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di Alessandro Conti Puorger
 

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LA SPERANZA
Speranza e sperare sono parole chiave negli sviluppi biblici, ma nella Torah, si trova solo nelle benedizioni di Giacobbe: "Io spero nella tua salvezza, Signore!", precisamente in Genesi 49,18.
"Io spero" , "qiyuty", lì è unito con salvezza cioè Gesù e col Tetragramma sacro Signore; tutto un programma!
Lo sperare, confidare ha per radicale QWH .
Un sostantivo certamente legato a tale radicale è "qaw" o o "qawah" che vuol dire fune, corda.
La corda evoca l'immagine di chi stando in basso, impotente a risalire aspetta, confida nell'aiuto di un amico, socio, collega, liberatore che, appunto, gli cali una corda per raggiungerlo, consentendogli, legandosi, di essere aiutato a salire o a risalire.
Implica così due fatti:

  • che ci sia una persona viva all'altra estremità della corda;
  • che ci sia un posto dove andare che un altro l'ha raggiunto o vi sta.
È l'attesa quindi di un evento concreto, di un fatto che deve avvenire, perché si sa che all'altro capo c'è qualcuno con una corda e che la deve calare, perché ci si possa arrampicare, perché senza di quella è impossibile arrivare lassù.
Certo che poi il pensiero si può allargare, e pensare così ad un evento che porti ad un rovesciamento della situazione.
Ciò è insito nella icona delle lettere usate: "un rovesciamento portare per uscire ."
C'è un episodio interessante nel libro di Giosue, sugli esploratori a Gerico nascostisi nella casa di Raab la prostituta prospiciente le mura: "la sua casa era addossata al muro di cinta" (Giosuè 2,15) a cui promisero salvezza assieme alla famiglia dicendo: "...quando noi entreremo nel paese, legherai questa cordicella di filo scarlatto alla finestra, per la quale ci hai fatto scendere e radunerai presso di te in casa tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e tutta la famiglia di tuo padre. Chiunque allora uscirà dalla porta di casa tua, il suo sangue ricadrà sulla sua testa e noi non ne avremo colpa; chiunque invece sarà con te in casa, il suo sangue ricada sulla nostra testa, se gli si metterà addosso una mano. Ma se tu rivelerai questo nostro affare, noi saremo liberi da ciò che ci hai fatto giurare. Essa allora rispose: Sia così secondo le vostre parole. Poi li congedò e quelli se ne andarono. Essa legò la cordicella scarlatta alla finestra." (Giosuè 2,18-21)
Quella cordicella è "tiqvat"; si trattava di vita o di morte per lei e per tutti i suoi cari, la dettero a Raab gli inviati di Giosuè, e questa tanto era importante per lei, l'espose subito alla finestra come "speranza" di salvezza sulla loro parola.
Le mura di Gerico crollarono, ma quella casa restò salva.

La parola "speranza" si trova anche nell'antico libro di Rut quando Noemi dice alle nuore vedove dei suoi figli "Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne ho speranza, e se anche avessi un marito questa notte e anche partorissi figli..." (Rut 1,12) e per speranza viene usata appunto "tiqvah".
Il verbo sperare è poi ripetuto tante volte nel libro dei Salmi.
È famoso e da ricordare il Salmo di Davide n° 40 che inizia con: "Ho sperato: ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto dalla fossa della morte, dal fango della palude; i miei piedi ha stabilito sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi." (Salmi 40,1-3)
Immagine stupenda!
Il fedele nel mondo sa di stare in un abisso in pericolo di vita, perché sarà sommerso dal fango della morte.
Invoca il Signore "Ho sperato: ho sperato nel Signore..."



che può essere tradotto "Una fune ho sperato dal Signore..."
Ha sperato che gli tiri una fune e lo salvi, confermando così la vera immagine della virtù della speranza, certezza cioè di avere una fune a disposizione, qualsiasi sia ciò che avviene nella propria vita, quindi un rifugio finale sotto le Sue ali.
Si trova di ciò un'autorevole conferma nella lettera agli Ebrei, quando parla di un porto sicuro e dice: "...è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa infatti noi abbiamo come un'ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek." (Ebrei 6,18-20)
I Vangeli sinottici, infatti, segnalano al momento della morte di Gesù "Ed ecco il velo del Tempio si squarciò in due da cima a fondo" (Matteo 21,51; Marco 15,38; Luca 23,45)

Risulta così che la virtù della speranza è un dono di Dio che pone nel cuore del credente la certezza di una fune legata ad un'ancora per arrivare nel porto sicuro ov'è arrivato lo stesso Gesù.
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