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RACCONTI A SFONDO BIBLICO...

 
GLI ANIMALI, CANTICO PEREQ SHIRAH
E IL PECCATO D'ADAMO

di Alessandro Conti Puorger
 

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L'ARABA FENICE E LA MORTE DEGLI ANIMALI
Prima di proseguire il discorso sugli animali apro la parentesi su un animale fantastico e mitologico, la famosa Araba Fenice entrata nel gergo usuale per indicare un'utopia o una promessa che sembra non vera, comunque lontana e forse non avverabile come sottolinea il Metastasio (Demetrio, atto II, scena III): "Come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa."
Fenice è dal greco "phoinix" e dal latino "phoenice", cioè della Fenicia, che vuol dire "rosso" o "fuoco" per la leggenda della sua rinascita da fiamme purificatrici.
Era l'araba Fenice un uccello, pare un airone con piume d'oro con bagliori di fiamma che si racconta apparisse ogni 500 anni o 1000 anni.
In sintesi il mito dice che la Fenice, tornata, costruiva un nido su un albero utilizzando spezie come cannella, mirto, sandalo, incenso, intonava un canto e si lasciava incendiare dai raggi del sole, indi moriva inondando la zona del profumo delle spezie che bruciavano, ma dalla cenere emergeva un uovo da cui rinasceva l'araba fenice nell'arco di tre giorni che poi fuggiva.
La prima menzione della Fenice si trova in Esiodo VII-VIII secolo a.C., Erodoto nel secondo libro delle sue Storie dedicato all'Egitto fornisce una versione del mito e Ovidio nelle Metamorfosi (XV,392) la ricorda: "Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce: gli Assiri lo chiamano fenice; non vive di frutti né di erbe, ma di lacrime d'incenso e di succo di cardamomo."
Nell'antica Roma la Fenice fu simbolo su monete e mosaici dell'energia vitale dell'impero che riusciva a rinnovarsi.
Il regno dei 1000 anni di cui parla l'Apocalisse sarebbe allegoria del periodo tra la prima risurrezione di Gesù il Cristo e il ritorno del Risorto alla fine dei tempi.
I Padri della Chiesa la usavano come allegoria in riferimento all'anima immortale ed alla risurrezione di Gesù tre giorni dopo la morte.
Nella Divina Commedia (Inferno XXIV, 107-111) Dante Alighieri così la descrive:

che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
erba né biada in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lacrima e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce."

La leggenda di questo uccello, invero, viene da mito egizio di Eliopoli, città del Basso Egitto, detta "Iunu" ove si era affermato e propagato il culto solare.
Là il re Akhenaton costruì ad Aton il tempio Wetjes Aten - elevazione del disco solare deificato, circa 100-150 anni prima dell'Esodo degli Israeliti dall'Egitto.
La città di Achenaton, che per il suo monoteismo fu definito eretico dai sacerdoti Egizi di Ammon di Karnak, in effetti, era Amarna.
Aton, il dio sole unico dio, Ra nella sua forma diurna, Osiride dio dell'oltretomba nella notturna e Horus, suo figlio da Iside, si incarnava nel faraone regnante.
Eliopoli era considerata l'ombellico e pilastro del mondo, il luogo sacro ove si manifestava l'energia di Ra, del dio sole che sorge e tramonta.
Il Bennu, era un uccello sacro - poi identificato dai greci con la Fenice - che rappresentava il Ba = l'anima del dio Ra il sole.
Era l'immagine della prima forma di vita che emerse dal caos sulla primigenia collina, ancora prima che sorgesse il primo sole, vita personificatasi poi nell'immagine del dio sole, rappresentata dall'Airone.
Questi, infatti, si posa sulle rocce affioranti al calare delle inondazioni del Nilo che con l'apparire pare portare l'annuncio di un periodo di fertilità e quindi di ricchezza, simbolo del rinnovamento spirituale e di rinascita.
L'uccello Fenice sorse per la prima volta dalle fiamme di un albero sacro, il sacro fuoco di Heliopolis, primo segno di forza vitale, che è la prima essenza sorta su una collina nel caos originale.
La prima forma creata, unica e insostituibile, sempre uguale a se stessa.
L'uccello bruciò al primo sole e il canto era meraviglioso sì che il dio Ra fermò, e ferma, ogni volta che lo sente, la barca solare per ascoltare.
La città di Achenaton, invero fu Amarna il cui geroglifico è "Lo splendore di Aton" che si dice scelse perché il sole sorgeva tra due colline come nel mito di Aton che emerse dal caos primigenio da una collina che usciva dalle acque.

il geroglifico raffigurante il Bennu era usato per rappresentare il dio sole, Osiride che risorgeva.



La lettera B è un piede, indica posto luogo e N è energia, c'è poi un triangolo, la punta di un obelisco o la collina primordiale emersa dalle acque, quindi "luogo dell'energia ripetuto due volte, ossia che riappare, dalla sommità".
È il luogo ove appare l'energia" e vi si immaginava appollaiato l'Airone.
L'energia era rappresentata dalla piena del Nilo; gli avvisatori della piena dicevano: "È arrivato Bannu".
I 500 o i 1000 anni sarebbero legati al giubileo regale.
Essendo annunciatore e spettatore della prima nascita assoluta del sole presiede alla risurrezione e s'associava alla prima stella che si vede uscire dalla notte, Venere, la stella del mattino.
L'anima del defunto faraone che partecipava all'anima di Ra si pensava essere il Bannu e sui testi funerari si trova che dice: "Sono Bennu, anima di Ra, guida degli Dei del Duat. Che possa entrare come un falco, che possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino".

Nel libro di Giobbe, che per l'ipotesi più condivisa ha il nucleo poetico dell'XI-X secolo a.C. e la definitiva redazione con prologo ed epilogo in prosa della metà del VI secolo a.C. è menzionata la stella del mattino: "Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino o puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli?" (Giobbe 38,32)
L'idea della stella del mattino è passata nel Nuovo Testamento per indicare allegoricamente la risurrezione e il Risorto: "...della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori." (2Pietro 1,19)
Alla Chiesa di Tiatira "...con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio e darò a lui la stella del mattino." (Apocalisse 2,28)

Nell'immaginario ebraico, nel suo folklore e comunque tra i suoi midrash, che hanno sempre un contenuto di ricerca nel campo biblico, il mito della Fenice è stato incorporato e filtrato inserendolo, com'è "logico", nel quadro del racconto allegorico dei primi capitoli del libro della Genesi.
La fenice è chiamata Milcham e secondo il pensiero Egizio, e riapparirebbe ogni 1000 anni.
Mikhah Yosef Bin-Gorion (alias di Micha Josef Berdyczewski 1865/1921 di famiglia legata al fondatore del Chassidismo dedicò gli ultimi anni della sua vita ad una ricerca di leggende e racconti folk ebraici) riporta un midrash su tale mito. (J. Bin Gorion 1980 - Bibl. 24)
Il racconto che presenta è il seguente: "Allorché la madre primordiale, Eva, si rese colpevole di aver colto il frutto dell'albero della Conoscenza, fu presa da invidia per le creature rimaste pure, così da spingerle a cibarsi del frutto proibito. Solo l'uccello Milcham resisté alla tentazione ricevendo come ricompensa dall'Angelo della Morte di non provare mai l'esperienza del morire. Milcham allora si chiuse in una città sicura dove visse per un millennio senza timore della morte: "Mille anni è lunga la sua vita e quando questi sono passati, il nido prende fuoco e l'uccello brucia. Si salva un solo uovo, che diventa un pulcino che poi vivrà ancora per mille anni. Altri affermano che passato questo periodo, il suo corpo avvizzisce, perde le penne e le ali. Poi rinnova completamente le sue piume e vola verso l'alto come un'aquila, divenendo immortale".

Quel raccontino istruttivo in forma di parabola cerca di rispondere alle domande: come mai ora gli animali muoiono, non mangiano solo erba e si uccidono tra di loro?
La risposta di quel midrash segue la logica dei racconti della creazione del libro della Genesi, onde il morire non era ancora stato inaugurato, gli uomini mangiavano semi e frutti, non era lecito uccidere animali e nessuno di questi era ancora carnivoro perché mangiavano solo erba verde.
La risposta del midrash è: tutto ciò avviene per il peccato dell'uomo.

Il profeta Isaia nel profilare l'avvento dei tempi del Messia rievoca la situazione privilegiata e in pace dello stato di vita nel primitivo giardino terrestre:

"Il lupo dimorerà insieme con l'agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l'orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi." (Isaia 11,6-8)

In effetti, usciti dal paradiso il suolo non forniva più tutto ciò che occorreva spontaneamente e l'uomo fece di necessità virtù.
Segnala, infatti, il libro della Genesi che nella generazione di Caino ci fu un certo Lamech che si gloriava di "aver ucciso un uomo per una scalfittura ed un ragazzo per un livido" (Genesi 4,23) e un figlio di questi, Iabal "fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame" (Genesi 4,20) di certo per allevarlo, quindi, per mangiarne la carne.
Se il padre Lamech si comportava in quel modo con gli uomini, il testo lascia all'immaginazione di come, poteva agiva il figlio Iabal con gli animali.
Dopo il Diluvio, dalla generazione di Cam, il figlio "impertinente", è citata la figura di Nimrod-cacciatore re di Babele (Genesi 10,6-10).
Se si prende in modo radicale logica il discorso della Genesi anche gli animali dovettero operare secondo l'stinto di sopravvivenza per la situazione di precarietà ambientale causata in definitiva dall'uomo, e quindi in cascata anche, se senza colpa, dovettero uccidere.
Ii midrash di Milcham tira le somme e conclude che fu Eva a passare il frutto dell'albero della conoscenza agli animali, per questo muoiono.

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