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GIUSEPPE VICE FARAONE D'EGITTO
di Alessandro Conti Puorger

IHWH CONSIGLIERE DEI FARAONI
Il salterio o libro dei salmi, detto in ebraico dei "tehilim" , vale a dire delle lodi, inserito tra i libri poetici o sapienziali della Bibbia, è una raccolta di 150 composizioni in versi, d'epoca la più varia tra l'XI e il III secolo a.C..
Sono detti appunto salmi ed hanno contenuti che si propongono come inni, lodi, suppliche e preghiere, tutti un gran valore spirituale sì che costituiscono la solida base per la personale meditazione e per la liturgia, sia sinagogale, sia delle varie chiese cristiane.
In effetti. sono tutti cantabili se accompagnati con strumenti musicali i più svariati, cetre, sistri, timpani, cembali, arpe, ecc. ed oggi da organi e... chitarre.
In questo libro il salmo più antico è considerato il 104 che, di fatto, nel seguire la cosmologia del primo capitolo della Genesi, è riconosciuto dagli esegeti riprendere pensieri dell'egizio "Inno al Sole" del XIV secolo a.C., scritto dal famoso faraone Amenophis IV che cambiò il proprio nome in Achenaton, inno trovato nella tomba di Ay, reggente di Tutenkhamon figlio di Achenaton quando morto il padre il principino era in minore età.
Fu Achenaton IV considerato un faraone "eretico" condannato ad una specie di "damnatio memoriae" dalle dinastie successive per il suo monoteismo, che in effetti fu uno squarcio di sole inatteso in quel mondo pagano pieno d'idoli zoomorfi e impregnato di supestizione e magia.
Questo Salmo, versetti 27 e 28, così dice della provvidenza divina:

"Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni."

Quanto dicono questi versetti una volta fu assolto, ce lo dice il racconto biblico inserito nel libro della Genesi, per mano di Giuseppe, figlio di Giacobbe - Israele, primogenito della moglie amata di questi, Rachele, che per intervento divino salì dalle stalle alle stelle e fu nominato vice faraone della terra d'Egitto proprio per provvedere a raccogliere il cibo al tempo opportuno e saziare poi anche gli affamati popoli vicini.
Questo personaggio ed i primi suoi discendenti, se hanno un aggancio storico e non solo midrashico, sono vissuti qualche secolo prima di quel faraone monoteista e in un qualche modo debbono pur aver avuto una certa influenza sullo stesso tanto più che il faraone aveva detto a Giuseppe: "Se tu sai che vi sono tra di loro uomini capaci, costituiscili sopra i miei averi in qualità di sovrintendenti al bestiame" (Genesi 47,6) e "I figli d'Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno." (Esodo 1,7)
Poi "sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe" (Esodo 1,8) il che avvenne probabilmente con la dinastia preparatoria di quella dei Ramseti che apparvero nello scenario egiziano dopo la lotta dei sacerdoti di Ammon Ra contro Achenaton IV.
I più capaci degli Israeliti, intanto, divennero potenti, esperti di scrittura geroglifica, s'integrarono nella cultura e l'elaborarono secondo il loro principio monoteista onde rimasero a contatto con la casa reale d'Egitto almeno fino ad Achenaton.

Il racconto di Giuseppe è di notevole ampiezza, in quanto si sviluppa negli ultimi 14 capitoli del libro della Genesi - dal 37° al 50° - pari per numero di capitoli a quelli dedicati alla storia di Abramo (dal 12° al 25°).
Circa l'importanza della figura di Giuseppe, detto in arabo Yūsuf, è da segnalare che anche il Corano dedica un'intera Sura, precisamente la XII, di 111 versetti alla sua figura.
Dalla Sacra Scrittura, però, non s'evince presso quale faraone Giuseppe sia stato viceré; per contro nelle memorie egiziane, almeno sinora, non si sono trovati riferimenti al Giuseppe della Bibbia.
Di fatto, per ora c'è solo un parallelismo interessante tra la storia di Giuseppe e le tracce lasciate da un certo sapiente egizio di nome Imhotep vissuto quasi un millennio prima di Giuseppe.
In alcuni scavi in corso nel 1926, ai piedi della piramide di Saqqara, fatta erigere dal re Zoser, fu rinvenuto il basamento di una statua con incisi i nomi dello stesso Zoser e di Imhotep, "Cancelliere del Re del Basso Egitto, Viceré, Amministratore del Grande Palazzo, Signore Ereditario, Alto Sacerdote di Eliopoli, Imhotep, il Costruttore, lo Scultore, il Creatore dei vasi di pietra".
(Vedi: "Teoria del professore francese Joseph Davidovits"; hanno costruito i blocchi delle piramidi come fosse un calcestruzzo e "Dal calcestruzzo antico a quello moderno")
L'archeologo C. E. Wilbour, peraltro, nel 1889 presso l'isoletta del Nilo, chiamata Sehel, a nord di Assuan, aveva trovato una stele con geroglifici, sedicente copia di un documento scritto dal faraone Zoser (III dinastia 2770-2600 a.C.) nel 18° anno del suo regno.
L'iscrizione fu attribuita al II secolo a.C. ai sacerdoti del dio Khnum, scritta per giustificare la richiesta di privilegi legati al possesso della terra.
Il testo narra di una carestia che si verificò durante il suo regno e del modo in cui il Sovrano riuscì a porvi termine: "Il mio cuore era in grandissima pena, perché il Nilo non era venuto nel suo tempo durante sette anni. Il grano era scarso, i cereali si erano seccati, il cibo era in magra quantità, ognuno era afflitto dal suo raccolto. Si era arrivati a non poter più camminare: il fanciullo era in lacrime; il giovane era abbattuto; i vecchi, il loro cuore era triste; le loro gambe erano piegate mentre sedevano..."
In definitiva, narra che il re Zoser era triste per un sogno fatto: l'Egitto sarà colpito da sette anni di carestia e mandò a chiamare il consigliere, Imhotep.
C'è chi ha azzardato l'ipotesi che Giuseppe e Imhotep siano la stessa persona o meglio che quello di Giuseppe sia il racconto con nuovo nome di una storia antica.

Qual è la necessità d'essere della narrazione della storia di Giuseppe nella Bibbia?
Beh questa costituisce l'antefatto necessario al secondo libro della Torah, quello detto dell'Esodo, in ebraico chiamato "Shemot", cioè i nomi, in quanto inizia così: "Questi sono i nomi dei figli d'Israele entrati in Egitto... Giuseppe si trovava già in Egitto."
Questi fu l'esploratore involontario stabilito dal Signore della storia per preparare le condizioni all'entrata della famigli intera del patriarca Giacobbe nella terra d'Egitto.
I capostipiti delle 12 tribù con le loro mogli e quei tra i loro figli che erano già nati, entrarono in Egitto proprio dopo che il fratello Giuseppe a loro insaputa vi era già insediato, spintivi da una carestia.

"Tutte le persone che entrarono con Giacobbe in Egitto, uscite dai suoi fianchi, senza le mogli dei figli di Giacobbe, sono sessantasei. I figli che nacquero a Giuseppe in Egitto sono due persone. Tutte le persone della famiglia di Giacobbe, che entrarono in Egitto, sono settanta" (Genesi 46,26s); in definitiva 70 senza contare le donne: Giacobbe + 66 + Giuseppe + 2.
Il racconto delle vicende guidate dalla volontà divina che portarono uno schiavo ebreo, venduto dai fratelli a un mercante Ismaelita, a divenire consigliere del faraone e suo viceré si situa in un tempo antico, ma non determinato con precisione dal testo, forse poco dopo il "Regno Medio" (2100-1700 a.C.) dell'antico Egitto, nella XIV dinastia (1700-1550. a.C.) di quei faraoni attorno al 1660 a.C. se per l'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto si danno buone le seguenti indicazioni della Bibbia:
  • dopo Ramsete II che regnò a lungo, 66 anni, congruente con la storia di Mosè che si imbatté in un faraone longevo, onde per la paura d'essere condannato dovette stare in esilio almeno 40 anni;
  • Esodo (Esodo 1,11 cita la città di Ramses) attorno al 1230-1225 a.C. sotto il regno del faraone Merenptah succeduto a Ramses II;
  • i 430 anni della permanenza in Egitto dei figli d'Israele di cui dice il libro dell'Esodo 12,40-41.
Di fatto, quel racconto biblico di Giuseppe col faraone suggerisce il pensiero che, come in questa occasione nota per narrazione esplicita biblica, la sapienza di quel popolo, l'egizio, così evoluto con la sua scrittura e tutto il resto, da quel popolo stesso ritenuti doni dei propri dèi, fu invero ispirata dal Dio unico e vero, quello d'Israele e non dagli Dei della cosmogonia egizia che, si vuole affermare, sono solo idoli falsi.
A questa conclusione unificante, peraltro, era già pervenuto anche il faraone Achenaton IV che scrisse l'Inno al Sole, considerando Aton segno del Dio Unico: "O unico, incomparabile dio onnipotente, tu hai creato la terra in solitudine come desidera il tuo cuore, gli uomini tu hai creato, e le bestie grandi e piccole, tutto ciò che è sulla terra, e tutto ciò che cammina... Tu dai respiro a tutta la tua creazione, aprendo la bocca del neonato, e dandogli nutrimento... tu metti ogni uomo al posto giusto con cibo e possedimenti..."
Non è da dimenticare il dato storico che l'Egitto, assieme all'impero Babilonese, rispettivamente ad ovest ad est dei territori "biblici", erano le più evolute civiltà conosciute a quei tempi.
Insito poi nel pensiero biblico è la logica pedagogia dell'autorità per la quale in sostanza ogni potere umano, legittimo ed ordinato, ha origine divina, onde obbedire a chi governa e dirige equivale a rispettare la volontà di Dio.
Perciò l'idea che viene istigata è che l'autorità dei faraoni fu voluta, sorretta e consigliata nei momenti cruciali dal vero Dio che come padrone della storia voleva l'emancipazione dell'uomo.
L'idea che l'autorità venisse dalla divinità, peraltro, era connaturata anche negli egizi tanto che il loro faraone era considerato incarnazione divina e questi doveva seguire le regole della dea Maat, appunto dea dell'ordine cosmico, quindi della giustizia.


Vari faraoni tra le varie definizioni o nomi avevano anche quello di "Meri Maat", MRI M'aT che significa "amato da Maat" e MRIM, peraltro, ricorda il nome biblico di Miriam la sorella di Mosè e della madre di Gesù.
A chi governava, infatti, era chiesta in primis la promozione della giustizia.
Il faraone doveva così ricercare sempre il giusto e l'equo per tutti, perseguendo il bene dei propri sudditi, il procacciamento dei diritti dei più deboli e la soddisfazione delle necessità di tutti, ivi compreso d'evitare con oculatezza il riflessi di possibili carestie sempre alle porte.

Su tale questione basta poi pensare che in ambito ebraico i re erano consacrati con l'olio santo dell'unzione e avevano autorità di gestire il Regno per delega da parte di Dio stesso.
Gesù non negherà di pagare il tributo a Cesare con "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio." (Matteo 22,21)
Questo pensiero di sottomissione all'autorità permessa da Dio autore in definitiva della storia sarà la base del Sacro Romano Impero e di molti regni dell'occidente che hanno trovato il loro appoggio nel pensiero autorevole degli apostoli:
  • Pietro, "State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re." (1Pietro 2,13-17)
  • Paolo, "Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio... essa è al servizio di Dio per il tuo bene...è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza... quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l'imposta, l'imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto." (Romani 13,1-7)
Prima d'entrare nel vivo dell'articolo desidero precisare che il pensiero che m'ha guidato a Giuseppe è che questi è un sognatore, caratteristica messa in particolare evidenza nella Bibbia nei suoi riguardi.
È questo precipuo talento, datogli da Dio d'interpretare i sogni, che porta a sviluppi fondamentali nella storia d'Israele.
Quella figura, poi, per i cristiani prepara quella di un altro personaggio importante della storia della salvezza, l'omonimo Giuseppe, il tecton, il nutrizio che con l'opera delle sue mani nutrì la propria famiglia anche in Egitto, il padre putativo, il vergine padre di Gesù, lo sposo di Maria Vergine, che vide nei sogni, credette e ricevette insegnamenti da questi e riprove oggettive della loro veridicità, onde divenne il caposaldo della Santa Famiglia di Nazaret capace di guidarla facendo per Lei le veci di Dio Padre.
Il sognare fa presente una realtà in un piano diverso di quella in cui siamo abituati a vivere, illumina e fa vivere un'altra vita ed è un ambito da cui realmente l'uomo attinge vita e conoscenza in quanto rigenera la mente e nel sogno s'elaborano alcune volte i fatti dando loro una sintetica deduzione allegorica.
Per uno che cerca nella Bibbia eventuali pagine nascoste, quindi, il sogno ed il sognare sono avvisi di cercare più a fondo, perché vi potrebbero essere in quelle pagina anche significati nascosti, da interpretare appunto come se fossero il filo motore di un sogno.
Ciò porta al succo di quanto intuivo in "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" in particolare poi al paragrafo di questo "Chi legge doppio è brillo".
Nell'idea di sogno "chalom" o , con le lettere, c'è che:
  • sono un qualcosa che va compreso, "nascondono un perché (un "lemmah" )";
  • sono un modo con cui ci parla Dio, "di nascosto il Potente si porta al vivente ".
  • Giuseppe è il "sognatore" (Vedi: Genesi 37,19), è il "chalomot" che:

    "del sogno porta i segni/indicazione ";
    "del nascosto perché (), porta l'indicazione ".
Ciò prepara ad attendersi una qualche pagina nascosta sul Messia, ma ne parleremo più avanti in altro paragrafo dell'articolo.

GIUSEPPE E I SUOI FRATELLI
In Anatolia Giacobbe, figlio d'Isacco e nipote di Abramo, servì per 7 anni Labano, il fratello della propria madre Rebecca, per ottenerne in moglie la seconda figlia, Rachele, ma fu ingannato e, come s'accorse il mattino dopo la festa di matrimonio, così racconta il libro della Genesi, si accorse che di fatto, essendo velata, aveva prese in moglie Lia la prima delle figlie dello zio Labano che voleva maritare per prima.
Fu così che Giacobbe per avere in moglie Rachele dovette servire Labano per altri 7 anni.
Lia aveva una schiava, Zilpa. (Genesi 29,23-25)
Rachele aveva una schiava, Bila. (Genesi 29,26-30)
S'immagini la gelosia tra le due sorelle.
All'inizio però Rachele sembrò sterile.
Lia, invece, ebbe il primo figlio, Ruben, poi Simeone, indi Levi, infine Giuda.
Rachele allora offrì al marito la serva Bila, perché partorisse per conto di lei e nacquero Dan e Neftali.
Allora Lia che aveva cessato di far figli dette a Giacobbe la schiava Zilpa che partorì Gad e poi Aser.
Poi Lia riprese ad avere figli e partorì Isaccar e Zabulon e una figlia Dina.
Finalmente Dio si ricordò di Rachele e nacque Giuseppe. (Genesi 30,1-24)
Vari anni dopo Rachele morì di parto per il secondo figlio Beniamino.

Giuseppe, quindi, fu il primogenito di Giacobbe avuto dalla moglie Rachele amata in gioventù e v'era una palese preferenza per questi da parte del padre.
La preferenza fu plateale quando Giacobbe gli regalò una pregiata tunica, una "kotonoet" a più colori, variegata o anche con lunghe maniche, detta "passim" , da "abbondanza".
Questa è la seconda volta nella Genesi si trova il termine "kotonoet" ; la prima volta fu usato al versetto 3,21 "Il Signore Dio fece all'uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì."
L'umanità, dopo il peccato, fu rivestita da Dio con veste di pelle "e'or" , segno che aveva perduto un primitivo vestito, la primitiva dignità, una veste di luce "'aor" . (Vedi: "Il vestito d'Adamo")
Perciò la veste di Giuseppe la immagino dei colori dell'arcobaleno.
Giuseppe, comunque, aveva avuto una dignità particolare dal padre, una veste di distinzione e ciò contribuì ad accrescere l'invidia che portò ad essere mal visto dai fratelli.
Il nome Giuseppe in ebraico Yohsèf è forma abbreviata di Yohsifyàh cioè Yohsif-Yàh, che significa "aggiunto da Yah-Yahvè".
Lui, Giuseppe il sognatore, si rese antipatico ai fratelli anche perché riferiva sogni che mostravano una profetica supremazia sui fratelli stessi - i covoni raccolti dai fratelli che gli s'inchinavano - il sole la luna e undici stelle che si prostravano a lui - onde l'invidia nei suoi confronti era divenuta palpabile.
I sogni di Giuseppe erano, infatti, una profezia di Dio su ciò che sarebbe avvenuto, come ricorda il Salmo 105,17-22:

"Davanti a loro mandò un uomo, Giuseppe, venduto come schiavo.
Gli strinsero i piedi con ceppi, il ferro gli serrò la gola,
finché si avverò la sua predizione e la parola del Signore gli rese giustizia.
Il re mandò a scioglierlo, il capo dei popoli lo fece liberare;
lo pose signore della sua casa, capo di tutti i suoi averi,
per istruire i capi secondo il suo giudizio e insegnare la saggezza agli anziani."

I fratelli pascolavano le greggi del padre presso Sichem e, da Ebron dove abitava, il padre mandò Giuseppe a trovare i fratelli e li incontrò a Dotan.
Lo videro da lontano e complottarono di farlo morire.
Ruben s'oppose a spargere il sangue del fratello.
Propose di metterlo in una cisterna vuota che era nei pressi (intendeva venire a liberarlo in un secondo tempo); d'altronde Ruben oltre alla pietà personale, essendo il fratello più grande, sentiva d'essere il più responsabile degli altri di Giuseppe nei riguardi del padre: "Poi sedettero per prendere cibo. Quando ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Galaad, con i cammelli carichi di resina, di balsamo e di laudano, che andavano a portare in Egitto." (Genesi 37,25)
Strana questa descrizione di cosa trasportava la carovana; perché farla?
Di solito trasportavano quella gente trasportava nafta e catrame (Vedi: Bereshit Rabbà 84,17), ma come vedremo, Dio era con Giuseppe, quindi i profumi delle spezie lo preannunciano!
Presero Giuseppe gli tolsero la bella tunica e lo gettarono nella cisterna, quindi, Giuda propose di venderlo a mercanti madianiti di passaggio e così avvenne.
I fratelli lo vendettero per venti sicli d'argento.
Poi presero la bella tunica, la macchiarono col sangue di un capro, la portarono al padre che concluse che Giuseppe era stato sbranato da una bestia feroce e restò inconsolabile nel proprio dolore.
Quella tunica ci ricorda la tunica di Cristo, anch'essa particolare e macchiata di sangue della flagellazione: "I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca." (Giovanni 19,23s)
Quei mercanti, intanto, arrivati in Egitto avevano venduto Giuseppe a Potifar, "eunuco del faraone e comandante delle guardie" dice la traduzione C.E.I. (Genesi 37,36)
I termini esatti usati in ebraico in effetti sono "seris paro' 'at sher hattabbachim" quindi va bene per eunuco (ironicamente triste è per le palle ), mentre l'altra qualifica di sarebbe capo dei macellai o dei cuochi, ma poi si vedrà che va bene anche "capo delle guardie".

IL SIGNORE ERA CON GIUSEPPE
Nel libro della Genesi la narrazione della storia di Giuseppe s'interrompe con la parentesi del capitolo 38 del racconto dell'episodio di Giuda e Tamar. (Vedi: "Tamar si traveste per essere antenata di Giuseppe" "Tamar si traveste per essere antenata di Giuseppe")
Col capitolo 39 il testo riprende la narrazione degli eventi che riguardano Giuseppe si ricollega al capitolo 37 ricordando che Giuseppe era con Potifar, ma premette "Il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell'Egiziano, suo padrone." (Genesi 39,2)
Potifar "si accorse che il Signore era con lui e che il Signore faceva riuscire per mano sua quanto egli intraprendeva" (Genesi 39,3)
"Si accorse", evidentemente con gradualità, ma anche rapidamente, che Giuseppe aveva doti particolari e così lo mise a capo dei suoi beni e della sua casa dandogli pieni poteri... gli portava fortuna.
Giuseppe, peraltro, era anche "bello di forma e avvenente d'aspetto" (Genesi 39,6) cioè aveva un bel viso ed era bello a vedersi e così destò la concupiscenza della moglie del padrone.
Giuseppe resistette alla tentazione continua delle profferte di questa finché un giorno, che non c'era altri in casa, lei fu molto esplicita e lo prese per il vestito, ma lui fuggì da lei lasciandole la veste tra le mani.
Lei prese l'occasione di prendere questo fatto come prova e col vestito di lui in mano accusò Giuseppe d'aver tentato d'usarle violenza.
Il padrone fu costretto a prenderlo e ad accompagnarlo alla prigione.
Alcuni commentatori sostengono che comunque in Potifar rimase la grande stima per Giuseppe, infatti, così ritiene un midrash, non credeva alle accuse della moglie, ma se non l'avesse punito la gente avrebbe potuto a ragione sostenere che la moglie gli era costantemente infedele e che lui era consenziente e forse non era nemmeno il padre dei suoi figli. (Midrash Yefé Toar)
Potifar, quale consigliere del faraone, peraltro, certamente avrà parlato al capo del sovrintendente delle prigioni e ancora una volta il testo osserva: "Il Signore fu con Giuseppe, gli accordò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione. Così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati che erano nella prigione e quanto c'era da fare là dentro lo faceva lui. Il comandante della prigione non si prendeva più cura di nulla di quanto era affidato a Giuseppe, perché il Signore era con lui e il Signore dava successo a tutto quanto egli faceva." (Genesi 39,21-23)
Inizia così il capitolo 40 ove Giuseppe ha occasione di manifestare la propria dote di interpretare sogni.
Si evince, peraltro, che la prigione, in effetti, era proprio nella casa di Potifar che era il capo degli eunuchi, parola questa ultima che ha un'accezione più ampia del semplice eunuco, ma piuttosto quella di capo degli addetti alla persona e alla gestione della casa del faraone stesso.
Il capo dei coppieri e il capo dei panettieri furono fatti mettere in carcere dal faraone ed "Il comandante delle guardie assegnò loro Giuseppe, perché li accudisse." (Genesi 40,4)
Un mattino "Giuseppe venne da loro e li vide abbattuti. Allora interrogò gli eunuchi del faraone che erano con lui in carcere nella casa del suo padrone, e disse: Perché oggi avete la faccia così triste?" (Genesi 40,6s) da cui s'evince che Potifar era il capo di tutte le guardie del faraone e che, in definitiva, Giuseppe era rimasto in quella casa, ove c'era anche la prigione, con una certa libertà, ma segregato dal settore della famiglia di Potifar.
Entrambi, il capo dei coppieri e il capo dei panettieri, avevano fatto ciascuno un sogno diverso che però non riuscivano ad interpretare.
Giuseppe che li accudiva replicò loro: "Non è forse Dio che ha in suo potere le interpretazioni? Raccontatemi dunque." (Genesi 40,8)
Il che dimostra che Giuseppe era ben coscio del dono divino.
Giuseppe li interpretò e andò come aveva predetto; Dio era con Lui!
Dopo tre giorni il coppiere fu reintegrato, mentre il panettiere fu impiccato.
Aveva detto Giuseppe al coppiere di ricordarsi di lui quando reintegrato presso il faraone e perorasse la sua causa tanto più che non avrebbe dato una falsa testimonianza, perché veramente era un ebreo rapito, ma non colpevole d'alcuna colpa e disse queste precise parole, "...sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo." (Genesi 40,15)
Per il fatto che Giuseppe ebbe il coraggio di dichiararsi ebreo i saggi d'Israele lo lodano ed attribuiscono al merito di questa dichiarazione il fatto che poi fu sepolto in terra d'Israele, come precisa il libro di Giosuè "Gli Israeliti seppellirono le ossa di Giuseppe, che avevano portato dall'Egitto (Esodo 13,19), a Sichem, in una parte della campagna che Giacobbe aveva acquistato dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi d'argento e che i figli di Giuseppe avevano ricevuto in eredità." (Giosuè 24,32)
Mettono invece in relazione con la dichiarazione d'essere un egiziano (Esodo 2,19) da parte di Mosè alle figlie di Ietro col fatto che questi, invece, fu sepolto fuori dalla Terra Santa (Devarim Rabbà 2,5).
Solo più tardi il coppiere si ricorderà di Giuseppe.

I SOGNI DEL FARAONE
Ecco che si è giunti al capitolo 41 del libro dell'Esodo ove sono riferiti i sogni del faraone che costituirono l'occasione per l'affermazione di Giuseppe.

"Due anni dopo, il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo." (Genesi 41,1)
Passarono così due anni dal rilascio del capo coppiere.
"Due anni dopo..." "vaiehi miqqes shenataim iamim" in effetti la traduzione più esatta sarebbe "al termine di due anni", cioè all'inizio del terzo anno.
Dicono i commentatori ebrei che Giuseppe aveva trascorso in Egitto già 12 anni, aveva così 30 anni, era l'epoca della morte di Isacco, e Giacobbe che allora aveva 120 anni d'età, venne poi in Egitto dopo altri 10 anni e vi stette per 17 anni e vi morì alla bella età di 147 anni (Genesi 47,28), mentre Giuseppe visse 110 anni (Genesi 50,26) quindi sarebbe stato viceré d'Egitto per 80 anni.
Nessun faraone regnò in Egitto per così gran tempo; siamo in un epoca (1660-1580 a.C.) che copre più dinastie e fa entrare nel periodo del dominio degli Hyksos indi, probabilmente, Giuseppe continuò ad essere consigliere di questi.
Nel Talmud in Rosh Hashana è detto che Giuseppe fu liberato appunto al Rosh Hashana, il capodanno del 2230 del calendario ebraico che corrispondeva nel 1532 a.C., ma così non si rispetterebbero i famosi 430 anni di Israele in Egitto.
Il capitolo s'apre col faraone che sognò.
Questo capitolo, quindi, è all'insegna della parola sogno, parola qui ripetuta tante volte.
Sognò "di trovarsi presso il Nilo" "veinneh o'med a'l haie'or" cioè "ed ecco (stava) in piedi sopra il Nilo".
Il Nilo era per gli egizi il dio dispensatore d'inondazioni che da millenni al verificarsi delle sue piene ricche di limo nero assicurava benefici maggiori o minori a seconda delle portate in gioco arrecando abbondanza di prodotti agricoli o carestie.
L'Egitto infatti era definito terra nera o Kemet in quanto la spina dorsale era il territorio su cui il Nilo depositava il limo rilasciato dalla piena del fiume, e questo guidato il più lontano possibile con opere artificiali - canali, argini e aperture di dossi naturali - conferiva fertilità alle terre che divenivano di colore bruno per i composti del potassio e ferro di cui il limo era carico.
Il faraone, ritenuto uomo-dio, poteva così dimostrare la propria potenza sovrintendendo anche su tale dio Nilo.
Si pensi che per prepararsi alle piene e aver tempo per far aprire i canali per consentire alle piene stesse d'inondare la maggiore quantità possibile di campi ai lati del Nilo aveva preparato avanposti sulle alture ad oriente nella penisola del Sinai per avvisare della levata eliaca della stella Sirio perché subito dopo quella , era esperienza millenaria, arrivavano le piene del Nilo.
La stella Sirio (Sotis per i greci) , emanazione di Ammon-Ra, era una particolare manifestazione di Horus, che ogni anno, dopo essere rimasta invisibile, quando avveniva la levata eliaca all'aurora nella costellazione del "cane" si credeva che provocasse, appunto, l'inondazione del Nilo in Egitto.
Il testo della Bibbia del racconto del sogno del faraone al capitolo 41 con quella preposizione al versetto 1 ci fa trapelare il volere del faraone di star sopra a quel dio, ma era impotente come ci rivelerà il sogno.
Solo il Dio di Giuseppe può trarre bene da ogni evento e glielo rivelerà tramite Giuseppe stesso.

1° sogno:
"Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse, e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, salirono dal Nilo altre sette vacche, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò." (Genesi 41,2-4)
La parola ebraica per vacche è "parot" ed ha come base prh , il radicale di "produrre, far frutto", onde se si spezza la parola viene l'idea "del far frutto () porta l'indicazione ".
Le vacche, simbolo dell'aratura dei campi, per sette anni grasse e per sette anni magre, così suggeriscono l'essere state bene o mal nutrite, quindi, se c'è stata carestia o meno.
Il fatto che poi le magre mangino le grasse apre l'idea che l'insufficienza negli anni di carestia farà dimenticare l'abbondanza e suggerisce che era da supplire con i prodotti degli anni abbondanti.

2° sogno:
"Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco, sette spighe spuntavano da un unico stelo, grosse e belle. Ma, dopo quelle, ecco spuntare altre sette spighe vuote e arse dal vento d'oriente. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe grosse e piene. Il faraone si svegliò: era stato un sogno." (Genesi 41,5-7)
La parola ebraica per spighe è "shibbaliim" , porta all'interno l'idea di "mancamento" , onde se si spezza la parola così + + viene l'idea che "per il calore mancamento per i viventi ", idee che emerge dal racconto del sogno.
Quindi saranno anni di gran calore e poche piogge quindi piene scarse ed abbassamento delle falde idriche.
Questo secondo sogno, quindi, aggiunge l'attenzione proprio con le spighe "shibbaliim" al grano e alla siccità.
Col dire "sognò una seconda volta" è da intendere che rifece il sogno anche se con termini leggermente diversi, insomma non era un altro sogno, ma la ripetizione del primo, una conferma.

Di ciò si ha, infatti, una conferma nel versetto seguente che parla di sogno al singolare. "Alla mattina il suo spirito ne era turbato, perciò convocò tutti gli indovini e tutti i saggi dell'Egitto. Il faraone raccontò loro il sogno, ma nessuno sapeva interpretarlo al faraone." (Genesi 41,8)
Vennero convocati gli uomini più sapienti del regno indovini, ma evidentemente le spiegazioni che potettero dare non furono ritenute plausibili dal faraone.
Erano questi i suoi maghi, i "charettummi" che "scalpelli "choeroeti" viventi sono " che fa pensare a scribi che sanno leggere nello spirito degli uomini e i suoi saggi, i "chhamoei" , ma furono trovati insufficienti; cioè la sapienza degli egizi non bastava.

"Allora il capo dei coppieri parlò al faraone: Io devo ricordare oggi le mie colpe. Il faraone si era adirato contro i suoi servi e li aveva messi in carcere nella casa del capo delle guardie, sia me sia il capo dei panettieri. Noi facemmo un sogno nella stessa notte, io e lui; ma avemmo ciascuno un sogno con un proprio significato. C'era là con noi un giovane ebreo, schiavo del capo delle guardie; noi gli raccontammo i nostri sogni ed egli ce li interpretò, dando a ciascuno l'interpretazione del suo sogno. E come egli ci aveva interpretato, così avvenne: io fui reintegrato nella mia carica e l'altro fu impiccato." (Genesi 41,9-13)
Ecco che finalmente il capo dei coppieri si ricordò di Giuseppe, vinse la ritrosia di ricordare che era stato un tempo punito e imprigionato e raccontò di quanto gli accadde quando sognò in prigione e della preghiera che gli aveva fatto l'ebreo che evidentemente vedeva anche il futuro.
Lo descrive: "un giovane ebreo, schiavo".
Un giovane, quindi non sapiente per gli egizi, perché non ancora iniziato alla sapienza, per di più ebreo, perciò non partecipe dei doni del dio Toth e della dea Maat e infine schiavo, senza cioè nessun diritto civile, era stato in grado di dedurre dai sogni del coppiere e del panettiere, verità che s'erano poi compiute.
Il capo dei coppieri in ebraico è lo "shar hammasheqim" .
Il capo dei panettieri in ebraico è lo "shar ha'opim" .
Queste parole inducono a pensare che per il primo sarà salvato per il radicale di salvare che ha nel titolo mentre il secondo subirà l'ira .
Il faraone fu incuriosito.
Evidentemente non sapeva a che santo votarsi e accettò di interpellare anche quel che era ritenuto il peggio dei peggio, il giovane schiavo ebreo.

"...il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo; egli si rase, si cambiò gli abiti e si presentò al faraone." (Genesi 41,14)
"Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo" "fu il corpo che era giù , fuori portato vivo per gli inviati/l'energia entrati/a nella fossa ", come una risurrezione, all'improvviso uscì dalla tomba.
Usci da quella tomba all'inizio del terzo anno come abbiamo considerato al commento del versetto Genesi 41,1.
Tutto in gran fretta come accadrà alla venuta del Messia.
Fu messo nella condizione di presentarsi al faraone, lo rasarono e gli fecero cambiare gli abiti.
Non c'era bisogno di farlo lavare, Giuseppe era già mondo perché curava la sua persona.

"Il faraone disse a Giuseppe: Ho fatto un sogno e nessuno sa interpretarlo; ora io ho sentito dire di te che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo subito. Giuseppe rispose al faraone: Non io, ma Dio darà la risposta per la salute del faraone!" (Genesi 41,15s)
Ammette il faraone che nessuno ha saputo interpretare il sogno.
Giuseppe con semplicità ammette che ciò che riesce a fare non dipende da se stesso, ma viene da Dio "'Elohim" e il faraone non ha nulla da obbiettare perché per lui gli "'Elohim" sono gli dèi.
Il Faraone ritenuto figlio di un dio considerato onnipotente ha tanto bisogno di Giuseppe, ma questi risponde "bilad'ai", cioè "non io", non è mia la conoscenza perché, come asserisce subito dopo, c'è Dio sopra me e te ed è su di Lui che ci si deve appoggiare.
Diceva San Francesco a Santa Chiara: "Non appoggiarti all'uomo: deve morire, Non appoggiarti all'abero: deve seccare. Non appoggiarti al muro: deve crollare. Appoggiati a Dio, a Dio soltanto. Lui rimane sempre."
La conclusione poi che se ne può trarre, è che quello di Giuseppe è il vero Dio e quello del faraone no lo è.

"Allora il faraone raccontò a Giuseppe: Nel mio sogno io mi trovavo sulla riva del Nilo. Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche grasse e belle di forma e si misero a pascolare tra i giunchi. E, dopo quelle, ecco salire altre sette vacche deboli, molto brutte di forma e magre; non ne vidi mai di così brutte in tutta la terra d'Egitto. Le vacche magre e brutte divorarono le prime sette vacche, quelle grasse. Queste entrarono nel loro ventre, ma non ci si accorgeva che vi fossero entrate, perché il loro aspetto era brutto come prima. E mi svegliai. Poi vidi nel sogno spuntare da un unico stelo sette spighe, piene e belle. Ma ecco, dopo quelle, spuntavano sette spighe secche, vuote e arse dal vento d'oriente. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe belle. Ho riferito il sogno agli indovini, ma nessuno sa darmene la spiegazione." (Genesi 41,17-24)
Accade così che il faraone, il ritenuto dio incarnato, deve raccontare per l'ennesima volta il sogno, e questa volta ad un ebreo, giovane e schiavo.
Questo è quanto mi significa il fatto che il testo fa ripetere interamente il racconto da parte del faraone, quando, se non si voleva sottolineare ciò sarebbe bastato dire... il faraone raccontò il sogno.
Nel nuovo racconto appare in più il particolare che le vacche magre erano le più magre di quelle che il faraone aveva mai visto e quando queste ingoiano le grasse restano comunque magre.
Su tale racconto sono nati più midrash fino al punto di pensare che il faraone volesse mettere alla prova Giuseppe con racconti alterati.
In Midrash Tankhumà al capitolo 3 Mikketz dice poi che il faraone diede sì a Giuseppe una versione alterata, ma Giuseppe gliela rettificava... come se avesse origliato nei suoi sogni.

"Allora Giuseppe disse al faraone: Il sogno del faraone è uno solo: Dio ha indicato al faraone quello che sta per fare. Le sette vacche belle rappresentano sette anni e le sette spighe belle rappresentano sette anni: si tratta di un unico sogno. Le sette vacche magre e brutte, che salgono dopo quelle, rappresentano sette anni e le sette spighe vuote, arse dal vento d'oriente, rappresentano sette anni: verranno sette anni di carestia. È appunto quel che ho detto al faraone: Dio ha manifestato al faraone quanto sta per fare. Ecco, stanno per venire sette anni in cui ci sarà grande abbondanza in tutta la terra d'Egitto. A questi succederanno sette anni di carestia; si dimenticherà tutta quela abbondanza nella terra d'Egitto e la carestia consumerà la terra. Non vi sarà più alcuna traccia dell'abbondanza che vi era stata nella terra, a causa della carestia successiva, perché sarà molto dura. Quanto al fatto che il sogno del faraone si è ripetuto due volte, significa che la cosa è decisa da Dio e che Dio si affretta a eseguirla. Il faraone pensi a trovare un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo della terra d'Egitto. Il faraone inoltre proceda a istituire commissari sul territorio, per prelevare un quinto sui prodotti della terra d'Egitto durante i sette anni di abbondanza. Essi raccoglieranno tutti i viveri di queste annate buone che stanno per venire, ammasseranno il grano sotto l'autorità del faraone e lo terranno in deposito nelle città. Questi viveri serviranno di riserva al paese per i sette anni di carestia che verranno nella terra d'Egitto; così il paese non sarà distrutto dalla carestia." (Genesi 41,25-36)
Giuseppe non solo interpretò il sogno in modo credibili, ma diede anche una soluzione logica che era in grado di ottimizzare la situazione ed indicò il come suggerendo scelte oculate capaci di rendere superabile la situazione negli anni di carestia.
Insomma non si limitò a fare l'indovino di turno, ma ebbe l'ardire di dare un consiglio al faraone.
La soluzione in definitiva era di mediare tra gli anni buoni e cattivi.
Era da incamerare in appositi depositi, da costruire. le punte di produzione per colmare con distribuzioni oculate i minimi negli anni di deficit e per tutto ciò suggerì al faraone di scegliersi un uomo intelligente "nabon" e saggio "chakam" per coordinare la lunga e complessa operazione sempre pero sotto l'autorità del faraone stesso.
Occorreva un uomo che avesse intelligenza "binah" e sapienza "cokmah" che con l'autorità della corona "keter" governasse la questione; queste - "keter", "binah" e "chokmah" - sono le prime tre "sefirot" che portano al regno di Dio in terra.
Il fatto era che il faraone ormai aveva dovuto costatare che gli uomini di cui disponeva, i massimi saggi del paese d'Egitto, erano stati eclissati da questo giovane schiavo ebreo che parlava secondo lui in nome degli dèi, gli "'Elohim", come li chiamava Giuseppe.

"La proposta piacque al faraone e a tutti i suoi ministri. Il faraone disse ai ministri: Potremo trovare un uomo come questo, in cui sia lo spirito di Dio?" (Genesi 41,37s)
Il faraone accoglie questa parola di Giuseppe, e riconosce che lo spirito divino cioè degli 'Elohim era in quel giovane.

GIUSEPPE IL PIÙ SAPIENTE E SAGGIO DI TUTTO L'EGITTO
Si è ad un punto di svolta.
Il faraone riconosce che l'intelligenza e saggezza di uno schiavo è superiore alla sua e a quella di tutti i più dotati del suo regno.

"E il faraone disse a Giuseppe: Dal momento che Dio ti ha manifestato tutto questo, non c'è nessuno intelligente e saggio come te. Tu stesso sarai il mio governatore e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più grande di te. Il faraone disse a Giuseppe: Ecco, io ti metto a capo di tutta la terra d'Egitto. Il faraone si tolse di mano l'anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile d'oro." (Genesi 41,39-42)
Qui il faraone ha necessità di rivolgersi al Dio di quel giovane servo ebreo.
Il re ovviamente ritiene che quello che Giuseppe aveva chiamato 'Elohim, parola che ha recepito e ripete, sia un complesso di divinità che comprende anche qualche dio che il faraone stesso non conosceva ancora, ma che Giuseppe sembra avere in confidenza, vista la sapienza che ne riceve.
Ciò che in definitiva voleva il Faraone era d'avere potere sugli dèi dell'Egitto, terra su cui secondo le credenze del tempo comandava di fatto quella complessa cosmogonia che era da tenere "buona" con arti magiche specifiche per ciascun componente, il che ho sottolineato, commentando il versetto Genesi 41,1 del racconto del sogno del faraone, facendo notare quella preposizione rivelatrice, di mettersi sopra, sovrintendere, di gestirli e in definitiva di usarli a proprio tornaconto.
Quindi non fede, ma supestiziosa religiosità.
Al versetto Genesi 41,41 per il faraone si rivela ora possibile conseguire tale potere, pur se non direttamente, dando la gestione a chi era in relazione con quegli "'Elohim" in quanto gli pare che Giuseppe è l'uomo giusto come rivela la frase: "Ecco, io ti metto a capo di tutta la terra d'Egitto" in cui riappare nel testo ebraico del conferimento appare quel .
"Il faraone si tolse di mano l'anello" ci fu un'investitura vera e propria, perché l'anello del re conteneva il sigillo reale e, di fatto, questo dava a Giuseppe l'implicito potere di sigillare tutti i decreti che avesse ritenuto necessario promulgare.
Questa situazione porta il pensiero a quella nel Vangelo di Matteo "Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone." (Matteo 25,21)
Il Talmud collega questi onori ricevuti da Giuseppe con la sua virtù conservata nei riguardi della moglie di Putifarre: "Giuseppe meritava pienamente questi onoriper la sua esistenza virtuosa: la bocca che non peccò con la moglie di Potifar meritò di nutrire il popolo, le mani, il collo e il corpo (anello, collana e mantello) che avevano rifiutato di peccare ora erano adornati dai gloriosi simboli della regalità." (Bereshit Rabbà 90.3)

GIUSEPPE IL GRANDE VISIR
"Lo fece salire sul suo secondo carro e davanti a lui si gridava: Abrech. E così lo si stabilì su tutta la terra d'Egitto. Poi il faraone disse a Giuseppe: Io sono il faraone, ma senza il tuo permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutta la terra d'Egitto. E il faraone chiamò Giuseppe Safnat-Panèach e gli diede in moglie Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli." (Genesi 41,43-44)
In primis rimando alla lettura del mio "San Giuseppe - L'arco di Dio", articolo in .pdf nella rubrica "San Giuseppe" di questo mio sito, in particolare del paragrafo "Giuseppe l'arciere in terra" in cui parlo anche di quella parola strana Abrech che si gridava davanti a lui e su cui molto è stato detto, ma con diverse interpretazioni.
Ad esempio Onkelos lo traduce con "è il consigliere mano destra del re" perché in aramaico "rekh" significa "re".
Sifré Devarim l'interpreta come parola composta da "'ab" = padre e "rech" = tenero, padre per saggezza e giovane per età.
Più semplicemente la nota della Bibbia di Gerusalemme riferisce Abrech ai termini egizi ib-r-k "il tuo cuore a te" per dire cioè, "attenzione!".

Eccoci ora al nome nuovo dato a Giuseppe dal faraone:

Safnat-Panèach .

La nomina, infatti, ad alti incarichi era accompagnata dall'attribuzione di un nome ad hoc relativo alla nuova posizione.
Il nuovo nome celò il vecchio e sarà utile poi a contribuire ad evitare il riconoscimento da parte dei fratelli quando per la carestia verranno in Egitto.
Secondo Bershit Rabbà 90.4-Onkelos-Rashi, "Safnat-Panèach" significherebbe "colui che rivela ciò che è celato", dall'ebraico "safan" , nascondere, e "pa'an" , mostrare.
Altri sullo stesso pensiero lo indicano come "Colui che sa le cose".
Sono andato a cercare tra i geroglifici nel "A concise Dictionary of Middle Egyptian" di R.O.Faulkner ed. 1986 Griffith Istitute Asmolean Museum - Oxford ove è con riferimento alla consonanti traslitterate in egizio per SP-NT e per PA' - NH o trovato i seguenti:
  • SP pag. 221 tempo;
  • NT pag. 142 organizzare;
  • PA' pag. 88 pagnotta di pane;
  • NH pag. 137 miseri, miserabili.
L'insieme fornisce il pensiero "Al tempo opportuno organizza la pagnotta per i miseri", che è ben intonato alla storia.

La moglie Asenat era figlia, forse adottiva, dello stesso Potifar, che tra i vari incarichi era anche sacerdote di On, cioè di Eliopoli, centro del culto del dio sole a circa 11 Km a nord dell'attuale città del Cairo, il che lascia pensare che poi a tale incarico subentrerà lo stesso Giuseppe.
È chiaro che Giuseppe per il titolo e per l'intelligenza che aveva si sarà reso esperto di scrittura e di geroglifici!
Stando peraltro più anni in casa di un alto dignitario di corte certamente era pratico di scrittura egizia ed anche di lingue straniere.
Potifar significherebbe "dono di Ra" e forse era un nome molto comune, e quindi non necessariamente tutti i Potifar nominati nella storia di Giuseppe sono la stessa persona, pur tuttavia vari commentatori ebraici l'unificano in uno stesso personaggio.
Il nome Asenat in egiziano "appartenente alla dèa Neith, ci porta a tale divinità, patrona del Delta occidentale.


Neith già dea della guerra fu poi considerata dea della famiglia, perché il suo geroglifico più che contenere armi fu considerato ricordare un telaio, poi per il simbolo iniziale che ricorda le acque fu considerata la madre delle acque primordiali piene di energia N da cui sorse il sole Ra.
Secondo un midrash in Torà Shelemà, Asenat sarebbe figlia di Dinà, nipote di Giacobbe, e sarebbe il risultato della violenza fatta da Shechem a Dinà, narrata in Genesi 34.
Per il Midrash i figli di Giacobbe volevano uccidere Asenat per pulire l'onta subita dalla sorella, ma Giacobbe trova un compromesso, la caccia dalla sua casa per salvarla dai propri figli e le appende un ciondolo al collo su cui è scritto in ebraico che la ragazza è della casa di Giacobbe.
Asenat nel deserto si ripara tra rovi.
Insito, infatti, nel nome Asenat si trova l'idea dei rovi, in ebraico "senèh" è "rovo", onde quel nome si può spezzare "dell'Unico il roveto () indica ".
L'angelo Gabriele la porta a casa di Putifar e viene cresciuta da figlia adottiva. Quando le ragazze egiziane accorrono ad ammirare Giuseppe che esce in parata per la Terra d'Egitto e gettano su di lui monili d'oro, sempre secondo il midrash, Asenat getta il suo e Giuseppe riconosce la scrittura paterna e sposa la nipote.
Quindi così questa di Asenat diviene una storia parallela a quella di Giuseppe.
Entrambi della casa di Giuseppe, ma che i fratelli di Giuseppe avrebbero voluto uccidere.
Il fatto del roveto ci porta all'idea di leggere il matrimonio di Giuseppe con Asenat come preparatorio degli eventi del roveto ardente del capitol 3 del libro dell'Esodo.
Giuseppe in Egitto prepara la rivelazione di IHWH con una prima famiglia, il nido, in cui accogliere un fuoco che non si consumi.
Allora il nome di Giuseppe in cui la s = la considero per un momento l'iniziale di roveto e quindi ad Asenat, porta all'idea "fu a portarsi sul roveto a soffiare " e accese nella generazioni successive il roveto in cui l'amore di Dio non si consuma. (Vedi: "Lo sposo della coppia nel matrimonio, roveto ardente")
Giuseppe e Asenat in terra d'Egitto sono come i primi progenitori in terra pagana di nuova generazione, i coltivatori di un giardino ostile chiamati dal Signore a far nascere un popolo amico, che farà uscire libero dall'Egitto, figura poi della nuova coppia Giuseppe-Maria, che furono esuli in Egitto.

Il Talmud sostiene (TB Sotà 36b) che la concessione di pieni poteri a Giuseppe fu ovviamente fu malvista dai maghi del Faraone: "Ha detto Rabbì Chjà bar Abbà a nome di Rabbì Jochannan: Nell'ora in cui ha detto il Faraone a Josef: E senza di te non alzerà uomo la sua mano... hanno detto i maghi del Faraone: Uno schiavo che il suo padrone lo ha preso per venti pezzi d'argento tu lo fai dominare su di noi? Disse loro: Le caratteristiche della regalità io vedo in lui. Dissero lui: Se è così dovrebbe conoscere le settanta lingue! Venne Gabriele e gli insegnò le settanta lingue e non riusciva ad impararle. Gli aggiunse una lettera dal Nome del Santo Benedetto Egli Sia ed imparò, come è detto: Una testimonianza in Giuseppe ha messo nel suo uscire sulla Terra d'Egitto, una lingua che non sapevo ho ascoltato. (Salmi 81,6) L'indomani ogni lingua con la quale gli parlava, il Faraone gli rispondeva, ma quando gli parlò nella Lingua Sacra, il Faraone non sapeva cosa dicesse. Gli disse: Insegnami! Gliela insegnò ma non la imparò. Disse lui: Giurami di non rivelarlo a nessuno. E glielo giurò."

Si intende con ciò suggerire una superiorità di Giuseppe sul Faraone dovuta al Dio Creatore che secondo il pensiero ebraico creò il mondo con l'uso delle lettere sacre che stavano attorno al trono di Dio e che pronunciò le parole della creazione in lingua ebraica, quella conservata dall'unica famiglia del mondo quella di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Il Faraone però non parla l'ebraico.
Parla tutte le lingue del mondo, quelle dopo la torre di Babele, ma non riesce ad imparare la lingua sacra con la quale il mondo è stato creato.
Riconoscerà una supremazia di Giuseppe che viene da un Dio che non conosce e che usa l'ebraico per creare, la lingua sacra, scintilla sacra in un mondo impuro capace di accendere il roveto.
Dirà infatti, per salvare la faccia: "Io sono il Faraone", e dovrà subito soggiungere "ma senza il tuo permesso nessuno "bilade'ka" potrà alzare la mano o il piede in tutta la terra d'Egitto."
Userà qui quel termine che usò Giuseppe e che commentai in occasione del versetto: "Non io, ma Dio darà la risposta per la salute del faraone!" (Genesi 41,15s)
Fu costretto a piegare la testa al Dio d'Israele!

"Giuseppe partì per visitare l'Egitto." (Genesi 41,45)
In effetti, è "Giuseppe ascese sul paese d'Egitto" ossia fu così che Giuseppe ebbe potere sul paese.

"Giuseppe aveva trenta anni quando entrò al servizio del faraone, re d'Egitto. Quindi Giuseppe si allontanò dal faraone e percorse tutta la terra d'Egitto. "(Genesi 41,46)
Solo un intervento divino poteva rassegnare ad un uomo così giovane, perdipiù non della famiglia del faraone, un così alto incarico in Egitto.
Giuseppe, il primo dei figli d'Israele che entrò in Egitto, cominciò, infatti, ad essere vice faraone a 30 anni e i fratelli, compreso Levi, più anziano di Giuseppe, vennero dopo 9 anni cioè passati i 7 anni grassi, al 2° anno di carestia.
Giuseppe compie così una ricognizione generale del paese per conoscerlo, entrò in contatto con i capi della popolazione, avverti della futura carestia, stabilì la costruzione in ogni località di granai ad hoc.

"Durante i sette anni di abbondanza la terra produsse a profusione. Egli raccolse tutti i viveri dei sette anni di abbondanza che vennero nella terra d'Egitto, e ripose i viveri nelle città: in ogni città i viveri della campagna circostante. Giuseppe ammassò il grano come la sabbia del mare, in grandissima quantità, così che non se ne fece più il computo, perché era incalcolabile." (Genesi 41,47-49)
Ecco che si attua com'era stato predetto e Giuseppe compie accuratamente quanto programmato.

"Intanto, prima che venisse l'anno della carestia, nacquero a Giuseppe due figli, partoriti a lui da Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli. Giuseppe chiamò il primogenito Manasse, perché, disse, Dio mi ha fatto dimenticare ogni affanno e tutta la casa di mio padre. E il secondo lo chiamò Èfraim, perché, disse, Dio mi ha reso fecondo nella terra della mia afflizione." (Genesi 41,50-52)
Il testo spiega il significato ebraico dei nomi dei figli.
Certamente Giuseppe gli aveva però dato dei nomi che avessero un senso anche per gli egiziani.
Manasse M-NS in egiziano "Questo M un principe NS".
Efraim 'APRIM "eroe, campione PRI (pag. 91 Dictionary) questo M", infatti, "Saranno come un eroe quelli di Èfraim..." (Zaccaria 10,7)
Viene sottolineato che "nacquero a Giuseppe due figli, partoriti a lui da Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli" come a dire Asenat nonostante sia ritenuta figlia di un sacerdote pagano partorì a Giuseppe due figli secondo il suo cuore, cioè li educò come Giuseppe era stato educato, secondo i suoi principi, e vennero questi adottati dallo stesso Israele (Genesi 48,5) che ebbe a presentarli come figli ideali: "E li benedisse in quel giorno: Di te si servirà Israele per benedire, dicendo: Dio ti renda come Èfraim e come Manasse! Così pose Èfraim prima di Manasse." (Genesi 48,20)

"Finirono i sette anni di abbondanza nella terra d'Egitto e cominciarono i sette anni di carestia, come aveva detto Giuseppe. Ci fu carestia in ogni paese, ma in tutta la terra d'Egitto c'era il pane. Poi anche tutta la terra d'Egitto cominciò a sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Il faraone disse a tutti gli Egiziani: Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà. La carestia imperversava su tutta la terra. Allora Giuseppe aprì tutti i depositi in cui vi era grano e lo vendette agli Egiziani. La carestia si aggravava in Egitto, ma da ogni paese venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra." (Genesi 41,53-57)
Si cerca di non pensare ai tempi brutti nella prosperità eppure questi ineluttabilmente vengono ed appare vera ed in tutto il suo valore la profezia di Giuseppe.
Il Faraone non poté dire altro: Andate da Giuseppe!

I SOGNI DI GIUSEPPE E DEL FARAONE
Il libro della Genesi ci ha presentato il giovane Giuseppe come sognatore con i due sogni dei covoni e delle stelle.
Nel primo inizia "legavamo covoni nel campo", (Genesi 37,2) quindi con un'azione operosa per produrre il cibo, ma il covone di Giuseppe viene onorato da quello dei fratelli.
Poi il secondo sogno riguarda il cielo e presenta il sole, la luna e le stelle che si "prostrano" a Giuseppe (Genesi 37,9).
L'insieme dei due sogni fa comprendere che v'è un'elevazione dal meramente terreno al celeste e che già nel terreno c'è un'opera finalizzata ad un bene comune, i covoni, che supera poi le contingenze terrene.
I commentatori ebrei, infatti, hanno visto nel raccogliere i covoni anche il senso spirituale dello studio della Torah, perché la parola di Dio è il pane della vita spirituale.
I sogni del faraone invece, abbiamo osservato che in effetti sono uno solo sotto due aspetti, ma in nessuno dei due il faraone fa alcunché, ma è solo spettatore.
Sono pensieri che non si elevano, non vanno oltre il limite terreno, anzi indicano quasi una retrocessione dal mondo animale, le vacche, al mondo vegetale, le spighe.
In definitiva il cielo è chiuso per il Faraone.
Nion ha pensieri e desideri fuori della sfera del suo io "Io sono il Faraone", re si, ma solo di questa terra!
Giuseppe aspira invece alla santità, ciò che fa in terra è in vista di una costruzione che supera i limiti di questa vita, solo così si spiega la sua magnanimità verso i fratelli.
Viene evidente confrontare ciò con quanto riferisce il Vangelo di Giovanni su Gesù quando disse a Pilato: "Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". (Giovanni 18,36)

Il giudizio, infatti, viene delegato a Dio, a lui Giuseppe, come ad ogni singolo uomo, invece in terra spetta d'operare secondo ogni giustizia secondo la Torah eterna che ha scritta nel cuore perché da lui veniamo.
Viene ricordato nei Vangeli: "Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette." (Matteo 18,21s)
Di fatto così ha operato Giuseppe!
Giuseppe ha meditato a lungo sulle vicende e sofferenze patite ed ha compreso il senso di quei due sogni narrati tanti anni prima ai fratelli che hanno contribuito a creare astio nei suoi confronti.
Ha concluso che tutto è avvenuto per volontà di Dio che ha mosso i suoi sogni, che ha avuto un ampio disegno che lo coinvolgeva e che riguarda un futuro di bene.
Dirà infatti poi ai fratelli alla fine della vicenda quando ormai è vice faraone:
  • Genesi 45,7-8 - "Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il territorio d'Egitto."
  • Genesi 50,19-21 - "Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini". Così li consolò parlando al loro cuore."
Non si può imparare ad obbedire senza sofferenze, occorre, infatti, avere pazienza e costanza nelle afflizioni.
Non si giunge a compiere la volontà di Dio senza prove che consentono di aggiungerci o di toglierci ciò che è necessario per farcela compiere.
In definitiva la storia di Giuseppe ci esemplifica ciò che poi sosterrà San Paolo: "E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato." (Romani, 5,3-5)
La santità non si eredita, ma Giuseppe, come Gesù Cristo imparò dalle cose che patì (Ebrei 5,8), ebbe cioè la grande attitudine della pazienza e della perseveranza e queste dettero frutto.
Dio scese su di Lui col dono della sapienza vera, quella che viene da Lui, preavviso di santità.

Dai sogni di Giuseppe che riguardano due piani il terreno e lo spirituale si può trarre questa morale: occorre sempre mettere in relazione i due mondi, cioè operare in terra guardando al cielo.
Il Faraone desiderava la terra e il suo sogno è solo orizzontale.
Giuseppe opera in terra, ma desidera il cielo ed ha le due direzioni orizzontale e verticale.
In definitiva, "L'uomo si trova dove si trovano i suoi desideri" di Ba'al Shem Tov.
E qui è il caso che ciascuno si domandi dove sono i propri!

IL CRISTO ETERNO
Nel mondo laico si dibattono due tesi: Cristo storico o Cristo mito.
Coppia di sottotesi poi è: il Cristo del mito ha trovato un personaggio reale che lo incarnasse totalmente o su un personaggio storico si è fatto calare anche con forzature l'intero personaggio del mito.
Tali idee peraltro si dibattono e si combattono tra loro sin dalle origini del cristianesimo e in lungo e in largo sono state approfondite le varie tesi in modo variamente felice.
Certamente è da supporre che anticamente un'idea extrabiblica di un salvatore dell'umanità fosse un poco in tutte le culture.
La posizione cristiana è che il Cristo è un personaggio in carne e ossa, vissuto in uno specifico periodo storico, ma questo personaggio, e qui v'è l'aggancio al Cristo eterno, era profetizzato nelle Sacre Scritture, dette Bibbia.
Questo testo era allora scritto in ebraico senza segni di vocalizzazione, ma vi erano anche traduzioni in greco, che però sono solo una foto, un aspetto perché molto di più c'è nell'originale ebraico.
I più attenti esegeti cristiani, seguendo passo per passo il testo biblico, sono in grado di riferire in modo più o meno calzante tanti versetti alla figura del Cristo storico manifestatosi nel personaggio Gesù di Nazaret, vissuto 2000 anni fa, ucciso in croce, ma risorto dai morti.
Ciò è fatto con particolare riguardo al testo in greco detto "Septuaginta" o al testo ebraico della Tenak che ormai ha l'indicazione della vocalizzazione delle consonanti ebraiche nelle varie parole secondo una lettura tradizionale che si fa nella liturgia sinagogale.
Il fatto che sono o sarebbero molte le profezie più o meno esplicite che si possono attribuire a Gesù, il Cristo, fa pensare che latente nel testo biblico, non scritto da una sola mano, ma da più autori e in un arco di almeno 1000 anni, ma con unico "ispiratore", v'è tracciata la figura del Cristo eterno, il Messia.
I testi più antichi ebraici, peraltro, possono consentire separazioni in parole diverse di quelle considerate dai testi della tradizione e significati diversi alle parole se si cambiano rispetto a quelle lette usualmente alcune vocali che in origine mancavano totalmente.
C'è poi un alone arcano sulle singole lettere ebraiche che le fanno considerare principi archetipi con significati intrinseci capaci di descrivere come una scene l'episodio in modo molto più efficace di una singola parola, perché la lettera-icona evoca una più ampia sfera di idee.
La traccia esteriore delle lettere ebraiche, cioè la loro forma grafica, volutamente conserva l'ombra, a modo appunto d'icona, di un significato più ampio, come un embrione di geroglifico.
D'altronde l'alveo dell'origine delle scritture senza vocali è l'egiziano antico e la tradizione biblica dice di sé che è nata in Egitto.
Da queste semplici considerazioni è scaturita l'idea che gli autori dei testi sacri adottassero una tecnica raffinata nell'uso delle parole e delle lettere ebraiche in grado di produrre testi che avessero un senso secondo una lettura tradizionale, ma che per gli iniziati fossero in grado di significare anche altro, attraverso una lettura con regole semplici ricorrendo pure ai significati intrinseci delle lettere.
Il testo sottostante avrebbe però come soggetto il tema fondamentale, proprio quello del Cristo eterno, di cui era attesa l'incarnazione, insomma il Messia dei cristiani.
Sono partito da una intuizione, un lampo tanti anni fa, mi pare nel 1980.
Vidi, veramente, per la prima volta le lettere ebraiche in un "Seder lePesach", cioè un libro che contiene l'ordinamento ebraico per la festa di Pasqua.
Qualcosa si mosse in me.
Per me fu certo oltre che lettere erano messaggi grafici.
Poi mi sono portato sulla strada meticolosa della sperimentazione e ad anni di verifica, passo, passo come per scalare una montagna.
È come costruire un grande puzzle, il risultato è frutto di tanta pazienta condita dal sapore della assoluta novità e dalla curiosità d'aprire quei versetti antichi come stanze di tesori.

Questa idea ardita l'ho sviluppata in questo mio sito, di cui cito i primi passi fondamentali:
A questi fanno seguito i tanti e tanti articoli presentati nel sito stesso che dimostrano come effettivamente s'ottengono pagine messianiche integrali da una lettura del genere applicata agli scritti della Bibbia ebraica detta Tenak.
Questa idea può essere una chiave per l'esegesi e per riannodare dissapori antichi avendo con questa un ulteriore elemento per verificarle la questione.
Il Cristo storico è figura consolidata ed il Cristo atteso che s'ottiene dall'esegesi biblica anch'esso è delineato con le tante profezie che più o meno calzanti s'estraggono dalla lettura di primo livello del testo biblico.
Questa lettura dei testi biblici che propongo, che definisco di secondo livello, può però aiutare sia a verificare se vi siano state forzature o se invece quanto appare nella lettura di superficie del testo ebraico sia solo un'immagine di un Cristo totalizzante che pervade l'intera scrittura, come peraltro asserisce Gesù di Nazaret quando dice: "...scrutate le scritture... sono proprio esse che mi rendono testimonianza." (Giovanni 5,39)

C'è poi tutta la problematica dei Vangeli dell'infanzia in cui spiccano le figure di Giuseppe, omonimo del Giuseppe vice faraone, e di Maria, l'annunciazione della incarnazione di un angelo a questa, i sogni di Giuseppe, che peraltro fa più sogni, una luce sulla casa ove nacque il Cristo, l'uccisione dei primogeniti, la fuga in Egitto.
Questa pagina di Giuseppe del capitolo 41 della Genesi, che appunto riguarda i sogni del faraone, tanto che la parola - sogno, sogni, sognò è ripetuta 16 volte nella traduzione - sotto l'aspetto di questa storia nascosta sul Messia potrebbe contenere qualche scorcio, profilo profetico di proto vangelo raccolto poi come racconto preparatorio all'incarnazione in quello di Matteo.
Ho quindi proceduto alla decriptazione dei 57 versetti che formano il capitolo applicando integralmente le regole del mio già detto metodo.

A titolo d'esempio di come opero riporto la decriptazione di un versetto, il Genesi 41,43.

Genesi 41,43 - Lo fece salire sul suo secondo carro e davanti a lui si gridava: Abrech. E così lo si stabilì su tutta la terra d'Egitto.




Genesi 41,43 - Portò a stare in un corpo la rettitudine dentro . Venne () a portarsi sulla casa la "mercabah" () (il carro di fuoco di Ezechiele) segno al mondo del salvare (). Angeli uscirono sul primogenito con una luce . Nel corpo l'accompagnavano () al portarsi e il diletto primogenito si portò . Il Potente in persona () fu a portarsi nel primogenito benedetto (). E inviò ad indicarlo ed angeli vennero () a portarsi in alto . Dalla sposa () la luce ( = ) scese , visse giù nel corpo , stette con la madre .

Nel capitolo successivo c'è il testo continuativo di tutta la decriptazione.

GENESI 41 - DECRIPTAZIONE
Genesi 41,1 - A portarsi fu nel mondo a stare la putredine con la discesa dell'angelo (ribelle), un Shet (o Seth il dio del caos nella mitologia egizia) nei giorni dei viventi. Fu nei viventi a recare il soffio del male. Nel mondo l'ammalare ai viventi recò. Con l'entrata dell'angelo uscì dall'agire dei viventi l'aiuto che entrato era dell'Unico nei corpi.

Genesi 41,2 - E dal mondo per l'angelo uscirono dai viventi lamenti. L'Unico del cattivo la potenza finirà nel settimo (giorno). Il soffio nei corpi porterà a finire. Sarà il Verbo a riportare l'integrità ai corpi. Di un fratello si porterà dentro al corpo a stare, verrà nella carne e finirà del male l'opprimere dentro ai fratelli recato.

Genesi 41,3 - E l'entrato angelo uscirà bruciato. Dentro la polvere lo porterà alla fine. L'Unico ad arderlo si recherà. Scelse per agire il Potente di portarsi. Scelse di un fratello nel corpo stare. Uscì un angelo alla madre inviato nel mondo. Fu con un luminoso corpo visibile a portare l'indicazione alla madre che nel corpo l'Unico al mondo si portava. L'aiutasse. Si riverserebbe portandosi nella prescelta! Nella carne si portasse dalla prescelta sentì. La madre giudicò che da primogenito scendesse, il Potente entrasse a far frutto. E nella prescelta dall'alto si accese il Verbo la segnò, entrò a starle da primogenito nel corpo.

Genesi 41,4 - Si portò nella prescelta. Dell'Unico nella sposa l'energia entrò. Entrando, a far frutto recò completo nella compagna e nella prescelta entrò a viverle nel corpo l'Unico. Lo splendore si versò totale, entrò dentro il principe, per venire nel settimo (giorno) nel mondo. Il Verbo nel corpo si portò. La bellezza totale entrò a vivere nel corpo del primogenito. Entrò per portarsi al mondo da cibo. Venne e fu obbediente a scendere il Verbo dalla compagna.

Genesi 41,5 - A portare sarà la forza per rinnovare e sarà dall'ammalare a salvare. I lamenti alla fine porterà con la rientrata energia. Usciremo nel settimo (giorno) dallo stare in esilio. Agirà la risurrezione che dalla corruzione i viventi rialzerà e tutti da dentro rovesceranno l'angelo entrato all'origine nascostosi insinuandosi nei corpi. Sarà l'Unico a riportarsi in tutti e il bene si riporterà completo.

Genesi 41,6 - Per portare fuori l'angelo nel mondo con la risurrezione dentro agirà bruciando dentro il serpente/la potenza che fu per i viventi da sbarramento. Una corda alla fine porterà. Del demonio porterà il soffio a finire. Verserà l'aiuto, sarà nei viventi a scendere nelle midolla e da tutti i fratelli dai corpi sarà ad uscire l'angelo (ribelle).

Genesi 41,7 - E da tutti, consunto si vedrà l'angelo (ribelle) uscire per l'entrata risurrezione. Dentro la potenza ristarà nei viventi e, per l'entrato aiuto sperato, tutti verranno nel settimo (giorno) ad uscire risorti dalla corruzione. I viventi riusciranno dentro i corpi che furono all'origine e completa si riporterà ad entrare la pienezza e tutti si riporteranno ad essere obbedienti. Su il Verbo da compagna li condurrà, dal mondo tra gli angeli entreranno; nell'assemblea del Potente porterà i viventi.

Genesi 41,8 - A portarli sarà ad entrare a stargli dentro un mattino. Porterà tutti il Verbo i popoli, nel corpo li porterà a chiudersi per condurli dove stanno i risorti. Il vigore riporterà il diletto primogenito. Verranno tutti a chiudersi nel corpo. Nel cuore i viventi gli staranno. Vivi, su con i corpi, saranno i viventi condotti. Verrà con la sposa, stretta, anelata. Sarà dal mondo a portarla a stare pienamente dal soffio guarita del male. Uscito, la potenza rientrerà. A vivere verranno nell'assemblea del Potente i viventi condotti, ma guai all'angelo (ribelle) il Verbo porterà, finito si vedrà. Si riporterà l'integrità. Dal Potente il Verbo con la compagna entrerà.

Genesi 41,9 - A portare sarà la Parola la risurrezione dei corpi, salverà riversando la forza nei viventi, verrà il soffio del cattivo ad uscire, rifiutato. Con l'essere ribelle, venuto a chiudersi nei cuori all'origine, sarà a scontrarsi. Sarà nei viventi colpito, retti saranno i corpi riuscire, saranno riportati in vita.

Genesi 41,10 - Il soffio del male uscirà alla fine (quando) il Verbo innalzato da servo sarà portato e sarà crocefisso. L'energia a venire sarà da dentro a salvare con l'acqua le moltitudini. Sarà dal Crocifisso risorto corpo ad uscire dal cuore da dentro la vita. Ai viventi verrà ad essere riportata. Verranno risorti i corpi. Rientrerà l'originario soffio a stare nei viventi.

Genesi 41,11 - E guiderà al Potente i viventi del mondo. Nell'assemblea li accompagnerà da vivi ad abitare. Nella notte usciranno. L'Uno, ad incontrare sarà a portarli. Lui, l'uomo retto, il Verbo crocifisso nel corpo li porterà, in possesso i viventi porterà di che sognavano d'abitare.

Genesi 41,12 - Porterà la risurrezione i viventi a divenire figli. Vedranno col corpo nell'aldilà chi fu a servirli. Dal Potente luminosi col corpo entreranno nel cuore. Dentro a vivervi i viventi si porteranno. Tra gli angeli nei gironi col Verbo alla testa accompagnati li porterà essendo il soffio finito dai corpi il serpente. L'avrà rifiutato per il principio dei morti che ad opprimere portò agli uomini; con la rettitudine l'avrà stretto, perché portò del Verbo in croce il corpo.

Genesi 41,13 - Riportata sarà nel mondo la forza della rettitudine dell'Unico che accendeva i corpi. Il Verbo alla fine nei corpi la potente energia riporterà. Li rifonderà nell'esistenza. Verrà a ristare nel mondo il dono dentro per agire nel cammino da angeli che era stato portato alle origini. A tutti porterà la completa potenza a rientrare.

Genesi 41,14 - Portato sarà a riaccendere il vigore dal Verbo nei corpi che per l'agire della perversità fu rovesciato. Nei corpi dell'Unico verrà riportata la pienezza del soffio che portò. Saranno i corpi con forza sollevati dalla perversità per vivere da angeli. Usciranno dalle prigioni i condottivi, afflitti dal serpente; dalle tombe si riporteranno gli ammalati. Dal Verbo una veste per tutti sarà portata. Saranno riportati a casa dall'Unico Dio del Verbo i compagni.

Genesi 41,15 - Portati saranno all'Unico i viventi guariti con i corpi a vederlo. Dal mondo a Dio saranno portati nell'abbondanza con racchiusa la potenza riportata. Vivi nell'assemblea del Potente gli uomini saranno portati dal Verbo crocifisso. Vedranno essere l'inviato che venne a portarsi, ma "io Sono", il Nome, nel tempo era. Vedranno che il Potente è. La rettitudine da rifiuto per l'essere ribelle avrà finito bruciando nel seno l'ammalare portato ai viventi. Il Potente Verbo tutti vedranno che in croce portarono.

Genesi 41,16 - E per spazzare l'angelo (ribelle) fu a portarsi dalla pienezza il Verbo. Venne il soffio in un corpo per agire nel mondo sul serpente. In un primogenito visse. Le moltitudini il Potente riconosceranno essere. Dio nel mondo nei giorni da misero uscì. Venne per bruciare il serpente che aveva portato nei viventi il soffio del male ad entrare.

Genesi 41,17 - Portatosi s'era ad insinuarsi nel corpo il soffio del male. Entrò la maledizione. Fu a portarli in un buco. Soffiò lo spavento nei viventi. Furono ad uscire per l'angelo (ribelle) lamenti. Agì nei viventi la conoscenza del serpente. Per il fuoco del Verbo alla fine uscirà, ci risarà l'originario corpo.

Genesi 41,18 - E nel mondo da inviato entrò a vivere. L'energia ad entrare fu in un primogenito, nel corpo per agire sul serpente, scelse bruciandolo in casa, nella polvere portarlo. Scelse di abitare in un corpo essendo a desiderare di finirlo dalla carne. E fu il Verbo a scegliere una bella forma. A recare l'indicazione alla compagna fu un angelo che entrò nella casa per il primogenito annunciarle.

Genesi 41,19 - E nel mondo dall'angelo entrò nel settimo (giorno). Il Verbo nel corpo si portò di una prescelta. Nel primogenito si chiuse nel corpo, portandosi nella prescelta dall'alto ed alla fine di un fratello nel corpo stette. Entrò un angelo. In aiuto del Potente si portasse la prescelta! E la compagna, portatale l'indicazione, scelse che da primogenito nel corpo le vivesse. Dalla nube si portò nel corpo, si versò portandosi nell'arca, le accese nel corpo la potenza, del primogenito si vide essere segnata. Fu così che al mondo un angelo entrò dentro la sposa, in terra visse giù nel corpo. Era la Parola nel corpo ad agire.

Genesi 41,20 - Ed al termine il primogenito della sposa tra lamenti venne al mondo. A far frutto si portò la prescelta. Uscì con un corpo la speranza di tutti e partorita si vide. Si portava per la conversione in azione nel mondo. Il Verbo nel corpo porterà tutti a partorire dalla donna. Angeli porterà i tutti del mondo il cibo venuto.

Genesi 41,21 - E per tutti da dentro il primogenito l'energia uscirà della divinità. La verserà dal corpo il Figlio aperto da un'asta con cui il serpente lo scontrerà, la conoscenza della rettitudine ci sarà. Da dentro l'Unigenito porterà la divinità per versarla alle moltitudini. L'energia fuori porterà con acqua dal corpo. Guai ne usciranno all'angelo cattivo. La rettitudine di quel primo risorgerà il corpo. Da dentro il Crocifisso nella tomba la potenza rientrerà, porterà un primo al risveglio.

Genesi 41,22 - Si riportò il primogenito alla vista a casa, ove stretti dai potenti, con la madre s'erano portati ad entrare gli apostoli. Vi entrò il Risorto. Della casa lo videro luminoso dentro potente essere. Dal seno la potenza che il Crocefisso dentro racchiudeva agli apostoli aprì. Ai fratelli nel sangue la potenza venne e l'amore dentro portarono del Crocifisso.

Genesi 41,23 - Ed uscirono gli apostoli. Nel mondo della risurrezione gli abitanti udirono. L'essere in esilio per il serpente ove stanno i viventi per la discesa dell'angelo (ribelle) che col morire li aveva sbarrati speravano finisse. Al demonio il Verbo porterà la fine. Al rovesciamento l'aiuto ci sarà. Scese nei viventi con l'annuncio del Crocifisso, un primo che dalla tomba il corpo fu ad uscire vivo.

Genesi 41,24 - E del Crocifisso dentro la potenza sentì per gli apostoli il mondo. Per la risurrezione dalla corruzione i viventi usciranno. L'aiuto verserà il Crocifisso, verrà del settimo (giorno) all'uscita con la risurrezione. Dentro la potenza sarà nei viventi ad entrare, dal cuore dentro la porterà il Crocifisso e ricominceranno a vivere i corpi. Il maledetto arso nei cuori dei viventi sarà, la vita riporterà, l'annullerà nei viventi, scapperà, sarà sbarrata del serpente l'esistenza.

Genesi 41,25 - E fu ad iniziare di viventi un corpo/popolo che fu portato alla pienezza dal Verbo. La divinità far frutto si vedeva nel mondo. Nelle assemblee li accompagnava la madre del Verbo. Dalla compagna fratelli aiutati da Lui venivano. Per la donna nel corpo/popolo entrava la divinità. Ad uscirle era dal seno. Illuminati uscivano per il mondo in cammino. Erano ad aiutarla. Del serpente il soffio cattivo usciva.

Genesi 41,26 - Del Risorto dentro agiva il soffio nel corpo/popolo. Del Crocefisso usciva l'amore dentro per tutti, li illuminava dentro, agivano rinnovati. Erano a vivere nel mondo da angeli, fuori portavano luce che dentro agiva nel mondo da fuoco. Da dentro il serpente che sta nei viventi usciva. Il bene il Crocefisso accendeva dentro per agire. L'illuminazione degli apostoli era nei viventi ad entrare per l'energia che usciva nelle assemblee. Accompagnavano alla madre i fratelli; li aiutava Lui.

Genesi 41,27 - Ed il risorto dentro agisce nel mondo. Con la parola sazia tutti. Entra nelle menti la speranza che il Crocifisso si riporterà nel mondo per il male finire. Innalzerà il Crocifisso i fratelli. Con i corpi saranno ad entrare tra gli angeli. Il Risorto dentro in azione per una seconda volta sarà tra i viventi. Entrerà con gli angeli nel mondo, si riporterà nel settimo (giorno) per l'uscita. Risorgerà dalla corruzione i viventi. Gli entreranno nel corpo. Da fune tutti i risorti aiuterà. Il Verbo porterà tutti ad uscire. Al vertice saranno i viventi dell'esistenza. Fuori saranno condotti dallo stare in esilio. Per agire la seconda volta stando nei corpi si rivedranno dentro.

Genesi 41,28 - Lui che il mondo con la mano creò, con luminoso corpo, la Parola che crocifissa fu, di Dio il volto, col corpo si rivedrà nel mondo. Felici per l' uscita della maledizione saranno ad entrare in seno al Risorto. Dal mondo usciranno con i corpi. All'Unico dal mondo verrà col Verbo la compagna.

Genesi 41,29 - Dal mondo inviati all'uscita del settimo (giorno), di nuovo saranno i viventi dentro l'Unico portati, convertiti. Si vedranno alla fortuna portati nel cuore tutti dell'Unico. Con i corpi saliranno i viventi dalle angustie in cui erano a vivere.

Genesi 41,30 - Ma avrà rovesciato, strappato via da dentro per l'azione della risurrezione, l'angelo (ribelle) che era nei corpi. Si vedrà dentro che dall'Unico arso sarà stato nel mondo. Figli per la riaccesa rettitudine dalle tombe tutti usciranno. Bruciare dentro si vedrà in un pozzo sceso chi ai viventi angustie fu in vita a recare. Per la rettitudine del Potente entrata, uscirà il cattivo che ad abitare venne in terra.

Genesi 41,31 - Per portargli il rifiuto sarà a portarsi alla conoscenza all'uscita del settimo (giorno). Dentro la terra tra i viventi in persona sarà ad uscire col corpo. Vedranno dentro al mondo Lui, il primo che nella tomba il corpo fu, per la rettitudine ucciso. Gli fu la rettitudine dentro d'aiuto per riuscire e iniziò per i viventi un primo aiuto.

Genesi 41,32 - Si riporterà dall'alto nel mondo per la seconda volta. Si porterà il Crocefisso ad aprire le tombe per accompagnare i viventi da Dio. Il Verbo col corpo ri agirà nel mondo, soffierà ai popoli la forza. Dalle piaghe chi fu ucciso porterà l'energia ad uscire. Dalla Parola dal seno la vita uscirà, la divinità entrerà a stare nei viventi riportandoli a vivere. Alla vita partoriti dalla divinità entrata saranno i viventi potenti alla vista per la risurrezione a tutti recata.

Genesi 41,33 - Li porterà dal tempo ad uscire, li lancerà all'Unico. Nel Verbo nel corpo si vedranno entrare gli uomini, dagli angeli a casa li condurrà. Nei pascoli stretti così i viventi condurrà, saranno col Risorto a stare. Tutti fuori porterà, innalzerà dalla terra i viventi che su con i corpi staranno a vivere.

Genesi 41,34 - Avrà spazzato la risurrezione entrando il soffio del male. La perversità che era stata soffiata rovescerà. Sbarratolo, il soffio verserà quanto basta di vita per rialzarli. Quel primo dal corpo giù l'avrà portata dalla quinta costola. Verranno dalla terra i viventi a rialzarsi. Nei corpi la forza della vita abiterà del Risorto, dentro agirà per la risurrezione. L'energia che sarà entrata riaccenderà dentro l'agire.

Genesi 41,35 - Si porterà a raccoglierli e li unirà, finirà la prigione. La sposa risorta di angeli che saranno i viventi, gli entrerà nel cuore. A casa la porterà. Entrerà dentro il primogenito crocifisso che dal mondo l'innalzerà e sarà su dentro col corpo condotta a banchettare. Tutta stretta al Crocifisso sarà per mano. Per il Verbo il male entrato all'origine in tutti dentro da nemico sarà stato strappato via con l'essere impuro che aveva recato.

Genesi 41,36 - Porterà l'esistenza del mondo all'originaria perfezione. Il Verbo avrà rovesciato con un giudizio il serpente dalla terra. Il Potente aveva giurato che avrebbe bruciato l'angelo che era entrato col male dentro la donna nel corpo segnandola. Entrando fu ad opprimere. In un pozzo scesero i viventi per l'avversario. Fu per reciderlo a venire da agnello. Crocifisso n'uscì in terra dagli abitanti per il cattivo che li abita.

Genesi 41,37 - Ma fu una forza dal cuore da dentro ad uscire dalla Parola. Da dentro una sorgente ci fu del Verbo, dal corpo si vide uscire per portare dentro rovine all'angelo (ribelle). Fu la rettitudine del Potente che serviva ad essere portata.

Genesi 41,38 - Riportò la forza delle origini. Per l'essere ribelle che soffiò il male uscì la divinità. In azione da dentro per aiutare fu a portarla. Uscì l'energia con l'acqua giù da un primo retto dalle ferite. Uscì dall'uomo una donna dal corpo; nel corpo la portava nascosta. Di Dio ad uscire fu la Madre; da dentro la portò.

Genesi 41,39 - Riportata la forza delle origini i viventi guariranno dal male entrato. La divinità sarà a riportare la pienezza del soffio delle origini. A chiudersi in un corpo il Signore per aiutare fu per spazzare il maledetto che sta nei viventi dall'origine portando oppressione. Venne con la rettitudine il serpente a colpire. Verrà annullato l'angelo dentro con la riportata energia. Si porterà a stringerlo con la rettitudine dalle piaghe che da vivente riportò da retto.

Genesi 41,40 - Venne dal Crocifisso nel mondo una forza. L'innalzato che dentro era in croce una forza recò. Dall'innalzato Verbo ci fu la rettitudine che sarà la risurrezione a riversare a tutti i popoli. Fu dal corpo a versare nel mondo la rettitudine da un foro. Originò quel primogenito la gloria dei viventi dalle piaghe.

Genesi 41,41 - A portarsi fu per iniziare dei viventi a guarire i corpi agendo nel mondo con la divinità che sarà a portare all'abbondanza. Dal Verbo un corpo/popolo iniziò ad uscire con gli apostoli scelti dal Crocifisso. Furono a venire rettamente ad agire in cammino. Il rifiuto in un corpo/popolo scese per la vita dell'avversario che stava tra i viventi.

Genesi 41,42 - Infatti, per castigare il Verbo il male del mondo venne in un utero in una casa, nel tempo si recò. La madre all'Altissimo fu aiuto a recargli e le fu indicato da un angelo che veniva. All'Altissimo per l'aiuto un sia portò. In pienezza il Verbo si recò, fu la potenza dentro ad accenderle, venne a portarvisi dentro. La fortuna fu a riaccendere nei simili. Fu a sorgere tra i viventi la Parola, nel mondo questi entrò. In una famiglia dall'alto scese e nel primogenito nel corpo si portò.

Genesi 41,43 - Portò a stare in un corpo la rettitudine dentro. Venne a portarsi sulla casa la "mercabah" (il carro di fuoco di Ezechiele) segno al mondo del salvare. Angeli uscirono sul primogenito con una luce. Nel corpo l'accompagnavano al portarsi e il diletto primogenito si portò. Il Potente in persona fu a portarsi nel primogenito benedetto. E inviò ad indicarlo ed angeli vennero a portarsi in alto. Dalla sposa la luce scese, visse giù nel corpo, stette con la madre.

Genesi 41,44 - A portarsi si era a dire una parola sulla compagna Dio a Giuseppe sul primogenito. Un angelo fu a parlargli nella testa/mente. Sentì che perversità mancava nella sposa per il primogenito che le stava nel corpo di cui era madre. Con l'uomo venisse a stare, aiuto le portasse! E gli venne nella mente rivelato che si portava dentro la sposa l'Unico, che nel corpo gli scendeva per vivere giù nel corpo, per stare tra i viventi.

Genesi 41,45 - Si portò obbediente, rivide il volto della compagna luminoso, nella matrice di Giuseppe scendeva in persona l'indicato Verbo. In azione a guidarli si portò. Fu ai confini un angelo ad accompagnarli. Veniva dall'Unico in giro l'angelo che indicò alla famiglia che ai confini il Verbo portassero per amore. Fu a parlargli che un cattivo per spengerlo ha inviato per i primogeniti finire. La donna portasse. Partì Giuseppe sentito il Potente per la terra d'Egitto.

Genesi 41,46 - E Giuseppe col figlio in tre furono salvati dall'angelo uscito per la famiglia servire. Portò del Potente una parola l'angelo. Fu a parlare che il cattivo uscì dal regnare (Erode dei Vangeli). Dall'Egitto fosse la madre a riportare. Ripartì Giuseppe con la madre del Potente Verbo. L'angelo fu a parlargli: con la compagna si riportasse a stare tra gli Ebrei. La famiglia tutta del primogenito si riportò sollecitamente dall'Egitto.

Genesi 41,47 - Si riportarono dai confini. Sentita l'illuminazione rientrarono. Unita, sollecita, la famiglia dallo stare in esilio sentì l'illuminazione dell'angelo che era da rientrare. L'illuminata famiglia, sentito del potente rovesciato, vissero su al mare (forse di Tiberiade).

Genesi 41,48 - Ed obbediente alla famiglia su venne retto. Dal Potente il primogenito tutto illuminato in casa agiva negli anni in cui stette a vivervi. Felice uscì l'esistenza che portavano. Nel paese ove viveva si alzò il corpo (cioè crebbe) stando con la madre e fu infine bello, retto di cuore. Dentro il nemico che sta nei viventi dall'origine, come serpente demonio entrato da cui uscirono rovine ai corpi, del primogenito principe attorno alla casa stava. Della casa al confine stava fuori. La casa da confine si portava per la rettitudine che n'usciva.

Genesi 41,49 - Portato che fu alzato dentro il corpo, Giuseppe in casa s'indebolì, annunciò il Potente che ad uscire era dalla vita. Uscita la testa della famiglia dal mondo, la madre il primogenito aiutava con l'Eterno (quando) quel retto fu a cessare. Del Potente le scritture quel retto nell'esistenza del primogenito fu un angelo che lo provò per far frutto.

Genesi 41,50 - Portato dal Potente Giuseppe per nascere una seconda volta, fu il figlio a restare con la madre in casa prima che dai confini di casa si portasse. Al primogenito l'illuminazione di un angelo con una indicazione entrò nella mente. Sentì dentro il primogenito l'illuminazione nella mente di una rinascita: fuori il serpente si portasse a scontrare. In giro dal limite dalla casa scelse il Verbo di portarsi. Con amore fece frutto agendo rettamente, nel mondo l'angelo (ribelle) annientava.

Genesi 41,51 - Ed il diletto primogenito fu a portarsi in giro. Il Verbo venne ad illuminare i viventi del mondo. Nel pianto si portavano per il verme dell'angelo (ribelle). La luce uscita da quel retto fu l'energia che illuminò gli apostoli. Fu da Dio ad uscire sul mare ove venivano tutti gli affaticati. Erano portati a venire retti di cuore: con forza indicava che il Padre c'è!

Genesi 41,52 - Portò il primogenito ad indicare la risurrezione ai viventi del mondo. Una seconda volta saranno riversati nei corpi dell'origine. L'ira nei corpi, che c'è nei viventi, perché entrò il soffio nei corpi dell'angelo che fu maledetto, uscirà. Sarà nei viventi a riabitare l'Unico, i corpi solleverà dalla misera esistenza in cui sono.

Genesi 41,53 - Portava da tutti del maligno l'energia ad uscire, ne bruciava dentro l'agire, rinnovati erano, uscivano i sette (spiriti cattivi), nella beatitudine rientravano. Era ad uscire da dentro la terra dei viventi l'avversario che vi sta a vivere.

Genesi 41,54 - Ma scelse il maligno in un apostolo di entrare, n'accese dentro l'agire. Ne bruciò l'energia fu ad entrargli il male dentro. Potenti abitanti di portare in croce dentro il primogenito principe parlarono (quando) era a portarsi in giro a parlare. (L'apostolo) portò il sia. L'uscita sarà quel cattivo dalla casa dove abitava quel retto ai potenti ad aprire. Del primogenito il corpo sollevarono per portarlo in croce. Lo portarono in prigione sollecitamente. Da quella azzima di corpo fu la vita ad uscire, fu ad uscire il vigore della vita.

Genesi 41,55 - Lo portarono in croce i cattivi. Da dentro la prigione il corpo issarono, tra angustie fu (prima) dai viventi bastonato. Furono grida ad uscire tra il popolo da un migliaio di cattivi entrativi dei potenti. Dai potenti incaloriti portati erano a (dire) che il primogenito i viventi guariva con il male da cui gli usciva la potenza. Pur se retto per i potenti dei viventi un avversario era. Da re si portava. Dio era a portarsi in giro parlando. L'Unico a liberarlo sarà se (lo fosse). Le teste/i capi dei potenti, che anelavano di crocifiggerlo, un'azione bruciante portarono.

Genesi 41,56 - Con un'asta gli aprirono il corpo nella sera. Aperto, fu ad uscire dall'innalzato tutto il soffio. L'energia che c'era uscì, in terra la portò. Portato fu il Verbo dalla croce alla tomba. Era stato portato un foro nel Verbo da cui originò sulla croce la sposa. Una donna nel corpo gli abitava che fuori con l'acqua portò. Fu a risorgere dentro il corpo la potente vita, rialzatosi col corpo fu dalla madre a portarsi che stava nascosta. Questa versò per generare agendo dentro tra gli abitanti della terra. Di viventi alzerà un corpo di cui sarà la madre.

Genesi 41,57 - Portò la rettitudine del Potente nel mondo. Per il primogenito un popolo/corpo alzò. Dentro per iniziarli li portava nell'acqua. Rialzatisi, nel corpo erano della madre entrati. La potenza del Risorto dentro quel popolo la divinità era a portare. In giro, con la parola retta, fu nelle assemblee innocenti a partorire. La sentivano gli abitanti che dentro per la sposa entravano dalla terra.

UN TESTO MESSIANICO
Spero che il lettore esamini con attenzione quei versetti decriptati; contengono, infatti, tanta teologia sulla figura del Messia.
Il succo che se ne ricava è che la sua venuta è necessaria per passare all'umanità la forza per soffiare la cenere depositatasi sulla divinità d'origine, forza che gli farà vincere l'istinto bestiale inseritosi proditoriamente nella vita dell'uomo all'inizio dei tempi procurando la malattia e la morte.
Lo sviluppo del discorso nel contempo è essenziale e articolato.
Il demonio scese nel mondo e condizionò così la vita dell'uomo.
Nel mondo attuale ove ancora ha potere il demonio con tutte le sue tentazioni la santita non si eredita.
È stata questa persa da Adamo ed abbiamo così come una malattia genetica.
Per ripristinare il disegno originario ed espellere il demonio si portò Dio da una prescelta con la forza per consumare l'energia nemica.
La emetterà e risorgeranno gli uomini morti o vivi, il nemico in loro sarà distrutto, cambieranno natura.
Li guiderà fuori dal mondo, retti e il suo corpo sarà il veicolo "la merkabah", poi si vedrà che era Lui, il Crocifisso, Dio che s'era portato nel mondo.
Ciò si sviluppa nei primi 16 versetti anche se l'immagine della "merkabah" si troverà poi nel 43°.
Dal 17° si inizia così a parlare della sua morte in croce.
Dal suo corpo uscirà la forza per la conversione.
Un primo uomo si risveglierà dalla morte.
Questa è la vittoria sulla morte!
In un uomo, un vero uomo, finalmente nel suo DNA si è risvegliato il gene originario di figlio di Dio che non può rimanere vincolato nella morte e l'essenza che impediva la rinascita era la perdita della rettitudine.

Scrive il santo vescovo Ambrogio nel libro Sulla morte del fratello Satiro:
"La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare. A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio, infatti, non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisce quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio. L'anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne. Arrivarvi è proprio dei santi."
Quindi morte come rimedio di misericordia per evitare un danno eterno.

Nel versetto 20 si trova: Si portava per la conversione in azione nel mondo.
C'è su questo un discorso illuminato di San Fulgenzio di Ruspe (462-527 d.C.) vescovo della conversione nel Trattato "La remissione":

"In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati." (1Corinzi 15,52). Quando dice noi Paolo mostra che con lui conquisteranno il dono della futura trasformazione coloro che insieme a lui e ai suoi compagni vivono nella comunione ecclesiale e nella vita santa. Spiega poi la qualità di tale trasformazione dicendo: "È necessario, infatti, che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità" (1Corinzi 15,53). In costoro allora seguirà la trasformazione dovuta come giusta ricompensa a una precedente rigenerazione compiuta con atto spontaneo e generoso del fedele. Perciò si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene. La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L'ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna. Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l'eternità. La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell'Apocalisse è detto: "Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte." (Apocalisse 20,6) Nel medesimo libro si dice anche: "Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte." (Apocalisse 2,11) Dunque, come la prima risurrezione consiste nella conversione del cuore, così la seconda morte sta nel supplizio eterno. Pertanto chi non vuol esser condannato con la punizione eterna della seconda morte s'affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno, infatti, durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria."

Questi discorsi sono insiti nel decriptato e vengono portati avanti dalla missione degli apostoli e della Chiesa con il loro annuncio portano all'illuminazione e alla conversione e danno luogo alla prima risurrezione di cui parla Fulgenzio.
E questa capace di portare alla giustificazione, cioè a rendere giusti coloro che ascoltano e mettono in pratica attendendo la resurrezione e la glorificazione finale.
I versetti 25, 26 e 27 ci dicono della funzione della Chiesa nel mondo che annuncia il suo ritorno che in verità avverrà nella gloria, versetto 28.
Proseguono considerazione sul Messia e sulla sua azione purificatrice.
Il testo del decriptato poi si riempie di fatti divenendo un vero e proprio proto vangelo che si sviluppa nei versetti:
  • 44 - Annuncio dell'incarnazione a Giuseppe;
  • 45 - Giuseppe accoglie la sposa incinta, ma un potente vuole uccidere i primogeniti;
  • 46 - un angelo li manda in Egitto;
  • 47 - alla morte di quel re fa tornare la Santa Famiglia;
  • 48 - Gesù vive tranquillamente in casa;
  • 49 - morte di Giuseppe;
  • 50 - Gesù vive con la madre. Gesù è stato iniziato da Giuseppe allo scrutare le Scritture.
  • 51 - Giuseppe fu portato dal Potente per nascere una seconda volta.
  • 52 e 53 - Gesù inizia la vita pubblica.
  • 54 - Un apostolo viene invaso dal maligno, lo tradirà.
  • 55 - In croce con accuse precise e calzanti con i Vangeli: "Genesi 41,55 - Lo portarono in croce i cattivi. Da dentro la prigione il corpo issarono, tra angustie fu (prima) dai viventi bastonato. Furono grida ad uscire tra il popolo da un migliaio di cattivi entrativi dei potenti. Dai potenti incaloriti portati erano a (dire) che il primogenito i viventi guariva con il male da cui gli usciva la potenza. Pur se retto per i potenti dei viventi un avversario era. Da re si portava. Dio era a portarsi in giro parlando. L'Unico a liberarlo sarà se (lo fosse). Le teste/i capi dei potenti, che anelavano di crocifiggerlo, un'azione bruciante portarono."
  • 56 - ucciso, nella sera gli aprirono il costato... ne uscì la sposa con l'acqua.
  • 57 - La sposa porterà la rettitudine nel mondo, che è forza per risorgere.
Questa sposa porta i figli che ha grazie allo Spirito Santo ad ereditare la santità.

a.contipuorger@gmail.com

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