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LA PRIMA RICHIESTA DI PERDONO
Ci si attenderebbe che la parola "perdono" spuntasse dalla bocca di Adamo al momento della prima trasgressione, ma non fu così, l'uomo si era perso tanto che Dio lo sottolineò con il "Dove sei?" (Genesi 3,9) come a dire ti verrò comunque sempre a cercare!
Nel libro della Genesi, dopo il racconto della cacciata dal paradiso terrestre, "Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì" (Genesi 4,1) due fratelli gemelli, Caino e Abele.
Cresciuti, mentre Abele scelse di fare il pastore, Caino fece l'agricoltore coltivando, quindi, la terra su cui era stato profetizzato ad Adamo: "Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane finché non ritornerai alla terra." (Genesi 3,17-19).
(Vedi: "Visione su Abele, il pastore gradito al Signore")
Ecco che Dio preferì le offerte di Abele e Caino ne fu invidioso.
Il Signore vide il volto di Caino e gli disse: "Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai." (Genesi 4,6-7)
L'avvertì per evitare che peccasse, ma Caino non riuscì a dominarsi.
Caino provocò il fratello, prima evidentemente con una violenza verbale: "Caino parlò al fratello Abele", poi con la violenza fisica, infatti: "Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise." (Genesi 4,8) Dio chiese conto a Caino della vita del fratello: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!" (Genesi 4,10).
Poi il Signore predisse a Caino che sarebbe stato ramingo per tutta la vita.
La parola "perdono" appare così proprio in quel momento per la prima volta nel libro della Genesi sulla bocca di Caino dopo il primo fratricidio - come del resto è ogni omicidio - cioè dopo l'uccisione di Abele da parte del fratello.
In tale occasione "Disse Caino al Signore: Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono." (Genesi 4,13)
In primo luogo sorge la questione: quanto in quel modo ha espresso Caino è una constatazione o una domanda?
Fu una sfiducia sulla misericordia di Dio o la richiesta proprio di questa?
Nel testo ebraico - italiano del libro della Genesi (Edizione Avishaay Namdar Copyright Mamash 2006) quel versetto si trova in forma interrogativa e tradotto nel seguente modo: "Kayin disse ad Hashem: Il mio peccato è forse troppo grande da sostenere?"
Il termine usato che è tradotto in italiano dalla C.E.I. come "perdono" è, infatti, "minneshò"
o
dal radicale
del verbo "portare, tollerare, togliere, portar via, perdonare", quindi anche sostenere.
In tale radicale ha grande parte quello del verbo "dimenticare" che è
quindi, il
è un dimenticare
()
e riiniziare
.
Se quella di Caino sia da interpretare come una domanda non è certo, ma se lo era, in effetti, Dio non rispose direttamente, ma indirettamente regalando del tempo a Caino, utile nel caso si fosse voluto redimere.
Se si toglie al racconto il valore di "midrash", ma si prende in valore assoluto, invero quello era il primo evento di morte umana e Caino avrebbe qualche attenuante... non credevo che... debole invero, visto che dal racconto si appura che Abele sacrificava la vita delle primizie del gregge per offrire il grasso.
Dio comunque lo fece allontanare e "Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato" (Genesi 4,15), lo pose per evitare vendette nei suoi confronti.
Questo segno, in ebraico, è "'ot"
,
e con le lettere dice già da se che fu "l'Unico
a portargli
una Taw
"
ossia una T, iniziale della parola
Torah che poi avrebbe istruito gli uomini sul "perdono".
Di fatto, non solo Dio doveva perdonargli, ma questo doveva passare anche attraverso gli uomini, in particolare nei genitori Adamo ed Eva che avevano perso un figlio, però su eventuali sviluppi al riguardo la Bibbia non informa.
Quel segno "Taw"
,
nel corsivo ebraico è una +, croce che certamente Caino ha portato per tutta la vita col rimorso di quanto aveva fatto, il che potenzialmente poteva essere foriero di conversione, quindi di perdono, almeno da parte di Dio.
Del resto nel racconto delle vicende del profeta Giona, nel libro omonimo, riguardo ai Niniviti, che non dovevano essere degli stinchi di santi, viene considerato che "Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece." (Giona 3,10)
Oggi, alla luce degli sviluppi della storia della salvezza portata avanti da Dio con l'umanità, grazie alla redenzione, attuata dal sacrificio in croce e dal mistero pasquale, comprovata dalla risurrezione e dall'ascesa al cielo del Cristo, la Chiesa, con i poteri di legare e sciogliere datile da Gesù risorto, può ben asserire nel proprio Catechismo:
982 - Non c'è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla santa Chiesa. Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che non possa avere con il pentimento la certezza del perdono. Cristo, che è morto per tutti gli uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque si allontani dal peccato.
Su ciò tornerò in seguito.