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ATTESA DEL MESSIA...

 
SUL TIMORE DEL SIGNORE

di Alessandro Conti Puorger
 
 

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RAPPORTI CON L'IGNOTO E COL DIVINO »

NELLE SACRE SCRITTURE EBRAICHE DELLA BIBBIA
Prima di entrare nel vivo, preciso che nella trattazione mi sarà molto d'aiuto lo spezzare ed il leggere le parole ebraiche che incontrerò nella trattazione con lo strumento, formidabile per utilità, inserito nel mio articolo "Parlano le lettere" che applica in concreto con regole e significati l'idea che le lettere ebraiche siano anche veicoli di un'immagine grafica.
Al riguardo è utile la lettura nella rubrica "Lettere ebraiche e Codice Bibbia" dei seguenti articoli preparatori "Decriptare le lettere parlanti delle sacre scritture ebraiche" e "I primi vagiti delle lettere ebraiche nella Bibbia".
Ciascuna parola del vocabolario biblico può allora anche essere letta come una serie di immagini, tante quante sono le lettere che la compongono, e queste forniscono un predicato del significato della parola stessa.
Ciò, unito alle varie regole inserite in quella trattazione, fa pervenire a scoprire pagine di secondo livello nel testo sacro ebraico di cui ormai c'è una notevole quantità di esempi in questo mio sito.

La prima volta che nella Bibbia si trova la parola "paura" è al capitolo 3 del libro della Genesi, dopo che la prima coppia ha trasgredito al Signore mangiando dell'albero della conoscenza del bene e del male.
Adamo, alla domanda del Signore Dio che gli chiede "Dove sei?" rispose: "…Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto". (Genesi 3,10)
Per "ho avuto paura" viene usato "ira'" dal radicale del verbo aver timore, avere paura.
Con la paura, viene immediatamente la voglia di nascondersi, di fuggire.
Mi "sono nascosto" "'achabe'" è dal verbo "nascondersi".
Faccio notare che se volessi parlare di amore, quello primigenio originario come era prima del peccato tra l'uomo e Dio essendo il radicale ebraico del verbo amare per dire amo avrei scritto amo l'origine quindi .
Le lettere sarebbero quasi uguali a nascondersi.
C'è però una piccola differenza grafica, la lettera H interna nell'amore è aperta e nel nascondersi è chiusa .
Ritengo ciò voluto e pensato dall'autore sacro che ci sta dicendo con le lettere che l'uomo col peccato di fatto ritenne chiuso il rapporto d'amore con Dio.
La differenza grafica è minima eppure tutto è mutato.
Quella lettera H chiusa la troviamo in peccato "chata'" "chiudere il cuore all'Uno ".
La parola grano gli è molto vicina "chittah" perché dal suo luogo chiuso , il suo guscio, buccia - scorza - tegumento da cui si ricava la crusca, c'è un cuore prezioso che deve uscire , come ricorda Gesù: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto." (Giovanni 12,24)
Proseguendo su questo pensiero vado a cercare quando esce per la prima volta la parola "timore", il che si verifica dopo il diluvio.
Dio dà una lezione all'uomo, il timore e il terrore è istinto da animali, infatti, nei loro riguardi dice a Noè: "Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere." (Genesi 9,2)
Per terrore e spavento viene usato "chat" o "chittah" e le lettere ci parlano della sensazione della claustrofobia:

  • sentirsi "chiuso completamente " o "in luogo chiuso confinato ";
  • "in luogo chiuso confinato entrare ".
Altro modo per "terrore, spavento" è "pached" in cui c'è una idea di soffocamento, perché le lettere dicono "la bocca chiusa da una mano ".
Inoltre "pached" è "una rovina alla porta ", perché "pach" è "rovina laccio, trappola", infatti, con le lettere "una bocca si chiude ".
Purtroppo spesso nelle traduzione per quei termini si usa tradurre anche con timore e si ingenera confusione, perché è ben diverso timore da terrore o spavento.
Il versetto 1 del Salmo 27 ci istruisce, perché aver paura e timore, in effetti terrore di Dio, visto che è la mia lampada e mi salva? "Di Davide. Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò (timore) paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò (terrore) timore?"

Dio quando inizia parlare con l'uomo dice una frase rituale "non temere".
Dio parla così ai patriarchi e l'introduce ad un nuovo concetto del "temere":
  • ad "Abram in visione: Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande." (Genesi 15,1b)
  • ad Isacco quando andò a Bersabea: "E in quella notte gli apparve il Signore e disse: Io sono il Dio di Abramo, tuo padre; non temere perché io sono con te. Ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza per amore di Abramo, mio servo." (Genesi 26,24)
  • a Giacobbe/Israele: "Riprese: Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo." (Genesi 46,3)
È evidente che Dio sa che è il peccato che impedisce all'uomo un rapporto spontaneo con lui.
Volendo recuperare l'uomo, nell'avvicinarsi e nel chiamare i primi fedeli del monoteismo, pedagogia che però segue con tutti, gli spiana la strada facendogli comprendere che vuole il suo bene e ammonisce subito "'al tira'", ossia "non temere".
Ad Abramo iniziò a parlare (Genesi 12) facendogli promesse e solo quando Abramo cominciò a realizzare con Dio un rapporto il testo esprime il "non temere" da parte di Dio.
Ogni uomo che comincia a prendere atto dell'esistenza di Dio, infatti, non può non sentirsi che peccatore, inadeguato, e indegno davanti a Lui ed ha bisogno d'un conforto.
Isacco e Giacobbe cresciuti nella famiglia di Abramo avevano imparato dalla prassi della vita familiare qualcosa di Lui e, prima di procedere ad una conoscenza diretta più avanzata nel manifestarsi loro, Dio s'esprime in quello stesso modo "non temere".
Fin qui abbiamo notato che Adamo, e i patriarchi temevano Dio perché in qualche modo l'avevano conosciuto, perciò il temerlo è un primo passo dopo il peccato per redimersi.
Il contrario di ciò è il non temerlo che è in definitiva una dichiarazione implicita dell'aver concluso che non esiste.
Vale a dire essere ateo nel senso stretto, cioè essere senza alcun Dio.

All'inizio della storia di Mosè, nel libro dell'Esodo, si viene a sapere che il liberatore d'Israele in giovinezza commise una grave colpa.
Uccise un egiziano che era stato violento verso i fratelli ebrei.
Il racconto in particolare ci pone quanto segue all'attenzione: "Voltatosi attorno e visto che non c'era nessuno, colpì a morte l'Egiziano e lo seppellì nella sabbia." (Esodo 2,12)
Non c'era nessuno!
Vuol dire forse che nella sua mente non c'era per nulla l'idea che Dio lo guardava comunque?
Non ebbe paura di commettere un omicidio, però, ma quando il giorno dopo voleva dividere due ebrei che si stavano azzuffando si sentì dire da uno di questi: "Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l'Egiziano? Allora Mosè ebbe paura e pensò: Certamente la cosa si è risaputa." (Esodo 2,14b)
La paura viene a Mosè quando assoda che qualcuno per lui in quel momento "reale" l'ha visto compiere il male e non prima.
Nel momento dell'omicidio o non gli è venuto nemmeno nella mente che era sotto lo sguardo di Dio, o forse gli sarà venuto, ma allora deve aver concluso "non esiste" che era un essere immaginifico e non sentì paura.
Nel caso di Adamo che Dio conosceva bene e ci parlava faccia a faccia, invece, la paura venne subito dopo il peccato e così la coppia primigenia si nascose.
Mosè, il giorno dopo però, comprendendo che un uomo l'ha visto commettere l'omicidio ed ha paura.
Il fatto rivela che Mosè non credeva ancora in Dio, ne aveva sentito parlare, ma evidentemente l'aveva catalogato tra le nozioni che servivano per comprendere i fratelli ebrei, ma dava alla loro divinità lo stesso credito che dava alle divinità egizie, cioè praticamente nulla, una superstizione.
Fugge Mosè in Madian, passano anni di solitudine e di maturazione, ove avrà anche rimuginato sulla propria colpa.
Nel deserto, come pastore delle pecore di Ietro, incontrò Dio al roveto che ardee senza consumarsi e Dio dal fuoco tra l'altro gli disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio." (Esodo 3,6)
Gli ricordò in concreto, citando i patriarchi, che ciò di cui gli parlavano i fratelli ebrei in Egitto, ossia del loro Dio, era vero; così Mosè poté credere che ciò che gli si presentava con quel fenomeno straordinario era una manifestazione concreta di quel Dio.
La situazione ora è la stessa d'Adamo nel giardino dopo il peccato.
La prima reazione allora che ha è la paura, sia del fatto fisico miracoloso che non comprende, sia perché si sente in colpa del peccato commesso davanti a un Dio che non poteva non essere anche giustizia infinita.

Egualmente il popolo d'Israele ha paura al momento della teofania sul monte Sinai e da quel giorno in poi demanderà a Mosè di parlare lui per loro con Dio.
Mosè disse al popolo: "Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate". (Esodo 20,20)
Dal libro del Deuteronomio sinteticamente estraggo: "Mosè convocò tutto Israele e disse loro: Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo dinanzi a voi: imparatele e custoditele e mettetele in pratica. Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb. Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti in vita. Il Signore vi ha parlato faccia a faccia sul monte dal fuoco, mentre io stavo tra il Signore e voi, per riferirvi la parola del Signore, perché voi avevate paura di quel fuoco e non eravate saliti sul monte. Egli disse… (Deuteronomio 5,1-5) …e seguono, per istruirli, le 10 parole del Decalogo.
Il Signore osservò che quel timore era benefico, evidentemente perché partiva dalla considerazione da parte di quegli uomini che seguivano Mosè che Dio c'era e in loro era un bene che si consolidasse l'idea che li vedeva in qualsiasi azione loro facessero.
Disse, infatti, così a Mosè: "Oh, se avessero sempre un tal cuore, da temermi e da osservare tutti i miei comandi, per essere felici loro e i loro figli per sempre." (Deuteronomio 5,29)
La storia della salvezza narrata nella Bibbia continuò e il "non temere" fu detto prima da Mosè a Giosuè (Deuteronomio 31,8 e Giosuè 1,9) e poi Dio stesso lo dirà in Giosuè 8,1: "Il Signore disse a Giosuè: Non temere e non abbatterti."

Guardando nella Bibbia le seguenti parole si trovano con l'indicata frequenza:
  • "non teme, non temere non temete" e simili 124 volte di cui 21 volte nel Nuovo Testamento;
  • "timor, timore, timori, aver timore, timorato, timorata, timorato, intimorito, intimoriti intimorire", 218 volte di cui 154 nell'Antico Testamento e 64 nel Nuovo Testamento;
  • "paura, aver paura, impaurito, impaurita" e simili, 152 volte di cui 38 nel Nuovo Testamento;
  • "Temer, temerà, temere, ecc." 136 volte di cui 20 nel Nuovo Testamento;
  • "Terrore/spavento" 158 volte di cui 8 nel Nuovo Testamento.
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