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LETTERE EBRAICHE E CODICE BIBBIA...

 
LA SPOSA IN ESTASI
APPUNTI DI QABBALAH DI UN CRISTIANO

di Alessandro Conti Puorger
 

CERCARLO NELLA TORAH CON LE LETTERE

Il mio amore mi scrive biglietti segreti con calligrafia e segni particolari.
In tal guisa considero il testo della Tenak o Bibbia con i segni ebraici.
Lui, l'amore personificato, il Figlio di David:
  • nel Vangelo di Giovanni ha asserito che quei libri parlano di Lui: "Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me." (Giovanni 5,39)
  • nel Vangelo di Matteo ha detto che ogni lettera della Torah sarà compiuta nelle sue vicende e in quelle avvenire, "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto." (Matteo 5,18s)
Quelle pagine dell'Antico Testamento, perciò, lette con attenzione, con i segni liturgici allora usati, senza perdere nemmeno una lettera, e che leggeva Lui stesso nelle sinagoghe come a Cafarnao e a Nazaret, fanno sì che l'amato, nel segreto, si svela a chi lo cerca.
Quei segni sono cioè capaci di rendere presente la persona nascosta, Lui stesso che è uscito da quei testi ed è entrato come persona vivente nella storia del mondo.
All'esordio della mia ricerca in "Decriptare le lettere parlanti delle Sacre Scritture ebraiche" scrivevo che sulla tesi di una lettura anche come pittogrammi di tali lettere delle Sacre Scritture, sono a favore i seguenti elementi:
  • il testo dell'Antico Testamento ebraico e le relative lettere sono restati congelati nella forma attuale prima dell'ignoranza dei geroglifici (perdurata dal IV a fine XIX secolo d.C.);
  • le lettere sono soltanto consonanti, come in egiziano;
  • nei testi antichi non c'erano i segni delle vocali;
  • le parole non erano separate tra loro;
  • le lettere erano spaziate tutte egualmente tra loro;
  • non c'erano forme particolari per indicare lettere di fine parola;
  • non v'era indicazione di versetti.
Era evidente che tali elementi erano stati osservati in passato dagli attenti scrutatori ebrei e m'avrebbero portato, pur essendone estraneo, a passare vicino a quanto era già stato sondato dalla Qabalah, visto e considerato come quelle lettere sono importanti per tale tradizione.

Qabbalah o qabalah , in ebraico significa, infatti, "tradizione", quindi, tradizione sapienziale ed indica gli insegnamenti esoterici del giudaismo e del misticismo giudaico, in particolare le forme che assunse dal secolo XII del Medioevo come, almeno così si proponeva, sviluppo di movimenti esoterici del giudaismo che si evolsero dalla fine del Secondo Tempio.
Si basa sul "Sepher ha-Zohar", Libro dello Splendore, l'opera pseudoepigrafica attribuita a Mosè de Leon, e sugli scritti di Abulafia e Nahmanide e loro scuole fino a Luria e di altri contemporanei.
Mi sono perciò trovato a leggere pagine di quella tradizione e quando ho incontrato questioni che portavano acqua alla mia ricerca prendevo appunti ed ecco questo articolo, rilettura ragionata di quelle note sedimentate, articolo che, di fatto, è la prosecuzione di "Le 22 sacre lettere - Appunti di un qabalista cristiano" inserito qui, nella rubrica "Lettere ebraiche e codice Bibbia".

I cieli della qabbalah

Dalla qabalah, infatti, è considerata l'idea che dalla Tenak si possono ottenere più interpretazioni di uno stesso versetto.
Nel profeta Geremia, infatti, si trova "La mia parola non è forse come il fuoco - oracolo del Signore - e come un martello che spacca la roccia?" (Geremia 23,29) ed è questa un'immagine che è stata commentata proponendo che come sono tante le schegge e le scintille di un martello che colpisce la roccia sono pure molteplici i sensi che possono scaturire da un singolo versetto, da una singola parola, da una singola lettera delle antiche Sacre Scritture ebraiche, se scritte con i segni originari.
Pensiero analogo pare trovarsi in Salmo 62, "parola" e dalle scuole rabbiniche, 12 "Una cosa ha detto il Signore: due ne ho udite", e tali idee non erano certo sfuggite agli attenti cultori della "parola" e dalle scuole rabbiniche.
In "Qabbalah" di Moshé Idel 9,2 (Adelphi 2010) trovo ulteriori elementi che rafforzano in modo evidente ciò che ero certo venisse considerato.
Jacob ben Sheshet, qabalista spagnolo di Girona del XIII secolo, infatti, scriveva che il testo non vocalizzato della Bibbia poteva essere interpretato secondo diversi significati, in funzione delle varie vocalizzazioni delle lettere.
Sosteneva anche che il Sefer Torah sarebbe bene che non venisse vocalizzato onde interpretare le singole parole nei vari modi come si possono leggere.
Sono queste alcune regole del mio sistema di decriptazione in "Parlano le lettere" che rende possibile leggere pagine di secondo livello dai testi biblici, ingessati invece con la traduzione in greco dei Settanta e successive.
Altro qabalista, Bahya ben Asher, scriveva: "Il Rotolo della Torah è senza vocali per permettere all'uomo di interpretare tutto ciò che desidera dal momento che le consonanti senza vocali offrono svariate interpretazione distinguersi in numerose scintille. Questo è il motivo per cui non scriviamo le vocali del Rotolo della Torah, perché il significato di ogni parola si accorda alla sua vocalizzazione e, quando essa è vocalizzata, non ha che un unico significato; invece senza vocali, l'uomo può interpretare varie cose meravigliose e sublimi."
Quel "interpretare tutto ciò che desidera" va evidentemente mitigato aggiungendo, "relativamente al soggetto del discorso, Lui il Nome", con riferimento a fatti ed eventi che gli si possono attribuire, appunto "cose meravigliose e sublimi."
Si limitavano a ciò, cioè alla diversa vocalizzazione, perché questi, forse, almeno non tutti, avevano realizzato che i testi più antichi non erano nemmeno suddivisi in parole cananee, altrimenti sarebbero stati ancora più determinati e le variabili per ottenere interpretazioni aggiuntive sarebbero state in numero maggiore.
Alcuni versetti del libro di Giobbe vennero poi ad interpellare l'intelletto di un qabalista, precisamente: "Ma la sapienza da dove si estrae? E il luogo dell'intelligenza dov'è? L'uomo non ne conosce la via, essa non si trova sulla terra dei viventi." (Giobbe 28,12-13)
Eppure per chi crede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, c'è qualcosa che viene dal cielo e non è della terra in cui c'è la Sapienza.
La risposta ovviamente è: il Rotolo della Torah!
Quei versetti di Giobbe però continuano così: "L'oceano dice: Non è in me! e il mare dice: Neppure presso di me!" (Giobbe 28,14)
Se si considera la Torah come un abisso, un oceano, che pur deve contenere la verità e questo "dice: Non è in me!" è da interpretare solo che "un solo significato non è in me", cioè la Torah è da scandagliare, ma la verità c'è!
Si conclude allora che "Il rotolo comprende tutti gli aspetti e tutti i significati profondi... e tutti interpretati in relazione ad ogni singola lettera, aspetto dentro aspetto, segreto dentro segreto e non ci è noto un limite, come è scritto: L'abisso dice - un singolo significato - Non è in me!"

(In Appendice presenterò decriptati i 28 versetti dell'intero capitolo 28 di Giobbe e si comprenderà che la Sapienza è ora in circolazione nel mondo con l'annuncio del Risorto.)

Abramo Abufalia di Saragozza, mistico spagnolo del XII secolo di origini e cultura ebraiche, sulla Torah prendendo forza dal trattato Avot del Talmud, dice: "Voltala e rivoltala, perché essa contiene tutto".
Qui è da comprendere bene: Tutto che?
Vogliamo far parlare la Torah di scienza, di fisica, di biologia in modo assoluto per cadere in errori del passato?
Sono perciò d'accordo e non sono d'accordo!
La verità c'è, ma è una sola, quanto riferibile al Messia con le singole lettere.
Il qabalista Menachem Recanati vissuto in Italia centrale tra la fine XIII e il XIV secolo insisteva: "Tutte le scienze sono implicite nella Torah, giacche non esiste niente al difuori di essa"; scriveva così perché quanto si sa di Dio, è eguale a quanto sta nella Torah e tutte le scienze sono certamente in Dio, ma non è detto che queste fossero la mira della Sua rivelazione.
Ciò vale anche dopo la venuta di Cristo, perché Lui ci ha rivelato completamente il Padre rendendo compiuto visibile, udibile, toccabile e "mangiabile e bevibile" quanto era nascosto, segreto nella Torah, ma non per questo ci ha spiegato la teoria della relatività.
Ciò non vuol dire però che quei libri della Bibbia intendano spiegarci tutte le scienze, ma solo vogliono presentarci Lui e il suo amore.

Quei libri sono altro; sono appunto una lettera d'amore che ci ha mandato il Creatore attraverso menti elette ed illuminate ed, è mia opinione, va letta cercando quel messaggio.
Ciascuno - considerato entità irripetibile, uomo amato, a cui tutta la creazione e la redenzione è disponibile per produrne il più consono sviluppo esistenziale e farlo pervenire alla dimensione di uomo adulto nella fede e soprattutto nella carità per essere compagno del Signore - è chiamato a leggere un messaggio personale del Cristo a sé medesimo.
Ognuno è chiamato così a scrivere la propria Torah, di quanto cioè ha compreso sul messaggio dell'amato.
Io, allora, così in quei libri cerco e trovo, quale unica verità, una profezia totalizzante sul Cristo, che mi spinge ad essere saldo con gioia nella fede, null'altro è essenziale.
Per chiarire subito prendendo spunto dal versetto di Geremia da cui sono partito "La mia parola non è forse come il fuoco - oracolo del Signore - e come un martello che spacca la roccia?" (Geremia 23,29) ove, come spesso capita nei capitoli delle consolazioni di Geremia (30-31), è ripetuto "Oracolo del Signore", il che fa attendere un messaggio di 2° livello particolarmente pregnante.
Scrivo il versetto con le lettere ebraiche che si trovano nella Bibbia masoretica, ma senza la segnatura delle vocali.



Applico le regole del mio metodo e rivolgendo il pensiero al Messia trovo:

"Uscito dal Potente si portò l'origine della rettitudine nel mondo .
La Parola era !
La rettitudine ad una donna () inviò.
Dalla madre il Signore si recò .
Rettamente il Verbo l'utero fu ad accenderLe .
Fu il Verbo a scendere .
Giù in pienezza il Potente vedranno !"

Estrarre da ogni versetto vicende del Messia comprovate dai Vangeli, per un cristiano è estrarre Verità, atto esplicitante dalla Torah, lettura d'un messaggio d'amore realizzato da parte del Diletto!
È Lui l'Adam Kadmon di cui parla la Qabalah: "...Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire." (Romani 5,14)
È evidente che entrare nello studio della Torah con una idea del genere non fa più essere uno qualsiasi, ma quel tale viene partecipe di segrete cose, uomo di fiducia del palazzo della Torah e vi si muove cercando i ritrovi segreti.

L'Abufalia però ammetteva anche di prendere le lettere delle parole della Bibbia ebraica di dar loro altre combinazioni e leggere anche quelle, facendosi forza da un versetto di Isaia, il 41,23a che la C.E.I. traduce così:

"Annunciate quanto avverrà nel futuro e noi riconosceremo che siete dèi."



"hagidu ha 'otiot le'achor, vened'ah ki 'Elohim 'attem"

La parola può avere infatti due significati, dal radicale venire , quindi "quanto avverrà" o anche plurale di , in effetti , anche per lettera dell'alfabeto, segno, miracolo.
Ora Abufalia traduceva in questo modo: "Pronunciate le lettere al contrario e sapremo che anche voi siete Dio."
Ciò è come dire prendiamo le lettere da sole, hanno proprietà creatrici.
Ne seguirono secoli dopo aberrazioni come il tentativo del "golem" e amuleti con frasi e parole magico pseudocreatrici tipo Aber kadaber, il famoso Abracadabra.
Certo quelle lettere hanno proprietà particolari, ma solo se unite da una volontà superiore, quella che ci ha dato la Torah altrimenti potremmo prendere anche pagine di un giornale ebraico e sarebbe lo stesso?
No! Non si deve cambiare l'ordine delle lettere nella Torah, sarebbe un'altra libro e il messaggio non sarebbe in qualità.
Ho provato con lo stesso criterio che ho usato prima a decriptare l'intero versetto Isaia 41,21 e ho ottenuto un pensiero analogo a quello di Geremia, sull'incarnazione dell'Unigenito: "Uscito in cammino è. L'aiuto reca al mondo. Dall'Unico finalmente è stato portato per finire il serpente delle origini. Chiuso si porta in un corpo. E l'energia, la conoscenza escono con la rettitudine nell'esistenza. Di Dio al mondo è in vita l'Unigenito puro. Dell'Unico la Parola tutta sta in un cuore. Si è da casa portato col bastone per finire il male, si porta a seccarlo, in azione esce e, inviato col corpo, guai dall'Uno gli reca."
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