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RICERCHE DI VERITÀ...

 
FEDE, SPERANZA E CARITÀ
VIRTÙ CRISTIANE

di Alessandro Conti Puorger
 

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FEDE, SPERANZA E CARITÀ NEL NUOVO TESTAMENTO
Prima di passare a vedere come nel Nuovo Testamento queste virtù sono trattate, è da fare un'osservazione generale.
Queste virtù non vengono ciascuna da sola, ma vengono tutte e tre o non viene nessuna, e non arrivano nemmeno in tempi diversi, ma spuntano e crescono assieme, vale a dire se viene una vengono anche le altre e crescono armoniosamente.
Non si può avere speranza senza fede o speranza senza carità, o carità non avendo fede o speranza, e non si può definire che uno ha fede se non ha anche le altre due.

Tutto inizia col timore del Signore (vedi: "Sul timore del Signore") l'atteggiamento secondo cui il fedele vive costantemente considerandosi sotto lo sguardo del Signore.
Il rapporto col Signore all'inizio può partire anche in modo superstizioso con un senso generico di paura o con un sentire "religioso" in cui predomina il sentimento di timore, nel senso comune di tale parola, vira nel rispetto, ma poi, quando viene la fede, il fedele, appunto, si preoccupa di piacere più a Lui che agli uomini.
Dio è quindi funziona ancora da giudice delle azioni di quel uomo, ma non come un funzionario per coglierlo in errore, ma come un padre che desidera il vero bene del figlio.
Il timore di Dio è quindi l'atteggiamento del figlio che vuole corrispondere all'amore del padre, piuttosto che quello del suddito che non vuole essere colto a trasgredire la legge.
Direi che poi che "il timore di Dio" passa ad amore completo senza interesse, il cui unico timore è che venga a rompersi una relazione di amore, piuttosto che la punizione per non aver obbedito a certe prescrizioni.
Nel Nuovo Testamento il timore di Dio spesso è proprio messo in relazione con la fede.
A tale riguardo basta evidenziale quando Gesù seda la tempesta: "Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che moriamo?". Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati! Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?" (Marco 4,37-41).
Questo episodio chiarisce proprio come dalla paura, si passa al timore di Dio, e che questi è una lettura che non si addice al fedele, come sottolinea Gesù con quel "non avete ancora fede?"

Avere, peraltro, un briciolo di fede è già un salto nel trascendente, una irruzione del Regno dei Cieli in terra, il passare in un altro piano.
Gesù, infatti, elogia chi ha fede:

  • del Centurione (Matteo 8,5-13 e Luca 7,1-10);
  • del paralitico portato a Gesù (Marco 2,1-10; Matteo 9,1-8; Luca 5,17-26)
  • dell'emorroissa (Matteo 9,20-21, Marco 5,25-30, Luca 8,43-50);
  • della donna Siro-Fenicia (Matteo 15,21-28 e Marco 7,24-30);
Rimprovera però gli apostoli per la loro "poca fede" negli episodi:
  • della tempesta sedata (Matteo 8,23-27 e paralleli Marco 4,35-41 e Luca .8,22-25)
  • del ragazzo indemoniato (Marco 9,14-29; Matteo 17,14-20; Luca 9,37-43)
Riallacciandomi all'ultima considerazione, cito subito l'episodio ove: "Gli apostoli dissero al Signore: Aumenta la nostra fede! Il Signore rispose: Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe." (Luca 17,5s)
Con "Aumenta la nostra fede!" si ingannavano, perché davano per scontato già di averla, ma quella che avevano era solo curiosità e timore riverenziale, tanto che quando furono scandalizzati dalla croce di Gesù tutti lo tradirono.
Gesù non perde allora l'occasione per sottolineare che la fede c'è o non c'è, non è qualcosa che ci si dà da soli è qualcosa che trascende le cose di questo mondo tanto è che la fede ha poteri enormi.
Già poca, può spostare le montagne come propone il parallelo in Matteo: "In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile." (Matteo 17,20)
Lo dice, peraltro, ai discepoli che non erano riusciti a scacciare i demoni per la loro poca fede: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? Ed egli rispose: Per la vostra poca fede oligo pistis..." (Matteo 17,19s)
In greco usa "poca fede" "oligo pistis" oligo pistis, ma il latino molto più pragmatico arriva al sodo, "Propter incredulitatem vestra", cioè proprio per la vostra incredulità; non avevano ancora la fede, non era ancora sceso lo Spirito Santo "Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato." (Giovanni 7,39)
Gesù poi avvisa gli apostoli: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce..." (Giovanni 14,16s)
Peraltro l'episodio di Pietro e il centurione Cornelio (Atti 10) ci fa comprendere che lo Spirito Santo scende come vuole anche senza essere stati battezzati, cioè è un dono personale nato da una richiesta intima accettata da Dio, perché ha visto la purezza di intenti.
Quando Gesù trova in qualcuno la fede è come riconoscesse che ha un salvacondotto, un passaporto per venire beneficato.
Si sentono risuonare da Lui le parole: "la tua fede ti ha salvato".
Questa la troviamo ripetuta tre volte:
  • in Marco 10,52 e in Luca 18,42 per il cieco di Gerico;
  • in Luca 17,19 per un lebbroso samaritano guarito.
La guarigione viene per opera della parola del Signore che dice le frasi rituali "Figlia, la tua fede ti ha salvata" (Matteo 5,34) "Lo voglio, sii sanato" (Matteo 8,3) "Lo voglio, guarisci!" (Marco 1,41) "Lo voglio, sii risanato!" (Luca 5,13) , "la tua fede ti ha guarita" (Matteo 9,22), "Va', la tua fede ti ha salvato" (Marco 10,52), "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!" (Luca 7,50), "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!" (Luca 17,19), "La tua fede ti ha salvato" (Luca 18,42), ma assieme alla guarigione c'è l'attestazione che la fede porta la salute al corpo e all'anima con la salvezza.

Il nostro padre nella fede è Abramo, il primo che fece un cammino con Dio e sentendosi portato in una esperienza nuova, avendo provato la sua amicizia, era certo che le promesse che aveva avuto si sarebbero attuate aldilà di ogni contingenza sfavorevole: "Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia." (Romani 4,18-21)

Celebre è il capitolo 11 della lettera agli Ebrei, versetti iniziali, in cui si trova la definizione: "La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" vale a dire di quelle che non si vedono ancora.
Poi quel capitolo inizia a misurare col metro della fede tutti gli avvenimenti della storia della salvezza: "Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza" e giù via enumera i fatti dalla creazione e della storia d'Israele tutti motivati da fede.
Altro fatto notevole è appunto che la fede non è una condizione statica di guardare a delle verità ed accettarle "Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta". (Giacomo 2,20)
L'esempio col corpo è calzante.
In uno stesso corpo vi può essere lo spirito di Dio, ma anche lo spirito del mentitore.
La conoscenza di Dio e i principi della fede il demonio, satana, il maligno, sicuramente ce li ha interi, ma ciò non basta per operare bene.
Dice, infatti, la lettera di Giacomo al versetto 19 prima di quella citazione: "Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano!"
Ancora una volta tremare è timore senza fede!
La fede è virtù efficace in un corpo di una persona che è apprezzata non solo per come parla - come proclama la fede stessa e come catechizza - ma perché quella fede fa compiere effettivamente in qualche misura alla persona il discorso della montagna in Matteo 5-7, altrimenti la fede è falsa, come dice Gesù stesso: "Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere. Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità." (Matteo 7,20-23)
Occorre essere seguaci in tutto del Signore e procedere, un "...corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio..." (Ebrei 12,1s)
Per concludere, quindi la fede e un correre dietro a Gesù che ci apre la strada!
Un caratteristica dei personaggi che nei Vangeli vengono elogiati da Gesù per la loro fede è che hanno una caratteristica comune, si muovono o vengono indotti a muoversi verso Gesù, nessuno resta fermo, non aspetta passivamente la grazia.

A questo punto appare la speranza che va intesa come un'attesa.
Ce lo suggerisce Gesù stesso nel discorso della montagna: "Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla" (Matteo 6,35) cioè senza aspettarvi nulla in cambio.
Quindi si corre dietro Cristo sperando con perseveranza, cioè attendendo un compimento di qualcosa, un evento risolutore che comunque avverrà.
Di ciò parla la lettera di San Paolo apostolo ai Romani: "Sappiamo bene, infatti, che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza." (Romani 8,22-25)

Chi vede non ha bisogno di speranza e, San Paolo sta dicendo, noi apostoli di Cristo abbiamo visto Cristo Risorto, perciò essendo testimoni oculari "...crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione." (Romani 4,24s)
Sappiamo bene che quella non è speranza nel senso comune, umano della parola, ma la redenzione del nostro corpo di fatto è un'attesa, cioè una virtù provata da una premessa certa che ha avuto un anticipazione, perché: "per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo... abbiamo ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio". (Romani 5,1s)
La gloria di Dio è la risurrezione, quando si parla di glorificare si parla di ciò, infatti, Gesù stesso:
  • "Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato." (Giovanni 7,39) cioè non era ancora stato risorto.
  • prima della risurrezione di Lazzaro, risurrezione che sarebbe stata solo un'ombra della resurrezione finale dice a Marta: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? Tolsero dunque la pietra." (Giovanni 11,40)
  • nel capitolo successivo prega dicendo: "Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!" (Giovanni 12,28), l'ho glorificato col risorgere Lazzaro e lo glorificherò risorgendo lui stesso.
Non v'è dubbio che la speranza, che Paolo chiama beata, è la risurrezione dei morti che s'attuerà al ritorno nella gloria di Gesù Cristo, com'è evidente da questi versetti:
  • "...con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti." (Filippesi 3,11)
  • "...nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo." (Tito 2,13)
Questa però non è soltanto la speranza o attesa dei cristiani, ma è la stessa attesa di tutto Israele.
Paolo, infatti, davanti a magistrati e potenti propose sempre la stessa questione, era sotto processo la " speranza d'Israele", vale a dire la venuta del Messia e della risurrezione.
  • "Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti. Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise." (Atti 23,6s)
  • Paolo davanti al governatore: "Ammetto invece che adoro il Dio dei miei padri, secondo quella dottrina che essi chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti, nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti." (Atti 24,14s)
  • "Paolo davanti ad Agrippa: "Ed ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato dai Giudei! Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti?" (Atti 26,6-8)
  • Paolo ai giudei più in vista di Roma: "Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena". (Atti 28,17-20)
Le verità di fede dell'ebraismo sono schematizzabili:
  • In un solo Dio Creatore e Signore dell'universo, che affida all'uomo il mondo, perché sia felice nella comunione con Lui.
  • Nel perdono di Dio, che toglie il peccato fonte e origine di ogni male.
  • Nell'Alleanza di Dio con il suo popolo.
  • In tutto ciò che è scritto nella Legge o "Torah".
  • In un futuro messianico ove regneranno pace, giustizia e ogni bene.
Una sintesi della dottrina ebraica è contenuta nella professione di fede elaborata dal filosofo ebreo Maimonide (1135-1204).
Per i punti che ci interessano dice:
  • Io credo con fede completa che il Creatore conosce tutte le opere dell'uomo e tutti i suoi pensieri.
  • Io credo con fede completa che il Creatore ricompenserà coloro che seguono i suoi precetti e punirà coloro che li trasgrediscono.
  • Io credo con fede completa nella venuta del Messia e per quanto egli ritardi, io l'attenderò ogni giorno.
  • Io credo con fede completa che vi sarà la resurrezione dei morti quando piacerà al Signore.
In estrema sintesi è la speranza della vita eterna come si trova due volte nella lettera di San Paolo a Tito 1,1 e 3,7.
Questa speranza incide efficacemente nella vita di tutti i giorni "Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro." (1Giovanni 3,3)
Nel cammino in cui ci si sente trasportati che porta alla fede ed alla speranza.
È questo in effetti proprio un cammino col maestro, perché s'impara da Lui e si prende sempre più atto della sua misericordia in quanto ci si vede cadere continuamente.
Di fatto è una scuola itinerante in cui l'intento di chi porta è far assomigliare sempre più il discepolo al maestro che disse: "Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro." (Luca 6,35)

Nella "Lettera a Diogneto" che appartiene agli scritti dei "Padri apostolici", breve testo in greco, un ignoto cristiano della prima metà del II secolo si rivolge a un amico per spiegare e difendere la nuova fede cristiana, sulla carità dice quanto in appresso.

"Se anche tu desideri questa fede, per prima otterrai la conoscenza del Padre. Dio, infatti, ha amato gli uomini. Per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose che sono sulla terra, a loro diede la parola e la ragione, solo a loro concesse di guardarlo, lo plasmò secondo la sua immagine, per loro mandò suo figlio unigenito, loro annunziò il Regno nel cielo e lo darà a quelli che l'hanno amato. Una volta conosciutolo, hai idea di qual gioia sarai colmato? Come non amerai colui che tanto ti ha amato? Ad amarlo diventerai imitatore della sua bontà, e non ti meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio: lo può volendolo lui. Non si è felici nell'opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla Sua grandezza! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l'inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio. Allora stando sulla terra contemplerai perché Dio regna nei cieli, allora incomincerai a parlare dei misteri di Dio, allora amerai e ammirerai quelli che sono puniti per non voler rinnegare Dio. Condannerai l'inganno e l'errore del mondo quando conoscerai veramente la vita nel cielo, quando disprezzerai quella che qui pare morte e temerai la morte vera, riservata ai dannati al fuoco eterno che tormenta sino alla fine coloro che gli saranno consegnati. 8. Se conoscerai quel fuoco ammirerai e chiamerai beati quelli che sopportarono per la giustizia il fuoco."

Procedendo in questo viaggio voluto da Lui, dietro a Lui e per arrivare a Lui "Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion." (Salmo 84,8)
La crescita in contemporanea di queste virtù fa si che però fede e speranza siano il sostegno in questa terra dell'unica virtù che alla fine conterà, com'è espresso in modo mirabile al capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi.

"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!"
Vedremo Dio, perciò non servirà più né speranza né fede, ma per stare al Suo cospetto occorre che ci riconosca come figli cioè che in noi riconosca che gli siamo simili almeno un poco nella misericordia: "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è." (1Giovanni 3,2)

La prima manifestazione del Messia sulla terra ha di fatto portato ad un combattimento, perché il mondo basato su tutti altri principi è impedito, non può accogliere il messaggio di Cristo che crea divisioni anche nelle stesse famiglie oltre che nella società.
È una lotta tra due mondi che si scontrano, quello del passato, degli istinti di sopraffazione e violenza con quello del futuro dell'amore, e si genera un presente sempre più conflittuale.
Se c'è conflitto , e di fatto c'è, vuol dire che esiste una guerra reale.
Gesù di Nazaret l'aveva annunciato quando disse: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada." (Matteo 10,34)
San Paolo pare proprio parlare di ciò nella lettera agli Efesini quando propone: "La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, 15e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza (cioè la speranza) e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio." (Efesini 6,12-17)

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