteressata nell'umanità si trovava solo nei mito.
Dice, infatti, la lettera ai Romani: "...mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Romani 5,6-8)

La fiamma della spada folgorante .
È evidente che Gesù si riferisce a quella spada, d'altronde la sua missione sulla terra è recuperare al Paradiso l'umanità intera.
Di questo versetto Genesi 3,24, allora, è necessario esaminare lettera per lettera come è scritto in ebraico.




Nella mente ispirata dell'autore del libro della Genesi, mentre Dio caccia Adamo ha già nell'intimo, per la sua immensa misericordia trovato una soluzione.
Ecco qui di seguito cosa ci fornisce la decriptazione di quel versetto che riporto con la dimostrazione lettera per lettera e poi tutto di seguito.

Genesi 3,24 - Porterà la forza per scacciarlo . Verrà tra gli uomini per portarli a riesistere con la risurrezione ; così l'angelo (ribelle) dai viventi rovescerà dal sangue . Per la potenza che scorrerà per l'energia dell'Eterno belli () tutti usciranno ; la rettitudine nelle moltitudini ci sarà dei viventi . Porterà l'Unigenito alla fine il serpente che entrato nei cuori uscirà arso (). Il bestiale () finirà per l'entrato soffio della rettitudine . Il Crocifisso dal serpente li avrà custoditi , (infatti) riverranno () le generazioni ( = ) rette a vedersi rialzare , (in quanto) riuscirà in vita chi era stato un vivente .

GENESI 3,24
Porterà la forza per scacciarlo (sottinteso al serpente).
Riverrà tra gli uomini per portarli a riesistere con la risurrezione; così l'angelo (ribelle) dai viventi rovescerà dal sangue.
Per la potenza che scorrerà per l'energia dell'Eterno belli tutti usciranno; la rettitudine nelle moltitudini ci sarà dei viventi.
Porterà l'Unigenito alla fine il serpente che entrato nei cuori uscirà arso.
Il bestiale finirà per l'entrato soffio della rettitudine.
Il Crocifisso dal serpente li avrà custoditi, (infatti) riverranno le generazioni rette a vedersi rialzare, (in quanto) riuscirà in vita chi era stato un vivente.

E chi recupererà per primo.
Per il Vangelo di Luca è il "buon ladrone", che rubò il Paradiso all'ultimo minuto e s'avverò che i chiamati all'ultima ora saranno come i primi... a tutti la stessa moneta, il Regno: "Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi! Ma l'altro lo rimproverava: Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male. E aggiunse: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso." (Luca 23,39-43)

Gesù è la via all'albero della vita, o meglio delle due vite, anzi è proprio Lui l'albero. (Vedi "Mangiare dell'albero della vita")

Proprio quel Salmo 122, da cui ho detto all'inizio di questo paragrafo, ci parla col suo decriptato integrale, che presento qui appresso, di ciò che gli autori della Tenak pensavano che muoverà il Messia e lo farà venire tra gli uomini.
Ho messo i tempi al passato consideradola una profezia avverata con Gesù di Nazaret.

Salmo 122,1 - In dono nel corpo il Potente per i viventi dall'alto si portò. La prescelse il Potente da David. Gioia completa ci fu nella casa per il primogenito. Per Maria il Potente fu in una casa a stare; la scelse il Signore. Le inviò la potenza della rettitudine.

Salmo 122,2 - Sentito, da madre aiuto Gli portò la prescelta. Entrò, Le fu a portarsi nel corpo. A rivelarglielo fu un angelo che si portò a casa. L'illuminazione sentì. Nel corpo sia, la rettitudine si lanci! E accese il Potente la madre.

Salmo 122,3 - Fu nel corpo a portarsi a sorgere il Potente dalla Madre. Vi entrò da figlio e fu al termine così alla vista ad essere da povero. Dal grembo il corpo uscì. Dal serpente nel mondo fu nella prigione dell'essere impuro.

Salmo 122,4 - Per bruciarlo il fuoco in seno al serpente porta acceso dentro al cuore, sarà a salvare gli abitanti, nel cuore gli sono. Fu nel mondo l'Eterno per portare la fine del serpente. Sarà a riaccendere nei corpi la divinità che il serpente con la perversità essendo impuro finì. La potenza riaccenderà nei viventi il Signore.

Salmo 122,5 - La rettitudine sarà da fuoco nei viventi ad entrare. Sarà la risurrezione dentro a recare. La rettitudine la pienezza delle origini riporterà. Dalla croce guizzerà con l'acqua dal Verbo dal cuore la rettitudine che da un foro, al primo portato in croce, dal cuore, sarà alla fine per l'essere impuro da sbarramento.

Salmo 122,6 - La risurrezione la divinità porterà che brucerà il serpente portatosi nei viventi. Sarà nei corpi a riportarsi ad accendere la potenza che strapperà via il serpente. Sarà a riportarsi l'amore che c'era con la rettitudine.

Salmo 122,7 - Sarà a rientrare a stare la pace dentro i viventi in cammino. Bruciato il serpente, si porterà fuori chi abita dall'origine. Il verme dall'amgelo (ribelle) recato, finito sarà dalla rettitudine.

Salmo 122,8 - Il serpente in seno l'energia all'origine nei viventi recò del male. Fu all'origine ad insinuarsi nei corpi per l'entrata delll'angelo nella donna. La risurrezione la potenza porterà nei viventi a riabitare la rettitudine.

Salmo 122,9 - Per la potenza dal seno l'angelo che vi abita sarà finito. Il Signore il maledetto rifiuterà. Dentro si verserà la risurrezione. Entrando nei cuori si riporterà ad abitare il Potente in (uomini) retti.

Qualcuno si domanderà come è possibile che la storia del Cristo sia già nella Genesi e poi si trovi anche nei Salmi?
La storia del Cristo è il fondamento, la radice, il basamento di tutta la Sacra Scrittura e nel criptato si trova continuamente.
Risponderò poi alla domanda con un'altra domanda.
Si trova nel libro del profeta Zaccaria: "E se gli si dirà: Perché quelle piaghe in mezzo alle tue mani? Egli risponderà: Queste le ho ricevute in casa dei miei amici". (Zaccaria 13,6)
Chi è questo personaggio che a casa di amici riceve delle ferite del genere?
E chi sono questi amici?
Non sono semplici compagni o correligionari, sono "amati".
Lì, infatti, per ciò che è tradotto amici il profeta Zaccaria usa "'ahbaì" dal radicale del verbo amare .
Chi è che ama e subisce offese per chi ama?
In Giovanni 11,49-52 si trova: "Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi."

Per questi, Gesù di Nazaret, che fu ucciso per evitare il peggio per il popolo si verificò quanto nel Salmo 22,2-7; infatti, può proclamare sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ... hanno forato le mie mani e i miei piedi..." (Vedi "I Salmi, conforto del Crocifisso")

Dopo che fu ucciso e che apparve da risorto, Tommaso, uno degli apostoli che era assente, ebbe a dire: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!.Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio!" (Giovanni 20,25-28)

GLI AMICI DI GESÙ
"Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli..." (Luca 12,1)
I discepoli, coloro che sono alla sua sequela e ascoltano e mettono in pratica i suoi insegnamenti.
"A voi miei amici, dico..." (Luca 12,4)
Questi, i discepoli, sono amici di Gesù.
Tutti i cristiani che seguono con fedeltà Gesù sono perciò amici di Gesù.
L'amicizia è un sentimento spontaneo non è un legame che ha regole complicate, ma è un rapporto limpido, perché non ammette ombre, sentirsi in comunione con l'altro come si è in comunione con se stessi, cioè non essere doppi.
Qual è il messaggio che hanno ricevuto i discepoli sin dal principio?
Lo troviamo chiaro ed esplicito nel Vangelo di Giovanni: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri." (Giovanni 13,34-35)
Poiché... all'amor non si comanda... qualcuno può rimanere sorpreso che Gesù dia un comandamento, cioè "comandi" l'amore.
Questo però è come un'investitura con autorità, capace di dare frutto, come a dire: ecco, da questo momento tu hai potere di fare ciò che ti dico.
C'è, infatti, il seguente interessante episodio raccontato dal Vangelo di Marco che chiarisce cosa sia un comando di Gesù: "Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre. Egli allora gli disse: Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni." (Marco 10,17-22)

Il comandamento di Gesù è così un suo sguardo di amore da cui l'interlocutore si sente coinvolto... un amico che ti parla.
Se comprendi che l'altro è un amico capisci che il consiglio che ti dà è buono.
Se poi è un amico tu sai che se vuoi seguire quel suo consiglio, per quanto è in suo potere, ti aiuterà.
In ciascuno di noi c'è come un sesto senso sopito, ma non morto, questi è in grado di captare l'amore autentico.
Sono certo che su quel tale del Vangelo di Marco a cui Gesù parlò in quel modo, quello sguardo ebbe effetto.
Il discorso fatto con quel tale, infatti, ebbe uno strascico coi discepoli, perché, quando quegli s'allontanò Gesù commentò "...Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!" (Marco 10,23)
I discepoli che compresero come ciascuno difende con egoismo i propri beni e come sia difficile avere una libertà su questi "...sbigottiti, dicevano tra loro: E chi mai si può salvare?" (Marco 10,26)
Ancora una volta uno sguardo d'amore: "...Gesù, guardandoli, disse: Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio." (Marco 10,27)
Questa apertura mi fa proprio pensare che quel tale abbia poi accolto il "comandamento" personale che gli ha dato Gesù!

Tornando sull'argomento, il comandamento dell'amore viene ripreso ed allargato da Gesù con: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri." (Giovanni 15,12-17)

Il discorso che è basilare, viene poi ripreso nella 1a lettera di Giovanni:
  • "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri..." (1Giovanni 3,23)
  • Questo messaggio "Che ci amiamo gli uni gli altri." non è restato nel teorico, quando si è compreso quanto il nostro amico ci amava, infatti "...abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli." (1Giovanni 3,16)
Il comandamento "antico" era amare il prossimo e Gesù lo ricorda: "Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi." (Marco 12,30-31)

Il prossimo è un fratello ed il comandamento è nuovo perché ora è stato dato il modello e la forza per compierlo.
Il modello è Cristo crocifisso e la forza per compierlo è lo Spirito Santo.
Allora si passa dal teorico al pratico:
  • Dio è nei fratelli, e si incontra amando i fratelli: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" e "chi ama Dio, ami anche suo fratello" (1Giovanni 4,20-21); infatti: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". (Matteo 25,40)
  • L'amore ha una sorgente: "Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo." (1Giovanni 4,19)
  • Quell'amore i discepoli l'hanno visto risorto, perciò: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte." (1Giovanni 3,14)
  • La conclusione è che essendo l'amore espressione della divinità "perché Dio è amore" quando si manifesta l'amore vero capace di escludere l'interesse si è difronte alla prova che siamo stati inseriti nella Sua natura, infatti: "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore." (1Giovanni 4,7-8)
  • Conseguenza di tutto ciò è che: "...abbiamo fiducia nel giorno del giudizio... Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore." (1Giovanni 4,17-18)
  • Permane un pericolo: "...per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato." (Matteo 24,12)
  • L'amore e l'amicizia veri implicano semplicità e fedeltà.
"Certa è questa parola:
Se moriamo con lui, vivremo anche con lui;
se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà;
se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso." (2Timoteo 2,11-13)

DIO AIUTA I SUOI AMICI
Il nome di Lazzaro è equivalente ai nomi Eliezer "'Elioezoer" od Eleazaro "'Oel'azar" dell'Antico Testamento.
Nel Nuovo Testamento di personaggi col nome Lazzaro se ne trovano due.
Per entrambi si concretizza che il loro aiuto è venuto da Dio.

Il primo che ha nome Lazzaro è un povero di una parabola, riportata solo dal Vangelo di Luca (16,19-25) in contrapposizione ad un ricco, senza cuore, restato appunto senza nome, che banchettava ogni giorno incurante di quel poveretto "giaceva alla sua porta, coperto di piaghe", la cui vita era una dimostrazione solo dell'aiuto di Dio.
Alla morte di entrambi, il primo, cioè Lazzaro, andò in seno al padre Abramo e l'altro, il ricco egoista, nell'inferno tra i tormenti, infatti, non aveva un nome scritto nel libro della vita.

Il secondo Lazzaro si trova solo nell'ultimo Vangelo, quello detto di Giovanni.
Fu Lazzaro risuscitato dalla morte da Gesù secondo il racconto in Giovanni 11,1-44, fratello di Maria e Marta (Marta, Martha o Mara in aramaico significa signora, maestra), ed è citato più volte dallo stesso Vangelo nel successivo capitolo 12 ai versetti 1-2, 9-10 e 17.
Complessivamente da Giovanni il nome Lazzaro è richiamato 12 volte.
Lazzaro con le sorelle abitava a Betania ((località che non ha riscontro nell'Antico Testamento, oggi el-Azarieh), un villaggio al secondo miglio (circa tre Km.) da Gerusalemme, vicino alla via per Gerico, sulle pendici orientali del monte degli Ulivi, da non confondere con un paese in Transgiordania, cioè oltre il Giordano, ove il Battista battezzava, indicato dallo stesso Vangelo di Giovanni (1,28).
(Origene nel Commento a Giovanni sostiene che il nome di questa località al dilà del Giordano sarebbe da leggere Betabara e non Betania).
Il villaggio di Betania era un luogo che Gesù e i discepoli erano soliti frequentare ed è ricordato anche in:
  • Luca 10,38, ove lo cita senza nominarlo, ma è evidente che è Betania, "Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria..."; ma perché non parla di Lazzaro?
  • Luca 19,29, "Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui.", parallelo a Marco 11,1.
  • Luca 24,50s, "Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo."
  • Matteo 21,17, dopo la cacciata dei venditori dal tempio "E, lasciatili, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte."
  • Matteo 26,6, "Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso."
Tre sembrano i posti eletti da Gesù per il suo riposo in quella zona:
  • l'orto del Getzemani con la relativa azienda agricola;
  • la casa di Lazzaro a Betania;
  • la casa di un certo Simone... il lebbroso, citato dal Vangelo di Marco "Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso..." (Marco 14,3 e Matteo 26,6) mentre per Luca (Luca 7,36-50) Simeone era solo un fariseo.
È ovvio che tutti i relativi proprietari di queste residenze si conoscessero ed abitualmente si frequentassero e forse erano anche tra loro imparentati.
Betania fu anche il luogo dell'ascensione di Gesù, almeno secondo il Vangelo di Luca (24,50), ma quella fu una ascenzione direi intermedia, la prima avvenuta lo stesso giorno della domenica della risurrezione; l'ultima e definitiva ascenzione, quella dopo quaranta giorni dalla domenica di risurrezione, è pure narrata dallo stesso Luca nel libro degli Atti degli Apostoli (1,9-12), ma il luogo dell'ascenzione è definito in modo generico... nell'ambito del monte degli Ulivi, infatti, gli apostoli poi: "...ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato." (Atti 1,12)
D'altronde secondo i Vangeli varie sono state le apparizioni del Risorto e ogni volta spariva ai loro occhi e quindi si verificavano ascenzioni intermedie.
Torniamo a questo Lazzaro, che aveva una casa a Betania ove viveva con le sorelle Marta e Maria, della cui resurrezione da parte di Gesù è detto al capitolo 11 del Vangelo di Giovanni.
Quando s'ammalò, evidentemente, gravemente visto che poi morì, Gesù era "al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava". (Giovanni 10,40)
Dall'Evangelista viene subito chiarito chi era Lazzaro: "Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". (Giovanni 11,3)
Quel sentimento che provava Gesù era per tutta la famiglia, infatti, poi il Vangelo precisa proprio come commento dell'Evangelista: "Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro". (Giovanni 11,5)
Fu così che Gesù mandò a dire alla famiglia che "Questa malattia non è per la morte" e aggiunse delle parole che evidentemente apparvero sibilline "perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato". (Giovanni 11,4)
Si trattenne però ancora per due giorni là, oltre il Giordano, a circa 40 Km a est, nella Perea governata dal tetrarca Erode.
"Poi, disse ai discepoli: Andiamo di nuovo in Giudea! ...soggiunse loro: Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo". (Giovanni 11,7-11)
Sapeva perfettamente che era morto, infatti poi "Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto...". (Giovanni 11,14)
Gesù si era ritirato oltre il Giordano per sfuggire ai giudei, infatti "I discepoli gli dissero: Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?" (Giovanni 11,8)

Visto che "Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro" è plausibile da ritenere che la conoscenza di Lazzaro, Marta e Maria fosse di antica data, forse anche antecedente il ministero pubblico.

Quando arrivò prima di Betania gli andò incontro prima Maria poi Marta e Gesù e viene messo in evidenza che:
  • Gesù "si commosse profondamente, si turbò" (33)
  • "Gesù scoppiò in pianto" (35)
  • "Dissero allora i Giudei: Vedi come lo amava!" (36)
  • "Gesù, ancora profondamente commosso..." (38)
Gesù fece risorgere l'amico Lazzaro, e si esplicitò a pieno tutto il potenziale del proprio nome "Dio l'aveva aiutato!"
Sul pianto di Gesù molto è stato discusso e detto.
Una interpretazione è che pianse quando vide l'incredulità conclamata da parte di tutti gli astanti sulla risurrezione e sul potere divino contro la morte ed in definitiva sulla mancanza di fede generale sulla vita eterna.
Altra interpretazione è che aveva avuto visione chiara del suo destino - passione, crocefissione e morte - come si arguisce dall'accenno che aveva fatto quando aveva detto "perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato" (Giovanni 11,4), in quanto il glorificare passa, infatti, per la croce.
Ha chiaro che si avvicina il momento.
Era cioè un'anticipo della paura della sofferenza fisica che comporta la natura umana e che poi si esplicitò sul Getzemani pochi giorni dopo.
Nel capitolo 12,1-3 del Vangelo di Giovanni, si legge "Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali" e Maria gli unse i piedi con nardo purissimo.
Nel giorno successivo, quando entrò osannato a Gerusalemme anche dei Greci volevano vedere Gesù e "si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: Signore, vogliamo vedere Gesù. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto... Ora l'anima mia è turbata..." (Giovanni 12,21-27)
Viene così spiegato quel turbamento di Gesù davanti alla tomba di Lazzaro.
Lazzaro per il Vangelo di Giovanni fu la goccia che come fece traboccare di gioia i discepoli e il popolo amico di Gerusalemme che lo osannò.
"Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele!"
Fu però anche la goccia che fece anche traboccare il vaso della collera dei nemici di Gesù e provocò la sua morte.
Tutto ciò si comprende dai seguenti versetti di Giovanni 12:
  • "Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là (Gerusalemme), e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù." (Giovanni 12,9-11)
  • "Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno. I farisei allora dissero tra di loro: Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!" (Giovanni 12,17-19)
Per il Vangelo di Giovanni la risurrezione dell'amico Lazzaro fu perciò un motivo dell'accoglimento esultante di Gesù all'entrata a Gerusalemme, nato spontaneamente per iniziativa dei discepoli, dei parenti e dei conoscenti di Lazzaro assieme agli spettatori di quell'evento che coinvolserò così molte persone venute alla festa per Pesach, fatti che poi furono concausa della conclusione della vita terrena di Gesù di Nazaret.

AMICIZIA ANTICA, MA SCOMODA PER I SINOTTICI
Del rapporto di amicizia Gesù - Lazzaro i Vangeli sinottici non parlano, infatti, mai in quelli è citato il nome di Lazzaro.
È perlomeno strano.
Invero quali autori dei sinottici vi sono personaggi che o hanno conosciuto i gli episodi della vita di Gesù dai racconti di testimoni, com'è il caso di Luca e di Marco o come Matteo che sono stati testimoni, da un certo momento in poi, cioè quello dalla sua chiamata.
Solo Giovanni può avere testimonianza diretta più antica su Gesù, perché sostiene indirettamente pur se non si nomina che con Andrea fosse uno dei due discepoli del Battista che seguirono Gesù "Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro." (Giovanni 1,40).
Giovanni quindi è più sensibile a certi aspetti che può aver assimilato in giovane età quando seguendo il Battista inevitabilmente conosceva l'ambiente di Qumran e di quei "monaci esseni" ed evidentemente ne rimase colpito dalla tenace volontà e dalla loro spiritualità.
Viene con l'episodio di Lazzaro indirettamente aperto uno squarcio su precedenti rapporti di Gesù con personaggi di cui però la nascita del rapporto stesso non è descritta in nessun Vangelo canonico.

Parlo del rapporto con:
  • Nicodemo che va da Gesù di notte, ma che lo conosceva da prima.
  • Lazzaro, Maria e Marta a cui voleva molto bene, da quando e perché?
  • la stessa Maria di Magdala della quale in Marco 16,8 e Luca 8,2 si dice senza raccontare i fatti "aveva cacciato sette demòni".
Sta il fatto però che alla risurrezione di Lazzaro almeno Matteo a cui sarà stato spettatore avrebbe potuto dare rilevanza, perché non lo fa?
Il Vangelo di Matteo non cita Lazzaro, bensì la cena a Betania, episodio che poi Giovanni racconta e motiva la festa anche in onore di Lazzaro, ma Matteo lo localizza a casa di un Simone il lebbroso e ricorda la donna che unge il capo a Gesù perché l'ungere richiama il radicale MShCh, vale a dire la parola Messia, l'Uno, il Consacrato.
Una ipotesi è che la vera fonte originaria fosse però il Vangelo di Marco, considerano tutti gli esperti il primo come redazione e negli altri due Sinottici in genere sono riportati in modo pressoché identico tanti particolari.
Allora, perché il Vangelo di Marco non riporta il fatto di Lazzaro?
Evidentemente perché Marco che riporta fedelmente la predicazione di Pietro non poteva farlo, perché evidentemente non era stato testimone e Pietro non ne aveva fatto cenno nella sua predicazione, ma aveva portato il caso Matteo 9,18ss della risurrezione della figlia di un capo di una sinagoga, che Marco 5,22ss e Luca 8,4ss identificano con la figlia di un certo Giairo.
C'è anche chi ha ipotizzato che ci sia stata qualche reticenza dei Sinottici ad adombrare un contatto di Gesù con Esseni, e vedremo poi come potrebbero entrarci gli Esseni con Lazzaro.
Tale reticenza però per le premesse che ho prima ricordato non esisteva o era molto mitigata in Giovanni.

Luca, però, nel suo Vangelo ricorda così le due sorelle Maria e Marta: "Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola, Marta invece era tutta presa dai molti servizi...." (Luca 10,38-40), ma non precisa il villaggio e non parla di Lazzaro.
C'è però un episodio in Matteo 26,6s: "Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa", fatto narrato anche da Marco 14,3s che precisa che il vaso conteneva nardo molto prezioso.
Questo episodio ricorda quello raccontato in Giovanni 12,1-3 ove: "Maria (nel contesto è evidente essere la sorella di Lazzaro) allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento."
In questo caso la donna unse i piedi di Gesù e non la testa.
Nel Vangelo di Luca al capitolo 7,36-38 la cena è presso un fariseo, la donna è una prostituta entra e unge i piedi di Gesù: "Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice. Gesù allora gli disse: Simone, ho una cosa da dirti..." (Luca 7,36-40)

Nel passato è stata accostata tale donna alla Maddalena e questa a Maria di Betania, ma l'identificazione di Maria Maddalena con Maria di Betania o con la peccatrice è stata esplicitamente rigettata nel 1969 dalla Chiesa cattolica durante il concilio Vaticano II.
Incredibile, una peccatrice della città può entrare liberamente in casa di quel fariseo!
Dice il libro del Siracide 19,2: "Vino e donne traviano anche i saggi, ancor più temerario è chi frequenta prostitute."
Era una abitudinaria di quella casa?
Impossibile, un fariseo ligio alla Torà non frequenta le meretrici, e non le fa certamente entrare in casa propria a meno che non fosse costretto perché... forse era una sua parente.
È pure molto strano che più volte donne diverse abbiano unto a Gesù il capo o i piedi.

C'è poi un particolare da notare nel versetto Giovanni 12,3 che ho più in dietro riportato è detto "Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali"; strano, come se Lazzaro non fosse il padrone di casa e l'episodio non si svolgesse a casa sua.
Incredibile che ci fosse un lebbroso da cui Gesù va a cena e non lo sana, ancora più strano che con la legge di purità nella Torah, che tiene lontani i lebbrosi dai centri abitati, vi fosse un lebbroso in una casa e impunemente invitasse gente credente e questi vi andassero.
Il libro del Levitico, il centrale della Torah, infatti, prescrive: "Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento." (13,45-46)
Forse Simone non era lebbroso o lo era stato ed era guarito.

Per i Vangeli di Matteo e di Marco l'unzione di Gesù avvenne nella casa di Simone il lebbroso e per Luca nella casa di un fariseo e Giovanni in effetti non dice in quale casa fosse, ma per quel commento, "uno dei commensali", pare proprio che la cena non fosse a casa di Lazzaro.
Forse Simone era un fariseo e forse era parente di Lazzaro.

Nasce così la tentazione di cercare di unificare quegli episodi dell'unzione di Gesù e per far ciò ricapitolo sinteticamente:
  • Matteo 26,6s, una donna gli unge il capo a casa di Simone il lebbroso;
  • Marco 14,3s, idem;
  • Luca 7,36-38, una prostituta gli unge i piedi a casa del fariseo Simone;
  • Giovanni 12,1-3, Maria sorella di Lazzaro gli unge i piedi, non precisa la casa.
In tutti questi racconti ci sono commenti sullo spreco di quel buon profumo.
È poco credibile che per due volte in luoghi differenti Gesù sia stato unto con una grande quantità di olio di nardo di gran valore (Marco e Giovanni) con le stesse pesanti critiche da parte degli astanti.
Due però sono allora le questioni principali se si vogliono unificare degli episodi:
  • Simone il lebbroso è il fariseo Simone?
  • Maria la sorella di Lazzaro era anche una prostituta?
È stata avanzata una ipotesi.
Simone forse era il padre di Marta, di Maria e di Lazzaro, avesse una casa vicino alla loro, che fosse stato un Esseno e che Maria in passato fosse stata una donna di facili costumi.
Tra l'altro Gesù dice di lei: "Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato". (Luca 7,47)
Questa donna che molto probabilmente è Maria di Betania probabilmente è quella che a cui assieme a Marte e a Lazzaro: "Gesù voleva molto bene..." (Giovanni 11,5)

Ora il nome greco di Esseni o Essei, traslitterazione del nome greco Essenoi pare derivare da un termine aramaico che probabilmente significa pii, puri fedeli (Filone e Giovanni Crisostomo).
Gli Esseni sono citati appunto nelle opere di Filone di Alessandria, ma anche da Plinio il Vecchio e da Giuseppe Flavio.
Risalendo alle lingue semitiche e in particolare all'aramaico sono state proposte le seguenti etimologie 'Asen,' asayya, "guaritori, medici", e Ha'sen'a, hasayya, "il pio" e l'ultima è più credibile. (Pare che il Talmud babilonese così designa gli Esseni in bKidd 71° - bBQ 69° - bNidd 12°, ma non ho controllato).
La loro caratteristica era di vestirsi sempre di bianco.

In ebraico il lebbroso è "ha saru'a".
Il lebbroso tra l'altro e hanno la pelle squamosa biancastra.
Ora, è stato pensato che potrebbe essere accaduto che invece di "Shim'on ha-sanu'a " - cioè "Simone il puro, pio" - sia stato letto come "Shim'on ha-zaru'a " ossia "Simone il lebbroso" nella traslitterazione da un primo testo in aramaico del Vangelo di Matteo (tra l'altro in ebraico dente, che dà anche l'idea di bianco è = ) vale ha dire sarebbe stata presa per la lettera di quel pio, puro, modesto, casto e umile e da qui l'equivoco del lebbroso, perché negli scritti dell'epoca di qumranica quelle lettere si somigliano molto.
In definitiva si dovrebbe così concludere che la casa ove nel Vangelo di Giovanni Lazzaro era un commensale, Marta serviva a tavola e Maria unse i piedi a Gesù fu la stessa casa che i sinottici definiscono casa di Simone.
Questo apre uno squarcio su una possibile precedente conoscenza nei primi tempi quando Gesù non era ancora entrato nella vita pubblica e si muoveva come un carpentiere che lavorava in Galilea e che periodicamente nelle feste prescritte si recava in Giudea con amici e conoscenti da quando era fanciullo.
Implica anche una precedente conoscenza di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, perché avrà lavorato anche a Cafarnao.
Andrea e Giovanni gli avranno detto del loro seguire Giovanni il Battista ed è a pensare che Gesù per una festa comandata dal calendari ebraico si sia portato in pellegrinaggio a Gerusalemme passando ai guadi del Giordano ove avvenne l'ultimo incontro col suo biscugino, il Battista, figlio di Elisabetta cugina di Maria sua madre. (Vedi "Le feste ebraiche della venuta del Messia" Le feste ebraiche della venuta del Messia")

Negli ultimi anni del regno dei Seleucidi (II secolo a.C.) in Israele nacque una setta messianica detta degli Assidei che incitava a lottare per la liberare Israele facendosi forte del libro del profeta Daniele, profeta della prossima venuta del Messia.
Gli Asidei o Hassidim, i Pii, valorosi e assertori della Torah, guidati da Giuda Maccabeo, affrontarono in campo aperto le truppe siriane le sconfissero e liberarono Gerusalemme la Giudea.
Poi riuscirono a sostenere un attacco di un forte esercito Seleucida e viderò in ciò che Dio li aiutava.
Nel libro 2 Maccabei, infatti, si legge: "Mentre si trovavano ancora vicino a Gerusalemme, apparve come condottiero davanti a loro un cavaliere in sella, vestito di bianco, in atto di agitare un'armatura d'oro." (2Maccabei 11,8)
Nell'anno 152 a.C. fu nominato sommo sacerdote Gionata e Simone, fratelli di Giuda Maccabeo accettarono di essere nominati sommi sacerdoti dai re seleucidi e fu allora che all'interno degli Assidei si verificò uno scisma e si separò il gruppo Esseno contrari a tale nuova gestione del Tempio, perché tempio e sacerdozio per loro erano ormai contaminati.
Era perciò necessario purificarsi divenendo figli della luce ed essere illuminati dalla volontà di Dio, ma i più facinorosi in definitiva vennero a far parte degli Zeloti che portati ad azioni violente e di guerriglia.
Ecco che gli Esseni vestivano di bianco a significare che erano investiti dalla luce del Signore.
Sotto questo aspetto le simbologie dei figli della luce, ma soprattutto del colore bianco, che da segno di illuminazione divenne espressione della risurrezione di Cristo, è innegabile che vennero a far parte del sentire cristiano ed esplicitato negli scritti del Nuovo Testamento attribuiti all'apostolo Giovanni e non solo.
Si pensi per i "figli della luce" ai seguenti richiami nei testi del Nuovo Testamento:
  • Luca 16,8, "Il padrone lodò quel amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce".
  • Giovanni 12,36, "Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce".
  • Efesini 5,8, "Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce".
Per le vesti bianche, poi, si trovano questi riferimenti espliciti:
  • Apocalisse 3:4s, "Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti..."
  • Apocalisse 3,14-18, "All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: ...Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista."
  • Apocalisse 7,13s, "Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono? Gli risposi: Signore mio, tu lo sai. E lui: Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello."
  • Giovanni 20,12, "e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù."
  • Matteo 28,3, "Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve."
  • Marco 16,5, "Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura."
  • Luca 24,4, "Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti."
  • Atti 1,9s, "Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero..."
Dai Vangeli poi si evince che la fede negli angeli e nella risurrezione dei corpi e le attese escatologiche attribuite a Gesù lo avvicinano di fatto alla teologia essena e farisaica e non a quella sadducea.
Del resto la questione dell'unzione a casa di Simone fariseo, ma anche Esseno e forse sacerdote di quella setta, porta in evidenza un segno che gli Esseni comprendevano bene "Dio sceglierà in una delle tue tribù di fronte al sacerdote unto sulla cui testa è stato versato l'olio della unzione..." (4Q375 trad. Martinez)
Il Nuovo Testamento evita, non menzionandoli, gli Esseni e non segnalano espliciti collegamenti di Gesù con tale comunità.
Pur tuttavia a pensare che qualche collegamento ci fosse si arriva tramite Giovanni il Battista e i suoi discepoli che fanno da cuscinetto tra gli insegnamenti di Gesù e la comunità Essenza ed al fatto che uno dei 12 apostoli era Simone soprannominato Zelota.
Si può così comprendere la reticenza dei Vangeli di accostare in modo più esplicito Gesù e i Cristiani al gruppo Esseno soprattutto nel timore di essere considerati zeloti.
Sotto questo aspetto, se si considera Lazzaro in qualche modo far parte o di essere vicino agli Esseni si comprende come i primi Vangeli, scritti in tempi di grande pressione romana, non parlino di lui e della grande amicizia che legava lui e la sua famiglia a Gesù, mentre il Vangelo di Giovanni, scritto ormai dopo la distruzione del Tempio, a Zeloti sconfitti, lo cita con maggiore libertà, ma senza mettere in evidenza collegamenti Esseni.
Gli scritti neo testamentari si sviluppano tutti nel I secolo d.C. ed era bene stare lontani dal far sospettare a chicchessia una vicinanza dei cristiani agli Esseni e quindi agli Zeloti in quei tempi in cui i Romani stavano esercitando una forte pressione contro quelle setta.
Altro elemento notevole da segnalare è che Gesù e i suoi discepoli e poi i cristiani hanno seguito il calendario Esseno di tipo solare e non quello di tipo lunare introdotto nella liturgia del Tempio alla fine del I secolo a.C., avversato degli Esseni.
Il calendario ebraico, computa il giorno da sera a sera e la vigilia della Pasqua ebraica cade il 14 del mese di Nisan e può verificarsi in giorni diversi della settimana, ma per gli Esseni il giorno era contato da mattina a mattina, l'anno aveva quattro parti di 91 giorni - 2 mesi di 30 giorni e 1 di 31 - il primo giorno del mese di Nisan era sempre un mercoledì e il 14 Nisan, vigilia della Pasqua ebraica, era sempre un martedì, la Pentecoste cadeva sempre di domenica il quindicesimo giorno del terzo mese.
Su tale questione segnalo l'autorevole conferma di Benedetto XVI che il 5-04-2007 nella messa "in coena Domini" nella Basilica di San Giovanni in Laterano ha ricordato che c'è "un'apparente contraddizione" tra il Vangelo di Giovanni da un lato e gli altri tre dall'altro.
"Secondo Giovanni, Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali", il che significa che "morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale".
Per i tre Vangeli sinottici, invece, "l'Ultima Cena di Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserì la novità del dono del suo corpo e del suo sangue".
La scoperta degli scritti di Qumran ha condotto a una "possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità".
Quanto è raccontato da Giovanni è storicamente preciso ha osservato.
"Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell'ora dell'immolazione degli agnelli - Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima - l'ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo Tempio".
In luogo dell'agnello, Gesù "ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue". Gesù stesso era "l'Agnello atteso, quello vero, come aveva preannunciato Giovanni Battista all'inizio del ministero pubblico di Gesù", così come "è Egli stesso il vero Tempio, il Tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi possiamo incontrare Dio ed adorarlo".

ANCORA SU LAZZARO E BETANIA
Gli ultimi tempi di Gesù sono una continua spola tra Betania, il Monte degli Olivi e Gerusalemme.
Betania e il Monte degli Olivi sono il luoghi degli amici, di riposo e di pace, di sentimenti ed ideali condivisi e in quel ambito avviene l'Ascenzione in tutti i sensi, mentre Gerusalemme è il luogo dell'agone, dell'impegno pubblico, della fatica, dell'incomprensione, della persecuzione, delle sofferenze, ma anche della risurrezione.
Un poco più lontano c'era Betfage, "la casa del fico", forse dove maledì quel fico senza frutti.
Qui a Betania e sul Monte degli Ulivi, risiedono i suoi amici, non solo Lazzaro e le sorelle, forse anche il padre di questi, anche se ricchi, umili e "i poveri in spirito" che sono vicini alla Sua parola e lo accolgono mettendosi ai suoi piedi.
Vicino c'è la tenuta dell'orto del Getzemani di altri amici, forse dei genitori di Marco gli stessi che erano proprietari della casa ove c'era quella bella sala superiore, il suo Cenacolo sede poi della prima Chiesa. (Vedi in "San Giuseppe", "I santi biscugini alla conquista del Regno" e in "Racconti a sfondo Biblico", "La Via e il discepolo col lenzuolo")

Betania "Bet 'an'iah" , peraltro, potrebbe alludere al termine con il quale sia i primi Cristiani che la comunità di Qumran indicavano se stessi, in quanto, se le lettere di traslitterazione sono giuste, può significare "casa dei poveri-umili-miseri di Iahwèh ".
Questo villaggio, che non ha un riscontro nell'Antico Testamento, forse si era formato proprio nel I secolo a.C. in epoca posteriore alle ultime Sacre Scritture dell'Antico Testamento e accoglieva proprio qualche esponente Esseno che avevano appunto il nome di pii e umili.
Viene alla mente il versetto di Isaia (66,2) che recita: "Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie - oracolo del Signore -. Su chi volgerò lo sguardo? Sull'umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi teme la mia parola."
Questo versetto decriptato col mio metodo comporta il risultato seguente di una profezia sul ritorno finale al cielo.

ISAIA 66,2
"Si porta l'Unigenito alla fine con la sposa da Dio dal mondo.
Sono alla porta, sono in vista della luce.
Dal deserto sono usciti, si sono portati dalla prigione del serpente fuori.
Con gli apostoli dall'Unico i viventi il Signore li porta.
Da Dio questi escono, del Padre sono al cuore, a Dio i miseri ha recato.
Angeli retti escono, lo Spirito portano chiuso nei corpi con la conoscenza. Partoriti i figli sono stati."

A Betania Gesù, proprio in vista di questo grande evento finale, trova la forza per andare a Gerusalemme e subire la Croce.
Farà questo per tutti i suoi amici, tutti gli uomini della terra, buoni e cattivi.
Lazzaro dopo la morte e risurrezione di Gesù secondo la tradizione fu vescovo Cipro; d'altronde certamente conosceva Barnaba nato e aveva parenti a Cipro e aveva predicato in quella isola cugino di Marco e che vendette un terreno, che aveva a Gerusalemme probabilmente vicino a quello dei genitori di Marco quindi in zona Monte degli Ulivi.
Poi, a Cipro Lazzaro, secondo quella tradizione, mori martirizzato.
Nel 900 l'imperatore Leone VI, il Filosofo, fece trasportare le reliquie di Lazzaro da Kition di Cipro a Costantinopoli, così Lazzaro essendo morto due volte, ebbe due tombe, una vuota a Betania e una a Costantinopoli.
Tomba di Lazzaro S. Girolamo informa che la casa di Betania e la tomba vuota di Lazzaro furono meta di pellegrinaggi fin dai primi tempi del cristianesimo.
Più tardi, i pellegrini del medioevo hanno riferito che accanto a quella tomba vuota di Lazzaro era sorto ad opera di Carlo Magno un monastero.
Quella tomba vuota di Lazzaro, che ho visitato, è concreta testimonianza dell'amore di Cristo, e dell'attuarsi della promessa che non lascia nella morte i suoi amici.
Gesù è l'amico che fa risorgere.
Che cosa è l'uomo se non un guscio di esistenza che crede di avere in sé un bagliore dell'Essere assoluto e un desiderio, il desiderio di esistere, di essere amato e compreso.
Trovare nella propria vita un amico che ti ama come se stesso è veramente trovare un tesoro, se poi questo è lo stesso tuo creatore non manca nulla alla felicità, è garanzia di vita eterna con Lui qualunque cosa possa accadere.
Come Diogene con un lanternino andava in cerca di un uomo vero, così con il lumicino del nostro amore imperfetto e limitato siamo tutti in cerca di un amico del genere.
Certo è che Dio amore non è insensibile.
Come non accorrerà al nostro segnale.
Quel lumicino che noi portiamo sarà per Lui un faro, un segnale di via libera e Lui verrà in nostra ricerca.

Con nella mente questo ultimo pensiero, come avevo anticipato nel paragrafo iniziale di questo articolo, sono andato a cercare in quel capitolo di 1Samuele 18 e lì si trova appunto un faro David, l'Amato.
Lì tutti lo amano solo Saul lo rifiuta.
Guarda caso che Saul ha le lettere di inferno, lo Sheol.
Seguendo quel segnale si trova una pagina importante sul Messia.

1SAMUELE 18 - TESTO C.E.I.
1Samuele 18,1 - Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, la vita di Giònata s'era legata alla vita di Davide, e Giònata lo amò come se stesso.

1Samuele 18,2 - Saul in quel giorno lo prese con sé e non lo lasciò tornare a casa di suo padre.

1Samuele 18,3 - Giònata strinse con Davide un patto, perché lo amava come se stesso.

1Samuele 18,4 - Giònata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse i suoi abiti, la sua spada, il suo arco e la cintura.

1Samuele 18,5 - Davide riusciva in tutti gli incarichi che Saul gli affidava, così che Saul lo pose al comando dei guerrieri ed era gradito a tutto il popolo e anche ai ministri di Saul.

1Samuele 18,6 - Al loro rientrare, mentre Davide tornava dalla uccisione del Filisteo, uscirono le donne da tutte le città d'Israele a cantare e a danzare incontro al re Saul, accompagnandosi con i tamburelli, con grida di gioia e con sistri.

1Samuele 18,7 - Le donne cantavano danzando e dicevano: Ha ucciso Saul i suoi mille e Davide i suoi diecimila.

1Samuele 18,8 - Saul ne fu molto irritato e gli parvero cattive quelle parole. Diceva: Hanno dato a Davide diecimila, a me ne hanno dati mille. Non gli manca altro che il regno.

1Samuele 18,9 - Così da quel giorno in poi Saul guardava sospettoso Davide.

1Samuele 18,10 - Il giorno dopo, un cattivo spirito di Dio irruppe su Saul, il quale si mise a fare il profeta in casa. Davide suonava la cetra come ogni giorno e Saul teneva in mano la lancia.

1Samuele 18,11 - Saul impugnò la lancia, pensando: Inchioderò Davide al muro! Ma Davide gli sfuggì per due volte.

1Samuele 18,12 - Saul cominciò a sentire timore di fronte a Davide, perché il Signore era con lui, mentre si era ritirato da Saul.

1Samuele 18,13 - Saul lo allontanò da sé e lo fece comandante di migliaia e Davide andava e veniva al cospetto del popolo.

1Samuele 18,14 - Davide riusciva in tutte le sue imprese, poiché il Signore era con lui.

1Samuele 18,15 - Saul, vedendo che riusciva proprio sempre, aveva timore di lui.

1Samuele 18,16 - Ma tutto Israele e Giuda amavano Davide, perché egli andava e veniva alla loro testa.

1Samuele 18,17 - Ora Saul disse a Davide: Ecco Merab, mia figlia maggiore. La do in moglie a te. Tu dovrai essere il mio guerriero e combatterai le battaglie del Signore.

1Samuele 18,18 - Saul pensava: Non sia contro di lui la mia mano, ma contro di lui sia la mano dei Filistei. Davide rispose a Saul: Chi sono io, che cos'è la mia vita, e che cos'è la famiglia di mio padre in Israele, perché io possa diventare genero del re?

1Samuele 18,19 - E così, quando venne il tempo di dare Merab, figlia di Saul, a Davide, fu data invece in moglie ad Adrièl di Mecolà.

1Samuele 18,20 - Intanto Mical, l'altra figlia di Saul, s'invaghì di Davide; ne riferirono a Saul e la cosa gli sembrò giusta.

1Samuele 18,21 - Saul diceva: Gliela darò, ma sarà per lui una trappola e la mano dei Filistei cadrà su di lui. E Saul disse a Davide: Oggi hai una seconda occasione per diventare mio genero.

1Samuele 18,22 - Quindi Saul ordinò ai suoi ministri: Dite in segreto a Davide: Ecco, tu piaci al re e i suoi ministri ti amano. Su, dunque, diventa genero del re.

1Samuele 18,23 - I ministri di Saul sussurrarono all'orecchio di Davide queste parole e Davide rispose: Vi pare piccola cosa diventare genero del re? Io sono povero e di umile condizione.

1Samuele 18,24 - I ministri di Saul gli riferirono: Davide ha risposto in questo modo.

1Samuele 18,25 - Allora Saul disse: Riferite a Davide: Il re non vuole il prezzo nuziale, ma solo cento prepuzi di Filistei, perché sia fatta vendetta dei nemici del re. Saul tramava di far cadere Davide in mano ai Filistei.

1Samuele 18,26 - I ministri di lui riferirono a Davide queste parole e a Davide sembrò giusta tale condizione per diventare genero del re. Non erano ancora compiuti i giorni fissati,

1Samuele 18,27 - quando Davide si alzò, partì con i suoi uomini e abbatté tra i Filistei duecento uomini. Davide riportò tutti quanti i loro prepuzi al re per diventare genero del re. Saul gli diede in moglie la figlia Mical.

1Samuele 18,28 - Saul si accorse che il Signore era con Davide e che Mical, sua figlia, lo amava.

1Samuele 18,29 - Saul ebbe ancora più paura nei riguardi di Davide e fu nemico di Davide per tutti i suoi giorni.

1Samuele 18,30 - I capi dei Filistei facevano sortite, ma Davide, ogni volta che uscivano, riportava successi maggiori di tutti i ministri di Saul, e divenne molto famoso.

1SAMUELE 18 - DECRIPTAZIONE
Come ho accennato la decriptazione che presento di 1 Samuele 18 è stata ottenuta applicando al testo ebraico metodo, criteri, regole e significati grafici delle singole lettere proposti in "Parlano le lettere".

1Samuele 18,1 - E sarà al mondo a riesistere la rettitudine in tutti. Il Crocifisso la portò a nascere. La purezza Dio riaccese in un corpo. La portò con l'energia che soffiò da risorto il Signore. L'energia il Crocefisso agli apostoli dell'essere puro accese nei corpi; entrò dentro le anime l'amore. E fu per amore a portarli il Signore in dono. La rettitudine gli apostoli soffiano ai simili.

1Samuele 18,2 - E per obbedienza nelle assemblee per il mondo si portarono. La risurrezione dei corpi dentro un giorno nel mondo Lui porterà con potenza. Ad incontrarli il Crocifisso con gli angeli si porterà. La potenza della risurrezione porterà dentro da casa di suo Padre.

1Samuele 18,3 - E sarà la rettitudine nei corpi di tutti che il Signore da energia per finire l'angelo recherà. L'essere impuro sbarrato dentro i corpi sarà a finire. Dentro l'amore completo riporterà l'Unigenito. La fine porterà con la rettitudine all'angelo; il soffio della risurrezione recherà.

1Samuele 18,4 - E sarà il Crocifisso a soffiare la risurrezione dal cuore. Dal Signore in dono verrà dal seno ad esistere la potenza delle origine. Il fuoco al cattivo serpente sarà a recare e sarà al drago per la perversità che a nascere portò l'essere impuro nei viventi il "basta" a portare. E l'azione aiuterà dalle tombe i corpi da dentro a riportarsi. E l'Eterno l'arcobaleno recherà e per sempre la festa nei corpi riporterà.

1Samuele 18,5 - E sarà a spuntare con l'amore dentro a tutti la beatitudine. Saranno luminosi per il vigore che abiterà nei risorti nei corpi; (il vigore) sarà acceso dalla rettitudine. In forza della potenza recata sarà bruciata nei viventi la perversità dalla risurrezione. La desiderata potenza rialzerà gli uomini che saranno ad uscire vivi dalla guerra del mondo e saranno a star bene. Da dentro veduto sarà l'angelo che era in tutti uscire per l'azione dai viventi e correrà; dentro le rovine inviato sarà. Si vedrà da solo stare, nell'inferno.

1Samuele 18,6 - E ne sarà ad uscire il gridare, ma l'Unigenito dentro al fuoco lo porterà da solo e perirà arso. Completamente verrà rivoltato; a finire sarà portato. Finirà la sozzura dell'angelo nel mondo. Uscirà l'angelo bruciato. Nell'acqua bollente della rettitudine il serpente nemico starà. La rettitudine di Dio con la potenza a risorgere porterà i corpi ed entrerà nelle midolla. Il serpente che lo portò sul colle, abbattuto si vedrà finalmente nell'inferno. Entreranno nel Regno ad abitare tutti. Col Verbo saranno i viventi a casa a rallegrarsi. Dal mondo vi porterà dentro nel terzo (giorno dalla creazione dell'uomo) a stare i viventi.

1Samuele 18,7 - E gli sviati figli dal mondo rientreranno. Tra gli angeli li porrà. Dal mondo il Messia da fune tutti porterà. Alla fine dall'Unico vivranno tra i canti. V'entreranno retti per l'entrata risurrezione dei corpi. A casa, di Dio al volto li porterà. E per amore dentro le moltitudini a casa tutte saranno recate.

1Samuele 18,8 - Portati saranno dalle tombe con i corpi dal Potente nella luce che desideravano perché nella nube li porterà a stare. Il male che dentro agendo li opprimeva sarà stato portato fuori. Si sbarrò dentro i corpi. Entrò questi con la perversità a stare alle origini. L'essere ribelle con l'energia un drago portò a nascere. E nelle generazioni dentro ad abitare si portò. In tutti portò il serpente a stare l'energia. Il drago si portò ad entrare nelle migliaia che erano i viventi portando il peccare a nascere e l'originaria rettitudine uscì dai viventi. Il serpente la portò a spengere.

1Samuele 18,9 - E fu il mondo ad essere un inferno per il peccare dell'angelo (ribelle). Vennero ad esseri impuri simili ad essere portati i viventi del mondo. Con la perversità per l'Unico si portò il rifiuto al nel mondo.

1Samuele 18,10 - E fu al mondo a stare nei viventi nelle midolla dei corpi di tutti e completamente prosperò. Lo spirito Dio ad uscire fu dai viventi per il male entrato. Il maledetto accese i corpi e fu di un drago dentro padre. Completamente portò a spengere dentro la forza in tutti che portavano dell'amore. Ai viventi l'energia rubò. Fu l'essere impuro bruciature a portare ai viventi. Abitando, dai giorni portò ad uscire la grazia che c'era in tutti; dentro fu a sbarrare l'inferno.

1Samuele 18,11 - E fu nei cuori il serpente la distruzione che portò da rifiuto completo nel mondo alla grazia. Fu in tutti a portare ad esistere per l'Unico esseri ribelli; l'originaria rettitudine uscì da dentro. All'amore portò dentro un muro. E furono riempiti dentro dall'essere impuro. Simili col soffio l'angelo furono e (così) sospinse l'esistenza dei viventi.

1Samuele 18,12 - E fu il corpo delle donne a desiderare il serpente. Le matrici il potente soffio dell'angelo fu con l'essere impuro a fiaccare; fu nell'esistenza ad esistere una calamità che agiva sulle madri e portava in seno la vita ad accendere desiderando il serpente riempirle il corpo.

1Samuele 18,13 - E fu a riempire i corpi di perversità accendendo il desiderare perché ad agire nei viventi si portava. E fu a bruciare le vite con la perversità il serpente. Ma il principe di Dio, il Verbo/la Parola, a portare fu giù l'Unico. E fu dentro Dio il soffio ad inviare nel mondo in azione in una matrice.

1Samuele 18,14 - E fu al mondo a stare per amore del Potente la rettitudine. Per nascere in un corpo rettamente portò alla Madre il disegno che dal serpente si portava. Un sia uscì e nel mondo dalla Madre si portò.

1Samuele 18,15 - E fu dal corpo di una donna in un corpo dell'Unico il principe nel mondo a recarsi. L'Unigenito in un vivente accese la rettitudine. Fu dal serpente tra i viventi dalla nube a portarsi. Per toglierlo via dal corpo dei viventi in persona fu a portarsi.

1Samuele 18,16 - Per portare al maligno il fuoco nei corpi Dio in Giuda da primogenito uscì della casa venendo da (quella) di Davide. Così fu che Lui fu a portarsi giù. Desiderò dentro Dio in persona a stare nel mondo in un vivente.

1Samuele 18,17 - E fu da primogenito da Madre povera l'Unigenito a recare il Potente. Di Dio per amore entrò l'energia nel mondo; da una figlia fu ad entrare la gloria nel mondo. A vivere in un corpo dentro venne. Venne per finire con la rettitudine il serpente di una donna da primogenito. Così nell'esistenza di notte il figlio in vita il Potente recò. Uscì il pane per i viventi. Per la battaglia con la morte il Signore recò la risurrezione dei corpi. In un primogenito a vivere in un corpo Dio finalmente al mondo fu. Fu per aiutare; fu in una casa a portarsi. E per finirlo fu dentro a portarsi. Sarà per bloccare il soffio del serpente; risorti tutti saranno i viventi.

1Samuele 18,18 - E fu l'Unigenito per la ribellione a portarsi per sbarrarla con la maledizione. Per la distruzione portare al serpente in un vivente fu "Io sono". E in un vivente fu in vita a stare per i viventi risorgere col soffio dalle tombe alla fine. Il padre da cui fu nella casa in Israele un retto (San Giuseppe) era; da primogenito al mondo fu ad uscirgli. Da sposo per il Potente la Madre conduceva.

1Samuele 18,19 - E fu nel mondo a stare dentro al tempo. Un segno indicò che veniva a vivere nel corpo dentro una casa scelta/segnata con una luce che l'Unico portò a guizzare al nascere. Ed alla porta portava da fuori chi c'era per incontrarlo. Indicavano gli angeli in campo aperto che il Potente, l'Eterno, nel corpo stava. Dio entrava in una caverna. Finalmente fu a guizzare da Donna.

1Samuele 18,20 - E tutta dell'Unico entrò dentro un vivente a stare la rettitudine nel cuore. Finalmente accese un corpo. Venne l'Amato recato! Fu grande la luce che l'Unico portò per accompagnare lo stare del Principe nel mondo che aiuto dentro un corpo per le preghiere inviato fu a recare.

1Samuele 18,21 - E fu l'Unigenito a vivere nel corpo. Per la distruzione portare al serpente venne. Con l'energia inviato nel mondo dal serpente si portò e per finirlo nel mondo fu la potenza a recare. Al serpente una trappola recò alla fine nel mondo. Fu dentro a portare la forza per aiutare. Il soffio potente della risurrezione tutta fu in un vivente portato. Fu l'Unigenito a vivere in un corpo. Di bruciare desidera il serpente. Per il maledetto essere impuro insinuò un fuoco, scelto fu un uomo che alla fine strapperà via l'angelo da casa fuori un giorno.

1Samuele 18,22 - E fu giù a portarsi nell'inferno; venne in azione dentro per amore ad abitare in un corpo. E Dio da Davide nella casa per incantesimo guizzò. In un primogenito a vivere nel corpo entrò; l'energia entrò in modo puro giù ad abitare. Così uscì dal regno e tutti a servire fu a portarsi e per amore portò la rettitudine. E nel tempo entrò del mondo di sotto dall'angelo a casa tra i viventi in cammino.

1Samuele 18,23 - E sarà in aiuto la purità a riportare. Agendo da solo la riaccenderà l'Unigenito riportando la potenza dentro delle origini. Per colpire l'angelo fu con l'amore a venire. Ad insinuarsi nel corpo fu di un vivente del mondo per la maledizione portargli essendo stato il primo ribelle. Sbarrerà nel mondo con l'essere puro il serpente. Usciranno rovine all'angelo in forza della rettitudine che da un vivente uscirà dalla croce. Stretto nella croce dall'angelo, da dentro ai viventi guizzò la rettitudine, ma l'Unigenito ucciso fu. L'Unico fu a risorgerne il corpo. Simile ad un angelo si riversò potente fuori.

1Samuele 18,24 - E fu nel cammino per aiutarlo a recare dei servi. Fu il Risorto dal corpo la potenza a recare. La potenza delle origini rivivrà nei corpi per la rettitudine. Dalla Parola sarà nei viventi. Uscirà la maledizione con la parola dell'amore.

1Samuele 18,25 - E fu ad iniziare a vivere in un povero l'Unigenito per portarsi in cammino nel mondo. Indicò che l'Unigenito a vivere in un corpo avrebbe portato il Potente da Davide per annullare con un innocente giù il serpente dai viventi con la potenza della rettitudine. Dentro la Madre generò la rettitudine; fu dentro a viverLe l'Unigenito. Toglierà, portato in croce, il soffio del serpente con la risurrezione. Dalla croce fu con l'acqua a guizzare fuori l'essere puro della Madre. A casa del nemico fu a rientrare. Ai viventi in cammino recò (l'annuncio) della risurrezione del corpo dalla tomba. Risorto a casa potente entrò. La Parola era del Potente. Rivenne l'Amato a casa che era sbarrata. Il soffiò della potenza del Risorto completo fu alla Madre.

1Samuele 18,26 - E fu in cammino l'aiuto a recare. Per servire fu a portare del Potente l'amore. Dell'Unigenito crocifisso uscirono le parole. Fu la Madre, uscendo, Dio per il mondo a recare. La (Sua) rettitudine per il mondo s'insinuò nelle moltitudini. L'azione fu di consolazione. Si portò per liberare ai confini per strappare l'angelo da dentro i viventi. Del Potente la rettitudine recata porta il rifiuto nei viventi del serpente che all'origine si portò al mondo per stare a vivere stando nei viventi.

1Samuele 18,27 - E per obbedienza la Madre dell'Amato si portò a stare in cammino. Lui tra gli uomini fu a portarla. E fu della rettitudine dentro il soffio potente ad accenderle. Il Crocifisso fu con la Madre tra i viventi a venire per stare a vivere tra gli uomini per recare a stare dentro dell'Unico l'amore. Iniziò tra gli sviati un corpo/Chiesa. Il serpente finalmente è ad uscire; i viventi porta a stare ala pienezza recando la parola del Regno. Il serpente esce finalmente strappato via dall'energia da dentro i viventi per la potenza della rettitudine che portata è dal Crocifisso. Gli apostoli l'accompagnano. L'illuminazione dell'Unigenito recano. La potenza delle origini con la purezza è nella sposa Vergine dell'Unigenito, dal Risorto uscita.

1Samuele 18,28 - Ed un corpo/Chiesa da moglie all'Unigenito si porta che potenza le reca. Della risurrezione dei corpi porta il conoscere. Della rettitudine che è dal Signore si vede vestita e l'essere impuro nei viventi è in tutti dentro a finire. Dall'inferno iniziano ad uscire da dentro per la fine della perversità.

1Samuele 18,29 - A recare è dell'Unigenito intorno la parola che accende nel corpo/Chiesa del Potente il timore. Ai viventi in persona è l'amore a testimoniare. Porta il mondo ad essere un inferno per il nemico. Viene all'essere impuro fiacca la potenza; ad uscire è dai viventi in forza della Madre.

1Samuele 18,30 - Ed è giù per l'Unico recato il liberare in forza della parola potente della risurrezione del Crocifisso che è dalla Madre portata. E nel mondo, in forza della Madre che aiuta, spunta la purezza; così a nascere porta dei simili. Tutti servi sono del Risorto nel corpo/Chiesa. E sono del Diletto l'illuminazione ai viventi a recare con la forza.

a.contipuorger@gmail.com

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