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FAMIGLIA SANTA, SORGENTE DELL'UOMO NUOVO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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MATRIMONIO PER LA TORAH
Rimando alle considerazioni del già accennato articolo "Lo sposo della coppia nel matrimonio, roveto ardente", ma prendo l'occasione per aggiungere alcune notazioni intese ad arricchire la cognizione di come l'ebraismo, approfondendo e studiando la Torah, ha operato per tentare di ripristinare quel patto, origine di felicità per l'umanità.
Purtroppo la situazione di partenza era disastrosa.
Cito solo alcuni fatti che fanno comprendere da dove si partiva.
Si mediti su: "Quando un uomo venderà la figlia come schiava, essa non se ne andrà come se ne vanno gli schiavi. Se essa non piace al padrone, che così non se la prende come concubina, la farà riscattare. Comunque egli non può venderla a gente straniera, agendo con frode verso di lei. Se egli la vuol dare come concubina al proprio figlio, si comporterà nei suoi riguardi secondo il diritto delle figlie." (Esodo 21,7-9)
La donna merce di scambio e non certo prossimo.
Addirittura il padre aveva sulla figlia diritto di vita e di morte.
Si pensi al caso di un certo Iefte, ed era un Giudice d'Israele: "Iefte fece un voto al Signore e disse: Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalla porta di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vincitore sugli Ammoniti, sarà del Signore e io l'offrirò in olocausto... Iefte tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro sua figlia... egli fece di lei quello che aveva promesso." (Giudici 11,30-39)
Se la donna aveva fratelli maschi, non ereditava:"Quando uno sarà morto senza lasciare un figlio maschio, farete passare la sua eredità alla figlia." (Numeri 27,8)
Salvo casi illuminati la figlia non aveva possibilità di scelta, tutto filtrava il padre e "Una donna accetterà qualsiasi marito..." (Siracide 36,21)
L'idea che aveva il migliore degli uomini era quella di un acquisto "Chi si procura una sposa..." (Siracide 36,24)
La poligamia è ammessa dalla Torah... era troppo dilagante!
L'adulterio c'è tra una donna sposata e un uomo che non è il marito.
Per la Torah però la relazione di un uomo sposato con una donna non sposata non pare condannata, perché appunto è ammessa la poligamia.
Una donna però non può sposare più uomini e lo stesso comandamento non commettere adulterio diviene diverso tra uomo e donna.
L'uomo peccherebbe d'adulterio solo se va con la moglie di un altro (Levitico 20,10), ma con un'altra donna no, mentre la donna sposata commetterebbe adulterio, comunque, se va con un altro uomo anche non sposato, perché? Perché è possesso del proprio marito!
Un uomo può avere più mogli e concubine.
Ciò nonostante, è giusto sia così, è entrato nel pensiero e nella tradizione ebraica che l'unione coniugale è lo stato ideale degli esseri umani e la base della società, secondo quanto stabilito da Dio al momento della creazione, fine ultimo e principale della creazione stessa, dovere per ogni ebreo.
Nel primo periodo biblico dei patriarchi c'era l'usanza per l'uomo di sposare una donna scelta nella propria tribù, ancor meglio della propria famiglia, per la certa l'educazione dei figli che nascono ebrei se la madre è ebrea.
La poligamia ufficialmente non è stata mai abolita e si dice che non è più in uso tra gli ebrei dal X secolo d.C..
La vita solitaria è considerata sventura, il matrimonio senza figli disastro e la buona moglie il maggior bene che possa augurarsi ad un uomo.

Per Mosè Maimonide, ossia Rav Moshe Ben Maimon, detto anche Rambam dal suo acronimo RMBM, vissuto in Spagna (1138-1204), ebreo, gran filosofo rabbino e medico su "egli ti dominerà" ebbe ad osservare che la punizione della donna fu "misura per misura" e fu determinata dall'influenzare il marito a mangiare il frutto e ora gli sarà sottomessa.
Le condizioni della vita fuori dalla protezione divina nel giardino, per cui il sostentamento deriva dal duro lavoro, rendono la donna dipendente dal marito, fisicamente più forte, ma Rab Hirsh, importante rabbino tedesco del XIX secolo, diceva che "L'osservanza della Torah, tuttavia, vuole ricondurre la donna al situazione iniziale prima della caduta, "come corona di suo marito e perla della sua vita." (Mishlé 12,4 e 31,10)

"I saggi raccomandano all'uomo di rispettare la moglie più di se stessi e di amarla come se stesso. Se egli ha del denaro deve accrescere la sua generosità nei confronti della consorte secondo le sue possibilità. Non deve incuterle timore in maniera ingiustificata e deve parlarle in modo gentile, non deve manifestare né tristezza né collera. Alla donna a sua volta è stato comandato di onorare molto il marito, di riverirlo e di astenersi di fare qualunque cosa sia per lui ripugnante. Questa è la strada delle figlie d'Israele, che sono sante e pure nella loro unione e su questa via la loro vita in comune sarà decorosa e degna di lode." (Rambam Hilkhot Ishut 15,19-20)

Per far comprendere come tali pensieri nella spiritualità ebraica si siano evoluti riporto la "Preghiera della donna prima dell'unione" che ho ripreso da "Le preghiere della donna ebraica" (Alivia Lavie Morasha 2010).
Il pregare prima dell'unione si ricava per la prima volta dal libro deuterocanonico di Tobia, racconto edificante del II secolo a.C. (alcuni frammenti sono stati trovati a Qumran) in scenario storico imprecisato sulla storia familiare di Tobia, figlio di Tobi, ebreo, pio, osservante e caritatevole, divenuto cieco.
A Echatana nei pressi di Ninive, Raguele, parente di Tobi ha una figlia, Sara, ma "...essa era stata data in moglie a sette uomini, ma Asmodeo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potessero unirsi con lei." (Tobia 3,8)
(Di ciò pare trovarsi un cenno nel Vangelo di Matteo 22,23-33 quando alcuni sadducei fecero una domanda capziosa a Gesù sul matrimonio.)
Dio mandò l'arcangelo Raffaele da Tobi che guidò il figlio Tobia e per intervento divino fece sposare Tobi a Sara ricchissima.
La notte del matrimonio nella camera nunziale Tobia disse a Sara: "Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza. Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli! Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l'uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d'intenzione. Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia. E dissero insieme: Amen, amen!" (Tobia 8,5-8) e tutto poi andò a buon fine.
È, infatti, bene godere dei doni di Dio e la sessualità va goduta nel matrimonio con intenzione di santità, da ciò la preghiera perché l'unione tra l'uomo e la donna da dualità sia un'unità a gloria di Dio.
Ecco così spiegata la più recente preghiera della donna ebrea prima dell'unione che ho citato e che per brevità riporto con alcuni omissis:

"Sia la Tua volontà che la tua presenza sia manifesta tra me e mio marito e unisci su di noi il Tuo santo nome Yod He.
Introduci nei nostri cuori uno spirito di purezza e di santità e allontana da noi ogni pensiero e proposito malvagio.
Concedimi una vita limpida e genuina, tra me e mio marito, che noi due non posiamo i nostri occhi su alcun essere umano al mondo, ma siano i miei occhi su mio marito e gli occhi di mio marito su di me.
Che io lo veda come se non esistesse un altro uomo buono, bello e gentile come lui al mondo. Com'è detto: 'Odi fanciulla e guarda, porgi il tuo orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre', ed è detto 'Poiché egli è il tuo Signore, sottomettiti a lui'.
E così sia agli occhi di mio marito, come se non ci fosse al mondo una donna bella, gentile e leale quanto me.
Siano tutti i suoi pensieri rivolti a me, e a nessun'altra creatura al mondo...
Sia la Tua volontà. O Eterno Dio, che la nostra unione riesca bene.
Un'unione leale, d'amore e di fratellanza, di pace e di amicizia.
Un'unione degna secondo la legge di Mosè e la consuetudiene ebraica.
Un'unione leale, di timore del cielo e timore del peccato.
Un'unione che generi figli leali, giusti, integri e retti.
Un'unione di benedizione, come è detto: 'l'Eterno è memore di noi: benedirà, benedirà la casa d'Israele'.
Un'unione in cui si avveri in me ciò che è detto: 'Tua moglie è come vite feconda nell'interno della sua casa. I tuoi figli sono quali rami d'ulivo intorno alla tua mensa'.
Un'unione in cui mio marito sia felice con me più che con qualsiasi altro bene egli abbia al mondo, com'è detto: 'La casa e gli averi sono eredità paterna, ma la donna intelligente proviene da Dio'.
Un'unione in cui tra me e mio marito non ci sia mai collera, né rancore, né gelosia, né competizione, ma amore e fratellanza, pace e amicizia, umiltà, modestia e tolleranza.
Un'unione di amore, giustizia, amorevole misericordia e benedizione verso le creature.
Un'unione che generi una discendenza concreta, sana e buona...
Benedetto Tu sia per sempre Amen."

(Annota l'autrice, che la preghiera è nel libro Chuppar Chatanim di rav Raphael Meldola, nato nel 1754, di Livorno, già rabbino della comunità sefardita in Inghilterra che penso l'abbia scritta avendo particolarmente approfondito la figura dell'omonimo arcangelo.)

In tutto ciò però c'è un tarlo, la disposizione nella Torah di Mosè dell'atto di ripudio, get o ghet: "Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa." (Deuteronomio 24,1)
È questo un atto unilaterale, solo nelle possibilità del marito, poi mitigato, ma non risolto, da un giudizio rabbinico.
Al riguardo forse ha influito il continuo paragone profetico dell'amore del Signore per Israele e del timore del suo rigetto, ventilato dai profeti prendendo spunto proprio dalla disposizione del ripudio nel matrimonio ebraico.
Ciò, in un certo senso, in forma negativa, confermava e dava forza al maschilismo, che tendeva a fare da padrone.
È vero, c'erano stati i patriarchi che chiamavano la moglie sorella, ma avevano, Abramo e Giacobbe, preso concubine, sia pure con la condiscendenza delle mogli, e questo ultimo anche due mogli in contemporanea, Lia e Rachele.
La posizione maschilista si faceva forse forte, appunto, del pensiero dei profeti, di Dio che può rigettare il suo popolo come dice Isaia 2,6: "Tu hai rigettato il tuo popolo, la casa di Giacobbe, perché..."
Siccome il marito nella casa ha le veci del Signore, dimenticando che "Il Signore ha giurato e non si pente..." (Salmo 110,24) i mariti, maschilisti, ritennero sempre più giusto farsi forte di Mosè, ed esercitare così il diritto del rigetto.
Indipendentemente dalla giustezza o meno dell'istituto del ripudio, come si spiega però ad una donna d'oggi che solo l'uomo e non anche la donna, secondo Mosè, poteva pretendere il divorzio?
Oggi, per l'evolversi del divorzio non religioso, la causa della donna è esaminata con più attenzione, ma tante possono essere state nel passato le ritorsioni in famiglia.
La donna ebraica, in effetti, può solo tentare di chiedere il divorzio al marito che se ha ragioni valide e se il marito non accetta vi sarà una causa davanti ad un giudice per convincere il marito a concederle l'atto di ripudio.
Chi disse: "Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Genesi 2,24) pare proprio non poter essere lo stesso che può aver consentito il ripudio della donna.
Persino la tradizione rabbinica sul divorzio consentito dalla Torah ha preso atto che è un'anomalia, un disturbo dell'ordine universale.
Sostengono che quando un marito dà il Get, cioè l'atto di ripudio alla moglie, l'altare versa lacrime e un grande rumore, "impercettibile all'uomo", risuona per l'universo. (Vedi: Get in Divorzio "Dizionario d'usi e costumi ebraici" di Alan Untermann)
Il Get era dato dai padroni anche agli schiavi per concedere loro la libertà.
Pur se il matrimonio ha buone basi, e dipende dal cammino spirituale dei due, questa posizione di subalternità della donna nel matrimonio è, come dicevo, comunque, come una crepa ed è stata causa di tante sofferenze e di tanti soprusi, vissuti in modo silenzioso dalla donna.
Quel libro "Le preghiere della Donna Ebrea" che ho prima citato riporta la preghiera della "'aguna", donna vincolata al suo stato di donna sposata poiché il marito è scappato, è disperso o semplicemente si rifiuta di concedere il divorzio.
La preghiera, toccante, rivela la condizione di una sudditanza mal vissuta.
"Creatore del cielo e della terra sia la Tua volontà che si compia la Tua clemenza nello svincolare le donne d'Israele, prigioniere dei loro mariti e legate con le funi dei loro contratti matrimoniali, anche se la santità e l'amore si sono allontanati dalle loro dimore. Allontana da loro, per favore, il giogo amaro e addolcisci i cuori induriti dei loro detentori. Apri le catene della cattiveria e libera le Tue figlie, affinché possano ricostruirsi una famiglia ebraica e crescere figli con amore e affetto, pace ed amicizia. Fai tornare i nostri giudici come erano nell'antichità e i nostri senatori come in origine, dona ai loro cuori uno spirito di sapienza e coraggio, uno spirito di avvedutezza e sagacia, per salvare l'oppresso dalla mano del persecutore e la donna dalla sua cattività. Benedetto sii Tu che liberi i prigionieri."

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