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GIUSEPPE VICE FARAONE D'EGITTO

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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IL SIGNORE ERA CON GIUSEPPE
Nel libro della Genesi la narrazione della storia di Giuseppe s'interrompe con la parentesi del capitolo 38 del racconto dell'episodio di Giuda e Tamar. (Vedi: "Tamar si traveste per essere antenata di Giuseppe" "Tamar si traveste per essere antenata di Giuseppe")
Col capitolo 39 il testo riprende la narrazione degli eventi che riguardano Giuseppe si ricollega al capitolo 37 ricordando che Giuseppe era con Potifar, ma premette "Il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell'Egiziano, suo padrone." (Genesi 39,2)
Potifar "si accorse che il Signore era con lui e che il Signore faceva riuscire per mano sua quanto egli intraprendeva" (Genesi 39,3)
"Si accorse", evidentemente con gradualità, ma anche rapidamente, che Giuseppe aveva doti particolari e così lo mise a capo dei suoi beni e della sua casa dandogli pieni poteri... gli portava fortuna.
Giuseppe, peraltro, era anche "bello di forma e avvenente d'aspetto" (Genesi 39,6) cioè aveva un bel viso ed era bello a vedersi e così destò la concupiscenza della moglie del padrone.
Giuseppe resistette alla tentazione continua delle profferte di questa finché un giorno, che non c'era altri in casa, lei fu molto esplicita e lo prese per il vestito, ma lui fuggì da lei lasciandole la veste tra le mani.
Lei prese l'occasione di prendere questo fatto come prova e col vestito di lui in mano accusò Giuseppe d'aver tentato d'usarle violenza.
Il padrone fu costretto a prenderlo e ad accompagnarlo alla prigione.
Alcuni commentatori sostengono che comunque in Potifar rimase la grande stima per Giuseppe, infatti, così ritiene un midrash, non credeva alle accuse della moglie, ma se non l'avesse punito la gente avrebbe potuto a ragione sostenere che la moglie gli era costantemente infedele e che lui era consenziente e forse non era nemmeno il padre dei suoi figli. (Midrash Yefé Toar)
Potifar, quale consigliere del faraone, peraltro, certamente avrà parlato al capo del sovrintendente delle prigioni e ancora una volta il testo osserva: "Il Signore fu con Giuseppe, gli accordò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione. Così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati che erano nella prigione e quanto c'era da fare là dentro lo faceva lui. Il comandante della prigione non si prendeva più cura di nulla di quanto era affidato a Giuseppe, perché il Signore era con lui e il Signore dava successo a tutto quanto egli faceva." (Genesi 39,21-23)
Inizia così il capitolo 40 ove Giuseppe ha occasione di manifestare la propria dote di interpretare sogni.
Si evince, peraltro, che la prigione, in effetti, era proprio nella casa di Potifar che era il capo degli eunuchi, parola questa ultima che ha un'accezione più ampia del semplice eunuco, ma piuttosto quella di capo degli addetti alla persona e alla gestione della casa del faraone stesso.
Il capo dei coppieri e il capo dei panettieri furono fatti mettere in carcere dal faraone ed "Il comandante delle guardie assegnò loro Giuseppe, perché li accudisse." (Genesi 40,4)
Un mattino "Giuseppe venne da loro e li vide abbattuti. Allora interrogò gli eunuchi del faraone che erano con lui in carcere nella casa del suo padrone, e disse: Perché oggi avete la faccia così triste?" (Genesi 40,6s) da cui s'evince che Potifar era il capo di tutte le guardie del faraone e che, in definitiva, Giuseppe era rimasto in quella casa, ove c'era anche la prigione, con una certa libertà, ma segregato dal settore della famiglia di Potifar.
Entrambi, il capo dei coppieri e il capo dei panettieri, avevano fatto ciascuno un sogno diverso che però non riuscivano ad interpretare.
Giuseppe che li accudiva replicò loro: "Non è forse Dio che ha in suo potere le interpretazioni? Raccontatemi dunque." (Genesi 40,8)
Il che dimostra che Giuseppe era ben coscio del dono divino.
Giuseppe li interpretò e andò come aveva predetto; Dio era con Lui!
Dopo tre giorni il coppiere fu reintegrato, mentre il panettiere fu impiccato.
Aveva detto Giuseppe al coppiere di ricordarsi di lui quando reintegrato presso il faraone e perorasse la sua causa tanto più che non avrebbe dato una falsa testimonianza, perché veramente era un ebreo rapito, ma non colpevole d'alcuna colpa e disse queste precise parole, "...sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo." (Genesi 40,15)
Per il fatto che Giuseppe ebbe il coraggio di dichiararsi ebreo i saggi d'Israele lo lodano ed attribuiscono al merito di questa dichiarazione il fatto che poi fu sepolto in terra d'Israele, come precisa il libro di Giosuè "Gli Israeliti seppellirono le ossa di Giuseppe, che avevano portato dall'Egitto (Esodo 13,19), a Sichem, in una parte della campagna che Giacobbe aveva acquistato dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi d'argento e che i figli di Giuseppe avevano ricevuto in eredità." (Giosuè 24,32)
Mettono invece in relazione con la dichiarazione d'essere un egiziano (Esodo 2,19) da parte di Mosè alle figlie di Ietro col fatto che questi, invece, fu sepolto fuori dalla Terra Santa (Devarim Rabbà 2,5).
Solo più tardi il coppiere si ricorderà di Giuseppe.

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