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RICERCHE DI VERITÀ...

 
FEDE, SPERANZA E CARITÀ
VIRTÙ CRISTIANE

di Alessandro Conti Puorger
 

LE VIRTÙ E IL MALE
Virtù, dal latino "virtus", che significa letteralmente "virilità", da "vir" "uomo", è secondo una definizione stereotipata, la disposizione volta al bene, la capacità d'eccellere e di compiere atti in modo ottimale, cioè un'attitudine che fa tendere l'uomo verso i propri limiti fino a cercare di superarli.
Riguardava evidentemente le doti comportamentali dell'uomo virile, in particolare le doti guerresche quali l'eroismo ed il coraggio.
Da ciò s'è passati anche a valori etici per l'uomo e per la donna.
Appena però si parla di virtù, come contro altare, inevitabilmente, spunta il concetto di vizio e si entra nello schematismo di bene e male.
Bene è ciò che pare desiderabile.
Se si va al top, il bene è il fine ultimo, il target che l'individuo si pone di raggiungere nella propria esistenza e male è ciò che non lo è o che è ritenuto il personale disastro esistenziale.
Come si può facilmente comprendere ciascun individuo può avere sul bene per sé una propria personalissima idea, e ciò nell'immaginario umano ha portato a consolidare il pensiero di un certo relativismo sui concetti di bene e di male.
Bene e male perciò tendono a risultare la decisione comportamentale o sentita dalla maggioranza delle persone di un gruppo, di un area geografica, di un popolo e così via.
È perciò una pia illusione pensare che a breve tutta l'umanità possa avere un'idea univoca sul bene e sul male a meno che avvenga un evento eccezionale che spieghi, coi fatti, proprio a tutti, tante cose.
Bene e male rasentano il relativismo di posizione dei concetti di amico e di nemico; infatti, il martire di una resistenza, del risorgimento, di una rivoluzione, di una guerra civile o di moti popolari, ucciso dal nemico è un eroe, ma per il nemico è un rivoluzionario, un assassino o un terrorista.
Bene e male paiono evolversi nei tempi, con la diversità dei luoghi e delle culture.
Si potrebbero fare tanti esempi sulla mutabilità del sentire di quei concetti per quanto riguarda, ad esempio. i comportamenti sessuali, la pena di morte, il come rapportarsi con gli animali, ecc..
Una discriminante sulla questione si può pensare di trovarla nell'ammettere l'esistenza di un Dio unico creatore e ordinatore del tutto con cui raffrontare i concetti personali di bene o male, ma anche ciò per le religioni abramitiche non pare concretizzarsi, perché su certi temi queste hanno comportamenti non omogenei.
Al riguardo propongo solo alcuni aspetti più eclatanti:
  • lapidare una adultera era bene per l'ebraismo, lo è ancora per certi paesi islamici, ove il lapidato è considerato un demone, ma non è ammesso dal cristianesimo che in altri tempi invece purtroppo attuava il rogo per streghe e fattucchiere, considerate indemoniate;
  • il divorzio è ammesso nell'ebraismo e nell'islam, ma non lo è nel cristianesimo;
  • la poligamia già ammessa nell'ebraismo, continua ad esserlo nell'islamismo, ma non è ammessa nel cristianesimo.
C'è poi la problematica di fondo, come mai il male nel mondo?
Sul "misteryum iniquitatis" l'uomo s'interroga dalla notte dei tempi.
In estrema sintesi, perché gli uomini non nascono tutti uguali?
La mentalità comune s'inceppa davanti alle catastrofi naturali, come conciliarle, infatti, con l'idea di un Dio buono, creatore e ordinatore della materia?
Ancora di più se ci si pensa è come conciliarlo col problema della morte?
La risposta del fedele è che esiste una vita eterna e che questa vita è un passaggio, inoltre i fenomeni naturali potrebbero essere dominati dal Signore che cammina sulle acque "della morte" ed è capace anche di sedare, se lo volesse, i fenomeni naturali, come ci dicono i Vangeli ad esempio con l'episodio della tempesta sedata.
Solo che la natura segue legge intrinseche naturali che sono perfette in sé e che provocano un continuo divenire della materia.
La materia poi non va considerata come un male, è solo un decadimento progressivo, per l'entropia crescente dell'energia primigenia.
Una specie di scoria, la fine di un processo.
Se l'origine è buona la materia e le sue leggi solo il primo gradino visibile e captabile per arrivare a energie più alte e anche trascendenti.
Pur messa così resta, però, la problematica della presenza di persone piene d'accidenti, accidenti, peraltro, che paiono non cadere a pioggia, il che all'ateo o all'uomo comune in crisi di fede, pare in contrasto con l'attributo di giusto che viene dato a Dio.
Alcune persone, ricche, sane e pieni di talenti, sembrano più dotate e più beneficate di altri che, invece, oggettivamente sono povere, malate e pieni di sventura.
La questione apparve presto anche nell'ebraismo e questo propose al fedele l'attenzione sulle vicende del libro di Giobbe, inserito nella Bibbia canonica, libro che è un dramma a modo di ricerca, midrash, con un racconto immaginario su tale problematica.
Giobbe, probabilmente personaggio di fantasia, vissuto per la tradizione ebraica ai tempi di Mosè, non è un ebreo, ma pur tuttavia è un giusto.
È questi pieno di fortuna e di felicità, però interviene satana, l'accusatore che, in un racconto tipo favola, sobilla Dio e vuole dimostrargli che Giobbe è un giusto interessato, perché secondo satana stesso si comporta da giusto in quanto crede che da ciò gli venga fortuna materiale con la salute fisica.
Chiede, perciò, il consenso di provare Giobbe e di poterlo toccare prima nei beni e poi vista la risposta di fede di Giobbe ottiene anche di provarlo nella salute, per far vedere che, in effetti, era un falso.
Dio acconsente, anche la seconda volta, ma Giobbe continua a comportarsi da giusto e s'interroga.
Il racconto su Giobbe si svolge come un dramma teatrale in cui tre amici lo vanno a trovare e con i colloqui si tenta di rispondere alla domanda del perché il male e perché colpisca sia i giusti che gli ingiusti, come il sole e la pioggia che colpiscono tutti.
Per molti, infatti, permane un dubbio d'incompatibilità del male nel mondo con un Dio misericordioso.
I sapienti d'Israele, però, proposero quel libro tra i testi canonici delle Sacre Scritture, non preoccupati che venisse minata la base dell'idea di Dio misericordioso per loro fondamentale, tanto che "eterna è la Sua misericordia" è citato 33 volte nella Bibbia ebraica.

Il problema sta proprio che la Sua misericordia, è proprio da ricordarsi che è eterna, cioè si comprende solo con un metro non legato al tempo, ma all'eternità.

Quello di satana e Dio è un midrash, cioè una ricerca per spiegarsi qualcosa.
Tra l'alto quel libro è in versi, ma all'inizio e alla fine ha racconti in prosa su satana e sulla reintegrazione nella fortuna, come se il libro fosse stato steso in due tempi a da mani diverse.
La vera conclusione, di fatto, è nei capitoli precedenti all'ultimo quando Dio direttamente parla con Giobbe che ammutolisce.
Giobbe resta soddisfatto, eppure Dio non gli spiega nulla sul male, ma Giobbe entra nella dimensione della fede, cioè d'abbandono fiducioso, ed è così certo che con Dio, che c'è e che tutto può, non c'è problema del male, perché tutto verrà sanato e ripagato da Dio stesso.
Dio ovviamente è imperscrutabile, ma è palese che, appunto, perché c'è, tutto finirà bene.
Ora c'è vita e prima non c'era, noi e l'universo e siamo organismi in sviluppo.
Il male vincerà il bene alla fine del processo evolutivo.

L'interrogativo del male ha interrogato filosofi di tutti i tempi.
Sant'Agostino aveva più o meno così concluso, esistono tre tipi di male:
  • male ontologico - l'essere ed il bene sono proporzionali; quindi tanto più perfetto è ontologicamente un ente, tanto "più bene" si troverà in esso: ora, per quanto perfetto sia un ente, in quanto creato non potrà mai coincidere con "il" bene, perché sarà comunque ontologicamente più povero del Creatore e il male sarebbe un "privatio boni", privazione di bene;
  • male morale - il peccato - anche questo non dipende da Dio in quanto è una conseguenza della libertà di scelta;
  • male fisico - il dolore e la morte - anche di questo Dio non è responsabile in quanto non è null'altro che la conseguenza del peccato.
Boezio, filosofo cristiano del VI secolo, precursore della Scolastica, in "De consolatione philosophiae" propone "Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum? - Se Dio c'è da dove viene il male? E se non c'è da dove il bene?"
Sul bene e sul male praticamente ogni filosofo ha indagato.
Inattesa è la conclusione del ritenuto ateo, Friedrich Nietzsche che aveva scritto "Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!" ("La Gaia Scienza", Frammento 125) che conclude "Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male." ("Al di là del bene e del male", 1886)
Ammette che ci sia l'amore, eppure l'amore vero è un bene e se Dio non c'è da dove viene?

In sintesi, ciò che viene dalle leggi naturali è per necessità in evoluzione, tanto che c'è stato un big bang, un tempo che non c'era vita, ma c'era solo Dio per chi vi crede e non c'era il male almeno in questo universo.
In definitiva non c'è lotta tra Dio e il male, perché in Lui è solo il bene, Dio nel creare per amore, tira fuori dalla non esistenza, che è il male, le esistenze alla vita che è un processo che va oltre il nostro modo normale di pensare e costatare, il male è il negativo dell'esistenza mentre questa si afferma, ma il bene vincerà il male e l'uomo è eterno.
Albert Einstein, fanciullo, da buon ebreo disse a un professore: "l male non esiste, signore, o almeno non esiste in quanto tale. Il male è semplicemente l'assenza di Dio. È proprio come l'oscurità o il freddo, è una parola che l'uomo ha creato per descrivere l'assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che succede quando l'uomo non ha l'amore di Dio presente nel proprio cuore. È come il freddo che si manifesta quando non c'è calore o l'oscurità che arriva quando non c'è luce".
Infatti, se Dio non c'è esiste solo un insieme di materia ed energia in sviluppo e decadimento ordinato da leggi naturali, ma non etiche.
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